domenica 29 gennaio 2012

Del lupetto e del vampiro incipriato

Ieri sera, all'ora di cena e appena terminate le prove della commedia (che, non vorrei dire, ma, ora che ci sono anche le musiche, sta venendo proprio bene), mentre uscivo dal cancello del teatro ho sentito due colpetti di clacson e ho notato subito una macchina ferma sull'altro lato della strada che mi faceva i fari. Essendo parcheggiata contromano e davanti ad un passo carraio, ho capito subito che al volante c'era l'elfa che con mia grande sorpresa era venuta a prendermi pur essendo esausta dal giro per ipermercati e centri commerciali cinesi del "tutto per 1 Euro" onde acquistare ciò che servirà a nostro figlio per arredare al minimo sindacale il suo appartamentino di Casorate Primo. Questo perché malgrado quel che garantiva la signora dell'agenzia immobiliare che lo descriveva ammobiliato di tutto punto e "chiavi in mano", con un rapido giro di telefonate abbiamo appurato che a parte (forse) quattro posate e due bicchieri scheggiati, nell'appartamento non c'è altro perché l'attuale inquilino alla fine si porterà via tutto, tranne la polvere. Quindi, io dovrò forzatamente restare a casa con il cane perché il mio posto in macchina verrà occupato da due materassi di quelli zippati sotto vuoto, da lenzuola, trapunte e pentole fregate alla nonna, piatti del servizio scompagnato, scope, catini e ferro da stiro completo di mollettone. 

Ma non è stato questo a preoccuparmi, quanto piuttosto l'inattesa gentilezza di Morena che di solito quando le chiedo se può passare a prendermi a Villa Franchin dove proviamo, risponde: "Dovresti avere il 2 che passa tra quattro minuti per la fermata di Viale Garibaldi. Se allunghi il passo invece di perdere tempo a telefonare lo prendi tranquillamente. Ci vediamo a casa, ciao...". Dunque, ho immaginato subito che l'elfa volesse qualcosa in cambio del passaggio e, infatti, questo qualcosa si chiamava "Eclipse". In pratica, la sua proposta non negoziabile era: kebabbata con birretta al volo e poi vecchio cinema di Marghera dove proiettavano l'episodio della saga di Twilight che si era persa mesi prima a causa delle mie solite paturnie (tanto per farmi sentire in colpa). 

In realtà, era successo perché qualcuno in famiglia, appena ascoltate a tavola le nostre intenzioni, mi aveva messo con tatto sull'avviso bisbigliandomi all'orecchio una recensione sintetica ma molto credibile “Papà, non abboccare… guarda che il film che vuole portarti a vedere è una cagata pazzesca” e così anche se qualcuna di maggior peso politico di fronte alle mie titubanze immediate me lo aveva spacciato per un nuovo Signore degli anelli, la scoperta che il mercoledì in cui si sarebbe dovuto andare al cinema (perché costa di meno e l’elfa è molto attenta a queste cose) coincideva proprio con la partita dell’Inter in Champions mi aveva fornito la scusa che attendevo per declinare l’invito. 

Nella circostanza, non avendo a disposizione altra scusa che la partita della Juventus (sarei stato poco credibile) mi sono trovato miseramente a corto di scuse e così, dopo essermi ingozzato al suono del “dai, sbrigati che facciamo tardi…” di un kebab piccantissimo perché al giovanotto che lo aveva preparato doveva essere sfuggita di mano la boccetta dell’harissa (oppure voleva vendere più birra), mi sono ritrovato in un cinema di terza visione al fianco di una moglie in pieno regresso adolescenziale e senza nemmeno i popcorn, a scoprire le svenevolezze di Bella, Jacob ed Edward della saga di Twilight. 

Due ore di una noia mortale trascorse ad osservare una storiella per quattordicenni incentrata su una ragazzotta abbastanza scipita (stavo per dire: esangue) combattuta dal dilemma se farsi morsicare (non è una metafora) dal  licantropo proletario o dal dandy con i brillantini sulle guance, il tutto tra dialoghi inutili e languori sentimentali del genere: "sto con lui ma amo anche te e viceversa". Fortunatamente, ogni tanto mi strappava un sorriso la comicità involontaria del padre di lei che, forse obnubilato dal sidro di mele o sperando nelle nozze con il giovanotto benestante, appariva del tutto incapace di capire che razza di gente frequentasse la figlia. Alla fine dell’interminabile primo tempo, giunto al previsto "Ti piace?" di Morena il mio commento è stato: "Se quel citrullo incipriato non si decide a morderla, la morsico io, basta che la finiamo...". 


