lunedì 26 dicembre 2016

Dell'antica arte veneziana di litigare con le ragazze appena riconquistate e di lasciar loro la barca


Quel “Ma noi… perché ci siamo lasciati?” buttato lì da Donatella come se fosse stata colta da una riflessione improvvisa sulle nostre vicende passate e si domandasse se non fosse giunto il momento di rimetterci assieme, invece di farmi felice provocò quello strano effetto di quando desideri tanto che accada un qualcosa ma poi appena succede davvero rimani deluso perché pensi che in fondo non lo volevi in quel modo o non era quello che avevi immaginato. Avevo fantasticato molto nei mesi precedenti su come sarebbe stato il momento in cui ci saremmo rimessi assieme (perché doveva pur giungere, che diamine!) e nelle mie fantasie c’era una sorta di lieto fine cinematografico con i due che all'improvviso, magari per un incontro fortuito, si riscoprono innamorati come e più del primo giorno e si gettano l’uno tra le braccia dell’altra. Ora invece lei, che sicuramente aveva preparato ogni passo con cura fin dal momento della telefonata serale perché le ragazze conducono sempre loro il gioco dell'amore anche se sono abilissime a farti credere che lo stai conducendo tu, mi lasciava tra le dita il cerino acceso di doverle rispondere in qualche modo scoprendo le mie intenzioni.


Tramonto sul Rio di Cannaregio 

La parte razionale che alberga in me, essendo da sempre in netta minoranza rispetto alla parte emotiva, dovette faticare parecchio per dissuadermi dallo sporgermi d’impulso verso di lei e baciarla sic et simpliciter motivando il tutto con il fatto che la cosa sarebbe stata tecnicamente difficile avendo il tavolino, i piatti e le bottiglie a far barriera tra noi. E' vero che avrei potuto alzarmi da tavola e raggiungerla, ma avrei dovuto anche far spostare alcune persone che sedevano sulla nostra stessa panca, tra le quali un omone sudato con la faccia immersa nell'anguria e non mi pareva il caso, per tacere del fatto che avendo mangiato entrambi le masanette (i granchi di laguna) condite con l’aglio e il prezzemolo, l’eventuale bacio avrebbe perso molto del suo romanticismo. Inoltre, a ben vedere, la frase di Donatella era ambigua e carica d'insidie. Che ne sapevo se voleva davvero dire: “che ne dici se ci rimettiamo assieme?” oppure nascondeva qualcuno dei suoi inganni?

Così, dopo aver elaborato migliaia di ipotesi in una frazione di secondo, la parte razionale, ringalluzzita dall'aver avuto ascolto una volta tanto, mi suggerì: “Carloè sicuramente una trappola... prendi tempo… non scoprirti, ma rilanciale la palla e vedi se si scopre lei” . Questo fu il motivo per cui le risposi con un: “Boh… il perché ci siamo lasciati francamente non lo so. Hai fatto tutto tu…” che mi sembrava molto efficace per indurla a fornire la sua versione dei fatti. Ma proprio come mi succede talvolta giocando a scacchi, quando dopo una lunga meditazione faccio finalmente la mossa astutissima che getterà nel panico il mio avversario e poi mi accorgo di aver lasciato la regina in presa, me ne pentii immediatamente. Donatella dall'espressione di piacevole attesa degli eventi virò subito sull'aria infastidita, anzi molto infastidita. 
Eh già! Per te è sempre colpa degli altri, vero? Tu non sai mai perché accadono le cose e, comunque, te ne chiami fuori elegantemente come tuo solito“.


I vecchi bàcari veneziani, dispensatori di deliziosi cicchetti e buoni vini.
Questa è "La vedova" dentro una calletta nascosta in Strada Nova

Ora io non sono un tipo fumantino, anzi.  Solitamente, quando mi trovo sotto attacco provo a replicare fino ai limiti del sopportabile con garbo ed ironia, essendo un fedele osservante della legge di Murphy che recita: “Mai mettersi a discutere con un cretino. Chi ascolta potrebbe non cogliere la differenza”, ma in quel caso, vuoi per la delusione di essere passato in un amen dal possibile bacio alla litigata certa, vuoi perché il modo con cui lei mi aveva lasciato bruciava ancora a mesi di distanza, andai subito dritto al nocciolo della questione incurante delle conseguenze, in una sorta di: à la guerre comme à la guerre.

“Beh… forse sarà il vino, ma ti vedo un po’ smemorata sulla faccenda perché come non ricordi, o fai finta di non ricordare, non è stata una mia iniziativa. Sei tu che quella sera di ritorno dal cinema ti sei fermata di colpo come folgorata dagli Dei in mezzo a Campo Sant’Angelo e mi hai detto senza alcun preambolo che le cose tra noi non funzionavano più e che era meglio che ci lasciassimo. Quando ho ripreso fiato e te ne ho chiesto la ragione mi hai fatto un sermone sull'impegno diverso che avrei dovuto mettere nel nostro rapporto e perfino negli studi. Ora, se mi chiedi un maggiore impegno verso di te, se ne può benissimo discutere, ci mancherebbe, anche se faccio fatica a capire in cosa dovrei impegnarmi di più. A tal proposito, ti ricordo che lo scorso anno per pura gelosia - anche se lo neghi - degli incontri femminili che avrei potuto avere a bordo mi hai fatto vendere la Fender Stratocaster appena comperata e per amor tuo ho rinunciato a suonare ancora sulle navi da crociera, che non mi sembra poco come segno di serietà nei tuoi confronti, perché oltre a vedere il mondo gratis, mi pagavano pure bene e mi ci divertivo un sacco. Per il resto, devo ancora capire cosa c’entrassero i miei esami di giurisprudenza con il nostro rapporto. Ho ventuno anni, mi mancano sei esami e la tesi e non sono ancora fuori corso, quindi non mi pare di essere poi messo così male.  Ci arrivo alla laurea, stai tranquilla...”.


Questo è il Codroma, storico ritrovo di studenti, artisti e perditempo vari
 dalle parti dell'Angelo Raffaele. 

Come davo per certo, Donatella mi lanciò uno sguardo inceneritore, poi replicò piccata.
“Guarda che il fatto che ora ti manchino “solo” sei esami è tutto merito mio, che se rimanevi a fare il menestrello a bordo come minimo oggi te ne sarebbero mancati una dozzina e avresti ancora la media del 19 abbondante, come ti vantavi con quei nullafacenti dei tuoi amici, che Dio vi fa e poi vi accoppia. Ma quel che ti rimprovero, anche se ti fa comodo fare sempre orecchie da mercante, è che non noto in te alcuna voglia di fare le cose seriamente, di costruire il tuo futuro. Sembra che tu ti diverta a restare nel tuo limbo di “né carne, né pesce” dove nessuno ti disturba chiedendoti responsabilità che non hai voglia di assumerti. Ci stai troppo comodo, vero? Eppure io, scomodando la mia famiglia, ti avevo anche procurato un’opportunità importante, ma tu l’hai lasciata cadere…”


Il ponte che va in campo della Celestia, dietro all'Arsenale

Per un istante, avendo capito dove stava andando a parare, pregai tutti i santi che conoscevo che non ritirasse fuori la storia del praticantato nello studio da avvocato di suo nonno che avevo rifiutato, ma Donatella fu più rapida delle mie preghiere costringendomi a rispiegarle tutto per l’ennesima volta.
“Visto che anche ora, come quella sera, mi rimproveri di non avere ancora deciso cosa voglio fare da grande e di non far nulla per crearmi un futuro professionale, ti ribadisco per l'ennesima volta che so perfettamente di aver sbagliato a dar retta a mia madre, che per mille motivi suoi ha insistito perché facessi Giurisprudenza anziché entrare in Accademia Navale come mio padre, che era quello che sognavo. Di conseguenza, non provo alcun interesse per la materia forense, la studio controvoglia e anche se ormai sarebbe stupido mandare tutto a monte e quindi farò comunque l’ultimo sforzo per laurearmi, ti ripeto che non ho la minima intenzione di fare l’avvocato nella mia vita futura. Questo è il motivo per cui non avevo e non ho alcuna voglia di rinchiudermi nello studio di tuo nonno a fare praticantato di diritto amministrativo tra faldoni, codici e gazzette ufficiali. Quindi, ringrazia il nonno della sua generosa offerta, so benissimo di star rinunciando stupidamente ad un mucchio di soldi futuri, ma non la cosa non m’interessa assolutamente. 
Infine, quel che intendo fare della mia vita è affare esclusivamente mio e sono stufo sia dei consigli affettuosi che delle sottili pressioni psicologiche e ancor più dei ricattini sentimentali. In sintesi e tanto perché tu te ne faccia una ragione: d’ora in poi qualsiasi donna mi vorrà, mi dovrà accettare come sono in base al principio che io non cercherò mai di cambiare lei e di conseguenza ho diritto di pretendere che lei non cerchi di cambiare me ”.



