venerdì 30 novembre 2012

Del doloroso antefatto alla commedia e del pollo al barolo a modo nostro


Nell'attesa di avere i filmati dei due spettacoli che abbiamo messo in scena a Mestre e ad Este (andati alla grande) per farvene la cronaca e mostrare qualche sequenza, mi trovo costretto a fare da badante al bretone che due settimane fa è stato azzannato da un grosso bull terrier in versione libero e bello (dice che gli è scappato, ma non ci credo) che gli ha spezzato la zampa posteriore destra facendolo finire due ore e mezza sotto i ferri. Tranquillizzandovi subito sul fatto che il chirurgo ha garantito che il giovanotto torna come nuovo, la cosa ha comportato anche l'avere un clone saltellante di Pietro Gambadilegno, che quando passeggia di notte sul parquet del corridoio con i suoi "toc... toc.." ci fa svegliare con il cuore in gola perché ci pare di avere qualcuno in casa. Inoltre, avendo la casa disposta su due piani, ora posso allenarmi nella disciplina olimpica di "trasporto in braccio su e giù per le scale di cane inerte, categoria 24 chili" e se non mi viene l'ernia, di sicuro avrò di nuovo degli addominali scolpiti da far invidia ad un cubista. Speriamo che l'elfa, che ultimamente è molto critica sul mio aspetto fisico, da lei definito "florido", lo apprezzi.

Comunque, il nostro aggressore oltre a sforacchiare il bretone in varie parti (gli hanno messo diversi punti di sutura) ha pensato bene di assaggiare anche la mano che gli aveva appena dato un pugno sul cranio per staccarlo dalla gola del suo cane, cioè la mia. Così, siccome le ferite da morso dei cani s'infettano facilmente, oltre al ciclo di antibiotici ho dovuto anche sottopormi ad una bella medicazione ambulatoriale con dolorosissime infiltrazioni di acqua ossigenata nella ferita (meno male che sono di una generazione che si è formata con i John Wayne operati sul tavolaccio stringendo solo del cuoio tra i denti, così non ho urlato per non dare soddisfazione alla dottoressa che me lo aveva preannunciato) e, soprattutto, sono stato costretto a recitare con un vistosissimo ditone medio color verde menta (sono dei nuovi cerotti elastici tipo velcro e quando ho chiesto se si poteva almeno avere un colore meno vistoso mi è stato detto che era disponibile in alternativa solo quello per bambini, rosa fucsia e con gli smiles. A malincuore ho dovuto tenere il ditone leghista). Naturalmente il ditone mi ha anche impedito di scrivere al computer, dato che ogni volta che premevo un tasto come minimo ne usciva un "QWERTY" o cose simili.

Il nostro giovane e creativo regista Rico "Silver" Silvestri, al suo debutto
sulle scene e immortalato fuori dal teatro di Este

Malgrado ciò desideravo scrivere appena possibile per non lasciare il blog inattivo da troppo tempo e ora che ho tolto la medicazione, finalmente posso farlo. Ho solo l'imbarazzo della scelta. Potrei raccontare, per esempio, che questa mattina l'elfa quando mi ha visto tornare tutto bardato con il piumone con il collo di pelo, la sciarpa e il berrettone di lana calato sulla fronte dalla passeggiata nel gelo con il pirata Gambadilegno mi ha chiesto subito come fosse andata la pesca delle aringhe, dato che le sembravo il comandante di un peschereccio delle isole Lofoten, tuttavia non lo farò (ehm...) perché poi lei si lamenta che la metto in cattiva luce sul blog e, comunque, io non sono permaloso (ehm...). 

Così, essendomi sostanzialmente rotto le scatole di tutti quelli che in questi giorni pedalano nella farina sui giornali e nelle televisioni per dimostrare all’inclito pubblico elettore (che ormai ci siamo quasi) che Tizio è migliore di Caio e ci condurrà ad un nuovo ballo Excelsior con il trionfo della Luce sull'oscurantismo e tanto di magnifiche sorti e progressive incluse, stacco un attimo e riprendo a raccontare la mia quotidianità (la buona vecchia fuga nel privato…) e magari a frugare nel cassettone delle mie cavolate giovanili, che lì è terreno fertile.


Eccomi in scena nei panni del padre di Donatella,
con il ditone verde che spicca vistosamente 
sul bianco del gatto Belzebù.