Alla fine, probabilmente per via del cane, ho finito per parteggiare per il lupacchiotto truzzo e borgataro con il Dodge scassato (qua la zampa, compagno...), in quanto l'altro, un fighetto surgelato e griffato che viaggiava in BMW nero metallizzato, mi stava decisamente sulle scatole. L'unica speranza rimasta dopo la prima ora di proiezione era che la vampira Victoria riuscisse a far fuori Bella, che così almeno si tornava a casa gratificati e sollevati dal fatto che la saga era finita e non se ne parlava più. Invece, questa, pur essendo una rossa rimarchevole e sembrando in molte sequenze una vampirona piuttosto bellicosa e cazzuta, del tipo: "Appena ho finito di correre a vuoto per i boschi vedrai come ti morsico",  al momento dello scontro atteso con ansia ha lasciato molto a desiderare, soccombendo in pochi attimi, come una pollastra dilettante.

I Volturi poi, annunciati per tutto il film come creature potentissime e agghiaccianti, sembravano usciti senza un ricciolo fuori posto dalle pagine di Vogue e stavano a Christopher Lee o al Nosferatu di Murnau come la Ferilli sta alla Zeta Jones (non c'è partita). Così, dopo essermi chiesto quante volte avessi rischiato inconsapevolmente la pelle visitando Volterra e superato il disappunto per la serata buttata via, mi è rimasto almeno il piacere di informare gli altri sventurati che dovessero imbattersi in tale film e nel quarto episodio della saga intitolato “Breaking Dawn” che per fortuna oggi esiste l'antidoto contro i vampiri fighetti (niente collane d'aglio o paletti di frassino, roba superata...). E' già disponibile da tempo in streaming, infatti, la giusta e meritata parodia del genere intitolata “Mordimi” che sarà pure volgarotta, ma quando ci vuole, ci vuole. Non posso linkarla per ovvi motivi, ma si trova facilmente su piratestreaming o siti analoghi. Buona visione e buon antidoto.

domenica 22 gennaio 2012

Desiderio di espatrio per raggiungimento dei limiti di tolleranza

Ho appena visto su Repubblica le foto delle tante famigliole e coppiette che si  stanno recando appositamente all'isola del Giglio per farsi fotografare sorridenti ed abbracciati con la Costa Concordia  rovesciata e ancora con il suo carico di morti sullo sfondo. Posso cambiare paese? Questo comincia a darmi la nausea... 

giovedì 19 gennaio 2012

Mio marito è un tipo che... (Reloaded)

Come forse avrete intuito questo è un periodo piuttosto frenetico per me, impegnato dalle prove della commedia (si va in scena il 12 febbraio) e, soprattutto, dal riuscire assieme a mia moglie a far diventare nostro figlio un laborioso abitante di Casorate Primo, un paesone al confine tra Milano e Pavia nei cui pressi si trova lo stabilimento dell’Orèal dove il rampollo andrà a fare uno stage retribuito di sei mesi e ad occuparsi di logistica industriale oltre a sviluppare un progetto sulla tracciabilità. Il ché, siccome il giovanotto prenderà servizio il 1° di febbraio, ha significato correre (nel vero senso della parola, perché l’elfa ha il piedino nervoso sull’acceleratore) sul posto e fare lo slalom tra le colonne di Tir e i nebbioni di questi giorni per trovargli un (mini) appartamentino arredato in (caro) affitto e tutto il resto (volture, provvigione all’agenzia, firma contratto etc…). Resta solo da riportare in loco il giorno prima il felice neo inquilino e acquistargli un materasso, rifornirlo di stoviglie, pentole e biancheria e lasciargli una scorta adeguata di derrate alimentari. Ah! Dimenticavo che dovremo anche comperargli la chiavetta ADSL per potere parlare via Skype con noi e soprattutto Katerina e magari, la sera, guardarsi le partite in streaming su Roja Directa. Una bazzecola, insomma. Così ho trascurato necessariamente il blog e me ne scuso, con l’impegno di recuperare al più presto. 

quando le elfe sono assorte ma ridacchiano di sicuro stanno pensando a te
Tuttavia, per non lasciare le mie lettrici e i miei lettori completamente a digiuno, ho ritrovato sul salvataggio del mio Splinder, quella incursione ironica di mia moglie nel mio blog di allora che ripubblico volentieri qui perché si sappia quanto sono superiore di fronte alle frecciate maligne delle elfe, che nel maggio del 2010 scrivevano di me: 


Questo è il blog di mio marito Carlo, ma siccome mi ha detto che sarebbe stata gradita la mia visione "al femminile" della sua multiforme (ehm...) personalità, gli rubo un po' di spazio per pubblicare un piccolo elenco di cose che lo caratterizzano e nelle quali immagino che molte riconosceranno in tutto o in parte il proprio marito o compagno. Dunque, mio marito è un tipo che: 