Quando sono a corto di argomenti, ti dicono che sei il solito immaturo, 
come se non lo sapessi già di tuo...

Donatella posò con malagrazia la forchetta sul tavolo poi allontanò da sé il piatto quasi disgustata.
 “Appunto! Speravo che in questi mesi avessi riflettuto sul perché ti avevo lasciato e fossi cambiato, ma vedo che sei rimasto ancora il solito immaturo che non vuole crescere e non sa assumersi le sue responsabilità. Devo dire che tua madre ha proprio ragione…”.
Ora, a parte il fatto che, volendo essere maliziosi fino in fondo, uno dei possibili motivi per cui c‘eravamo lasciati l’avevo ben chiaro e aveva anche il nome e cognome del figlio di un dentista veneziano: uno stronzetto pieno di soldi e pure fascio che girava per il Lido con una 850 sport rosso fuoco e le ronzava attorno da tempo, tuttavia la citazione di mia madre, non certo casuale, mi diede la prova provata che quando le due si erano sentite al telefono avevano fatto ancora una volta comunella ai miei danni sulla faccenda dello studio e del mio avvenire e la cosa mi fece andare immediatamente su di giri. Così reagii d’impulso e le rinfacciai tutta una serie di cose tra le quali mi sfuggì anche il figlio del dentista tanto che Donatella si alzò di scatto e mi mollò un ceffone di quelli che ti lasciano le cinque dita sulla guancia e fanno voltare la gente nel raggio di venti metri, poi, dopo aver fatto spostare un mucchio di gente dalla sua panca scappò via in direzione del pontile dove era ormeggiata la Carla II.


Corte privata dietro Ruga Giuffa


L’uomo che mangiava l’anguria e si era goduto tutta la scenetta sorrise ironico. “Ciò! Te le ga cantàe ben la to morosa, vecio mio… varda se ti gà ancora tutti i denti in boca, che par mi qualchedun xe finìo zo par tèra….”
Controllai con la lingua se tutto fosse a posto giusto per scrupolo.
“Ma sì… i denti li ho ancora tutti e se mi fa passare, la raggiungo…”
“Ecco bravo… còrrighe drio che la xe andada a piànzer in barca”
Alla fine si spostò ma non prima di avermi avvisato che “… così dopo ti ghe la dà vinta, che xe proprio quel che le donne le vol quando che le se mete a piànzer…”. 
Dovette anche aggiungere la considerazione che: "In amor tuti i fioi zòveni i xe proprio dei gran mona" ma non ci badai e la raggiunsi. 
In effetti, Donatella si era seduta in barca e piangeva in silenzio rivolta verso la laguna per non farsi vedere (se non da me). 
Ora, dal momento che una donna che si faccia spuntare una lacrimuccia mi riempirà talmente di sensi di colpa che avrà subito il pieno e totale controllo su di me avendola vinta su qualsiasi questione anche se aveva torto marcio, salii a bordo e mi sedetti al suo fianco per chiederle scusa del mio comportamento e di quello che le avevo detto, guadagnandomi in prima battuta uno “Stronzo!” con il volto rigato di lacrime che non prometteva bene.
Così come non prometteva affatto bene la voce del cameriere apparso sul pontile alle mie spalle “Ciò! Bèo… sta miga a far il furbo… chi xe che paga il conto qui?
Gli mostrai il portafoglio perché vedesse che i soldi li avevo.
 “Ma si… lo pago io. Stia tranquillo….non sto mica scappando. Non vede la situazione? E poi la barca è ancora legata, dove vuole che vada?
A parte che quando no ti si bon a far i nodi le barche le se sliga con niente, che quei nodi che ti gà fatto no i va ben gnanca par ligàrse le scarpe, vien dentro alla cassa che te fasso il conto, così dopo ti pol far queo che ti vol…


Corte privata dietro Campo Santa Giustina

Lo seguii dentro il locale e dopo avergli messo in mano una discreta sommetta, siccome sosteneva di non avere moneta per darmi il resto prese un bottiglione da due litri che sembrava pieno di erbe e posati sul banco due bicchierini di plastica li riempì quasi fino all'orlo  “Dai! Che ve offro a tuti e dò il digestivo della casa, per farvi fare pace…
Grazie, ma non credo sia sufficiente per far pace con quella lì… 
Varda che el xe miracoloso. Lo femo in casa co’ le nostre erbe aromatiche. Ghe xe dentro anca la salvia, el rosmarin, la liquirissia, le scorse de narànsa e i carciofi… portalo alla tua morosa, ti vedarà che dopo la ghe torna subito il sorriso”. Siccome insisteva a smenarmela con le virtù del loro digestivo e io volevo tornare alla svelta da Donatella presi in mano i due bicchierini e uscii dal locale proprio mentre mi giungeva il rumore  del motore della Carla II che si avviava di gran carriera.

Arrivai trafelato sul pontile giusto il tempo di vedere Donatella e la mia barca ferme in mezzo alla laguna a cinquanta metri da riva. Aveva messo il motore a gorgogliare in folle e mi guardava con aria di sfida. Le gridai di tornare indietro, ma mi fece cenno di no, poi avvicinò la Carla II al pontile per venire a portata di voce.
Tella, per favore, non facciamo stupidaggini… ho capito che ti sei offesa e che ho esagerato, ma ti ho chiesto scusa, no? 
No… mi hai detto un mucchio di stronzate e finché non mi passa l’arrabbiatura e ti scusi seriamente e non di maniera come hai fatto prima, la barca la tengo io, così impari…
Su, dai, non facciamo bambinate… riportala qua che non la sai neanche guidare!



Una bella corte privata che un tempo era il chiostro dei frati di San Piero di Castello

Per tutta risposta lei diede di nuovo gas facendo impennare la Carla II e descrivendo un cerchio perfetto.
La so portare anche meglio di te. Cosa credi?  Ci sono nata sulle barche io….
Va bene, lo vedo, sei brava… me la riporti ora?"
"Non ci penso nemmeno..."
"Dai.. su non scherziamo..."
"Io sono serissima..."
"D'accordo, hai vinto! Mi scuserò seriamente come dici tu, ma a come faccio a farlo a se te ne stai lì in mezzo al canale?"
"Troppo comodo farlo adesso, bello mio... ti ho detto che mi deve passare, per oggi la tua barca te la scordi"
"Vabbè, se hai deciso così prendila pure, ma come faccio a tornare a casa? Non è che posso nuotare o andare a piedi
Non piangerti addosso... hai il vaporetto a Punta Vela tra mezzora, hai tutto il tempo di prenderti il caffè oltre al digestivo che hai già in mano, è una passeggiata di dieci minuti… “
Si, ma dove me la porti? Al mio cantiere non ti conoscono e non la puoi lasciare incustodita in canale”
“Tranquillo, la lascio al Diporto velico di Sant’Elena dove ha la barca mio padre.  Siamo soci, una palina te la trovano senz’altro e lì è sorvegliata dai custodi anche di notte
Fece una pausa poi aggiunse… “A proposito di mio papà… domenica facciamo la traversata in barca per Pirano e Umago e mi aveva detto di chiederti, visto che gli serve un uomo d’equipaggio, se vuoi unirti a noi. Io te lo sconsiglio e se fossi in te ora rinuncerei con una scusa, però mi ero impegnata a dirtelo e l'ho fatto...
Ah! Ringrazia tuo papà e digli che invece ci vengo con molto piacere perché se giochiamo a farci i dispetti sono bravo anch'io  ma, però, non è che ne possiamo parlare in barca?
Ti ho detto di no, comunque va bene per la gita, in fondo se vuoi venire sono cavoli tuoi. Riferirò al papà… ciao.”.
Detto questo diede di nuovo manetta e con un’altra virata che sollevò un mucchio di candida schiuma la Carla II prese rapidamente il largo in direzione di Murano. La seguii con lo sguardo finché diventò quasi un puntino. Poi di colpo sentii alle mie spalle la voce divertita dell’uomo dell’anguria.
 “Ciò! Vecio… ma ti te ga fato ciavàr la barca da una donna? Vergògnite…
Eh! Succede… che vuol farci? L’unica ormai è berci sopra…”
Gli porsi il bicchierino con l’amaro per Donatella e trangugiammo assieme virilmente i nostri liquori in un sol sorso, poi, dopo un rapido cenno di saluto mi avviai al vicino pontile ad aspettare con calma il battello della linea 13 per le Fondamente Nuove, che per fortuna mi erano rimasti giusti i soldi per il biglietto.

