domenica 12 aprile 2020

L'Enigma di Ponsard - Capitolo 13 (Parte seconda)



Arrivammo a San Zeno, dopo strade e stradine di campagna che costeggiavano la gardesana ed esserci inerpicati lungo le prime pendici del Baldo. Milla si fermò all’ingresso del centro abitato, su una di quelle piazzole panoramiche con il cannocchiale tanto care ai turisti tedeschi. Il pomeriggio di sole stava lasciando il posto ai colori del prossimo crepuscolo e il paesaggio appariva di una dolcezza struggente. Scesi dalla macchina per respirare l’aria frizzante della collina e subito il mio olfatto fu pervaso piacevolmente da un profumo di legna bruciata che mi richiamò alla mente le carni alla brace che mia suocera arrostiva sull’aia di casa. Mi guardai attorno estasiato. Quel buon odore proveniva dal camino di una casa colonica con tanto di pollaio e nell’orto decine di piante di pomodori già cariche di frutti, anche se ancora acerbi. In lontananza il lago scintillava alla luce del sole ormai radente, mentre alle mie spalle il massiccio del Baldo appariva in tutta la sua imponenza. Improvvisamente sentii la nostra macchina che si metteva in moto e Milla che mi gridava di saltare dentro. Riuscii a salire a bordo per un pelo, mentre vedevo sfrecciare al nostro fianco una Regata azzurra.
<< Ci avranno visti?>> 
<<Penso di sì e comunque ci vedranno ora, non appena lei guarda nello specchietto retrovisore>> 
<< Ma non sanno ancora che li abbiamo smascherati>> 
<< Non sono stupidi! Se ci vedono qua lo capiscono subito che non è una coincidenza>>. 
<< Cosa hai in mente di fare?>>. 
<< Li inseguo e provo a tagliargli la strada. Tu metti la cintura che si balla!>>. 

Non c’era bisogno che me lo dicesse, anche perché, conoscendola, se avessi avuto un paracadute a portata di mano, lo avrei indossato. Una lunga sgommata diede il segnale che la danza era cominciata. Le due auto cominciarono a rincorrersi spericolatamente lungo le stradine in discesa che riportavano verso la gardesana e che fortunatamente a quell’ora erano deserte. 
Mi tenni forte aggrappandomi alla maniglia sopra il finestrino. La strada stretta e sconnessa faceva traballare la macchina come una scheggia impazzita. Ad ogni curva benedicevo i potenti freni a disco di cui Loris, il meccanico di Camilla aveva insistito per dotare la nostra vettura. Mai spesa si stava rivelando più opportuna. Tra uno stridio di gomme e il rombo di un’accelerata cercai di far sentire la mia voce. <Come cavolo pensi di raggiungerli? Hanno una macchina più potente della nostra. Anche se è vecchia, sarà almeno una millesei!>>. 

Milla si prese del tempo per rispondere, mentre la nostra Peugeot saltava letteralmente al passaggio su un dosso, facendomi sbattere la testa contro il tettuccio per il contraccolpo. Un vecchio con la bici che arrancava lungo la salita si buttò nei campi per lo spavento. La mia autista gli fece un cenno con la mano per scusarsi. 
<< Sì, ma io da ragazza ho fatto le corse a cronometro sul Fadalto. Per me correre su questi fondi stradali non è un problema, per lei lo è senz’altro, quindi più di tanto non può correre, altrimenti va fuori>> . 
Guardai nello specchietto retrovisore. Il vecchietto, in compagnia di alcune galline, ci stava mandando platealmente a quel paese. Non potevo dargli torto. 

