sabato 24 giugno 2017

Del primo giorno di spiaggia, del Wi-fi balneare e delle vicine francesi d'ombrellone.


Sono da poco passate le sei del mattino. La luce del sole inonda già la nostra camera da letto filtrando tra i rami dei platani sulla strada. Il caldo e il rumore del traffico seguiranno a ruota. Essendo ormai sveglio da diversi minuti anche per l’ennesima ginocchiata da “cartellino rosso diretto" dell'elfa che quando si gira nel sonno colpisce all'inguine con precisione chirurgica, decido di andare nel mio studiolo ad accendere il computer nell'attesa che la mia compagna apra gli occhi. Così, aprendo Facebook vi scopro un messaggio non letto di mio figlio, che immaginavo tranquillo a Dusseldorf e invece dopo avermi rivelato che l’altro ieri era stato in Olanda, e il giorno dopo in Belgio ci teneva a farmi sapere di essere in partenza per Lubiana  e che qualche giorno dopo lui e lei avrebbero preso un mezzo per raggiungere Novigrad e farsi una settimana di mare in Croazia. Il tutto per la serie del non ti dispiace se Ana ed io veniamo a Venezia a fine agosto anziché adesso, vero, papà? Ma ovviamente io, che da ventenne andavo e tornavo in giornata da Venezia a Busto Arsizio per amore di una ragazza conosciuta in vacanza e già mi sentivo un eroe romantico, per un minimo di coerenza non me ne posso dispiacere. Talis pater, talis filius. 

Vedo, ad ogni modo, che il giovane "farfallone amoroso" è ancora collegato su internet e così chattiamo per qualche minuto finché sento una mano che si posa leggera sulla mia spalla e la voce dell’elfa ridestata. "Lasciami il posto che voglio parlare con mio figlio. Tu intanto vai a portare fuori il cane che appena rientri andiamo a Jesolo a prendere il primo sole dell’anno. Sbrigati che non voglio fare le code…"

Gèsolo on my way, anzi, Cortellazzo...

La notizia mi coglie del tutto alla sprovvista. "Andiamo a Gèsolo? Ah! Non me l’aspettavo!
"Sì, visto che non abbiamo impegni e le spese le abbiamo fatte ieri sera, oggi si va proprio a Jesolo che tu denigri tanto chiamandolo Gèsolo per indispettirmi, anche se in realtà, visto che non te ne sei accorto, da un paio di anni andiamo a Cortellazzo."
"Ah già... dimenticavo che siamo passati da Gèsolo a Corteàsso. Avessi detto Saint-Tropez...."
"Perché? Adesso non ti va più? Non sei quello che me la sta smenando da settimane perché ha bisogno assolutamente di un bagno di mare per drenare il naso dall'allergia da polline? Ora che te lo propongo ti tiri indietro?
"Beh…no… va bene, a patto che ci stiamo poco: due bagnetti, un po’ di sole e via. Lo sai che in spiaggia mi annoio mortalmente ad osservare per ore te che ti abbronzi mentre io mi ustiono.
“Però se andassimo al Lido tra le capanne del tuo amato Des Bains, che a sentire te è l'unico luogo al mondo degno di chiamarsi spiaggia, andrebbe tutto bene, vero? Comunque, se è solo per la noia che ti infliggerei, sappi che quest’anno se vuoi puoi portarti il tablet perché ho letto che ora c’è il wi-fi anche sulla nostra spiaggia. Dunque, potrai cazzeggiare a tuo piacere sul web come fai a casa, contento?".

Faccio finta di non cogliere l'accusa di cyber-dipendenza domestica lanciata dall'elfa e incuriosito dalla nuova possibilità provo immediatamente ad immaginarmi intento a scrivere questo post sulla sdraio con il tablet in precario equilibrio tra l’addome sudaticcio (un po’ fuori forma, lo ammetto) e le ginocchia. Purtroppo, mi affiora subito alla mente il ricordo del giovane “American idiot” che ciondolando come uno zombie con in mano un bicchierone di Coca-cola tra le poltroncine del Frecciarossa Roma-Venezia mi aveva allagato e distrutto un portatile aziendale da 1.500 euro pensando di cavarsela disinvoltamente con un: "Ooops! So sorry...." (il suo corpo crivellato con la penna a biro giace ancora da qualche parte tra Arezzo e Cortona...). Inoltre, essendomi occupato anche di FMEA (Failure Mode Effects and Analysis) effettuo un brain storming personale per immaginare da dove potrebbe arrivare il pericolo e classificarlo in base ad un coefficiente di probabilità di impatto con il mio tablet e di gravità potenziale del danno in modo da poterlo prevenire. Gli eventi possibili che mi vengono in mente sono nell'ordine: 