(continua…)

lunedì 19 dicembre 2016

Dell'antica arte veneziana di riprendersi (forse) le ragazze con le gite in barca.

Aprii il portone di casa che erano quasi le nove e per un attimo l’odore delle muffe secolari e dell’umidità salmastra di cui sono intrisi gli androni dei palazzi veneziani si sovrappose all’odore di benzina, olio di motore e granchio putrefatto che avvertivo ancora nel naso dopo averlo respirato per ore a bordo della Carla II.  La luce delle scale era già accesa e avvertii subito il trambusto di una persona che scendeva i gradini di corsa. Era mio fratello Franco vestito “epico” con la giacca blu e la cravatta regimental (mia). Questa volta all’odore di benzina, olio di motore e granchio putrefatto si sovrappose netto il profumo del mio dopobarba Dunhill e la cosa mi inquietò come al solito, anche perché era evidente che il giovanotto aveva abbondato parecchio nella dose.
Acchiappai al volo per un braccio quel gaglioffo prima che mi schivasse per attraversare l’uscio di casa.
“Sbaglio o hai fatto il bagno con il mio dopobarba?”
“Solo due gocce… perché? Si sente tanto?”
“Sembri una vecchia baldracca di Frezzeria. ” (la calle vicino a San Marco dove, uniche in Venezia, esercitavano la loro antica professione alcune ottuagenarie la cui decana si diceva fosse stata l’ultima donna di D’Annunzio)
“Comunque ti avverto che la mamma è incavolata nera con te…”
Questa tecnica di eludere le situazioni imbarazzanti introducendo nella discussione un argomento del tutto estraneo al tema ma in grado di attrarre subito l’attenzione dell’interlocutore era tipica di mio fratello e in seguito, per qualche strano giro di cromosomi sarebbe stata utilizzata largamente anche da mio figlio.
“Perché è incavolata? Per il ritardo?”
“Chiediglielo tu…”
“Non puoi darmi un’anteprima?”
“Scusa ma devo andare ad una festa e sono in ritardo… comunque, prima ti ha anche cercato una ragazza…”
“Prima quando? E chi era?”
“Prima… fai conto dieci minuti fa. Comunque la mamma sa tutto. Ciao…”
Pensai fosse Claudia che voleva ringraziarmi (o forse no) per la gita e iniziai a salire i tre piani di scale fino al nostro pianerottolo.

La voglia di girare la laguna in barca ce l'hai nel sangue e non ti abbandonerà mai.

In effetti, appena valicata la soglia di casa guardando attraverso la porta a vetri dell’ingresso vidi il salotto in penombra e illuminato solo dall’abat-jour a fianco della poltrona dove mia madre mi attendeva avvolta nella consueta nuvola di fumo che in quel frangente sembrava quasi attraversata da lampi e fulmini, tanto doveva essere arrabbiata. Era la sua caratteristica posa da sgridata solenne al figlio “lungocrinito” (per distinguermi da mio fratello che all’epoca li portava corti) e “fancazzista” (qui non c’era il pericolo di confusione). Così dovetti sorbirmi sull’attenti una lunga intemerata sul fatto che se la barca doveva servire a farla stare in pena, allora lei avrebbe restituito al negozio il motore che mi aveva comperato,  che i telefoni per avvisare che avrei fatto tardi esistevano anche a Mazzorbo, che lei aveva telefonato cinque volte al cantiere per sapere se mi avessero visto tornare e che stava per farmi cercare e tutto quel che potete immaginare. In più, già che c’era, tirò fuori anche la faccenda dell’esame di Diritto costituzionale che non riuscivo a dare e delle mie troppe distrazioni dallo studio, a cominciare dalla chitarra e per finire con il calcio.
Ottenute tutte le ammissioni di colpa, le scuse e le promesse di rinnovato impegno sui libri che attendeva, m’indicò la tavola ancora apparecchiata con un piatto coperto per tenere in caldo la mia cena. Mentre azzannavo con tutto l’appetito che porta l’aria di mare le seppie in umido con i piselli che aveva preparato e che essendo ancora tiepidine erano una vera prelibatezza, mi chiese a bruciapelo: “Ti sei rimesso con Donatella?”
La guardai sorpreso mentre infilzavo un pezzetto di pane nella forchetta per fare scarpetta di tanta delizia. “No, non mi risulta… perché?”
“Perché ti ha cercato prima…”
“Ah! Ti ha detto cosa voleva?”
“No! Comunque è stata molto carina, abbiamo parlato dei miei ultimi quadri, mi ha raccontato tante cose e…”
C’era un unico modo per fermarla prima che partisse la solita perorazione su quanto fosse dispiaciuta perché ci eravamo lasciati (che sicuramente era colpa mia) e su quanto le piacesse Donatella, così fine, garbata, di ottima famiglia e con la testa sulle spalle, mica come quelle “fraschette” che mi ero messo a frequentare da quando non stavamo più assieme. Così mi alzai da tavola e chiamai Donatella, che rispose allegra e senza troppi convenevoli.
“Allora… abbiamo la barca nuova e non mi si dice niente? Anzi… si portano in gita le mie amiche di nascosto?”
“Lo hai appena saputo da Claudia, vero?”
“Ovvio… tra noi donne ci parliamo, cosa credi? Lo sapevo ancora da lunedì scorso quando l’hai invitata e poi mi ha chiamata subito appena tornata a casa. Sapessi la povera Claudiotta che mi ha raccontato di te …”
“Ah! Dunque la povera Claudiotta non ha perso tempo… e che ti ha detto di così tremendo?”
“Beh! Nulla che già non immaginassi conoscendoti, ma certo che…”
“Avanti, dimmelo…”
“Eh no! Troppo comodo… devi pagare pegno per quanto sei stato scortese a tenermi tutto nascosto. In fondo, anche se non stiamo più assieme, non mi avevi detto che volevi che rimanessimo amici? E poi, scusami, con tutte le volte che sei venuto ospite sulla nostra barca potevi anche ricambiare, no? Quindi, se sabato mi porti in barca a mangiare da Tedeschi a Sant’Erasmo, te lo racconto, altrimenti no….”
“Va bene, ma perché non domani? Non devo andare a lezione…”
“Ti devi rosolare sulla brace della curiosità. Ci vediamo sabato mattina alle dieci davanti al tuo cantiere, tanto tua madre mi ha detto dov’è”.