La distanza tra le due auto si manteneva attorno ai cento metri, anche se ad ogni curva Milla, che proprio come un pilota di rally anticipava la sterzata per entrare in derapata e riprendere subito velocità, si avvicinava sensibilmente, salvo poi riperdere terreno sui rettilinei dove giocava la maggiore potenza dell’altro motore. Mentre per l’ennesima volta mi domandavo chi diavolo avessi mai sposato, osservavo affascinato con quanta freddezza e precisione la mia compagna cambiasse velocemente le marce per tenere sempre il motore con il miglior numero di giri. 
All’uscita da un rettilineo, con la Regata che aveva perso velocità si sporse il passeggero e vidi che ci puntava contro una pistola. Gridai subito. <<Attenta che quello spara!>>. 
Milla reagì con due sbandate mozzafiato per impedirgli di prendere la mira. Poco dopo il giovane esplose due colpi in rapida successione che non ci presero e poi, dopo qualche attimo un terzo e un quarto che ebbero la stessa sorte. Il quinto colpo, sparato mentre la macchina sbandava, scheggiò l’asfalto davanti a noi e rimbalzò lontano. L’ultimo colpo, invece, colpì la nostra vettura all’altezza di uno dei fanali, che andò in frantumi, e uscì dal mio lato, vicino alla portiera, sfiorandomi la gamba. Poi, se Dio vuole, il giovanotto rientrò nella macchina. 

Milla, mentre armeggiava con il volante, mi chiese un rapporto sui danni.
<< Ehi! Tutto bene?>>. 
<< Sì, per ora sono vivo>>. 
<< Quanti ne ha sparati?>>. 
<< Sei, credo…>>. 
<< Bene! Allora, o ha finito i colpi oppure sta ricaricando l’arma, in ogni caso per un po’ non ci spara più!>>. 
<<Sai che consolazione! Lo sai che per pochi centimetri l’ultimo proiettile non mi sbriciolava un ginocchio?>>. 
<<Non farla tanto lunga! Ti ha colpito? No! E allora goditi il fatto che ti è andata bene e non ti lamentare!>>. 
Offeso da tanta indifferenza per le mie vicende mi trincerai nel più rigido mutismo. Cosa resa facile dal fatto che il terrore mi mozzava il fiato. 

Poco prima di una curva a gomito dietro di cui era già scomparsa l’altra vettura ci giunse il suono del clacson di una corriera che risaliva in senso opposto. Il tempo d’imprecare e ci si parò dinnanzi il muso celeste del pullman della SAV. Milla sterzò e controsterzò in un battito di ciglia, ma per una frazione di tempo interminabile sembrò che l’impatto sulla fiancata fosse inevitabile e mi rannicchiai aspettando il colpo. Invece, arrivò solo il suono metallico dello specchietto esterno che andava in frantumi, seguito subito dopo da quattro suonate di clacson del pullman che portavano, oltre agli insulti dell’autista, il segnale di cessato allarme. Guardai subito davanti a noi e mi accorsi che anche la Regata celeste doveva avere avuto i suoi problemi nell’incontro con la corriera perché stava zigzagando come se chi la guidava cercasse di recuperare il controllo della vettura. La cosa per un istante sembrò riuscirgli, poi, dopo una nuova frenata prima della curva successiva uscì definitivamente di strada derapando sullo sterrato fino ad arrestarsi con la fiancata contro un albero in un fracasso di vetri e lamiere. 