  • Pur avendo conoscenze informatiche da hacker, una laurea e perfino un’esperienza da manager, da anni si paralizza con lo sguardo smarrito davanti alla pulsantiera di comando della lavatrice o della lavapiatti come se fosse qualcosa al di fuori della sua comprensione. Nella migliore delle ipotesi ti chiede angosciato in quale scomparto si debba mettere il sapone (di solito lo sbaglia e sbaglia anche il detersivo). 
  • Ogni volta che si va assieme al supermercato, infila furtivo nel carrello un salame, sperando che alle casse non me ne accorga. 
  • Considera il ferro da stiro come il prodotto pericoloso di una tecnologia aliena da cui stare alla larga. 
  • Quando cucina (bene, almeno quello…) sporca in un raggio di due metri quadrati attorno a lui (l’epicentro). 
  • Quando lava i piatti, sprecando lo stesso volume d’acqua di una centrale idroelettrica, allaga solitamente sé stesso e la cucina (così almeno pulisce il pavimento che ha sporcato cucinando) 
  • Quando (e se) si ricorda di svuotare la lavatrice e di stendere il bucato riesce ad attorcigliare un lenzuolo in tal modo che per asciugarlo ci vorrebbe un altoforno dell’Italsider 
  • E’ costituzionalmente incapace di valutare adeguatamente colore e lunghezza dei calzini quando se li mette a posto, pertanto li indossa rigorosamente spaiati. 
  • Tiene il broncio per un giorno intero quando mio figlio ed io scegliamo al noleggio un film dark horror per la serata sostenendo che c’è un nostro complotto in atto per scegliere un genere che lui detesta. La sua argomentazione tipica è: “Se voglio vedere roba horror, mi basta guardare il telegiornale ”. Lui di suo sceglierebbe: “un bel John Wayne anni ‘60 ” o Casablanca, che ha visto una dozzina di volte. A volte insiste anche per Borotalco o Balle Spaziali. 
  • Quando lo vedi assorto al computer e ti fa cenno di non disturbare, probabilmente sta scrivendo una risposta ironica allo juventino che è appena intervenuto sul blog della Gazzetta. 
  • Quando gli va l’acqua di traverso sostiene che è colpa mia che gli faccio apposta domande mentre beve, sapendo che la sua spaventosa buona educazione lo indurrà a rispondere affogandosi. 
  • Quando gli chiedi un lavoretto di bricolage domestico, il suo TMA (tempo medio di attesa) varia dai sei mesi fino all'anno e oltre, nella vana speranza che te ne dimentichi. Quando (e se) finalmente prenderà il trapano in mano sai già che ti consegnerà un piano inclinato al posto di una mensola e che il muro appena dipinto avrà almeno tre o quattro fori in più "perché non trovavo la punta giusta". 
Mi fermo qui, ma ce ne sarebbe ancora... 
Un caro saluto da Morena.


martedì 10 gennaio 2012

Il teorema dei saldi e il postulato dell'hamburger

Qualche giorno fa, di ritorno dalla passeggiata mattutina con il bretone tra viottoli di campagna con il fango indurito dal gelo che scricchiolava sotto le scarpe e un bel nebbione fitto ad avvolgere tutto, sono stato colto da un’inquietudine improvvisa. Una sorta di ansia per una minaccia incombente che non sapevo definire. Non era perché Whisky, sbuffando vapore dalla bocca e tirando come una locomotiva impazzita, stava cercando di trascinarmi in una canaletta ghiacciata tra le canne seguendo qualche sua pista misteriosa e nemmeno perché la mano con la quale lo tenevo al guinzaglio doveva essere prossima alla necrosi da congelamento, visto che non avvertivo più le dita. Doveva essere qualche cosa d’altro. Poi, osservando il cielo livido che incombeva su di me ho pensato che magari avevo lo stesso senso di Smilla per la neve e di lì a poco ne sarebbe scesa a larghe falde, dunque ho affrettato il ritorno.