Vecchi relitti di barche in secca sull'isola disabitata del Lazzaretto Novo

Il giorno stabilito Donatella si presentò con i soliti quindici minuti di ritardo, quindi puntualissima, all’imbarcadero del cantiere, dove, per evitarle l’impatto ruvido con quel bifolco del custode, avevo già provveduto a mettere in acqua la Carla II  che a prima vista si meritò un “Carina… un po’ piccola, ma carina.” che non sapevo se prenderlo come un complimento o meno. Era graziosissima, con il paio di pantaloni corti blu notte e stinti dal sole che usava a bordo dell’imbarcazione di suo padre, le scarpe da barca e una polo rosso lacca che non le avevo mai visto addosso e siccome ne possedevo una uguale sperai l'avesse messa per compiacermi. Portava i capelli raccolti sulla nuca con un fermaglio e questo mi dispiacque perché mi piaceva da matti quando li teneva sciolti sulle spalle, però capivo che in barca non era il massimo della praticità.
Siccome era pratica di barca, senza che lo chiedessi mi diede subito una mano a slacciare le sagole d’ormeggio e a tirare dentro i parabordi e quindi prendemmo rapidamente il largo. Appena fuori dalle mura dell’Arsenale, iniziai a dare manetta per farle vedere quanto corressero i miei 15 cavallini ruggenti e mentre la Carla II iniziava a saltellare tra le onde come un ciottolo disegnando la sua scia argentea nella laguna, Donatella dopo aver estratto dalla borsa un buffo cappellino giallo da ciclista per proteggersi dal sole si tolse la polo restando con il reggiseno del costume da bagno, che era abbastanza casto ma non abbastanza da mantenermi concentrato al timone, tanto da farmi sfiorare qualche bricola. Questo anche perché dopo averle dovuto spiegare che non usavo la barca per andare a pesca e come mai la Carla II puzzasse di granchio putrefatto, lei, forte del suo esame in letteratura romantica inglese, mi citò la maledizione del gabbiano ucciso della “Ballata del vecchio marinaio” di Coleridge inducendomi a condurre la barca con una sola mano essendo l’altra impegnata in riti scaramantici. Comunque, appena approdati a Sant’Erasmo e legata la Carla II proprio di fronte al giardinetto del locale, prendemmo posto da “Tedeschi” accolti da uno stuzzicante profumo di pesce fritto.


Sull'isola di Sant'Erasmo coltivano carciofi, ci sono le vigne e sembra di essere in campagna.


L’osteria da “Tedeschi”, che esiste ancora oggi, ma è diventata tutt'altra cosa perché ora è un ristorante vero e proprio con vocazione turistica, all’epoca era un locale decisamente rustico, collocato proprio sulla punta dell’isola che guardava alle Vignole, tra gli orti di carciofi e le vigne e non era molto distante dalla Torre Massimiliana, un grosso bastione circolare costruito dagli austriaci a metà del 1800 a difesa dell’isola. Oltre a qualche piatto di pasta tipico, come i bigoli in salsa e le linguine al nero di seppia o con i caparossoli, da “Tedeschi” si mangiava pesce fritto o ai ferri in gran quantità, accompagnato da verdure degli orti vicini e da un vinello bianco acidognolo e perfino con un lieve sentore di sale come se le radici delle viti attraverso i terreni sabbiosi dei campi dovessero attingere anche acqua di laguna. Quasi tutti ci arrivavano in barca, specialmente dalla vicina Burano, dove i barconi nei giorni di festa portavano intere famigliole che arrivavano con le tovaglie ricamate, i bottiglioni di vino, le angurie fresche e i bussolà dolci da inzuppare nella Marsala per fine pasto. 



L'osteria Alla Frasca, dove si mangiavano i paninetti con l'acciughina e l'uovo sodo
e si beveva il vino spillato dalla damigiana all'uscita dal liceo Foscarini.
E' nascosta in un introvabile campiello dietro alle Fondamente Nuove.

Si mangiava in una festosa confusione sotto qualche albero spelacchiato nel giardinetto davanti all’imbarcadero, su dei tavolacci stinti dal sole, qualche gatto e delle panche traballanti tipo sagra di paese, ma nessuno passava a prendere gli ordini. Occorreva entrare nel locale, guardare quel che veniva portato sul banco in continuazione dalla cucina, lasciare il proprio nome alla signora che prendeva nota su un quadernetto di quello che volevi prendere e poi sopra un tavolo vicino all’unico flipper dell’isola e sotto una grande foto a colori del Venezia in serie A trovavi la tovaglia di carta, i bicchieri, le posate e tutto quel che serviva per apparecchiarti la tavola all’esterno. Quando tutto era pronto venivi chiamato a gran voce dalla porta (sperando non ci fossero omonimi) e dovevi iniziare a portarti i piatti fumanti in tavola. Ovviamente Donatella, essendo signorina di raffinata educazione osservò tutto il mio andirivieni con i piatti rimanendo seduta a tavola con grande compostezza e limitandosi ad osservare alla fine che avevo dimenticato il cestino del pane.

Da Sant'Erasmo si arriva velocemente a Mazzorbo, divisa da Burano da un canale

Giusto il tempo di assaggiare la frittura mista di anguelle e passarini e di ridacchiare su un tale in “canottiera di peluche” che stroncato dalle libagioni dormiva stravaccato sulla panca vicina in modo che ad ogni russata si vedeva emergere ritmicamente la rotondità della pancia villosa da sotto il bordo del tavolo, poi Donatella mi fissò ridacchiando: “Allora… non ti vergogni ad averci provato con la Claudia?
“Chi? Io? "
"Siamo in due qui a tavola, vedi tu..."
"Certo, però la risposta è: ma nemmeno per sogno. Mi ha avvertito che l’aspettava il ragazzo appena ha messo piede sulla barca figurati se a quel punto ci provavo. Sai benissimo quanto sia legalitario su queste cose. Le donne degli altri sono tabù, anche se purtroppo non posso dire lo stesso delle mie…”
Donatella fece finta di non cogliere l’allusione ad alcune vicende passate. “Lei dice il contrario… mi ha raccontato che ad un certo punto con la scusa di prenderla in braccio hai allungato le mani dappertutto e che ha pure scorto un plaid nel ripostiglio di prora, segno che avevi qualche progetto erotico nei suoi confronti”
“Ma dai! Non scherziamo… quella chiattona fantasiosa della tua amica dovrebbe invece raccontarti di come per sollevarla abbia rischiato l’ernia da tanto pesava perché, diciamocelo, è una falsa magra e tu dovresti dirle che se uno ti prende in braccio per soccorrerti non devi agitarti come un’anguilla che rischi di strangolarlo o di cadere in acqua assieme a lui. In quanto al presunto plaid sul quale avrei dovuto approfittare delle sue grazie, si trattava della piccola e innocente tovaglia plastificata che avevo portato per la colazione sull'erba in barena. E’ ancora a bordo, se vuoi controllare…”
“Ma si,  ti credo… però Claudia mi ha detto anche che sei stato villanissimo con lei quando si è ferita, che non facevi che sbuffare infastidito e l’hai pure presa in giro dicendole che l’alternativa era di stare con la gamba alzata mentre le mettevi il laccio emostatico per impedirle di morire dissanguata e di agitare un fazzoletto bianco mentre la portavi a tutto gas verso l’ospedale, oppure di mettere un cerottino sul taglietto e tutto finiva lì…”.
“Questo lo ammetto…”


 Burano, con le sue case coloratissime, i merletti, il campanile pendente e i prezzi turistici