1) Moglie che si spruzza spray abbronzante al cocco nelle vicinanze dello schermo rendendolo appiccicoso (gravità del danno teorico e sua probabilità di avverarsi valutabile con punti 6.5) 

2) Bambino molesto e iperattivo del vicino di ombrellone che fa una battaglia a secchiellate di sabbia con la sorellina (6,2) 

3) Cenere di sigaretta di moglie che viene a curiosare fumando (7,5)

4) Acqua salmastra che gocciola sul tablet dal costume di moglie che viene di nuovo a curiosare fumando ma ancora fradicia subito dopo il bagno (7,5) 

5) Moglie che per vedere un filmato di tango su You Tube effettua il touch screen con le dita insabbiate tipo carta vetrata rigandoti lo schermo (8,7) 

6) Signorina tatuata e tamarra dal forte accento trevigiano che tra poco sbatterà al vento il telo da bagno pieno di sabbia (punti 5,8)

7) Bambino e sorellina molesti e iperattivi del vicino che dopo essersi ridotti come i guerrieri di terracotta di Xi’an corrono in mare a ripulirsi e ritornano fradici scrollandosi l’acqua di dosso come due cagnolini (6,0) 

8) Adolescenti che si rincorrono tra gli ombrelloni con i fucili ad acqua giocando a Steven Seagal e Van Damme contro Schwarzenegger e allagando te e la presa USB del tablet (6.5) 

9) Fulmineo e non autorizzato passaggio di proprietà del tablet mentre tu e l'elfa state facendo il bagno (8.5)

10) Wi-fi della spiaggia niente affatto free, ma a pagamento, debole e carissimo (9.5)

Alla fine, considerato l'alto coefficiente di rischio complessivo, decido di lasciare il tablet a casa malgrado il “Non lo vuoi portare? Cavoli tuoi, ma poi non mi dire ogni due minuti che ti annoi” e si parte. Arriviamo in spiaggia verso le dieci dopo la solita coda a Caposile per l'incrocio con la Treviso Mare e c’è già un carnaio di gente bianchiccia richiamata come noi dalla giornata di caldo afoso.
Comunque, preso il lettino e l’ombrellone ci buttiamo finalmente nelle acque dell’Adriatico tiepide e opache come un brodo primordiale per la prima nuotata della stagione da cui ritorno coperto di alghe ma orgoglioso per aver fatto quasi trenta metri filati a stile libero (ho provato anche a nuotare a farfalla, ma dopo cinque bracciate avevo già un fiatone imbarazzante e ho pure bevuto cercando peraltro di darmi un contegno di fronte all'elfa ridacchiante dicendo che facevo dei gargarismi di acqua salata benefici per la gola). A seguire: io sdraio, lei lettino e successivo slaccio del reggiseno e unzione meticolosa della schiena della consorte con le creme solari. Quindi, lettura di Repubblica, con le pagine già incartapecorite, insabbiate e ora pure unte di crema solare, sino all'ora del pranzo. Evento atteso con crescente impazienza e che verrà consumato a un chilometro di distanza, al baretto della spiaggia, dopo essersi scottati i piedi camminando tra la passatoia in cemento e la sabbia rovente e attendendo pazientemente in coda un quarto d'ora solo per ordinare.


Iniziamo il noioso compito d'abbronzarsi stando all'ombra.

Caldo afoso del dopo pranzo in spiaggia. Il panino alla piastra con formaggio sintetico, rucola e prosciutto made in Taiwan, ingurgitato in fretta seduto sotto il sole al tavolino del chiosco bar circondato da una mandria di tedeschi e trevigiani sudati e in attesa del nostro posto, ha iniziato un lungo viaggio spazio-temporale nel mio stomaco alla ricerca dei succhi gastrici, mentre la birra tracannata nel tentativo di deglutirlo, ora zampilla allegra dal mio corpo in tanti rivoletti di sudore. Il mio sonno sulla sdraio, spezzato periodicamente dalle gomitate leggere di mia moglie (stai russando, ti guardano tutti…) viene definitivamente interrotto dal rumore di un ombrellone vicino che si apre e dalle imprecazioni in dialetto del bagnino che nel farlo si è pizzicato le dita informando gli astanti che la madre dell'ombrellone esercitava un mestiere molto antico.