Ho pensato di illustrare il post con alcune delle ultime foto
scattate lungo i percorsi dei miei giri mattutini con il cane.
(cliccandoci sopra si ingrandiscono)
Di cosa si trattasse l’ho capito appena arrivato a casa. Infatti, l’arciera elfa che avevo incautamente sposato ventisette anni prima ritenendo fosse una personcina tranquilla e conciliante (non a caso mio suocero, ogni volta che m’incontra, per prima cosa mi ricorda che la garanzia è scaduta e che non ha intenzione di riprendersela) mi aspettava sul cancello con il cappotto addosso, la sigaretta all’angolo della bocca come Humphrey Bogart e le chiavi della macchina in mano.
<<Oh! Era ora che arrivassi, stavo morendo di fame… porta il cane in casa e andiamo dai cinesi a fare colazione che sono già le otto e mezza>>. Eseguii l’ordine poi tornai da lei che nel frattempo stava salendo in macchina.
<<Ti faccio compagnia con un altro caffè, ma ho già preso il fagottino di mele se è per quello…>>.
Lei mi restituì lo sguardo meravigliato con il quale avevo accolto l’invito.
<<Da quando in qua prendi il fagottino? Non sei quello del: “La colazione ha un senso solo con il croissant con la marmellata”?>>.
<<Lascia stare… è una lunga storia d’incomprensioni con il Celeste Impero, probabilmente l’ideogramma del fagottino di mele è lo stesso del croissant. Piuttosto, come mai sei tanto di fretta? E dove dovremmo andare dopo la colazione?>>.
<<Non mi hai detto che durante le feste volevi fare un giro? Bene, oggi facciamo un giretto dalle parti di Marcon…>>.
La guardai con sospetto.
<<Perché proprio a Marcon?>>
Morena attese apposta che salissi in macchina, poi appena messo in moto mi lanciò uno sguardo maligno, quasi assaporando il dolore che stava per infliggermi:
<<Ci sono i saldi al centro commerciale e anche da Zanchetta!>>.
Il ruggito del turbo e la sua solita sgommata in stile “Da zero a 100 Km/ora in 9 secondi” nascosero il mio <<Noooo!>> disperato.


La vecchia ferrovia tra Venezia e Treviso all'alba.

Infatti, accompagnare la propria compagna per negozi per molti uomini è più stressante e faticoso delle marce forzate di 20 chilometri con zaino affardellato da 35 chili che si facevano durante il servizio militare. Io sono tra questi. Ovvero, sono tra coloro che non capiscono la sottile libidine tutta femminile del cazzeggio nei negozi, perché se hanno bisogno di un paio di scarpe o di pantaloni e camicie, vuol dire che hanno già in mente con buona approssimazione quello che cercano, quindi vanno in centro, danno un’occhiata a due o tre vetrine e appena hanno adocchiato il modello che fa al caso loro per prezzo e forma, entrano e se c’è la taglia giusta si va subito di bancomat e il gioco è fatto. Diciamo che il tempo medio di permanenza nel negozio varia dai 10 ai 15 minuti e solo perché magari devi provarti i pantaloni e il camerino è occupato, oppure la commessa è molto gradevole. Insomma, una faccenda del tipo: veni, vidi, vici.

Nel caso di mia moglie la faccenda è particolarmente stressante perché lei non ha la pulsione patologica allo shopping di cui soffrono alcune donne, ma il suo piacere consiste unicamente nel vedere le cose con le quali potrebbe eventualmente fare shopping se non fosse d’indole parsimoniosa. Questo significa che oltre al numero inverecondo di negozi, bottegucce, megastore e outlet che mi costringerà a girare senza mai farmi capire cosa stia cercando veramente, l’unica certezza è che lei non acquisterà nulla.

Immagino di conseguenza che in molti negozi ci sia da qualche parte una sua foto con scritto “Wanted” perché l’elfa è di quella stirpe malvagia che prova una quantità di cose, scomoda la commessa per farsi consigliare o cercare la taglia e alla fine, dopo averla illusa che se veniva pagata a percentuale quello era il suo giorno fortunato, le riconsegna il tutto dicendo: <<Grazie, ma non sono convinta, ci penserò…>>.

Le belle nebbie invernali per noi che abbiamo il cane da caccia mattiniero...

Il mio ruolo di “Accompagnator cortese” poi è ancora più frustrante perché vengo coinvolto in ogni possibile scelta, sapendo bene che qualsiasi cosa io dirò o proporrò sarà sbagliata o idiota per definizione. Diciamo per vizio originario, in quanto proveniente da uno che, non sapendo cosa sia un coprispalle o non avendo idea di che tacco serva per ballare Tango, sarebbe meglio si astenesse dal dare pareri o dal suggerire.

Il problema maggiore è dato dal momento della prova. Infatti, appena lei entrerà nel camerino con il vestito o la gonna che deve provare, dopo esser stato caricato come un attaccapanni di borsetta, cappotto e occhiali verrò messo di piantone davanti alla tenda da cui lei uscirà periodicamente come uno dei Re Magi della Torre dell’orologio per pronunciare la frase più temuta: il <<Come mi sta?>>.



Nel caso qualcuno si chiedesse come mai chiamo mia moglie l'arciera elfa

Ora io so benissimo che in linguaggio elfico <<Come mi sta?>> significa: <<È tanto che non ci facciamo una bella litigata>>, ma il problema è che non so come superare il dilemma della risposta. Perché magari il rotolino sui fianchi che non ci dovrebbe essere, ma che il vestito - sempre di una taglia inferiore a quel che le servirebbe - nasconde appena, glielo vedo benissimo perché non sono orbo, ma so che se glielo facessi notare ne verrebbe fuori una tragedia di proporzioni bibliche per lesa maestà e che sarei immediatamente accusato di cospirazione contro la sua persona, infliggendole intenzionalmente sughi pesanti, facendole mangiare troppi formaggi o mettendole olio in eccesso nell’insalata.  Dunque, da oggi tutti a dieta, che la ricreazione è finita.