Da un certo lampo maligno negli occhi mi accorsi che Donatella in realtà si stava divertendo un mondo a sentire le disavventure della sua amica.
“Ma è vero che l’hai anche costretta a fare la pipì a bordo? Poverina…”
“Premesso che, come hai visto, non dispongo di una nave da crociera, alla poverina ho proposto mille soluzioni per risolvere il problema, ma non le andava bene niente e ringrazi il cielo che avevo un secchiello da darle…”
“Ma Claudia dice anche che da vero bifolco l’hai scaricata a terra a Mazzorbo e le hai fatto prendere al volo la motonave per Venezia lasciandola digiuna, mentre lei ha visto benissimo che mentre ti salutava con la motonave che stava facendo ancora manovra nel canale le hai girato le spalle e sei entrato a rimpinzarti nella trattoria “Ai cacciatori”.
“Ammetto anche questo, ma hai dimenticato di dire: alla faccia sua e di tutte le lamentose di questo mondo. Comunque, sappi che ha mentito sul fatto che l'avrei lasciata digiuna, perché, anche se ero affamato, mi sono tolto di bocca i panini con la cotoletta cucinati da lei per darle qualcosa da mettere sotto i denti durante il viaggio di ritorno. E per fortuna che c'era una trattoria alle mie spalle, almeno quello... voleva forse che morissi di fame per punizione? Inoltre devi sapere che quella menagrama della tua amica Claudia, non contenta di avermi rovinato la gita, da bordo della motonave mi ha anche lanciato un paio di maledizioni bibliche, perché in trattoria mi hanno pelato con il conto e in più mi sono anche preso un temporale sulla via del ritorno che a momenti imbarcavo più acqua della volta che sono affondato.”
Questa volta Donatella rise di gusto. 
“Poveretto, cosa ti sei andato a cercare… hai proprio ragione su Claudia, sai? E’ una scassapalle totale, devo confessarti che anch'io non la sopporto” . Quindi alzò il bicchiere verso di me in segno di riverenza dicendo “Sarai pieno di difetti, ma devo darti atto che sai ancora strapparmi un sorriso” e subito dopo aggiunse con aria pensosa: “Ma noi… perché ci siamo lasciati?” (continua)

martedì 6 dicembre 2016

Dell'antica arte veneziana di far le gite in barca con la ragazza sbagliata


La domenica mattina, messa la sveglia alle sette e appurato che ci fosse il sole come promesso dal colonnello Bernacca durante il telegiornale, mi recai al cantiere che in quel periodo doveva essere già aperto di buonora. Dopo aver atteso pazientemente per una ventina di minuti davanti alla saracinesca del capannone dove erano alloggiate le barche che l’addetto finisse di fare colazione nel suo gabbiotto e si degnasse di portare fuori la mia imbarcazione per metterla sulle cinghie e calarla in acqua, salii a bordo della Carla II e l’ormeggiai ad una palina nei pressi per poter fare le grandi pulizie prima di accogliere un’ospite femminile a bordo, che le donne, si sa, prima di sedersi passano veloci il dito sul sedile per controllare se c’è la polvere. Infatti, c’era e in più si vedevano qui e là anche diverse macchie di miscela uscita dal serbatoio durante i rifornimenti. Ma sui sedili e lungo i bordi c'erano soprattutto diverse zone di “salso” rappreso, dato che l’ultima volta che ero uscito in laguna  il custode, per la fretta di chiudere il cantiere, non mi aveva dato il tempo di lavare lo scafo con l’acqua dolce. Mi aveva garantito che lo avrebbe fatto lui la mattina dopo, ma ero certo che per la faccenda delle mance che non davo la cosa non sarebbe accaduta. E così era stato.

All'epoca dei fatti. Dubbioso, come sempre...(dubito ergo sum) (1970)

Inoltre, la barca, per uno strano effetto simbiotico, presentava lo stesso ordine di camera mia con una bella rinfusa di oggetti accatastata casualmente sul fondo, mancando solo i calzini sporchi e i numeri di Linus per completare l’analogia. Pur se tutto questo conferiva all'imbarcazione quell'aria un po’ naif e vissuta, che faceva molto “Cuore di tenebra” o anche “La regina d’Africa” facendomi sentire come un Humphrey Bogart di laguna, tuttavia era controindicato per accogliere una Katherine Hepburn della buona società veneziana. Per questo mi ero portato gli stracci per la polvere da casa, un piccolo secchiello da spiaggia fregato ai vicini di capanna, la spugnetta che la mia mamma usava per i piatti, una bottiglia da due litri di acqua di rubinetto e anche il Calinda al fresco profumo dei fiori di campo, che su una barca non era proprio il massimo della vita, però attenuava l’odore di quel granchio porro putrefatto nell'intercapedine dello scafo e che ogni tanto tornava a farsi sentire, aleggiando come un fantasma sulle nostre narici.

Tutta la dotazione di bordo venne sistemata in bell'ordine pigiandola nel ripostiglio porta oggetti a prora. Perfino i pochi elementi cromati della barca vennero lucidati per bene con quella costosa crema per pulire gli argenti che alcune amiche di mia madre affiliate alla Stanhome ci venivano a vendere a domicilio con la scusa di prendere il tè con i pasticcini (tanto poi la mia genitrice le spennava a bridge e quindi rientrava dalla spesa). Alla fine la Carla II sembrava un salottino e le mancavano solo i centrini di pizzo sui sedili, ma avrebbe fatto tanto gondola. Mancava solo Claudia, la mia ospite che si materializzò verso le dieci sulle Fondamente Nuove, vicino al ponte di Campo dei Gesuiti, dove abitava. 


Ghebi (canaletti) e barene viste dal Lazzaretto Nuovo con Burano sullo sfondo

Questa Claudia, una simpatica morettina che però mi apparve subito più rotondetta di quanto la ricordassi, appena mi vide apparire esordì subito in modo deludente. Dapprima con un: “Che bella! E’ la tua barca?” che mi fece subito venir voglia di risponderle “No, ma tanto non se ne accorgeranno prima di sera…”, poi avvisandomi che doveva essere assolutamente di ritorno per metà pomeriggio perché il suo ragazzo sarebbe tornato da Padova per andare al cinema con lei. E questa non era affatto una buona notizia considerando il mio proposito di collaudare la barca anche come strumento di seduzione. Infine, Claudia diede il colpo di grazia alle mie aspettative di una gita memorabile rivelandomi che le vettovaglie per il picnic in barena che si era impegnata a portare erano costituite unicamente da un panino con la cotoletta a testa (però l’aveva impanata e fritta lei, con le sue manine) e due lattine di Lemonsoda. Insomma, oltre ad aver preso a bordo una tizia con il moroso in attività ora avevo il  rimpianto di non aver accettato la proposta di mia madre di prendere con me un contenitore con due ricche porzioni della sua leggendaria insalata di riso all'orientale, con l’uvetta, i pistacchi, la curcuma e il curry. 


il punto più stretto del canale tra Sant'Erasmo e le Vignole,
 con i campanili di Venezia sullo sfondo

Comunque, appena salita a bordo con la grazia di un bisonte facendo oscillare paurosamente la Carla II, Claudia mi chiese “Dove andiamo di bello? Mi porti a Murano, che è tanto che non ci vado?” inducendomi a farle notare che se voleva andare a 10 minuti di navigazione dalle Fondamente Nuove tanto valeva farlo con il vaporetto dell’ACTV, che se si sbrigava c'era una corsa tra quattro minuti e che, al contrario, la mia intenzione era quella far rotta verso Torcello e San Francesco del Deserto e poi andare a buttare l’ancora e fare il picnic e magari il bagno tra le barene deserte del Lio grando.  Lei annuì con l’aria di chi non ha la più pallida idea dei posti che le stanno citando e pensa  “Boh! Saprà lui…”. 

Iniziammo così la navigazione con i 15 cavalli che gorgogliavano allegri lasciando dietro di noi una bella scia argentea e appena lasciati al traverso di sinistra l’isola di San Michele e il vecchio faro di Murano e incrociate le bricole che segnavano la fine del canale del Bisatto e l’inizio di quello che conduceva a Burano, apparve presto la sagoma di San Giacomo in Paludo. Una macchia di verde scuro cintata dal rosso mattone delle sue mura in mezzo alla laguna scintillante. 


L'isoletta disabitata di San Giacomo in Paludo, sulla rotta per Burano

Claudia, che dopo l’iniziale loquacità aveva cominciato ad infastidirsi e a cambiare diverse volte posto sostenendo di prendere troppi schizzi d’acqua e che questo le avrebbe rovinato i vestiti, dopo aver deciso che facevo apposta per farle dispetto a non abbassare la velocità e a prendere le onde di prora, si era messa ad osservare in silenzio l’orizzonte in segno di dissenso. Ma alla vista dell'isola riprese vita e si voltò di colpo verso di me con l’aria ansiosa di sapere.
E’ lì che dobbiamo andare?” 
No… San Giacomo è un’isola disabitata. C’era fino a poco tempo fa un vecchietto che abitava come un eremita la casa d’angolo con le finestre sull'acqua da cui faceva sporgere un bastone con un cestino perché le barche di passaggio potessero metterci cibo e qualche soldo, ma credo che lo abbiano sloggiato in una casa di ricovero…”.



