giovedì 6 aprile 2023

iI destino cinico e baro dei fotografi e i misteri di una notte di mezzo secolo fa.

Il destino cinico e baro dei fotografi fa sì che, giunti quasi alla fine del cammin di nostra vita, oltre alle tante immagini di viaggi, mogli, figli ed altri accadimenti, ci si ritrovi con un intero archivio pieno di ritratti di amiche e amici, che soprattutto per i loro volti ripresi ancora negli anni lontani della gioventù, diventano un patrimonio di ricordi divertenti o malinconie struggenti.

Però di foto tue di quegli anni, dato che stavi dall'altra parte del mirino della fotocamera, non c'è nemmeno l'ombra, a meno di non avere avuto qualche morosa o compagno/a di classe che ti avesse ritratto. Ora, la tecnologia fa sì che, non avendo modo di farti l'autoritratto come un pittore, puoi almeno rimediare in parte con i selfie, che allora non esistevano, ma che però ormai ti rimandano impietosamente l'immagine di un viso vecchio e solcato di rughe (chissà se alla LIDL vendono quello specchio dove dentro c'è uno che invecchia per te?), dunque è meglio evitare perché la depressione è sempre in agguato dietro l'angolo.

Oddio...qualche foto per ricordarmi come fossi a quindici anni grazie a mio padre e anche a vent'anni, grazie alla mia ragazza di allora ce l'ho anche, ma sono talmente poche che ormai le conosco a memoria e non mi emozionano più. Tranne una: questa qui, che quando la vedo mi ripropone sempre il quesito insoluto di come fossero andate le cose in quella sera di oltre cinquant'anni fa.

La foto, restaurata a suo tempo con Photoshop in quanto completamente ingiallita e assai malandata, mi ritrae (sono quello con le orecchie a sventola seduto in fondo) alla cena di fine liceo, subito dopo la maturità con alcuni compagni di classe della III A del Marco Foscarini, ma non solo per questo la sua storia mi è molto cara.

La cena si era svolta al ristorante Antico Martini, nel campiello del Teatro La Fenice. Non ho mai saputo chi fosse stato tra noi il figlio di... papà, con presumibile casa a Cortina, che aveva scelto quel locale invece della solita pizzeria da studenti e, del resto, nella nostra classe almeno quattro o cinque "cagoni" sospettabili, tra figli di primari, antiquari, grandi avvocati e gioiellieri c'erano di sicuro ed altrettante di "cagone", se non di più, ce n'erano nell'altra sezione femminile, che quella sera cenava assieme a noi.

Infatti, quello scelto per la nostra cena era un ristorante piuttosto pretenzioso (pare ci avessero cenato anche Margaret d'Inghilterra, Paola di Liegi e altre teste coronate) e quindi la serata, con pesce pregiato e carta dei vini adeguata (mica il fritto misto di anguelle e calamari e la caraffa da litro di prosecco alla spina) era costosetta assai, tanto che ricordo con un senso di colpa l'espressione corrucciata di mia madre nel darmi la mia quota.

All'epoca, lei viveva solo con la sua pensione di reversibilità da vedova di guerra (mio padre era caduto in missione e anche se era un Capitano di Vascello le pensioni di quegli anni erano quel che erano) e faceva salti mortali per far vivere dignitosamente i suoi due figli. Ricordo che nell'occasione mi disse anche "Ti pago la cena solo perché sei stato promosso e non voglio che mio figlio faccia la figura con gli altri di quello che rimane a casa. Consideralo il tuo regalo per la maturità". E fu di parola, perché non mi arrivò altro se non un paio di libri.

Nella foto vi compare la Pia per la quale a quel tempo avevo una discreta cotta anche se, ovviamente, lei non mi filava nemmeno di striscio perché era una ripetente e aveva 19 anni mentre io all'epoca, essendo avanti di un anno, ero ancora un diciassettenne implume. Poi ci sono altri due miei compagni di classe: Francesco (che oggi purtroppo non c'è più) e Alberto, gran mediano di spinta della nostra squadra di calcio (fate conto una specie di Nicolò Barella dai mille polmoni), oltre al nostro bravissimo docente di matematica, che pochi anni dopo, già all'università, avrei incontrato nuovamente militando nel Manifesto, diventandone amico.