La nostra Peugeot gli fu subito addosso e, dopo una frenata che sollevò una nube di polvere e sassi, Milla si proiettò fuori dall’abitacolo con la Luger puntata verso i due che stavano uscendo malconci dalla loro vettura semi accartocciata. 
Dopo essersi accertata che nessuno si fosse ferito seriamente, la mia compagna dovette ricordarsi di qualche telefilm americano perché subito urlò ai due: 
<<Appoggiate le mani sul tetto della vettura e non muovetevi che altrimenti vi piazzo una pallottola in mezzo agli occhi!>>. 
Il tutto esclamato con la pistola tenuta a due mani e puntata verso le loro teste. Maria e il suo compagno, un ragazzo alto e magro e con una gran massa di capelli crespi che doveva essere proprio il tizio entrato di soppiatto nella villa, obbedirono senza fare resistenza. 
Io mi precipitai fuori dalla vettura per darle una mano, ma una forza misteriosa mi trattenne energicamente sul sedile. Si trattava della cintura di sicurezza, che, come al solito, si era bloccata e non ne voleva sapere di sganciarsi. Cominciai ad armeggiare con quel maledetto pulsante che sembrava saldato, mentre Milla cominciava a dare segni d’impazienza. 
<< Che cazzo fai ancora lì seduto? Vuoi venire a darmi una mano sì o no?>>. 
L’inquietudine che si avvertiva in quelle parole dovette essere percepita da Maria che improvvisamente si chinò nell’abitacolo della Regata e ne riemerse con la pistola, mentre il suo ragazzo approfittando della sorpresa di Milla la prese per il collo immobilizzandola e strappandole l’arma. Poi gliela puntò alla tempia e mi gridò con la faccia alterata. 
<<Scendi da quella macchina o l’ammazzo!>>. 
<<Non posso! Ho la cintura bloccata!>>. 
<<Ti ho detto di scendere! Guarda che l’ammazzo davvero!>>. 
<< Non ce la faccio! Sono bloccato! Vieni a vedere se non ci credi!>> 
<< Ti ho detto che l’ammazzo! Esci fuori! >> 

L’ultima frase il ragazzo la pronunciò con la voce strozzata, tanto che mi diede l’impressione che avesse più paura lui di quanta potesse averne Milla, la quale, però, era a mal partito perché quella stretta disperata le stava stringendo dolorosamente il collo. Moltiplicai le forze su quel maledetto gancio e finalmente, dopo l’ultimo strappo disperato la cintura si sbloccò e potei uscire a mani alzate. Maria, come mi vide uscire fece un cenno al ragazzo che allentò un po’ la presa. 
<< Che intenzioni hai?>> le chiesi andandole incontro. 
La ragazza, con uno sguardo determinato che non le avevo mai visto prima, mi spinse da parte e salì a bordo della Peugeot cercando le chiavi d’accensione che invece aveva Milla. 
Così strillò rabbiosa puntandomi la pistola addosso dal posto di guida. <<Presto! Dateci la vostra macchina e non vi facciamo niente. Non siete voi che vogliamo>>. 
Non ebbi tempo di risponderle, perché alle mie spalle, dalla stessa direzione da cui eravamo venuti, giunse il rumore di diverse auto che stavano arrivando di gran carriera. Subito dopo, in un turbinio di polvere, fummo circondati da quattro alfette dei carabinieri da cui scesero i militari con il giubbotto antiproiettile e le mitragliette spianate. 
<<Fermi tutti! Buttate le armi!>> 
Il grido del graduato che comandava il drappello sovrastò qualsiasi rumore e fu subito seguito da quello di Milla alla vista delle mitragliette che puntavano Maria. 
<<Non sparatele! La ragazza ha la pistola scarica! Non può far nulla!>> 
Maria, uscita dalla vettura, lasciò cadere l’arma per terra in segno di resa e fu subito afferrata da due militari, mentre il suo compagno, che adesso tremava vistosamente per la paura, aveva ripreso a rinserrare Milla tra le sue braccia e a puntarle la Luger alla testa. 

Dall’ultima Alfetta comparve Viccaro che si diresse dritto verso il ragazzo, poi gli tese la mano. <<Non fare lo stupido! Ormai è finita, dammi quella pistola…>> 
Due militari puntarono le armi in direzione del ragazzo per tenerlo sotto tiro. Maria si rivolse al suo uomo con un grido disperato. << Lasciala Jussef! Lasciala! Ha ragione lui, per noi è finita!>> 
Il ragazzo, dopo un attimo di smarrimento, lasciò andare Milla e consegnò la Luger a Viccaro prima di essere portato via dai carabinieri. Poi il capitano si piantò di fronte alla mia signora che ancora si stava massaggiando il collo. Il volto del nostro amico era raggiante di gioia, anzi, la sprizzava proprio da tutti i pori. <<Cara la nostra signora Camilla! A quanto pare, ancora una volta l’ho tolta dai pasticci >>. 