Vecchie barche in secca sull'isola del Lazzaretto Nuovo

L’espressione di Claudia tradì una certa inquietudine “Ma non c’è proprio nulla?” 
“Come no? Hai vegetazione incolta, ragni, bisce e carbonassi a volontà, se ti piace il genere. In aggiunta c'è una cavana settecentesca, una nicchia sulle mura di cinta con una bella Madonna in bassorilievo e qualche vecchio rudere in attesa di crollare. Una volta c’erano una chiesa e un monastero e ci portavano gli appestati prima di utilizzare l’isola più grande del Lazzaretto, vicina a Sant’Erasmo, poi Napoleone ha demolito tutto e trasformato l’ isolotto in un deposito militare che ormai è completamente diroccato… ma perché me lo chiedi?”
“Avrei tanto bisogno di una camomilla…”
“Ti senti poco bene?”
“Si… è questo dondolio. Non ci sono abituata, mi fa venire la nausea…”
“Scusa, ma… quando ti ho domandato se eri mai stata in barca e mi hai risposto: oh sì, prendo il vaporetto, non era una battuta sarcastica?”
“No… non lo era, e comunque, portami da qualche parte perché sto per vomitare…”
In realtà avevo capito subito che la ragazza non aveva alcuna pratica di barca quando avevo notato che indossava le scarpe con il mezzo tacco, ma non potevo certo rimandarla a casa.
"Tra un quarto d'ora o venti minuti al massimo possiamo essere a Burano, ti va bene?"
"No, la nausea è sempre più forte... non vorrei vomitarti in barca"
"Nel caso, se mi usassi la cortesia di farlo fuori bordo sarebbe meglio, ho già l'odore del granchio morto qui in barca..."
Lei bofonchiò qualcosa che finiva in "...onzo" e che m'indusse a venire incontro alle sue esigenze cambiando la rotta. 
“Bene… allora non ci resta che dirigerci verso Sant’Erasmo. Riesci a resistere per una decina di minuti?”.
“Ci provo… tu sbrigati.”


Burano che grazie a Claudia resterà un miraggio all'orizzonte

Misi il motore a manetta e nel tempo previsto accostai ad un pontile davanti alla piazzetta dove sapevo che vicino alla chiesa c’era una piccola osteria.  Claudia scese subito a terra dirigendosi in fretta verso il locale, intanto che finivo di legare la barca, ma ritornò poco dopo sui suoi passi con l’aria ingrugnata. 
“Che c’è? E’ chiuso?”
“No, ma quel villano del barista mi ha detto che se voglio la camomilla devo andare a prenderla in ospedale, che la sua è un’enoteca e vende solo vino… “
Trattenni a stento un sorriso maligno e cercai di farle vedere quanto fossi collaborativo. “Magari il barista era uno dei fratelli Vignotto, quelli della regata storica. Se uno lo chiamano Veleno e l'altro Arsenico, ci sarà un motivo. Vuoi che ci vada a parlare io? Magari ti può fare un tè, o anche un punch caldo può farti bene allo stomaco…”
“No, lascia stare, sarà per il nervoso ma mi sento meglio, riprendiamo la navigazione”.


La chiesa e il centro di Sant'Erasmo, il cuore verde di Venezia
L'isola è celebre per i suoi delicatissimi carciofi e le sue vigne di uva dorona, 
un vitigno autoctono risalente al 1300

Risalimmo in barca e tornammo sulla rotta precedente. La Carla II ora filava che era una meraviglia e io stavo riprendendo lo stato di beatitudine che mi dava la visione di tutto quel mondo azzurro e luminoso di sole che mi circondava. Ma l’estasi fu di breve durata. Appena in vista dell’isolotto della Madonna del Monte, Claudia riprese con le domande inquietanti. “Quella almeno è abitata? Si può scendere a terra?
Le porsi il binocolo da marina di mio padre perché si rendesse conto da sola di come sull'isolotto non ci fossero altro che delle mura crollate in più punti e della sterpaglia.

No… anche lì c’era un monastero di clausura e poi una chiesa ma i francesi l’hanno demolita nel settecento e dopo ne hanno fatto una polveriera. Gli isolotti della laguna si prestavano benissimo allo scopo, perché se le polveriere saltavano in aria come spesso accadeva, almeno erano lontane dalla città. Questo valeva anche per i lazzaretti per gli appestati che erano costruiti sulle isole per mettere la laguna di mezzo tra la città e il contagio. Tanto è vero che durante la grande epidemia del 1576, quando morirono due veneziani ogni cinque, bastava presentare qualche sintomo strano per essere immediatamente trasportati al Lazzaretto Vecchio.  A quei tempi con la tua nausea avresti rischiato anche tu. Ma perché lo domandi? Ti senti male di nuovo?”
Ci fu un lungo silenzio imbarazzato, come se cercasse la forza di parlare, poi bisbigliò:
“No, ma ho bisogno di fare la pipì.”
“Ah! Ma non potevi farla al bar? Magari invece della camomilla chiedevi un caffè tanto per consumare qualcosa di caldo e intanto andavi in bagno…”
“Da quel cafone lì? Nemmeno per sogno…”
“Sarà stato anche cafone, ma però aveva un bagno da metterti a disposizione, io no. Puoi resistere fino a che arriviamo a Burano che è lì di fronte?”
“Quanto ci vuole?”
“Da qui una quindicina di minuti, più il tempo di trovare un ormeggio che non è facile in stagione turistica… magari tu puoi scendere al volo e correre in un bar intanto che trovo dove legare la barca”
“Lo escludo, sto per farmela addosso…”

Sbarcare alla Madonna del Monte? Contenta lei...

Pur concedendo che per noi maschietti risolvere quel problema sarebbe stato assai più facile visto il diverso impianto idraulico, cionondimeno dovetti farmi forza per non rispondere sgarbatamente a quella creatrice di problemi in servizio permanente effettivo il cui scopo sembrava solo quello di rovinare la gita. In altri tempi e in altre marinerie l’avrebbero sottoposta al giro di chiglia.
“Va bene… passiamo al piano B : hai il costume da bagno sotto i vestiti?”
 “No…”
Lo temevo perché da una che viene in barca con la gonna e le scarpe da città, non ci si poteva aspettare di meglio.
“Non importa, questo è il piano C … spengo il motore, mi lego ad una bricola, ti togli quello che devi e ti cali in acqua per la bisogna…”
“Sei matto? Non lo faccio perché ho ancora le mie cose e comunque con cosa mi asciugo, dopo?”
“Allora non ti resta che aggrapparti al corrimano, sporgere la parte fuori bordo e farla in acqua. Io mi giro a guardare l’orizzonte e tu mi dici quando hai finito… però se finisci in mare puoi chiamarmi subito”


i padroni della laguna sorvegliano attenti

La proposta sembrò dapprima convincerla, ma l’obiezione non si fece attendere.
“E se mi vedono dalle altre barche?”
“Oh mio dio… ma chi vuoi che ti veda?”
“Non lo so… magari hanno il binocolo come te e comunque mi vergogno…proprio non puoi farmi scendere sull'isola?”
“Ci provo, ma ti avviso subito che dovrai scendere in acqua vicino a riva perché alla Madonna del Monte non ci sono approdi.”
Visto che la Carla II aveva il fondo abbastanza piatto, sollevando il gambo del motore perché non strisciasse, procedendo con cautela e spingendo sul fondo con i remi, riuscii ad arrivare quasi sull'asciutto, così Claudia si sarebbe bagnata solo i piedi in pochi centimetri d’acqua.  Lei scese scalza camminando con cautela sui ciottoli e i detriti per raggiungere terra e quando già mi sentivo appagato di averle risolto il problema sentii un gemito soffocato. “Ahi! Mi è entrato qualcosa nel piede…”. Così, visto che aveva iniziato immediatamente a piagnucolare sostenendo di non riuscire più a camminare, vincendo l’istinto di riprendere il mare abbandonandola al suo destino sull'isola mi toccò scendere a mia volta per riportarla in braccio sulla barca rischiando l'ernia, perché era una falsa magra. Qui, come immaginavo, la ferita spaventosa si rivelò un modesto taglietto causato da un frammento di conchiglia e per curarla furono sufficienti uno spruzzo di acqua ossigenata e un cerottino. Restava sempre in sospeso la faccenda della pipì, ma mentre frugavo dentro la tuga di prora alla ricerca della cassetta del pronto soccorso mi ricordai improvvisamente del piccolo secchiello da spiaggia che avevo preso in prestito sine die dai vicini di capanna, così, pur se con qualche riluttanza della mia ospite ad accovacciarcisi sopra, alla fine anche quella emergenza venne risolta.