D’altronde so anche di non potermela cavare negando l’evidenza perché in realtà lei il rotolino lo ha visto benissimo nello specchio del camerino e aspetta solo che io le dica: <<Oh! Ti sta benissimo, casca perfettamente…>> per scatenare l’attacco sulla stomachevole piaggeria nei suoi confronti che mi porterebbe perfino a negare l’evidenza. Una volta ho perfino provato a chiederle: <<Cosa gradiresti sentirti rispondere?>> sperando di avere quell’aiutino che nei quiz non si nega a nessuno, ma è stato peggio.

Il sole sorge alle ore 6.35 e tramonta...

Per mia fortuna, quando lo shopping avviene tra le bancarelle di qualcuno di quei mercatini rionali che oggi sono tanto trendy (ormai il numero delle signore in pelliccia alla ricerca dello straccetto cinese in lana “mortaccina” ha superato quello delle badanti moldave) e dove finalmente l’elfa può ravanare come una ruspa nei cestoni del “4 paia di collant x 5 euro” senza che la commessa la guardi male, almeno la prova non avviene, se non altro perché di solito il camerino o è un pertugio angusto tra gli scatoloni dentro il furgone, oppure è una tendina di fortuna in mezzo a una strada con il rischio concreto di farla ribaltare e di ritrovarsi in mutande tra i passanti (è successo).

Un grave problema accessorio nel nostro caso è dato dalla “Sindrome del cheeseburger” che inesorabilmente colpisce la mia dolce metà all’ora di pranzo, malgrado di norma sia una buongustaia abbastanza esigente, ogni qualvolta si dedica allo shopping nei grandi centri commerciali e che consiste nell’improvvisa e irrefrenabile voglia di un panino molliccio con la polpetta unta, il formaggio fila e fondi, l’insalata fiappa, la maionese che fuoriesce da tutte le parti, il ketchup e le patatine fritte da annichilire con un boccalone di coca ghiacciata da colpo apoplettico (antiacido non incluso nella confezione).

Infatti, anche questa volta, lei me lo ha proposto e ho dovuto combattere duramente per non dovermi ingozzare in fretta su un vassoietto, dopo una coda interminabile alle casse, tra adolescenti sgomitanti con l’acne iuvenilis, il giubbino nero plasticato e il piercing, famigliole con bambini frignanti, signore aggressive modello “Scusi ma c’ero prima io” e gente dallo sguardo bovino che aspetta in piedi con il vassoio in mano che tu finisca di ingurgitare la tua polpetta e le lasci il tavolinetto. Oppure il tizio che ti chiede: <<Posso?>> e, senza neppure attendere la risposta, si accomoda al tuo fianco sulla panchetta invadendo progressivamente ogni spazio finché alla fine abbandoni la postazione.

I frutti ghiacciati dell'inverno nel parco Rodari di Chirignago

Alla fine, visto che c’era gente in coda fino all’ingresso del locale, sono riuscito a giungere ad un faticoso compromesso e considerato che alle due e mezza non esistevano più in zona ristoranti con la cucina aperta, ci siamo recati in una paninoteca di quelle da paesino, che a quell’ora sono semi deserte se non fosse per i soliti due vecchietti che giocano al videopoker. Uno di quei posti ancora umani dove i panini sono davvero tali, con la rosetta, il salame e la mortadella tagliati freschi, mentre il vino è un rabosello spillato dalla damigiana. Lì, ammorbidita dal buon vino e dalla tranquillità del posto (e forse stanca, visto che camminavamo tra scaffali, appendiabiti e vetrine da quasi quattro ore) Morena mi ha finalmente sorriso grata poi mi ha detto: <<Sei stato carino oggi… mi hai seguito per negozi senza nemmeno lamentarti troppo. Che ti succede?>>.
<<Sarà un residuo del clima di bontà natalizio…>>.
<<Può essere… comunque meriti un premio e se domani è una bella giornata ti porto a fare il giretto promesso>>.
La guardai sospettoso per via del fatto che avendo una cultura classica conoscevo bene la faccenda del “Timeo Danaos et dona ferentes”.
<<Senti un po’ bellezza… domani i negozi sono chiusi, vero? Posso stare tranquillo…>>
Incrociò le dita come fanno i boy scout per i giuramenti << Certo, è il sei gennaio, quindi un giorno festivo>>.
<<Anche l'Ikea è chiusa, vero?>>
<<Si, anche loro...>>
<<Ah bene! Allora dove andiamo? A Caorle a mangiare pesce? Oppure per malghe in Alpago? Pur di andare fuori mi sta bene perfino rivedere ancora i mosaici romani di Aquileia o l’abbazia di Pomposa…>>.
<<Nulla di tutto ciò… andiamo a Badoere>>
<<Perché Badoere? La piazzetta seicentesca con le colonne a semicerchio è deliziosa, ma il paese sono quattro case in tutto e finisce lì. Perché dovremmo andarci?>>
Mi riempì nuovamente il bicchiere di rabosello, forse per anestetizzarmi, poi sorrise nuovamente maligna.
<<C’è il mercatino dell’antiquariato dell’Epifania…>>.