Il momento delle granite, una delle poche soddisfazioni della spiaggia.


Metto a fuoco la scena. Alle sue spalle è in attesa una bella signora, tutta fasciata in un fluttuante pareo azzurro cielo che lascia intravedere un pudico costume intero blu notte. I capelli sono fermati da un nastrino in seta e ai piedi porta delle infradito in pelle naturale, sicuramente di marca. Tutto molto semplice, ma di raffinata eleganza. Mentre ho la sensazione di averla già vista e mi sforzo di capire dove, mi soccorre inattesa la mia compagna che la stava osservando a sua volta con lo sguardo compiaciuto della vipera che ha visto comparire l’ignaro topolino. "Prima che tu me lo chieda, è la signora che al baretto era seduta al tavolino accanto a noi…". 
Guardo l’elfa stupito ed ammirato. "Ma lo sai che hai ragione? Brava… è proprio la signora francese."
Essendo uomo assai incauto ed ingenuo malgrado i 32 anni di vita con l’elfa che dovrebbero avermi insegnato ad essere un tantino più attento a scorgere cosa ci sia sotto le foglie dove poso i piedi, mi arriva subito uno sguardo indagatore. "E tu come fai a sapere che è francese? A forza di vedere Sherlock su Netflix hai sviluppato le capacità dell'investigatore che osserva i dettagli e deduce?", 
"Beh... a parte che scrivendo libri gialli non ne ho bisogno, diciamo che l'ho intuito perché oltre alla salad mixte ha ordinato al cameriere con la tipica cadenza francese quel “capiucinò” che mi ha ricordato mia zia Ines, quella di Marsiglia che mi chiamava sempre “Carlò” e non sono mai riuscito a farle arretrare di un millimetro quell'accento ". 
L'elfa ridacchia con il tono di quando vuol essere perfida. "A me la tua amica ricordava più Peter Sellers nella parte dell’ispettore Clouseau, comunque è lo stesso…"



Anche quest'anno stessa spiaggia, stesso mare, stesse code in auto,
stesso ma dove ca... parcheggio? stesso caldo, stessa noia sotto l'ombrellone...
Non è che si potrebbe andare in montagna per una volta?


Guardo intanto con interesse le cose che escono dalla borsa etnica in rafia della nostra vicina e che ripone con cura sulla brandina. Creme, oli solari quanto basta, poi “Le Monde” e proprio quando mi aspetto il solito Ken Follett o Wilbur Smith in versione francese mi salta fuori “Una donna spezzata” della Simone De Beauvoir. Dunque, la signora, oltre che molto charmant, è anche una donna di buone letture.
Appena concluso tutto questo e mentre la signora francese si aggiusta per l'ennesima volta il costume, l’elfa, che aveva seguito a sua volta tutta la faccenda attentamente, riprende il discorso "Comunque, tutta questa tua premessa era solo per dirmi che ti ha colpito e l’hai notata?". 
"Beh, sì… ammetterai che ha un bellissimo viso e poi mi sembra molto raffinata. E' l’archetipo della signora colta e di gran classe, un po’ come lo era Ingrid Bergman in “Indiscreto”. Te la ricordi? E’ il film con Cary Grant che fa il diplomatico e lei è una famosa attrice di prosa…". 

La sua domanda però non era affatto innocente ed apparteneva a quella serie di quesiti del tipo: “Mi trovi ingrassata?” o “Come mi sta questo vestito?” che nella logica femminile significano: “E’ da tanto che non litighiamo... ti va di strillare un po'?” e ai quali si deve evitare di rispondere, ma come al solito e sempre per via della faccenda che non controllo cosa ci sia sotto le foglie che calpesto ci casco dentro fino al collo. Infatti, preso dal piacere della citazione, dimentico imprudentemente quale tragedia avesse scatenato Paride porgendo quella benedetta mela alla donna sbagliata, e, soprattutto, che elementari regole di prudenza suggeriscono di non parlar mai bene di una nuova presenza femminile ad una donna che già conosci, tanto più se è tua moglie.

Basterebbe, a tal proposito, aver presente come una donna in spiaggia osservi diversamente da noi l’arrivo di una nuova vicina d’ombrellone, soprattutto se sola e potenzialmente competitiva. Noi aspettiamo di vederla finalmente in costume per ammirarne le forme. Il nostro fine è almeno inizialmente solo di tipo estetico e comunque innocente fino (eventualmente) al momento successivo in cui cominciamo a valutarla in termini di scopabilità (passati i cinquanta, diventa puro esercizio teorico). La nostra lei, al contrario, attende perfidamente di vedere la rivale in costume per controllarne di persona il numero delle smagliature, la consistenza delle masse cellulitiche e l’eventuale gluteo o seno cadente per farti poi notare il tutto puntigliosamente. Il suo fine, in questo caso, è esclusivamente l’annientamento dell’avversaria, hic et nunc e non si fanno prigionieri.