Dunque… avendo un figlio ventiseienne che, dopo gli esordi in Erasmus a Vilnius con un discutibile ragù al ketchup (si giustificò dicendo che non sapendo il lituano credeva di aver preso una passata di pomodoro) oggi sostiene di essere ormai un giovane Cracco e ci racconta con orgoglio di leggendari risotti alla ricotta e speck cotti nella birra scura, per non parlare del suo sushi da far invidia a Jiro Ono e di essere diventato il più rinomato e ricercato cuoco tra i suoi amici di Vienna e ora di Düsseldorf, (però quando torna a casa non mette nemmeno il pentolino del latte sul fuoco) mi sono inevitabilmente ricordato i miei disastrosi esordi in cucina, sempre in ambito studentesco, anche se padovano, che qui ripropongo anche a fine didattico e di monito agli apprendisti cuochi.


Gli esordi da cuoco di mio figlio all'Ostello dell'Università di Vilnius.
Raffinato ed elegante come le cene di Arcore...

All'epoca avevo preso alloggio in un miniappartamento a due passi dalla facoltà assieme a Roberto, un simpatico cialtrone figlio di un ufficiale di Marina (collega e amico di mio padre) e drammaticamente indietro negli esami come me. Non che ce ne fosse realmente bisogno dell'appartamento essendo Padova a 30 minuti di treno da Venezia, ma alle nostre rispettive madri sembrava un’eccellente idea per far in modo che i due pargoli studiassero tranquilli insieme, unendo le loro mediocrità per proseguire spediti nel percorso universitario. Per noi, invece, era la realizzazione di un sogno: iniziare il vorticoso giro di donne e di vita dissoluta che era nei nostri piani.

Dopo poche settimane, però, iniziarono i problemi di convivenza perché Roberto, che da figlio unico era viziatissimo (mentre io, avendo un fratello minore, ne ero sicuramente esente), non faceva letteralmente un tubo per tutto il giorno. Di solito, come il Giovin Signore del Monti, entrava in bagno verso le nove e ne usciva verso le undici, fragrante di dopobarba e sbucando da una nuvola di borotalco. Io, nel frattempo, avevo lavato i piatti, rifatto i letti, fatto la spesa e stavo cominciando a cucinare. Dopo essersi vestito, il milordino veniva a tavola e, allontanando con aria annoiata il suo piatto, diceva “...ma non sai fare altro che pastasciutte ? ”. Roba che se oggi mi permettessi di dirlo all'elfa mi troverei con quattro palmi di coltello da cucina nello sterno o inchiodato sulla porta da una sua freccia al carbonio senza neppure capire come. Così, a parte che avendo già superato i livelli basic del burro e formaggio, del gran ragù Star e del pomodoro e basilico vi posso garantire che i miei sughi non erano per niente male, capii che se non avessi interrotto subito la faccenda poteva succedere che: o alla lunga lo strangolavo, o mi sarebbe venuto il complesso di Cenerentola. Quindi, essendo tendenzialmente un non violento e anche troppo giovane per mettermi in analisi dallo psicologo, lo sfidai, se si riteneva tanto bravo, a cucinare lui.

La cucina dell'appartamento padovano. Il tavolino per la colazione,
come gran parte del'arredamento minimalistico/proletario,
 era un mio design esclusivo dal nome:
"due assi  messe in croce, rubate di notte da un cantiere"

La sfida, che integrava quelle quotidiane a flipper nel bar sotto casa e a calcetto sul tavolo del salotto con i tappi del gingerino riempiti di pongo giallorosso per lui che era della Roma e nerazzurro per me (il Subbuteo di allora), fu subito accettata e fu così che arrivò il gran giorno del pollo al barolo. Un avvenimento gastronomico di grandissimo rilievo durante il quale Roberto, che lo aveva annunciato a mezzo mondo, si sarebbe esibito nella preparazione del prelibato manicaretto su autentica ricetta di sua madre, già citata come formidabile artista dei fornelli. L'aspirante cuoco si alzò dunque di buon ora e andò in Piazza delle Erbe a scegliere il pollo dai banchetti dei contadini, perché doveva essere assolutamente ruspantissimo. In casa, frattanto, era spuntata già da qualche giorno una pregiatissima bottiglia di Barolo Gaja 1964 d.o.c. (presa in prestito sine die  immagino dalle rinomate cantine del padre o di qualche Circolo Marina).