domenica 1 gennaio 2012

Manuale d'uso semiserio su come chiarirsi con il partner e (soprav)vivere felici e contenti.


Sarà il lungo periodo festivo da trascorrere assieme, sarà lo stress dei regali fatti e ricevuti, sarà il fatto di ritrovarsi improvvisamente in mutande dopo che ci avevano detto che la crisi era solo un’invenzione della sinistra, sarà l’anno bisestile che sta iniziando a produrre i suoi effetti o l’avvicinarsi della profezia dei Maya, fatto sta che nella cerchia dei nostri amici (ma anche tra quelli di mio figlio) è aumentato prodigiosamente lo stato di litigiosità di coppia e quindi si è fatto largo uso del temutissimo “Discorso di chiarimento tra noi”. L’ultimo esempio, di qualche sera fa, riguarda una coppia di nostri amici che adorano litigare tra loro con una costanza degna di ammirazione da quando li conosciamo, cioè circa 20 anni. Il motivo del contendere questa volta è stato il rifiuto del padre di concedere alla figlia diciassettenne di trascorrere il capodanno con altri amici di scuola in una malga dalle parti di Tarvisio. Rifiuto motivato con il pretesto che la giovincella avrebbe raggiunto il luogo a bordo della macchina guidata dal suo ragazzo, diciottenne neopatentato. 


In realtà, la vera preoccupazione del padre, gelosissimo della figlia, riguardava un altro aspetto intuibile, collegato alla presenza del ragazzo. Infatti, il suo intento era quello di preservare il candore ingenuo della figlia dagli ardori del giovanotto (mio figlio, che conosce bene la ragazza, quando l’ha saputo ha ridacchiato maligno e ha detto che ormai c’era ben poco da preservare…). Comunque fosse, nel giro di pochi attimi tra marito e moglie (pronta a sposare qualsiasi causa pur di fare la bastian contraria) si è arrivati all’atteso: “bisogna che io e te chiariamo il nostro rapporto perché così non si può più andare avanti” e il risultato finale è stato che il marito è andato furibondo a dormire da sua madre - che non si pensi che il “torno dalla mamma” sia prerogativa solo femminile - e la moglie è stata due ore al telefono a sfogarsi con la mia, che Dio solo sa perché ha tanta pazienza soltanto con le amiche…

Che poi sarebbe bastato attendere qualche ora e tutto si sarebbe risolto perché, poco dopo la litigata, il padre del ragazzo, timoroso che il figlio fresco di patente andasse in giro nottetempo per le stradine ghiacciate della montagna friulana con la sua Audi nuova di pallino (non si sa per quale dei due fosse più preoccupato), gli ha negato l'uso dell'auto e i così due piccioncini hanno trascorso un bel capodanno in famiglia tra genitori riappacificati a forza, nonni, zii e amici (vi lascio immaginare con quale umore). Dunque, un discorso di chiarimento sprecato e del tutto inutile se non ad accrescere l'uso delle 2 pastiglie di Maalox o delle 15 gocce di Lexotan tra le parti in conflitto.


Di solito, anche se comprendo perfettamente come a volte sia irresistibile la voglia di uno scatto d’orgoglio e di guardare l’altro/a nel bianco degli occhi per spiattellargli sul muso tutto quello che non va nel rapporto, io sconsiglio sempre agli amici di arrivare a quel punto, non tanto in nome di un remissivo quieto vivere, ma perché due mogli, un contesto lavorativo molto competitivo e un figlio fiero ed orgoglioso quanto basta per sconfinare nel testardo mi hanno insegnato da tempo che il “discorso di chiarimento” quando le relazioni e le parti in commedia sono sedimentate da tempo non solo non chiarisce una cippa ma di solito rende le parti ancora più lontane e conflittuali. Nella migliore delle ipotesi porta ad un armistizio instabile e rancoroso, tipo le due Coree. 