Ci mancava pure il Templare come vicino d'ombrellone

Infatti, lo sguardo di mia moglie cambia subito colore e diventa intenso come quello della mia gatta Mitzi quando studiava attentamente le mie mosse per graffiarmi con comodo. 
"A parte che il tuo archetipo di donna fascinosa ha già superato i quaranta da un bel pezzo, non vedi che si tiene su disperatamente con il trucco? Se guardi bene noterai che è il trionfo del mascara e il viso è irrigidito nel rigor mortis dagli strati di fondo tinta. C’è più argilla addosso a lei di quanta ce ne sia in un liceo artistico. Se invece parliamo di portamento dovresti vedere anche tu che è rigida come una scopa e, in quanto a classe, ti basti sapere che prima, quando mangiavamo al bar, ha portato alla bocca con le dita i pezzetti di tonno dell'insalata. Ha solo delle discrete tette, ma probabilmente ha il reggiseno con i ferretti. Se solo lo sgancia, crolla l’impalcatura. Il sedere, invece, lo tiene ancora su probabilmente a forza di diete e di palestra, ma su quei fianchi matronali che si ritrova ha due stupende maniglie dell’amore, non trovi? Ti concedo solo che ha delle belle mani da pianista… vuoi ancora dell’altro?". 

Allargo le braccia rassegnato. La bordata di un’intera fiancata di cannoni della galeazza veneta aveva sbriciolato l’innocente vascello francese. "Colpita e affondata! Ritiro tutto. Ammetto di essere orbo e di aver scambiato una vecchia cariatide per una donna incantevole ". 
L'elfa sorride soddisfatta dandomi una pacchetta cordiale sulle ginocchia. 
"Bravo! Così va meglio…anzi, bravò!
Detto ciò, si distende di nuovo sulla brandina ad abbrustolirsi al sole, Provo a mia volta a riprendere il sonno, ma non ci riesco più. Sicuramente è colpa del caldo e del panino…

mercoledì 21 giugno 2017

Noi che abbiamo vissuto quel lungo esame del 1966


L’avvisaglia che ormai ci fossimo vicini l’avevo percepita in un crescendo di voci sul web e subito dopo ne ho avuto conferma sulla prima pagina di Repubblica: “Maturità conto alla rovescia: si preparano 450.000 studenti”. Questo semplice titolo è bastato per rimettere in moto come ogni anno ai primi di giugno quel senso di agitazione incoercibile che mi attanaglia al solo sentir pronunciare le parole: esame di maturità. Non so perché, ma essendone abbondantemente lontano (gli esami che si affrontano alla mia età sono altri e ben più fastidiosi…) ed avendo un figlio ormai laureato e con tanto di Master che a domanda risponde: “abbiamo già dato” dovrei leggere la notizia con superiore distacco o addirittura ignorarla. Invece, ogni volta che si avvicinano gli esami ed escono fuori le prove della maturità sono subito pervaso da un senso di solidarietà verso tutti quei miei giovani alias seduti sui banchi e da qualche oscuro timore retrospettivo. Apro ansioso il giornale, leggo i compiti assegnati e mi domando se sarei stato capace di venirne a capo e spesso, tanto per farmi del male, arrivo al punto di cimentarmi perfino con le versioni (tanto ho la traduzione e posso copiare). 

Forse tutto nasce dal fatto che la mia maturità l’ho vissuta come un incubo non del tutto rimosso e tuttora ignoro come abbia fatto a conseguirla. Parlo del diploma, ovviamente, non della maturità comportamentale. Mia moglie, infatti, dubita fortemente che io ne sia in possesso sostenendo da sempre che devo esser stato colto dalla sindrome di Peter Pan attorno ai sedici anni e che ancora oggi mi comporti di conseguenza.


In campo Sant'Angelo, con l'aria serafica che deriva
 dalla consapevolezza di non sapere un tubo.