Milla sbuffò seccata, guardandolo storto. <<Ma di quali pasticci parla? E’ soltanto arrivato un attimo prima di me. Perché se solo riuscivo a trovare il momento per girarmi a quello gli davo una ginocchiata che lo stendevo, tanto non poteva spararmi >>. 
<<Perché non poteva? >> 
<<Quella è la Luger di mio padre e lei che l’ha già vista altre volte, sapeva benissimo che non può sparare perché ha la canna otturata! Quindi non faccia tanto l’eroe>>. 
<<Sì, ma c’era anche Maria ad essere armata! >> 
<<Niente affatto! Mentre c’inseguivano hanno sparato sei colpi, quindi aveva l’arma scarica! Neppure lei poteva far fuoco>> 
<<Davvero? Cimminello, per cortesia, mi porti la pistola della ragazza >>. 
Il giovane carabiniere obbedì all’ordine, quindi Viccaro, con studiata lentezza tolse il caricatore alla pistola e lo svuotò sotto gli occhi di Milla, facendo uscire le pallottole una alla volta. <<Una….due….tre… è ancora convinta che non potesse spararle? >> 

Milla sbiancò in volto, poi, di fronte all’evidenza, si arrese docilmente tendendo la mano a Viccaro per una stretta pacificatrice. <<Va bene! La devo ringraziare anche questa volta, anche se gradirei, per una prossima occasione, che facesse in modo di arrivare un po’ prima. Con quella corsa in macchina stavamo per ammazzarci >>. 
<<Cercheremo di venire incontro ai suoi desideri. Ma certo ci riusciremmo meglio se lei e suo marito non cercaste sempre di fare di testa vostra senza avvisarci. Comunque, sono io che vi ringrazio perché senza le vostre intuizioni non avremmo risolto il caso così alla svelta >>. 
<<Ma, a proposito … come ha fatto ad essere qua prima di noi? Avevamo molte ore di vantaggio. Ha volato?>> 
<<Proprio così! Esistono anche gli elicotteri, no? Da Vittorio Veneto a qui sono trenta minuti di volo e, ovviamente, ad attenderci sul posto c’erano i colleghi del distaccamento di Verona che sorvegliavano la zona da ore. Ben prima che arrivaste voi e anche i due assassini>>. 
<<Sì, ma come avete fatto a sapere di Maria e del nuovo movente? >> 
<<Semplicissimo, avevamo messo da tempo il telefono dell’albergo sotto controllo, così abbiamo ascoltato la sua telefonata al ristorante di Perugia, quella a suo fratello per sapere il numero di telefono di Tarentin. Diciamo che ci avete aiutati a vostra insaputa. >> 
<<E Tarentin? >>. 
<<E’ al sicuro >>. 
<<Meno male! Non rispondeva al telefono, pensavamo che fosse morto >>. 
<<Non ha risposto perché da qualche giorno è in ospedale. Il poveretto non se la passa molto bene, ha una malattia muscolare progressiva. Ormai cammina a fatica e deve fare delle terapie. Comunque, ci ha raccontato tutti i retroscena della sua storia con Ponsard e ci ha dato anche le chiavi di casa. Così quando i ragazzi hanno richiamato da un Autogrill lungo la strada, questa volta abbiamo risposto e abbiamo preso un appuntamento per il giorno dopo, cioè oggi>>. 
<<Un appuntamento con quale scusa? >>. 
<<Tarentin fa l’agente immobiliare. E’sulle pagine gialle, non era difficile saperlo. Lei si è finta interessata a comperare un appartamento in zona…>>. 
<<Allora com’è che non li avete presi? >>. 
<<Il piano prevedeva di catturarli una volta dentro l’appartamento. Allo squillo del campanello i miei uomini nascosti di sopra avrebbero risposto al citofono e aperto la porta, poi, non appena fossero entrati nel vano scale, noi, appostati dietro la siepe, saremmo scattati alle loro spalle per prenderli tra due fuochi. Invece, quando sono arrivati davanti alla casa di Tarentin lui è sceso dalla macchina per cercare il campanello dell’agenzia, mentre lei è rimasta al posto di guida a guardarsi attorno sospettosa e probabilmente ha scorto uno dei miei uomini appostati. Però ha avuto un bel sangue freddo perché è rimasta calma e ha fatto finta di niente. Così, mentre lui stava tornando indietro per chiamarla, di colpo gli ha gridato qualcosa in arabo e lui è volato in macchina e sono scappati>>. 

