venerdì 19 agosto 2022

Quelli che, appena arrivati nell'alberghetto di montagna stanchi e accaldati, prima di poter salire in camera ascoltano pazientemente le ciance della titolare e si morsicano la lingua per non replicare.


Di solito, quando parlo in sua presenza con persone appena conosciute che per far breccia nella mia simpatia iniziano a sciorinare tutto il loro repertorio di banalità, battutine, freddure da scuola elementare e luoghi comuni, essendole nota la mia insofferenza per il cretino medio, mi arrivano subito pestatine di piede molto discrete dell’elfa (mia moglie è chiamata così in famiglia per via che tira con l'arco come Legolas e ha un carattere spumantino) che significano: “Togli subito il dito dal grilletto, qualunque cretineria dica… lo so che stai per sparare una bordata, ma non farlo. Rassegnati e assumi l’aria consenziente, quella con il sorrisetto bonario tipo cheese!”, ma questa volta è stato davvero difficile trattenersi, dunque, ancora una volta, il piedino dell’elfa è stato salvifico, altrimenti avremmo iniziato e proseguito la vacanza in albergo in un clima teso.

Questo è infatti il dialogo intercorso con la giovane e garrula titolare del nostro alberghetto di montagna (l'unico trovato nella settimana di ferragosto, preso per disperazione perché nelle altre valli non c'era nemmeno un fienile disponibile e pagato come un cinque stelle anche se ne aveva due) al momento della riconsegna delle carte d’identità dopo la registrazione e la consegna della chiave della stanza. Tra parentesi riporto quel che avrei voluto replicarle e non ho potuto:

“Aaaah! Non mi dite che siete di Venezia!”
(perché te lo dovrei confermare se l’hai appena letto sulle nostre carte d’identità?)
“Sì, certo… siamo veneziani”
La signora assume l’aria estasiata
“Che bello!” (sì, è piacevole…) Ma lo sa che abbiamo avuto per trent’anni un cliente di Venezia come voi che era affezionatissimo?”
(No, se era scritto sul Gazzettino mi è sfuggito e comunque come posso saperlo se questa è la prima volta che ci vediamo?)
L’aria della signora vira di colpo dall’allegro con brio al preoccupato “Ma purtroppo sono quattro anni che non lo vedo…” (vabbè… o è morto o si è rotto i coglioni di queste ciance inutili e ha cambiato albergo).




La nostra interlocutrice, superato il momento toccante di malinconia, riprende subito quota con una brillante idea.
"Magari, se fosse stato in albergo, potevate fare amicizia…”
(Come no? Morena ed io ci domandavamo durante il viaggio se ci sarebbe stato qualche veneziano in albergo, ma solo perché di solito evitiamo Fiera di Primiero, la valle di Zoldo e quella di Fiemme proprio per evitare di incontrare migliaia di mestrini e veneziani, che poi non ci sentiamo più in vacanza e ci sembra di essere in Piazza Ferretto o nelle Mercerie)

La signora, non trovando alcun supporto da noi, gioca le sue ultime carte per vedere se poteva far scattare l’empatia con dei veneziani, un po’ come il vecchietto ottantenne di Pian di Meleto che per trovare comunque un punto di contatto con noi e il Veneto ci aveva detto di aver fatto il militare a Gorizia.
“Questo signore era di Cannaregio, sapete dov’è?”
(No, a Venezia non l'ho mai sentito, ma ora lo cerco su Google maps…)




Arriva subito il primo calcetto di Morena, celato allo sguardo dal trolley che è posato davanti a me.
Così, dopo un respiro profondo, le replico cortesemente: “Sì, ovviamente lo conosco, Cannaregio è il più grande sestiere di Venezia”
“Ah! bene... ma forse, se mi ricordassi qual era il nome della strada o il numero civico di casa sua, potreste capire dove abitava?”
Altro calcetto dell’elfa…
“Non credo proprio, a parte Strada Nova, noi non abbiamo strade, ma calli, callette, rughe, fondamenta, campielli e cose del genere e in ogni caso le numerazioni civiche a Venezia coprono tutto il sestiere, quindi partono dal numero 1 e, proseguendo con un andamento circolare, noto solo ai postini, arrivano a qualche migliaio. Io, per esempio, abitavo a Castello 5653..."
(dai bellezza, ora chiedimi meravigliata come mai abbiamo tanti castelli a Venezia, così facciamo l’en plein)
“Certo, capisco… comunque, questo signore veneziano era di Cannaregio e si chiamava Mario. Non è che per caso lo conoscete?”
(Ehi, ciccia! Se questo tipo si fosse chiamato Ajeje Brazorf magari ci pensavo anche, ma hai un idea di quanti Mario ci sono in un sestiere di trentamila persone? Venezia non è mica il paesotto qui vicino con duecento anime, un bar-tabacchi, il negozietto della Famiglia Cooperativa e dove vi conoscete tutti…)

Questa volta il pestone dell’elfa è forte e doloroso, tanto da spostare perfino il trolley.
“No, signora… l’unico Mario di Cannaregio che mi viene in mente era Marietto, uno che veniva sempre allo stadio a tifare il Venezia, soprattutto per i brindisi nelle osterie dopo le partite quando il Venezia vinceva, ma per fortuna vinceva poco. In ogni caso, a dispetto del nome, Marietto era un omone alto due metri e dieci, sempre un po' malfermo sulle gambe per via delle ombre de vin… poteva essere lui?”
“No… questo Mario che veniva qui era un signore piccolino e con i baffi”
(Ah! Se di mestiere faceva l'idraulico forse l’ho visto in un videogioco della Nintendo...)”
“Allora non ci pare di conoscerlo, vero Morena?”