L’esame, comunque, l’ho passato nel 1966, all'acerba età di diciassette anni, perché ero stato spedito a scuola avanti di un anno nella certezza che tanto prima o poi sarei stato bocciato e mi sarei rimesso in pari, invece non accadde. Era la maturità pazzesca in vigore prima della riforma degli anni '70, praticamente immutata dalla fine del 1800 e dove si portavano i programmi di tutti e tre gli anni di liceo, si facevano tutti gli scritti possibili e gli orali erano due, separati da una settimana e su tutte le materie. Prima c'era il blocco di quelle scientifiche, poi quelle classiche. In entrambi i casi, erano almeno due ore d'esame garantite e t'interrogavano anche in storia dell'arte, in chimica e in scienze naturali. Alla mattina e anche al pomeriggio. 

Io non ho mai pompato eccessivamente sui libri, ma in quelle settimane disperate in cui ci si giocava tutto restavo a studiare fino a notte fonda, con solo la gatta assonnata a tenermi compagnia. Un po’ ero motivato dal fatto che non vedevo l’ora di uscire dal mondo della scuola con tutti i suoi riti che non sopportavo più e molto lo facevo per orgoglio personale e per dare finalmente una gioia a mia madre, che se la meritava. Un pochino anche perché se mi avessero bocciato immaginavo le prese per i fondelli e i sorrisetti ironici dei miei amici nel chiedermi per tutto l'anno seguente a che facoltà mi fossi iscritto. Infine, c'era anche la faccenda della storia appena iniziata con Donatella, ma di questo ne stiamo già parlando altrove e ci ho scritto pure un libro, dunque ve la risparmio.


Quello che "potrebbe fare, ma non si applica.." colto in un momento
in cui si applicava (forse...)


Le dimensioni dell’esame e l’impegno richiesto erano qualcosa di terrorizzante e non solo per me, ma anche per i più bravi. Fin da gennaio non si pensava ad altro e l’ultimo mese di scuola non si riusciva neppure ad organizzare una partitella a calcio o un’uscita al cinema perché erano tutti chiusi in casa chini sui libri (avessero avuto Wikipedia invece del Bignami, magari…). Emanuele si faceva negare al telefono e Marcello si aggirava per le Mercerie con una faccia che sembrava l’urlo di Munch. Lino, invece, era stato mandato da sua madre Serenina in ritiro come i calciatori nella cinquecentesca villa avita di Biancade persa nelle campagne vicino a Treviso perché si concentrasse nello studio (difficile conoscendolo) tra vecchi libri e i quadri del nonno ed era irraggiungibile. Le ragazze poi non parliamone. Già molte di loro erano secchione per tendenza naturale, ma anche quelle allegrotte del tipo usato sicuro sembravano entrate in clausura, con le madri che rispondevano seccate al telefono “Lasci stare tranquilla mia figlia che deve studiare. Anzi, lo faccia anche lei, che le conviene…”. 

A spasso con una compagna di classe, ma solo per ripassare
il greco, che non si pensi male...

L’unico tra noi che appariva serafico era un certo Magrofuoco, un giovanottone mite, dinoccolato, con le camicie di flanella a quadrettoni tipo tovaglia di trattoria sul Piave, i sandali con il calzino bianco e gli occhiali da miope spessi come un fondo di bottiglia, che veniva dalle campagne attorno a Treporti e che dopo il liceo voleva entrare in seminario (infatti, fa il sacerdote). Lui era il fenomeno che quando ci davano la versione dal latino, visto che la finiva in quindici minuti, poi la traduceva anche in greco per la gioia del professore ed era abbonato al 10 con lode venendo portato ad esempio per tutta la classe. Per questo, pur essendo un degnissimo figliolo, stava sulle palle a tutti e quando alla maturità cannò entrambi i compiti e prese un misero sei in latino e in greco molti di noi (si dice il peccato, non il peccatore) fecero gesti scurrili davanti ai tabelloni con i risultati. 

Qualcuno tentava perfino la via del doping. Ricordo un mio compagno che su consiglio di “uno che sapeva” si era impasticcato di simpamina prima dell’orale per presentarsi lucido e brillante di fronte alla commissione. Purtroppo per lui la commissione sospese gli orali per qualche ora per dare spazio a due privatiste fuori elenco che dovevano ritornare non so dove e quando venne il suo turno la pastiglia aveva finito l’effetto galvanizzante e si presentò al colloquio con la stessa brillantezza di un bradipo esausto. 




C'è poco da fare, il diploma l'ho preso, ma la maturità...
beh, quella mi deve ancora raggiungere e io corro veloce...