La foto mi diverte anche perché vi compaio con un'espressione felicemente ebbra (come del resto lascia intendere il numero di vuoti di bottiglia sul tavolo) e ho ancora addosso la giacca che poi andrà misteriosamente persa nel corso di quella notte della quale ancora oggi non ricordo molto, se non che ero uscito dal ristorante tutto allegro e ridanciano con altri cinque o sei amici e amiche di pari livello etilico. Ricordo ancora (ma sempre più vagamente) Enrico che cavalcava i leoncini di marmo in piazza San Marco come John Wayne in "Soldati a cavallo" cantando canzoni irripetibili attorno alle due di notte e anche di aver scavalcato la ringhiera per andare a prendere i pesci rossi nella vasca dei giardini napoleonici perché c'era qualcuna tra noi che li voleva a tutti i costi e io con le ragazze sono sempre stato molto gentile (forse è stato lì che mi sono tolto la giacca).

Più tardi (molto più) abbiamo accompagnato a casa la Patrizia che sul portone ci ha baciato tutti più volte appassionatamente anche perché, essendo un po' bruttina e in cerca di un moroso, forse aveva sfruttato l'occasione ed Enrico, che era un igienista maniaco, era inorridito per un po' di lingua in bocca del tutto inattesa . La cosa per fortuna ebbe termine, prima che potesse degenerare, con sua madre che le urlava dal balcone se era quella l'ora di tornare (appena Patrizia chiuse il portone, pensando che non lo notassimo, Enrico si mise a sputazzare nel fazzoletto fingendo di starnutire).

Alla fine, ricordo ancora di aver visto Andrea intento a vomitare nella fontanella di Campo San Zaccaria e che poi voleva a tutti i costi suonare il campanello della vicina caserma dei Carabinieri per chiedere se potevano dargli qualcosa per rimettere a posto lo stomaco. Sarebbe andata bene anche una camomilla...

Dopo tutto ciò, con un salto spazio temporale che ancora oggi mi rimane pieno di interrogativi (l'oltraggio urinario di gruppo sul muro della casa del Foscolo in Campo delle gatte era della settimana prima, dunque non faceva parte degli eventi di quella notte), mi sono ritrovato da solo all'alba seduto su una panchina sulla fondamenta delle Zitelle alla Giudecca ad attendere il primo vaporetto per tornare a casa. Come, quando e perché fossi finito lì, rimane un altro mistero insoluto, oltre a quello della giacca.
Che notti magiche si vivevano a quell'età!

sabato 11 febbraio 2023

Quelli che quando la moglie non trova il codice PUK del suo telefonino bloccato, si sentono FUCK (ed)


Questa mattina, dovendo fare una chiamata e non trovandolo dove lo appoggio di solito, ho temuto per una decina di minuti di aver lasciato il cellulare sul tavolo del bar dove avevo fatto colazione. Poi, per fortuna, l'ho ritrovato in casa perché togliendomi il giaccone mi era caduto dalla tasca senza che me ne accorgessi ed era finito sul tappeto del salotto, finendo nascosto quasi sotto una sedia.

Così, avendo un figlio molto tecnologico e prodigo di consigli a volte inascoltati (da sua madre), ne ho approfittato e, come mi aveva suggerito tempo fa, ho installato da Google Play la app che mi consente di rintracciare (farlo suonare o bloccarlo) con il geolocalizzatore il telefono su Google Maps in caso di smarrimento o furto, sempre che sia ancora acceso. Al termine dell'installazione, con una certa emozione ho provato a vedere se funzionava. Ho chiesto all'assistente vocale sul computer "Hey Google...where is my phone?" e dopo una breve ricerca mi ha risposto "In your hand..." mostrandomi la mappa di casa. Mi rimane il dubbio se "idiot" fosse sottinteso o meno.

Tuttavia, per la serie “Per fortuna in casa c’è sempre chi mi può consolare” le vicende del telefonino dell’elfa sono molto più movimentate, così come quelle delle sue password. Infatti io, che devo gestire almeno una trentina di password per vari siti e servizi a cui mi sono abbonato nel tempo, le ho tutte diverse per ovvi motivi di sicurezza e comunque le conservo e aggiorno quando le cambio all’interno di un file criptato conservato all’interno del cloud.