Addirittura, mia moglie, che ne sa a pacchi, quando sente che sto entrando in fibrillazione da discorso di chiarimento mi stoppa subito con un: “Se vuoi andare avanti fallo pure, ma sappi che vai incontro a un muso lungo di quelli bimestrali, altrimenti lascia perdere e porta a spasso il cane così ti rinfreschi le idee e ti passa” . Siccome so che a quel punto l'andare avanti nel discorso vorrebbe dire far la fine della cavalleria polacca che caricava i panzer tedeschi con le lance,  lascio perdere, vado per campi con il bretone e, in effetti, dopo mi passa.


Forse al posto della catarsi suicida dello scontro frontale sarebbe preferibile l'approccio filosofico low profile di mia suocera che tiene in cucina da diverso tempo un gratta e vinci da 10 euro che - mi ha detto - non gratterà mai, perché così avrà sempre in serbo una carta da giocare che facendole vincere 1 milione di euro le potrà cambiare la vita. Il giorno che lo grattasse e scoprisse di non aver vinto nulla oltre ai 10 euro avrebbe perso anche quel suo whisful thinking. Dunque quella sua possibilità teorica di cambiamento se la tiene stretta, come una potente fleet in being sempre all'ancora nel porto e al sicuro, ma che però un giorno potrebbe anche uscire in mare a combattere. 


Comunque, se proprio non riuscite a fare a meno di pensare a quanto sarebbe bello azzannare il vostro partner alla giugulare come foste un Pitbull o se fate parte di quella corrente di pensiero del “meglio una fine terribile che un terrore senza fine”, per avere un minimo di possibilità che il discorso di chiarimento funzioni, beh … almeno preparatevelo per bene. Che, come direbbe Bersani, "Non siamo mica qui a giocare a calcio con le infradito!"

Provo pertanto a suggerire qualche regola d’ingaggio che con i dovuti adattamenti può andare bene per i “discorsi di chiarimento” con mariti, mogli, amanti, figli, suoceri, parentame vario, badanti moldave e anche situazioni lavorative, riunioni condominiali e, insomma, ovunque ci venga l’impulso irresistibile di rovinarci la vita e rovinarla agli altri con una bella litigata. Diciamo che seguendo quello che sto per dire, potrete migliorare le vostre possibilità di uscirne bene. Dunque i comportamenti che potrebbe esser utile adottare sono: 



1- Non lasciate che a scegliere il quando e il come accadrà sia la casualità o l’irritazione per quella che vi sembra l’ennesima provocazione (tanto meno che il momento lo scelga la controparte). In tal caso probabilmente sareste in preda all’emozione o alla rabbia e quindi poco lucide/i. Quando si è “su di giri” di solito ci si dimentica di dire almeno la metà delle cose che volevamo ringhiargli addosso, oppure ci si lascia facilmente portare fuori strada finendo per litigare su questioni secondarie. Dovete scegliere con cura il momento e il luogo e soprattutto iniziare il discorso quando vi sentite sufficientemente calme/i e in grado di controllare le vostre emozioni. Se vi sentite in ansia o tese/i rinviate ad un altro momento. Tanto mica ve lo ha ordinato il medico, no? Così come non fatevi l’autogol di iniziare a discutere di una cosa tanto importante senza che l’altro/a possa dedicarvi tutto il tempo e l’attenzione che vi occorre. Iniziare a farlo appena sta crollando dal sonno e non vede l’ora di andare a letto, oppure quando tra dieci minuti trasmettono la partita di champions league o le desperate housewives è un ottimo modo per sentirsi dire “Ti dispiace se ne parliamo dopo? Tanto saranno le tue solite … mentali ” (segue litigata feroce, perché non lo erano). 


Anche parlare in tono pacato, se avete tanto self control da riuscire a farlo, aiuta ad avvalorare le proprie tesi e a renderle degne di attenzione. Se iniziate ad infervorarvi e ad alzare la voce, l’altro inizierà ad entrare in risonanza e la lite da comari sul pianerottolo è garantita. Come l’applauso finale dei vicini di casa o l’arrivo della volante del 113. 

2- Decidete con cura cosa volete ottenere, tenendo presente che l’altro/a ha i suoi territori da difendere e li difenderà. Giacché il muro contro muro non porta da nessuna parte e rientra nella categoria “tempo sprecato” probabilmente dovrete cedere a vostra volta qualcosa se volete arrivare ad un qualche risultato utile. Quando Cristoforo Colombo andò a discutere con la regina Isabella non le chiese una flotta e diecimila uomini (il massimo risultato possibile) perché sicuramente avrebbe conseguito un rifiuto totale (il peggior risultato possibile). Ottenne il miglior risultato possibile, cioè le tre caravelle, che gli consentì di raggiungere comunque il suo scopo. 