Qualche giorno prima dell’esame si era saputo che l’insegnante esterna di latino e greco sarebbe stata una certa professoressa Chiozzi di Modena. Qualcuno si prese la briga di telefonare al suo liceo e ne venne fuori la storia che era severissima e che a Modena generazioni di studenti se la facevano sotto solo a sentirne il nome. In realtà non la ricordo particolarmente crudele, anzi, era perfino una donna dotata di un bel senso dell’ironia espressa con un bonario accento emiliano. Infatti, appena mi sedetti di fronte a lei per sostenere l’interrogazione di greco mi guardò soddisfatta e disse: “Lo sa che non vedevo l’ora di conoscerla?”. Ovviamente lusingato le chiesi il motivo e lei prendendo il compito con la mia traduzione rispose: “Perché lei è uno stratega eccellente. La sua idea che Pericle suggerisca agli ateniesi di dare fuoco alla propria flotta per disorientare gli spartani che assediavano la città è assolutamente geniale…” . Provai a sostenere la tesi che Pericle in realtà faceva il doppio gioco ed era un infiltrato spartano, ma venni ugualmente rimandato ad ottobre in greco con un bellissimo 3 (numero spesso ricorrente in quella materia)


la sigaretta della notte prima con gli amici...

Per la prova di italiano scelsi il tema storico anche perché inizialmente ero stato tentato di affrontare quello su Ungaretti pensando che avrei potuto scrivere qualcosa sulla sua raccolta poetica “Ossi di seppia” ma per fortuna Emanuele mi suggerì che era di Montale e quindi lasciai perdere. Il compito chiedeva di descrivere il periodo delle campagne risorgimentali da Cavour a Garibaldi dove qualcosina, avendo madre e nonna piemontesi e sabaude, sapevo. Dopo quattro ore, al momento di consegnare, avevo scritto moltissimo della situazione socio-economica del Piemonte (anche con un sapido excursus sulla cucina delle Langhe e gli agnolotti con il plìn e il sugo di brasato) un po' di Cavour (giusto che amava mangiare il risotto con il tartufo al ristorante del Cambio), ma di Garibaldi nessuna traccia (doveva essere ancora in viaggio di nozze con Anita). Ero praticamente rimasto bloccato nei pressi dello Statuto Albertino e della fatal Novara come i gitanti della domenica al casello di Melegnano.


... ma anche la birretta della notte prima con gli amici
(che non ci facevamo mancare niente, noi...)

Quindi, rassegnato ad andare ad ottobre anche in italiano, oltre che in greco e forse altro, tralasciai di studiare per l'orale e di conseguenza andai molto male. Mi arrampicai sugli specchi come Messner quando mi chiesero del Parini (confuso con il Monti) e non riuscii a recitare a memoria i sepolcri del Foscolo oltre alle prime tre righe e a quel "vero è ben Pindemonte!" che declamavo con piglio tenorile. Mi risollevai un po' con Carlo Goldoni (avevo visto la Locandiera di recente), ma crollai quando gli attribuii una commedia di Giacinto Gallina. Dunque, presi un bel 4 con la commissione che sembrava molto rammaricata della cosa, come se da me si aspettassero tutt'altra performance, anche se non ne capivo il motivo (scusate, ma non avete visto chi avete di fronte?). 

Così, alla fine, visto che non ci arrivavo, il nostro commissario interno (il preside, ormai un vecchio amico per tutte le volte che mi mandavano a fargli visita) me lo spiegò e con mia grande sorpresa mi rivelò che avevo preso 10 nel tema, che all'epoca era un voto pazzesco, dunque i professori erano delusi perché si aspettavano che li stupissi con altrettanta brillantezza all’orale. Fatta la media, il voto finale in pagella fu 7 che andò ad aggiungersi ad un altro 7 del tutto estemporaneo in fisica, guadagnato perché il professore mi disse ridacchiando che intendeva premiare il coraggio spudorato di uno che per la disperazione si era inventato su due piedi la tortuosa dimostrazione di un teorema che ignorava, peraltro riuscendoci. Talento precoce, no? 


Pensoso e dubbioso sull'esito dell'esame. Sarò andato peggio in  greco o in latino?
Però in filosofia ho fatto un figurone...