Milla lo guardò ironica. <<Bloccare le possibili vie di fuga avrebbe avuto troppo il sapore di un’azione di polizia, vero? >> 
<<Non dica così! Certo con il senno di poi è facile criticare… però eravamo certi che non sarebbero riusciti ad uscire da quel cortile. Pensavamo che fossero imbottigliati >> 
<<E invece? >> 
<<Invece sono stati bravi a fare l’inversione di marcia in così poco spazio e ci hanno sorpreso. Non potevamo sparare alla macchina perché c’erano delle case lì attorno con della gente affacciata alle finestre. Così li abbiamo inseguiti subito, anche se avevano preso un bel vantaggio, dal momento che avevamo mandato le macchine diverse centinaia di metri più in là perché non le vedessero, ma poi, appena fuori dal paese, una nuova vettura inattesa si è intromessa tra noi e loro e gli ha messo pressione fino a provocarne l’uscita di strada >>. 
<<E quelli siamo noi … >>. 
<<Appunto… e il resto lo sapete!>>. 
<<Ah! Certo! Pistolettate comprese! >>. 

Viccaro mi diede una cordiale pacca sulla spalla che mi fece sobbalzare e che esprimeva tutta la sua soddisfazione nei nostri confronti. Poi, si fece sornione e guardando la mia consorte dritto negli occhi le disse: <<A proposito di guida, cara signora Camilla, posso vedere la sua patente? >> 
<<Certo che può vederla … tanto il bollo è in regola!>>. 
 Milla la estrasse dal portafoglio e Viccaro, dopo averla presa in punta di dita, se la mise in tasca con un gesto teatrale, senza neppure aprirla. La mia compagna sbiancò in volto. 
<<Perché me la ritira? >>. 
<<Premesso che le faccio i miei più sinceri complimenti per la sua abilità nel seminare i miei uomini, ci sarebbe la faccenda del trattore. Doppia riga, sorpasso in curva, centotrenta all’ora in un tratto dove si deve andare a sessanta. Ci sarebbero tutti gli estremi per ritirargliela per qualche mese, se non a vita, ma visto che è stata preziosa, la terrò intanto per quindici giorni e gliela restituirò solo se mi prometterà che eviterà cose del genere per il futuro. Ormai dovrebbe saperlo che ci tengo alla sua pelle >>. 

L’interessata sorrise acida, poi, vista l’ineluttabilità della decisione, si rassegnò a prenderla sportivamente, anche perché essendo svelta di riflessi doveva esserle venuto in mente che quindici giorni di sospensione erano in fondo un pagar dazio accettabile, mentre se avesse graffiato Viccaro, come il cuor suo le suggeriva di fare, probabilmente la pena si sarebbe allungata. 
<<Lei è davvero un amico premuroso! Comunque, tra quindici giorni l’aspetto mio ospite nel nostro albergo così suggelleremo la riconsegna con un buon pranzo. Però, intanto, posso prendere la macchina per ritornare a casa? >> 
<<Niente affatto! Lei e suo marito, se ne hanno piacere, potranno ritornare a casa sulla mia vettura, mentre il brigadiere Inzaina, a cui la prego di consegnare le chiavi, ci seguirà con la vostra macchina >>. 

Così, dopo aver provveduto con una certa malagrazia alla consegna delle chiavi ed essersi attardata a spiegare puntigliosamente al milite in questione la faccenda della seconda che era un po’ dura e del numero di giri ottimali per quel motore, la mia signora, si accomodò rassegnata al mio fianco nell’Alfetta di Viccaro, che partì subito alla volta di Sant’Anastasia schizzando ghiaia dappertutto. 

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