Al mercato, non senza un qualche trauma, perché all'epoca i contadini vendevano i polli vivi e gli tiravano il collo alla presenza dell’acquirente, il nostro eroe comperò (si fece rifilare…) un bestione di volatile, buono per sei persone e lo portò trionfante a casa. Così, indossato un pesante grembiulone cerato della Marina Militare (fregato a bordo dell'Impavido), di quelli che si usano in cambusa per pelare patate e preso un catino, cominciò subito una delicatissima operazione di spiumaggio della povera bestia che fin dalla prima penna si dimostrò particolarmente coriacea e decisa a rendergli dura la vita. Dopo aver tentato (invano) di sostenere che occorreva aspettare qualche ora affinché il rigor mortis dilatasse i pori del pennuto e che notoriamente le piume delle galline padovane sono più attaccate di quelle delle galline livornesi, Roberto cominciò ad accanirsi su quella povera salma e la lotta durò quasi due ore, tra lazzi (miei), bestemmie (sue) e piume (del pollo) che volavano da tutte le parti. Finalmente, nella tarda mattinata, l’ormai ex-pennuto finì nella casseruola e una volta affogato nel barolo, con l’estremo oltraggio di una carota nel sedere, fu infilato festosamente nel forno. A momenti, sembrava il varo della Queen Elisabeth.


Il tavolo da pranzo dell'appartamento padovano, dove perfino
il compagno Lenin inorridì alla vista del pollo al barolo

Nell’attesa golosa di gustare tanta prelibatezza, incominciammo a studiare diritto amministrativo, che sembrava fatto apposta per tenere l'appetito a bada. Dopo una ventina di minuti, però, avvertimmo un odore strano, ma Roberto, che se ne intendeva, affermò che, ovviamente, quello era l’aroma tipico del vino di gran corpo che si sprigionava e non ci preoccupammo un granché. Quando il pollo arrivò in tavola ci buttammo avidamente sul sughetto, sul petto e sulle cosce. Poi, tolta la carota e aperta la carcassa, fui colto da un vago senso di allarme. Chiesi a Roberto, che stava facendo avidamente scarpetta col pane: “ Ma... hai messo dentro anche il ripieno?”. Lui, con la bocca piena, e unto di sugo fino agli occhiali, mi rispose stupito: “No... perché?”. Il perché era rappresentato da una poltiglia scura, molliccia e rivoltante. Quello sciagurato, comperandoli sua madre dal macellaio, non sapeva che i polli ruspantissimi vanno anche puliti dalle interiora! 

Grazie a lui, nell’ambiente studentesco di Padova fummo a lungo celebri come quelli che si erano mangiati il poulèt a la merde .

sabato 10 novembre 2012

Le elfe e le loro notti inquiete


Cronaca della notte trascorsa in un interno di casa borghese tra due coniugi di lungo corso di ritorno da un breve soggiorno in Germania per godere al prezzo di saldo della bassa stagione di un sole primaverile del tutto inconsueto, con noi in piumino d'oca e i Deutschen a passeggio in maglioncino (raffreddore gentilmente offerto dalla mia signora che quando viaggiamo non si fa mancare nulla). Comunque, dopo qualche giorno di pioggia, anche qui è sbocciato il sole come a mille chilometri più a nord, ma in compenso ieri tirava vento di bora e oggi fa un freddo cane, di quelli che ti metteresti il maglione sopra la felpa anche per stare in casa. Dunque, appena superato lo shock termico dell'elfa che, al solito, appena è sotto la trapunta infila i suoi piedini ghiacciati tra le mie gambe per scaldarseli, mi concedo almeno dei sogni in controtendenza.

02.50 – Mi trovo in spiaggia a Jesolo (Malibu non me la posso permettere nemmeno nei sogni) e stravaccato sulla sedia a sdraio assaporo un long drink al gin e maracuja guarnito con una fetta di lime e un bellissimo ombrellino giallo, quando finalmente Gwyneth Paltrow, la vicina di ombrellone che sta leggendo un mio libro giallo, si accorge di me e mi sorride allegra incurante del fatto che Cameron Diaz stia languidamente sdraiata sul lettino al mio fianco intenta a risolvere i cruciverba della Settimana Enigmistica. Le sorrido a mia volta e lei mi dice qualcosa, ma il rumore improvviso di un elicottero copre le sue parole. Poi mi accorgo che è il frastuono di un tritaghiaccio in azione e il mio sguardo infastidito scorre verso il barista cinese del vicino chiosco che ha il sorrisetto inquietante di Jackie Chan e che sta preparando delle granite.