L’elfa (mia moglie la chiamiamo così perché tira con l'arco come Legolas e per il caratterino), invece, ha un approccio più naif e frizzantino alla gestione delle password, perché dopo mille raccomandazioni mie e di Gianmarco affinché non usasse sempre la stessa per tutto, perché se te la craccano poi è subito Caporetto, si è rassegnata ad averne almeno quattro o cinque, però, volendo farci vedere quanto fosse brava e giudiziosa, le ha scelte alfanumeriche, di almeno dieci caratteri, senza alcun riferimento a date di nascita o cose intuibili e pure con l’inserimento di qualche carattere speciale.

Il problema è che lei, da Superwoman qual è pensa che le basti memorizzarle, ma poi all’atto pratico si confonde “abbestia” e così ogni tanto mi sento chiedere al telefono “Senti…devo aprire il sito “pinco pallino” ma non mi ricordo più la password, non è che per caso la sai tu?” costringendomi a replicare “Amore, ti ricordo che noi ci siamo sposati in regime di separazione dei beni, dunque temo anche delle password… buona fortuna!”.



Oppure, come l’altra sera, quando mi ha chiesto se poteva usare il mio computer per fare un bonifico e dopo sei tentativi sempre più nervosi per accedere alla sua banca e dopo aver accusato me, il mio computer, Kaspersky, il cane e quei craponi tedeschi mangia crauti della banca di ostacolarla deliberatamente e di complottare contro di lei, alla fine si è ricordata che il carattere speciale inserito nella password che le veniva chiesta e della quale era “assolutamente sicura, perché l’ho messa mille volte e le è sempre andata bene, non capisco perché oggi questa fottuta banca mi dica che non è valida”, non era il punto esclamativo, ma la virgola.

Tornando alle movimentate vicende del suo telefonino mia moglie Morena spesso e volentieri entra in modalità “grande allarme” perché lo cerca in borsetta, nelle tasche del cappotto, dentro la macchina, non lo trova e quando me lo fa chiamare per sentire eventualmente lo squillo, il cellulare non risponde. Ma non mi preoccupo più di tanto perché so che probabilmente l’elfa si è dimenticata il telefonino nel suo ufficio o dai suoi genitori, dunque, il poverello è quasi sempre defunto, perché lei lo mette in carica secondo i bioritmi o solo quando non si è dimenticata il carica batteria da qualche parte e riesce perfino a ricordare con precisione dove possa averlo abbandonato.

Evento non sempre possibile giacché l'ultima volta che mi ha strillato angosciata "Mi sta morendo il telefono!" lei era al lavoro e lui giaceva abbandonato sul piatto della frutta in cucina in mezzo alle banane, tanto da indurmi a replicarle con un tono di voce grave adatto alla luttuosa circostanza: "Appena termina l’agonia ed è spirato avvisami via mail che mando un telegramma di condoglianze alla famiglia Xiaomi".

Poi, essendo di fondo un buonista che aiuta le elfe in difficoltà confidando nella loro capacità di redimersi, mi sono infilato il cappotto e dopo un piacevole e fresco chilometro di camminata, gliel'ho portato in ufficio (però almeno, mi ha riportato a casa in macchina e mi ha offerto pure un tramezzino e un bianchetto al bar cinese).

Qualche tempo fa, Morena mi ha chiamato verso le dieci con il cellulare di suo fratello e tutta agitata, perché il telefonino per riavviarsi le chiedeva il PIN che lei, da donna accorta, aveva sì scritto prudentemente su un foglietto in quanto era nuovo, ma però ora non riusciva a trovarlo nel caos della sua borsa e aveva solo quello della SIM del vecchio operatore, che lei ben lo sapeva che non era il caso di usare anche se, in base alla sua teoria del: "Quasi, quasi io ci provo… non si sa mai che funzioni lo stesso" ci aveva provato e ora le rimaneva solo un tentativo (che è come dire: lo so perfettamente che non bisogna toccare le vipere perché possono mordere.. per chi mi hai presa? Però ora mi serve alla svelta il siero antiofidico...")