Pertanto, dal momento che non è possibile ottenere tutto, se volete aumentare le possibilità di raggiungere le coste della vostra America personale, prendete un bel foglio di quaderno, tracciateci una croce in mezzo e iniziate a pensare e a scrivere i punti di forza e di debolezza e le opportunità e le minacce insite in ogni possibile obiettivo che vi proponete di raggiungere. Questo è utile farlo perché catturando e mettendo nero su bianco e in ordine i mille pensieri che si affollano e subito svaniscono nella nostra mente quando poi li rileggiamo tutto ci apparirà più chiaro. In questo modo potrete identificare l’obiettivo che alla fine vi darà i maggiori vantaggi ad un costo sopportabile. Una volta scelto, quello sarà il vostro traguardo principale da raggiungere e dovrete cominciare a lavorarci sopra. Se poi nel corso della discussione otterrete in più qualcuno degli obiettivi secondari, buon per voi… 



3- Preparatevi una scaletta delle vostre argomentazioni e, nei limiti del possibile, cercate di essere assertive/i, cioè di proporre soluzioni praticabili, citare dati e ricordare situazioni certe e verificabili, dunque cose difficilmente confutabili e sulle quali l’altro/a dovrà necessariamente rispondere. Evitate come la peste di scendere sul terreno delle sensazioni e delle rivendicazioni generiche o, peggio, del vittimismo. Dire frasi del tipo “Mi pare che tu non sia più lo stesso/a” oppure “Mi trascuri da troppo tempo” significa prestare il fianco a dei contropiedi devastanti e comunque doverne spiegare il perché, finendo per incartarsi e sprofondare nel mare ampio del “Ma che c...o dici?” che è la madre di tutte le litigate ben riuscite. Una volta messa a punto la scaletta “delle dieci cosette che gli/le voglio proprio dire” cercate di memorizzarla in modo da non dimenticare nulla per strada, che sarebbe un peccato.

4- Bisogna sempre ricordare che l’altro/a, escludendo la malafede, ha spesso una visione del rapporto opposta alla vostra e sicuramente auto-assolutoria o molto benevola nei suoi confronti. Dunque avrà le sue controdeduzioni da proporvi e le sue rivendicazioni. Soprattutto se è da tempo che percepisce come qualcosa stia bollendo in pentola o se ha la coscienza non del tutto immacolata, è probabile che si sia preparato/a all’eventualità di dovervi affrontare. Quindi è necessario fare uno sforzo di fantasia e cominciare a prevedere cosa potrà dirvi, soprattutto dove cercherà di colpire duro (lo farà, non dubitate) e quali colpi di teatro potrebbe riservare, in modo da non essere spiazzate/i e impreparate/i. Diffidate sempre delle concessioni improvvise e spiazzanti, perché spesso sono avvelenate e nascondono la fregatura. Nel caso prendetene atto e dite che vi riservate del tempo per accettare. 


5- Arrivate subito al punto, non fate preamboli interminabili nel tentativo di ammorbidire la controparte che non servono a nulla se non a consentirgli di capire dove state andando a parare e ad organizzarsi la linea difensiva. Piuttosto, visto che è utile discutere con toni distesi, fate capire che (anche se non è vero) comprendete in qualche modo la posizione dell’altro/a. Questa mano tesa, generando una sorta di empatia, potrebbe indurre il vostro interlocutore a prendere in considerazione con minor tensione le vostre argomentazioni. 


In ogni caso, non fatevi fuorviare quando esponete le vostre tesi e non accettate di essere trascinati/e su un altro terreno di scontro a lui/lei più favorevole. Mia moglie, che è una combattente astuta, quando si sente alle strette prova a buttarla sulle tante cose che non faccio in casa, dove avrebbe vita facile, ma ormai conosco il trucco. Soprattutto non consentite di buttarla in caciara. In tal caso chiedete subito un break e se ne riparla quando si è più calmi. Se invece la controparte inizia a cedere e la discussione si sta avviando alla fine con alcune concessioni importanti per voi, è bene riassumere ogni tanto quello che si è detto, con frasi tipo: “quindi, sulla base di quello che hai affermato, tu accetti che…” oppure “dunque, riassumendo, tu mi dai atto che…”. Questo serve per mettere dei punti fermi ed impedire in seguito delle marce indietro o la storiella dei fraintendimenti (mi sono frainteso/a). 


Ecco, questo è tutto e se proprio, malgrado tutti questi accorgimenti, non riuscite ancora a chiarirvi per benino con la vostra controparte e poi state per mesi a tenervi il broncio, allora fate come mia suocera e quel vostro gratta e vinci non grattatelo...  sapere di averlo sempre a disposizione ci fa  vivere sereni lo stesso.
Ah! Non è affatto un caso se le belle immagini che illustrano il post sono tratte dal sito demotivazionale:  www.despair.com