la sera scende svelta sul canale di Mazzorbo e sulla nostra gita

Quel che ormai era irrisolvibile era il mio pessimo umore per la gita rovinata. Pertanto, essendo ormai ora di pranzo, feci rotta per l’imbarcadero di Mazzorbo e feci scendere Claudia proprio mentre la motonave per Venezia stava tornando da Burano per attraccare al pontile. Così, con la scusa di risparmiarle il supplizio di un ritorno in barca e facendole presente che in mezzora sarebbe stata alle Fondamente Nuove, quindi a casa, la invitai a salire  a bordo ricordandole che se avesse avuto fame aveva a disposizione i suoi panini con la cotoletta e la Lemonsoda di cui mi privavo generosamente, perché noblesse oblige.

Appena la motonave si staccò dal pontile, entrai nella trattoria “Ai cacciatori” che era proprio alle mie spalle sulla fondamenta e scacciai l’amarezza con una spaghettata ai caparozzoli, una fritturina mista bella croccante e un mezzo litro di Verduzzo. Poi, per terminare l’opera consolatoria, legai la Carla II a una palina all'ombra e usando i salvagente come cuscino, mi concessi un bellissimo sonnellino ristoratore prima di intraprendere la navigazione verso  casa. Sottovalutai però la potenza da maledizione biblica di quel “fai un buon viaggio di ritorno” che Claudia mi aveva lanciato dalla motonave al momento della partenza da Mazzorbo. Infatti, fui ridestato da un brontolio di tuono e poco dopo arrivò a ruota uno scroscio di pioggia e perfino di grandine, mentre il cielo era diventato scuro e attraversato dai lampi di un classico temporale estivo. Dopo aver atteso che smettesse e impiegato quasi un’ora per svuotare la barca dall'acqua imbarcata, feci ritorno a casa che era quasi l’ora di cena, con mia madre in ansia da ore e già sul punto di chiamare la Capitaneria di porto perché mi cercassero. La sera stessa ricevetti una telefonata inattesa da Donatella, ma ne parleremo nella prossima puntata… (Continua...)

giovedì 1 dicembre 2016

Dell'antica arte veneziana di andare per canali e prendere le multe.


Restituito al suo proprietario quel “cagaoro” di motore da 2 cavalli bolsi e non senza fatica perché chi si libera di un catorcio del genere poi difficilmente lo rivorrà indietro, tanto più se te lo aveva prestato dietro la vaga promessa di un successivo acquisto, potei finalmente ormeggiare la barca nel canale sotto casa e, dopo averlo sollevato rischiando l’ernia sotto lo sguardo preoccupato del commesso del negozio di motonautica che mi teneva ferma la barca perché non finissi in canale con il motore in braccio, agganciai finalmente al pianale di poppa della Carla II (già Tellina) il fiammante Johnson 15 hp e il mio mondo cambiò di colpo. Anche perché appena collegato il serbatoio da 25 litri e presi in consegna tutti i documenti relativi, senza nemmeno guardare il libretto d’istruzioni (che probabilmente lo fanno per i mestrini, ma a noi veneziani di laguna di certo non serve) slegai la Carla II non volendo partire ancora legato alla palina come un padovano qualsiasi e dopo aver pompato un po’ di benzina e dato aria, tirai il cordino d’avviamento. Il motore si accese docile al primo colpo e senza nemmeno far fumo, cosa questa che mi lasciò a bocca aperta. Smanettai un po’ in folle per farlo carburare bene e per bearmi di quanto fossero scalpitanti tutti quei nuovi cavalli a disposizione, poi spinsi in avanti la manopola del gas. Tuttavia, se solo mi fossi degnato di controllare dove era posizionata la leva del senso di marcia, avrei evitato di partire all'indietro e di andare come una scheggia impazzita a sbattere di poppa contro una palina centrando poi con l’abbrivio la fiancata di una grossa barca piena di casse di bottiglie ormeggiata all'altro lato del canale. E non avete idea del fracasso che facciano un migliaio di bottiglie tintinnanti una volta urtate.


 "Madame, Miss, Fraulein ...
Lo facciamo un bel giro in gondola?" (1972)


Per fortuna non ci furono danni se non alla mia reputazione marinara, peraltro già compromessa dalla faccenda del tappo di scarico. Un paio di turisti che passavano sul ponte di Campo della guerra scattarono delle foto (per fortuna all'epoca non c’era Facebook per divulgare la cosa) e il gondoliere che sostava nei pressi per catturare clienti incauti mi dedicò un lungo applauso d’incoraggiamento. Dubito che se avessi speronato la sua gondola con le cromature luccicanti di Sidol e i cuscini di raso e broccatello, sarebbe stato altrettanto comprensivo.

Comunque, dopo un lungo girovagare scoprendo che a Venezia l'andare per i canali è diverso dal camminare a piedi per le calli perché cambiano completamente la prospettiva e i punti di riferimento e se non li conosci e sai dove portano, ti ci perdi, riuscii finalmente a raggiungere il bacino di San Piero di Castello e a riportare la Carla II in cantiere. Ora, prima di iniziare la vita di avventure memorabili, di esplorazioni e di conquiste femminili che mi prefiggevo, non mi restava che provarla “in corpore nobilis” (lo so, avrei dovuto dire: “in corpore vili” ma noi veneziani abbiamo un’alto livello di self consciousness). Così, un sabato mattina mi recai di buon ora al cantiere e dopo i consueti grugniti dell’addetto alla gru che aveva sempre altro da fare per definizione (giacché quell'uomo avido si dedicava anima e corpo alla cura dei cabinati più grossi visto che lucrava dai proprietari delle mance che io non avevo alcuna intenzione di dare) la Carla II fu calata (scaraventata) in acqua. Iniziai così un rapido percorso d’apprendimento sulla navigazione in laguna facendo almeno cinque fondamentali scoperte su aspetti che di solito sfuggono a chi come me fino a quel giorno guardava le cose dalla riva.

Attraversare il bacino di San Marco con una piccola barca
beh... non è affatto una buona idea (1972)

La prima fu che attraversare il bacino di San Marco in estate e verso le dieci di mattina a bordo di un piccolo guscio di tre metri e mezzo equivaleva ad un tentativo di suicidio. Infatti, qualsiasi barca da carico, motoscafo, vaporetto o, peggio ancora, motonave o ferry-boat per il Lido provoca delle onde tali da farti ballare come un turacciolo e inzuppare te e la barca come un babà napoletano, rendendo un paio di sessole e un secchiello a bordo assolutamente indispensabili per evitare altri naufragi.