02.51 – Il rumore del tritaghiaccio sembra trasformarsi in quello di qualcuno che scava nella ghiaia con tanta intensità da farmi perdere concentrazione e indurre la Paltrow e la Diaz ad andare assieme a prendere una granita al caffè  al baretto della spiaggia.

le elfe appena conosciute sembrano innocue...

02.52 – Il rumore della ghiaia rimescolata ormai ha invaso i miei pensieri e si è arricchito con il cigolio di un cassetto di fine ottocento. Provo ad aprire gli occhi ancora appiccicati di sonno e nella penombra scorgo una figura in camicia da notte felpata intenta a frugare con una piccola pila nel comò tra collane aggrovigliate, bracciali, gioielli e bigiotteria varia. Farfuglio qualcosa tipo: “Chi sei? Sei un ladro?” (questa è un’ottima domanda, le cronache nere pullulano di ladri in camicia da notte felpata che rispondono affermativamente).

02.53 – La figura risponde “Scusa…” poi spegne la pila e accende brutalmente la luce. Riconosco l'elfa all'interno della camicia da notte.  E' una felpata rosso lacca punteggiata da tante pecorelle bianche e da una nera. La pecora nera mi conferma che non può che essere lei...

02.54 – Dopo aver nascosto la testa sotto il cuscino ed espresso un giudizio sferzante sulla moralità della mia consorte di cui pagherò le conseguenze in seguito, cerco a tentoni la sveglia dell’Oregon Scientific sul comodino per cercare di capire che ora sia, ma la faccio cadere ed esplode come suo solito sul pavimento scagliando le pile nel raggio di diversi metri e comunque sempre sotto qualsiasi mobile da dove le potrò tirare fuori solo con la scopa. Immagino che le bombe a grappolo funzionino così.

02.55 – Ho recuperato abbastanza lucidità da iniziare un dialogo serrato con l'elfa.
Si può sapere che stai cercando a quest’ora di notte?”
Lei, senza smettere di rovistare nel cassetto, con il tono infastidito di chi ti sta dicendo una cosa ovvia e solo perché tu non ci arrivi,  mi svela l'arcano.
“Gli orecchini…tu dormi e non te ne preoccupare”
"Ah... va bene... " Sul momento la cosa appare del tutto ovvia e mi viene perfino da chiederle scusa per averle posto una domanda così ingenua. Subito dopo cerco disciplinatamente di sprofondare nel sonno come ordinato. Tuttavia, man mano che inizio a riprendere coscienza di me, avverto l'anomalia della faccenda.
“Quali orecchini e, soprattutto, perché?”
“Quelli in oro bianco a mezzaluna con gli smeraldini, hai presente?”
“No. Possiedi un numero di orecchini tale che mi servirebbe il database del CERN di Ginevra. Comunque, perché li cerchi alle tre di mattina?”
“Non mi ricordo se li ho portati in albergo e non vorrei averli dimenticati in camera. Non riesco a prendere sonno se non mi tolgo il pensiero”.
“Logica ineccepibile. Se non sai di averli portati non puoi neppure sapere se li hai persi. Mi ritiro dalla discussione, ma sbrigati che vorrei riprendere a dormire.” 

03.05 – La mia disturbatrice notturna dopo un’incursione al piano di sotto ritorna in camera tutta felice. “Che scema che sono, li avevo lasciati sulla mensola del bagno”. Avrei dovuto pensarci. Mia moglie, proprio come mio figlio e la sveglia dell’Oregon Scientific, tende infatti ad esplodere appena varcata la soglia di casa. Le chiavi della macchina di qua, la borsa di là, la giacca sul divano, le scarpe in lavanderia e gli occhiali e le sigarette chissà dove. Ovvio che gli orecchini fossero sulla mensola del bagno di sotto… comunque, finalmente, bacetto, si spegne di nuovo la luce e si torna a dormire.