Infine, ho ancora vivi nella mente il batticuore e gli sguardi di quella mattina sulla fondamenta davanti al Foscarini, tutti in attesa che si aprisse il portone per poter vedere i risultati affissi in bacheca. Ricordo le scaramanzie di Emanuele, con le bretelle che gli portavano buono e il profumo spagnolo di suo padre e quelle di Marcello, che indossava ancora la stessa camicia del giorno dell'esame (e si sentiva). Ricordo Annavera che stava assorta in disparte e non voleva parlare con nessuno, che neanche ti potevi avvicinare ed Elena che guardava fissa l'acqua del canale e ripeteva come un mantra "se è andata male non torno neanche a casa, mi butto e basta" e poi la corsa tumultuosa dentro l'atrio appena i bidelli avevano aperto, con il mio nome che era in basso e avendo tutte le teste che si agitavano davanti non riuscivo a vedere che ci fosse scritto. Finalmente Emanuele che mi dice: "Che culo! Hai solo greco" e il mio urlo di gioia neanche avessi segnato a San Siro nel derby.


La cena di fine liceo, con il sollievo di avere avuto solo greco da riparare ad ottobre.
All'alba mi troverò su una panchina della Giudecca ad aspettare
il vaporetto senza ricordare come ci fossi arrivato.

Poi tutti a consolare la povera Mavi che era stata bocciata e singhiozzava tutte le sue lacrime con il seno precocemente ipertrofico che le sussultava, mentre invece Maurizio, bocciato a sua volta quando pensava di avere due materie soltanto, appariva come un eroe omerico folgorato da Zeus e stava appoggiato allo stipite del portone come un corpo senza vita. Infine il girotondo sfrenato e collettivo in fondamenta con Marcello che declamava uno per uno i nomi di tutti i professori e noi che li vaffanculeggiavamo in coro fino a far venir fuori i bidelli (vaffanculeggiati anche loro, maledette spie del preside). 

A ben pensarci, quanta magia in quelle giornate ormai tanto, troppo lontane... (fermate il mondo, voglio scendere).

Dedicato con tanto amore a Marina, Cristina, Elena, Sandro, Francesco e Marcello che non ci sono più.

mercoledì 14 giugno 2017

Stanotte a Venezia, ma anche no...



Mi sto divertendo assai in queste ore a leggere i commenti sui social di numerosi amici veneziani il cui giudizio sulla tanto attesa trasmissione “Stanotte a Venezia” di Alberto Angela è mediamente posizionato tra l’indignato e il molto indignato. Effettivamente, anch'io ho retto solo fino al terzo stacco pubblicitario, poi ho abbandonato per sopraggiunto limite di fastidio e ho preferito andare di sopra con mia moglie a vedere su Netflix Tom Mason e la Seconda Massachusetts fare la consueta strage di Espheni e di Skritter in Falling Skies.

La ragione è presto detta: appena ho visto all’inizio Alberto Angela attorniato da un nugolo festante di damine e cicisbei in maschera con la bauta e subito dopo Giancarlo Giannini nelle vesti di Carlo Goldoni in giro per le calli con tabarro e tricorno d’ordinanza, ho pensato immediatamente che sarebbe partita la solita cartolina in stile “Saluti da Venezia” farcita dei più biechi luoghi comuni per turisti, come se parlando della storia di Roma si iniziasse da Rugantino al suono di “Roma nun fa la stupida stasera” , dalla coda alla vaccinara e dai centurioni sotto al Colosseo.

Anche perché, per dirla tutta, il carnevale a Venezia era stato abolito da Napoleone nel 1807 ed è stato ripreso spontaneamente dagli studenti veneziani solo a partire dal 1974, quindi per 150 anni abbiamo vissuto perfettamente senza, ma per gli autori della trasmissione sembrava che nel corso di un millennio di storia, invece di conquistare e dominare gran parte del Mediterraneo, conquistare Costantinopoli grazie al Doge Dandolo che settantacinquenne e cieco conduce i crociati nell'unico punto indifeso delle mura che lui aveva studiato da ragazzo, sconfiggere Genova, i Carraresi, i pirati dalmati e salvare le chiappe al mondo cristiano a Lepanto, noi veneziani non avessimo fatto altro che lanciarci coriandoli e fare festa in maschera per calli e campielli come ebeti gaudenti.




Purtroppo la mia previsione iniziale si è rivelata fondata perché tutta la trasmissione che ho potuto vedere passava di palo in frasca tra tante imprecisioni storiche (se parliamo del ruolo di Torcello, allora non possiamo dimenticare Malamocco) e andando a zonzo tra i secoli senza un minimo ordine cronologico creando alla fine un minestrone in cui c’era di tutto e anche cose francamente inattese, come quell'introvabile campiello del Broglio dove a quanto ci hanno detto, i 41 patrizi rimasti al termine di una lunga e complicata selezione si ritiravano lontano da occhi indiscreti per nominare il nuovo Doge (magari anche gratificandosi con un giro di ombre e cicchetti).