Alla fine, dopo aver sudato freddo di fronte al suo: "Scendi in cucina da basso, la custodia della SIM nuova con il PIN mi pare che dovrebbe essere sotto la teiera bianca, altrimenti cercala sotto ... (e giù un elenco di quattro possibili location alternative)" ho trovato al primo colpo la confezione della SIM card nuova con il PIN proprio sotto alla teiera e gliel'ho detto, con un sospiro di sollievo.

Pochi attimi dopo aver chiuso la telefonata, il telefono ha suonato di nuovo e mi sono sentito gelare il sangue all'idea che fosse ancora lei per strillarmi "Ma che numero mi hai dato? Adesso il telefono si è bloccato!". Invece, era mio figlio che mi chiamava da Liverpool (mostrandomi in webcam una bellissima giornata di sole, lo dico con invidia) mentre era on the road per andare al lavoro.

Così, quando mi ha detto "Papà! Ma che voce strana che hai...va tutto bene?" gli ho spiegato che mi aveva terrorizzato perché temevo che mi stesse richiamando la mamma per dirmi che il PIN non andava bene e che ora mi sarebbe toccato cercare da qualche parte il suo codice PUK. E Gianmarco mi ha risposto: "Ti capisco... quando la mamma arriva al livello: Codice PUK allora tu sei giunto al livello Codice FUCK, nel senso che sei fottuto...".
Grande battuta, giuro che gliel'ho invidiata...

mercoledì 1 febbraio 2023

Quelli che vorrebbero pagare una sterlina e otto penny al Fisco Inglese, ma non ci riescono.


Per la serie: "Kafka è nato a Liverpool?" qualche settimana fa mio figlio Gianmarco, che vi risiede da due anni, era imbufalito perché la società specializzata nei servizi fiscali che, in convenzione con il Gruppo tedesco per cui lavora, si occupa anche della sua dichiarazione dei redditi, nel calcolo tra gli emolumenti di lavoro residui percepiti in Germania e quelli successivi in Inghilterra, aveva sbagliato qualcosina (una sterlina e una manciata di penny). Insomma: a little bullshit, as they say in England.

Infatti, appena rientrato a Liverpool dopo le vacanze natalizie ha trovato nella posta una lettera dell' HMRC (Her Majesty's Revenue and Customs) , ovvero l'Agenzia delle Entrate britannica, che gli intimava, con tono molto brusco e minacciando sanzioni severe, di pagare entro il 31 gennaio la somma stratosferica di una sterlina e otto penny, che a tanto ammontava il suo mancato pagamento dei tributi.

Roba che Carlo III e Camilla nel loro castello di Balmoral non ci avrebbero più dormito la notte e non perché uno dei due (a scelta di chi legge) avesse problemi alla prostata, ma quasi come se fosse stato annunciato un secondo libro di Harry. Inoltre, a Downing Street sarebbe mancato il gin, Liz Truss sarebbe stata richiamata a fare il Primo Ministro per salvare la sterlina e il PIL inglese avrebbe barcollato più di quanto non faccia ora per conto suo.

Che poi uno dice: "Vabbè, ma che ci vorrà mai per pagare una sterlina e otto penny al fisco inglese? La swinging England, tra Carnaby street, Twiggy e le Spice Girls è un paese così moderno e anticonformista, mica borbonico e burocratico come noi... pagare il fisco da loro sarà as easy as drinking a pint of beer, no? ".

Magari, visto che Liverpool è la patria dei Beatles, entri canticchiando "We can work it out" (la possiamo risolvere) nell'ufficio locale delle imposte, allunghi cinque pound all'impiegato allo sportello e gli dici " Hallo George!.. questo è quanto vi devo. Tenga tutto e con il resto si faccia una birretta al pub a nome mio... grazie e ... a sòreta!", che tanto lì non capiscono e magari George lo prende come un simpatico saluto messicano.