L’elfa ribatte subito con aria di sollievo per la fine dei convenevoli.
“No infatti… mio marito ed io non lo conosciamo. La nostra stanza è al primo piano, vero?”
“Si, certo… ”
“Bene, a dopo, allora…”
"Ah! la colazione domani inizia alle otto in punto, mi raccomando!"
"Grazie, saremo puntuali..."

Prendiamo i trolley e iniziamo a salire le scale preceduti dal cane che ci fa strada, mentre l’elfa, che ancora ridacchia tra sé e sé, si gira verso di me dicendo: “i commenti li facciamo dopo, in camera…”
“Sì, ma ho sofferto l’anima mia…. questa tipa è davvero una cret…”
“Ti ho detto dopo… comunque sei stato bravo.”
“Grazie, ma di un panino con la soppressa come premio, più tardi, giù in paese, non se ne parla, vero?”
“No, perché ti fa male…”
“Come l’ultimo pestone che mi hai dato?”
“Sì… fa conto che sia una cosa del genere…”

Quelli che hanno il vicino di ombrellone che fa i cruciverba ad alta voce.


Ora del dopo pranzo in spiaggia, sole a picco e caldo atroce sotto l’ombrellone dove c’è calma piatta di vento, tanto da farti pensare che almeno il tuo forno di casa è ventilato, invece qui è statico. Mentre cerchi di appisolarti per smaltire il panino e la birra che ha già iniziato a fuoriuscire per conto suo sotto forma di rivoletti di sudore e, dopo il Despacito che proviene dal tizio alla cassa che tiene la radio accesa, provi ad escludere dalla tua vita anche il bambino che, un paio di ombrelloni più in là, si diverte da alcuni minuti a far scrocchiare la plastica di una bottiglia vuota di minerale rivalutandoti la nobile figura di Erode, ecco che il vecchietto seduto dietro a te inizia a cimentarsi con un cruciverba della Settimana enigmistica compitandolo ad alta voce, come i bambini delle elementari.

“Quattro verticale… l’Humprey del cinema”
“Bogart” lo soccorre subito la moglie (esatto, però era facile)
"Dieci verticale.. il Don ballerino"
"Lurio..." (peccato, speravo dicesse Abbondio...)
“Nove orizzontale… il fiume delle quattro capitali”

E qui si ride, penso subito… infatti inizia immediatamente con il Reno (ma no, el xè de sette lettare) così la moglie lo corregge con la Senna (sono cinque lettere signora… può far di meglio) e poi con il Volga (sempre cinque signora…zoppichiamo anche con la matematica, eh?) e perfino con il Tamigi (sono sei lettere… dai che ci avviciniamo!). Alla fine, quando già stai per fischiettare il bel Danubio blu, lui ci arriva da solo e si capisce che ne è soddisfatto.

Avanti con la prossima: “Quindici verticale… lo scienziato che ha scoperto i buchi neri” (Oddio! Questa è davvero dura…)
“Galileo!”
“No…”
“Leonardo…”
“No…”
“Michelangelo…” (sì, sì… vabbè.)
“No, quèo el xè un pitor … me serve due lettere soltanto, le ga da essar le iniziali… una xè la H di chiodo, parché quel che se batte col martèo el xè el ciodo…”
“Nol xe l’incudine?”
“No… me serve de sie lettere, incudine el xè de oto…” (giusto, lui la matematica la sa…immagino che lei stia per replicare che ciodo el xe de cinque lettere, ma poi si trattiene)




Alla fine, con l’aiuto di vari incroci, scoprono anche la S però si capisce che sui due permane la nebbia in Val Padana riguardo al nome completo dello scienziato. Quindi, dopo essere andati via spediti sul Cristiano calciatore, sulle lasagne intese come "il piatto di Bologna" e sulla cantante di “Maledetta primavera” ma con un nuovo piccolo intoppo sulla targa di Sondrio, lui prosegue da solo, mentre la moglie si stende sul lettino ad abbronzarsi, finché, dopo una decina di minuti si alza e gli chiede spazientita “Ma ti gà finìo col cruciverba, che go vogia de andar in acqua?”
“Sì, lo go quasì finio… me manca solo una parola de quattro lettere che non so bon de trovar…”
“Mona?” (suggerimento ad alta voce del vicino di ombrellone, che quando ci vuole, ci vuole…)