Poi, con un sorrisetto s'impadroniscono delle tue notti e dei tuoi sogni

03.15 - Si riaccende la luce e l'elfa scende di scatto dal letto.
"Oh mio Dio!"
"Che c'è ancora? Non ti ricordi se hai perso la collana?"
"Macché! Ho dimenticato di mettere il telefonino sotto carica..."
La rivelazione mi getta nell'ansia più profonda perché la frase "mettere il telefonino sotto carica" pronunciata  dall'elfa implica da sempre come pena accessoria una tremenda rottura di palle.
"Ti prego, dimmi che sai dov'è il caricabatterie..."
"Ma sì che lo so! Dovrebbe essere ancora nella tasca della valigia"
"E' il dovrebbe che mi preoccupa..."
Infatti, dopo una ricerca affannosa lo si scopre ancora attaccato ad una presa della cucina al piano terra.
Ci rimettiamo a letto e dopo il "Buonanotte amore..." (augurio improbabile visto che tra poco sarà l'alba...) le giro le spalle e cerco di tornare alla spiaggia del sogno.

03.30 – Arriva una piccola grattatina sulla schiena proprio mentre Gwyneth Paltrow spazientita ha preso su la sua roba e sta uscendo dalla spiaggia e Cameron Diaz è ancora seduta al tavolo del bar a scherzare con Jackie Chan davanti ad una granita enorme. 
Dormi?
Con te è molto improbabile. Cosa c‘è questa volta?
Sono io che ho le vampate di calore o fa molto caldo?
La seconda che hai detto. Se metti i termosifoni al massimo è ovvio che poi fa caldo… perché non scosti la trapunta dalla tua parte e mi lasci riposare?”
“Ti spiace se abbasso il riscaldamento?”
“No, fallo pure, ma poi non ti lamentare che hai freddo appena si abbassa la temperatura…”
“Non mi lamenterò, non sono mica come te che fai una tragedia di tutto…” 
(scende da basso dove c'è la caldaia, esegue, ritorna e si ristende al mio fianco).

03.32 - Mentre sprofondo nel sonno mi pare di sentire una che dice: "Eccola, la maledetta..." ma mi impongo di non farci caso. 
03.35 – Nuova grattatina. Anzi, questa volta è proprio una gomitata nelle costole.
“Mi ha punto…”
"Ma chi? Chi ti ha punto?"
"Una zanzara. Mi ha punto sul lobo dell'orecchio"
"Ma che dici? Non ci sono zanzare a novembre, sono tutte morte per fine contratto..."
"Questa non l'hanno avvisata. A parte il prurito, la sento benissimo che mi ronza attorno alla faccia..."
Le chiedo un istante di silenzio ed effettivamente, forse per la suggestione, ma alla fine la sento ronzare anch'io. 
“Si, è una zanzara. Probabilmente il caldo estivo e subtropicale a cui ci costringi sparando al massimo il riscaldamento ai primi freddi deve averla ingannata, oppure è una Highlander e allora siamo nei guai. Comunque, mettiti l’Autan…”
“No perché poi resta l’odore sulle lenzuola… piuttosto, se la trovo, metto la piastrina “
“Con noi dentro la camera a respirare il Baygon? Ma fammi il piacere..." 
"Non c’è un altro modo per tenerla lontana?”
“Potrei provare con la moral suasion ma dubito di riuscire a convincerla. Mi passi una tua pantofola? ”
“Scherzi? Non voglio che le schiacci sul muro che poi rimane il segno…”
“Veramente volevo massacrare te a colpi di ciabatta, mica la zanzara…”

Quello che vorrebbe dormire tranquillo
senza quei due umani che discutono nella stanza a fianco...

Segue immediatamente un breve scambio di villanie e recriminazioni reciproche, tra le quali, non so perché, il fatto che lei mi chiede da tre mesi di dipingere la porta del garage e io me ne frego come al solito. Il bretone in tutto questo si affaccia alla porta con l'aria seccata di chi chiede un po' di silenzio per dormire, ma viene scacciato bruscamente in corridoio, che non è il momento.

Ore 04.00 – Si riaccende all'improvviso la luce e cosi Cameron Diaz fugge definitivamente con Jackie Chan e le sue granite. Mi giro verso la mia compagna che ora è appoggiata allo schienale del letto con un libro in mano (e neppure uno dei miei…).
Si può sapere che fai, ora?
Mi guarda seccata con l'aria di chi te la farà pagare. “Che vuoi che faccia? Per colpa tua che mi hai innervosita non riesco più a prendere sonno, quindi leggo… e grazie per la notte in bianco!”.