E invece no, perché per accedere al loro sito onde effettuare un pagamento devi compilare un modulo di richiesta lungo e complicatissimo dove, non esistendo lì la carta d'identità, oltre ai tanti dati anagrafici, sanitari (anche lo studio medico dove sei registrato e con quale numero), lavorativi etc. come prova ulteriore della tua identità ti chiedono un numero di patente di guida inglese o, in alternativa, nord-irlandese (a Belfast guidano in modo diverso?). Che, ovviamente, mio figlio, avendo una patente italiana, non possiede, così come non ha un passaporto britannico a garantire che lui è davvero lui e non un perditempo che passa per strada, in preda ad una perversione masochista di voler pagare il fisco britannico.

Al termine della compilazione e del "Ce l'ho... ce l'ho... mi manca...", se tutto è andato bene, riceverai un codice numerico che ti consentirà di passare allo step successivo e di pagare, sempre che poi non storcano il naso visto che lo farai tramite una banca tedesca, giacché loro hanno fatto la Brexit mica per niente, eh?.

Tuttavia, in mancanza di solo uno di questi dati, il sistema si blocca e non puoi più andare avanti, anche se tu in realtà vorresti solo pagare e dare loro dei soldi, mica rubarglieli.

In alternativa al formulario, in una logica "customer friendly", esiste un numero verde (ma con orari limitati solo al mattino) per parlare con un operatore, spiegargli il problema e ottenere quel fottu…famoso codice per pagare. Ma si tratta solo di un ottimo sistema per ascoltare per qualche ora l'equivalente inglese delle Quattro stagioni di Vivaldi, prima che ti possa rispondere qualcuno al centralino che non sia la donna delle pulizie perché nel frattempo l'orario per gli utenti è scaduto.

Qualche giorno fa mio figlio ha ricevuto una nuova lettera della HMRC che nel ricordargli ruvidamente l'ormai prossima scadenza del 31 gennaio per il pagamento della sterlina e otto penny dovuti, lo minacciava anche di comminargli una penale di mora di ben 5 penny se non avesse pagato nei termini. L’arresto da parte di Scotland Yard non era esplicito, ma si sentiva aleggiare nell’aria.

Alla fine, ormai "heavily incazzed", Gianmarco ha chiamato la società di servizi fiscali che provvede alla sua dichiarazione dicendogliene di ogni e intimando loro di provvedere all'istante e che non osassero dire che non era di loro competenza, che altrimenti erano guai. E deve averli spaventati in tal modo che dopo una mezzoretta e infinite scuse, gli hanno fatto avere il numero di codice per poter pagare quella fottuta sterlina con i suoi fottutissimi otto penny. Però gli hanno suggerito che per interrompere la mora, oltre a disporre il bonifico a saldo, era consigliabile che lui parlasse di persona con un operatore per avere conferma che i soldi fossero arrivati regolarmente e la procedura fosse chiusa.

Così, dopo un'altra telefonata interminabile all’HMRC di un ora e mezza trascorsa ad ascoltare musichette, alla fine e grazie al numero di codice che gli era stato fornito è riuscito a parlare con un… computer che gli ha risposto a tutte le FAQ (facendogli esclamare: Fuck!) del tutto inutili per risolvere il suo problema.

Alla fine, dopo altri tentativi sempre più furibondi, il sistema si è arreso e lo ha messo in contatto con un operatore in carne e ossa il quale, dopo aver controllato che il bonifico fosse arrivato, gli ha detto che doveva comunque parlare con un altro collega per chiudere la faccenda degli interessi di mora, nel caso ne fossero già scattati di nuovi.

Pertanto gli ha passato un collega che non sapeva nulla della sua pratica e ha voluto identificare a sua volta mio figlio (una goduria recitare lo spelling del nostro cognome) e fare tutti i controlli, anche perché a lui risultava che Gianmarco fosse ancora in Germania e quindi non capiva perché mai fosse in debito con il fisco di Sua Maestà e a questo punto, non riuscendo a sciogliere l’enigma, sicuramente superiore alle sue capacità di comprensione, per chiarire la cosa gli ha passato una terza impiegata che dalla pronuncia e dall’inglese approssimativo doveva essere indiana, perché parlava come Peter Sellers in Hollywood party.