La seconda fu che attraversare la città attraverso il suo labirinto di canali, una sorta di delta del Mekong dove è facile smarrirsi, sarà anche romantico, ma non è affatto una buona idea. Infatti, a parte il fascino indubbio degli scorci suggestivi e inediti che offre, la navigazione per i canali espone chi è a bordo a concreti rischi di sentirsi arrivare in testa della spazzatura poiché le signore veneziane a volte trovano più comodo aprire la finestra della cucina e gettare giù le bucce, gli avanzi di cucina o le lische di pesce per non parlare di quelle brave donne che eseguono la battitura dei tappeti o ti cospargono il capo con le briciole delle tovaglie.  Tanto il popolino veneziano ha la scusa buona dei turisti a cui dare la colpa se i canali sono sporchi e vi galleggia di tutto (come se uno venisse da Amburgo o da Madrid con il fustino del detersivo o la bottiglia in plastica della candeggina da gettare nelle acque veneziane). 


La  solita "vecia maràntega" che sbatte il tappeto
sulla testa di chi passa di sotto in canale (1971).


Una volta, attraversando il rio di San Martino in un’ora di bassa marea, ho sentito un tonfo e una raschiata minacciosa sotto la chiglia e dopo aver subito accostato a riva per controllare i danni  ho scoperto di aver urtato lo spigolo di un frigorifero che giaceva sul fondo. Un po’ come il Titanic con il suo iceberg, con la differenza che in quel caso non affondai. Infine, tra i pericoli che incombono sulle teste dei navigatori di canali veneziani ci sono i cani che quando passano sui ponti alzano la gamba per pisciare sulla ringhiera proprio mentre stai passando di sotto con la barca. A me è capitato alcune volte di fare la doccia e purtroppo capitò anche a una ragazza a cui facevo la corte e che era seduta a prora a conversare amabilmente proprio mentre un grosso alano stava iniziando ad annusare minaccioso la balaustra in ferro del ponte sul Rio delle Terese. Malgrado la mia disperata manovra per evitarlo fu colpita dal getto e non la prese affatto bene, tanto che dopo le sue vibrate proteste protrattesi sino al giorno seguente dovetti pagarle il conto della lavanderia.



Le paline e gli anelli per legare le barche, un vero miraggio... (1971)

La terza scoperta fu che i distributori di benzina/miscela per imbarcazioni all’epoca si contavano sulle dita di una mano, erano lontanissimi tra loro (uno al Lido, uno alla Giudecca, uno alle Fondamente Nuove…) non sempre erano aperti e quando lo erano i tempi di attesa per fare il pieno erano eterni perché i motoscafoni (e sottolineo cafoni) si prendevano sempre la precedenza e per riempire i loro serbatoi enormi ci stavano almeno un quarto d’ora. Inoltre, voi che fate benzina al self service riempiendo il serbatoio di un’automobile perfettamente immobile, non avete idea finché non lo si prova (non l’avevo neppure io) di quanto sia difficile infilare in precario equilibrio l’erogatore nel serbatoio di una barchetta che ballonzola come alle giostre, che a volte sbatte contro il pontile per le onde delle barche di passaggio e che devi tenere ferma con una mano alla palina per impedire che si allontani sul più bello. Diciamo che per mettere nel serbatoio 25 litri, ne sprecavo almeno una decina spruzzandoli dappertutto tranne che nel bocchettone o nell'imbuto (che era anche peggio perché il dondolio faceva fuoriuscire la benzina non ancora scesa nel serbatoio). Ai prezzi odierni del carburante sarei andato in rovina.


Da noi i vigili ti beccano e ti fanno la multa anche in barca (1971)


La quarta scoperta fu che a Venezia e nelle isole non è che puoi parcheggiare la barca dove vuoi  se trovi un  posto libero, perché le paline, i pontili e gli anelli di ormeggio fissati alle rive dei canali appartengono con tanto di graduatoria comunale ad un preciso proprietario che non sempre è disposto a prenderla sul ridere se ti trova ad occupargli il posto. A volte può succedere che ti sleghino la barca per legare la loro e recuperare un'imbarcazione alla deriva non è mai bello. Dunque, prima di scendere a terra devi pregare che chi detiene il diritto di legare la barca a quella palina sia fuori tutto il giorno per lavoro o sia in vacanza, altrimenti rischi di fare come quella volta che mi ero seduto per una birretta al tavolino di un bar di Murano che si affacciava sulla Fondamenta Navagero e dopo aver sentito gridare a gran voce “chi xe quel mona che el gà ligà sto cagaoro de barca al pontil, che gò da scaricar! ” dovetti lasciare la birra a metà, pagare e correre di gran fretta a lasciare libero il posto ad un grosso burchio da carico con a bordo i mobili di un trasloco e un paio di scaricatori imprecanti.


Una mia cara amica sulla Carla II, ma non è la Donatella del racconto.
Vicino a lei, la ristampa di un vecchio libro  del '700 
sulle isole e le carte nautiche della laguna. Perfetto per finire in secca.

La quinta e ultima scoperta fu la più dolorosa, perché appena uscito dal Rio della Tana, quasi di fronte ai giardini della Biennale provai a lanciare la barca dando manetta al massimo e facendola planare, ma percorsi qualche centinaio di metri, proprio all'altezza di Sant'Elena venni affiancato da un barchino della Polizia che non avevo scorto e mi fu fatto cenno con la paletta di accostare a riva. Cercai di fare il simpatico chiedendo comprensione al poliziotto facendogli presente che in fondo ero agli esordi e che stavo solo provando il motore nuovo, ma quello rispose accigliato  “Bene! Allora vediamo se il nostro esordiente è in regola…” . Così, dopo l’esibizione di tutti i documenti possibili del motore e del conducente iniziò una severa verifica delle dotazioni obbligatorie di bordo.
Ha i giubbotti salvagente per i passeggeri?” 
“Li ho…”
“il natante è omologato per quattro passeggeri. Li ha tutti e quattro?”
“Li ho…. ma solo per ottimismo. Sono i quattro passeggeri che mi mancano”
“Non faccia lo spiritoso! Ha il certificato di conformità dei salvagenti?”
“Ce l’ho…”
“L’estintore di bordo?”
“Ce l’ho…”
"Due fuochi a mano a luce rossa?"
“Li ho…”
“La cassettina del pronto soccorso?” 
“Ce l’ho…”
“la luce di navigazione a prora?” 
“Ce l’ho…”
"Una torcia a luce bianca?"
“Ce l’ho…”
“Il mezzo marinaio?”
“Ce l’ho…” (pensavi di fregarmi, eh?)
“Il salvagente anulare con la cima?”
“Oh cazzo! Mi manca…”

Quell’unico: “mi manca…” assieme alla contestazione del fatto che andavo ad una velocità di molto superiore agli 11 nodi consentiti in laguna, mi costò una multa di 120.000 lire che all'epoca era una fortuna e che provocò una severa reprimenda da parte di mia madre.


Il mio ufficiale di rotta consulta la mappa della laguna sul libro.
Finiremo a Sant'Erasmo pensando di essere alle Vignole, ma ci consoleremo
con un panino con la soppressa al bar dei Vignotto.

Comunque, esaurito il duro apprendistato ed acquistato dal vecchio Filippi in Calle del Paradiso un bellissimo libro con la riproduzione di illustrazioni settecentesche e la storia di tutte le isole della laguna ma, soprattutto, le antiche mappe di navigazione tra le barene e i canali, non mi restava altro che scegliere una compagna di navigazione cordiale e avventurosa quanto basta per iniziare assieme l’esplorazione del territorio sconfinato della laguna. Dopo qualche breve giro di prova con una mia volonterosa amica per saggiare i percorsi tra le Vignole, la Certosa e Sant'Erasmo, decisi che era giunto il momento di iniziare ad usare la barca anche come strumento di seduzione oltre che di avventura e, siccome in quanto a chiacchiere sono imbattibile, riuscii a convincere un’amica di Donatella (anche perché  volevo che la mia ex sapesse che non stavo a macerarmi nel dolore nell'attesa di un suo ritorno…) che era pure molto graziosa e simpatica. Così l’invitai per la domenica seguente ad un lungo giro tra Burano, Torcello, San Francesco del deserto e Sant’Erasmo con colazione al sacco in barena e lei accettò entusiasta. Ma ne parleremo alla prossima puntata…
(Continua)