Così, proponendo tra l’altro un’illuminazione pacchiana della piazza e dei suoi monumenti del tutto fasulla per chi passeggiando di notte per Venezia ne conosca il fascino della penombra che ne avvolge calli e campielli, e tale da presentarci la Basilica talmente giallastra di luci da sembrare la centrale Enel di Porto Tolle e il colonnato del Palazzo Ducale così bianco da sembrare di pasta di zucchero e marzapane, si passava in un batter di ciglia dalla curvatura a fuoco dei legni della gondola alla Scuola Grande di San Rocco (che non è affatto l’unica scuola ancora attiva, basti pensare per esempio a quella dei Carmini) e dalla sala delle torture nel Palazzo Ducale ad una spruzzatina di Marco Polo, ma giusto per gradire, fino alla lavorazione dei vetri a Murano. Il tutto con l’intermezzo dell’intervista all’astronauta Parmesano su come gli apparisse il mondo da lassù (offro uno spritz a chi me ne spiega il perché) e sino alla citazione inattesa dello scheletro di dinosauro conservato al Fondaco dei Tedeschi, che capirei se l’avessero ritrovato secoli fa scavando in Rugagiuffa o in Barbaria de le tole, ma Giancarlo Ligabue lo ha scoperto nel 1967 nel deserto del Niger , dunque un po’ lontano da Venezia e dalla sua storia.




A proposito della quale vorrei avvertire gli autori che non è che questa si è fermata per sempre al 1797 con la caduta della Repubblica. Perché magari mi sarebbe piaciuto, se non è stato fatto nella parte restante della trasmissione che non ho visto, ma ne dubito, che si raccontasse anche del ruolo avuto dalla città nella prima guerra mondiale, con il fronte che ormai era a Cortellazzo, il rombo dei cannoni che si avvertiva distintamente e i marinai sulle altane con i fucili a sparare sui Fokker austriaci mentre l’arsenale continuava a produrre mezzi d’assalto e pontoni armati, ma anche della Venezia partigiana che resiste, combatte e si libera da sola degli occupanti tedeschi dopo averli beffati al Teatro Goldoni e di quei sette ragazzi fucilati sulla Riva degli Schiavoni, e magari di Marghera e delle sue fabbriche, delle lotte operaie e di quei 55.000 abitanti (su 120.000 che erano negli anni ‘60 ) che ancora sono tenacemente innamorati della loro città e resistono alle ondate insostenibili e fuori controllo del turismo di massa che sta distruggendo il tessuto sociale. Perché avremmo gradito che si dicesse che qui c'è una città che vuole essere ancora viva e che resiste aggrappata ai suoi valori e alla sua storia millenaria, non una Disneyland carica di cineserie e paccottiglia per turisti in canottiera e infradito.




E invece no… Angela va giù di brutto con il Ponte dei sospiri e tutta la retorica dongiovannesca sul solito Casanova, che ormai è invasivo come Mozart a Salisburgo, che te lo ritrovi dappertutto, dai cioccolatini ai menù dei ristoranti, ma almeno lui ha scritto fior di musica che lo ha reso giustamente celebre in tutto il mondo, mentre Giacomo Casanova in realtà è stato un personaggio ambiguo, una spia, un corruttore e quindi un uomo di ben poche virtù, di cui non si dovrebbe menare gran vanto, ma a quanto pare, forse per una certa pruderie voyeuristica di stampo clericale, deve incarnare la venezianità nell'immaginario collettivo solo perché pare che trombasse a destra e a manca e spesso in talami non suoi, anche se in città questo lo si fa normalmente da secoli e senza pretendere di finire sui libri di storia. Pertanto, se proprio Venezia deve avere questa immagine libertina e godereccia, allora mi batterò come un leone per dare il giusto tributo a Giorgio Baffo, patrizio veneto e alle sue Poesie Erotiche, con particolare riferimento a quella deliziosa “ode alla mona” che andrebbe inserita nei programmi scolastici e sarebbe sicuramente più popolare tra gli studenti che non i Sepolcri del Foscolo.

Insomma, a farla breve, che altrimenti questo mio scritto sembra la “storia de Sior Intento che dura tanto tempo che mai no a se destriga, vuto che te a conta o vuto che te a diga? “ durante tutta la trasmissione ho avuto la sensazione che aleggiasse nell'aria e prima o poi sarebbe arrivata l’inevitabile domanda: “Scusi… a che ora fanno l’acqua alta?” . E ho detto tutto…