Costei, dopo essersi fatta ridire per l’ennesima volta i dati di Gianmarco e averlo rintracciato sul computer di Sua Maestà ha iniziato a leggergli lentamente e con voce monotona tutte le cifre della sua ultima dichiarazione dei redditi (una ventina di voci) e quando mio figlio ha protestato chiedendole cosa ca**o (what the fuck) c’entrasse quel riepilogo perché lui voleva soltanto sapere da lei se c’erano ulteriori interessi di mora da pagare, lei, pensando non avesse capito qualcosa, ha iniziato inesorabile a rileggergli tutti i suoi dati daccapo.

A quel punto, Gianmarco ha compreso perché quando telefoni alla HMRC e prendi la linea una voce registrata ti inviti per prima cosa a comportarti educatamente con i dipendenti dell’ufficio. Ma lui, che è spumantino come sua mamma, non c’è proprio riuscito… e chissà se gli inglesi capiscono il significato di un “ma va in mona!” ringhiato prima di buttare giù il telefono.

 

martedì 11 ottobre 2022

Quelli che vengono interrogati in geografia a mezzanotte e venti.


Mia moglie a volte mi ricorda la gatta Mitzi, la nostra fiera guerriera serba, figlia di Matchka, una gattona randagia trovata sporca e miagolante dopo che, entrando dal piccolo sportello sulla strada, aveva partorito nella carbonaia della nostra casa di Belgrado.

Mentre gli altri fratellini appena grandicelli se l'erano svignati in cerca di avventure attraverso i giardini confinanti, Mitzi, l'unica femmina della cucciolata (una sorellina era nata morta), a soli sei mesi era stata importata clandestinamente a Venezia avvolta in una coperta dentro ad un borsone aperto quel tanto che bastava (sperando che non miagolasse) per tenerla nascosta ai controlli doganali che fortunatamente, avendo noi in quell’epoca il passaporto diplomatico, erano piuttosto sbrigativi.

Anche Mitzi, proprio come l'elfa, ogni tanto ti fissava con l'aria dolce di quella che stava per farti le fusa, poi appena allungavi la mano per accarezzarla arrivava rapida la rasoiata delle sue unghie a farti zampillare il sangue. Infatti, questa mattina, mentre facevamo colazione assieme in pasticceria, con Whisky che attendeva paziente il pezzettino di brioche, l'elfa mi ha fissato con uno sguardo affettuoso e, poi, dopo un bel sorriso, mi ha detto: "Sai che ho pensato di prendere come regalo per il tuo compleanno?"

Al ché, io, piacevolmente sorpreso, ho risposto: "Oh! Grazie amore... ma… un altro regalo? Non mi hai già preso il parka della Quechua? Come mai tanta generosità nei miei confronti? Devo pensare che le mie crepes dell’altra sera erano davvero buone o ti sei presa un vestito o una borsetta in saldo su Amazon con la mia prepagata, oppure sai qualcosa della mia salute che io non so. Quale delle tre?"
"No... nulla di tutto questo. Ma pensavo che, siccome stasera torno a casa prima, possiamo andare alla Lidl dove, se non ho visto male, inizia la settimana svedese. Che ne dici di un barattolo di marmellata di mirtilli rossi e qualche scatola dei loro biscottini allo zenzero e cannella oppure di una confezione di aringhe affumicate con l’aneto?"
“Dico che a parte le aringhe affumicate, delle quali peraltro sei ghiotta anche tu, gli altri mi sembrano regalini per te, piuttosto che per me, ma se proprio vuoi gratificarmi con qualcosa di svedese senza andare all’IKEA allora potresti regalarmi una bottiglia di vodka Absolut…”
Elfa che, da quella carina e carezzevole, assume improvvisamente l’aria della moglie indignata: “Ma scherzi? Assolutamente no, perché ti fa male…”
“Va bene, in alternativa, se mi regali del salmone affumicato? E’ tanto che non lo mangio e con i crostini di pane, il burro e una goccina di limone potrebbe essere una buona idea per cena… se poi dici che così non mangio mai l’insalata, allore potrei mettere sul crostino di burro e salmone del lattughino fresco, che ci sta bene…”

Elfa che, interrotte le fusa, sferra immediatamente la graffiata sanguinosa, alzando perfino la voce.
“Ecco, lo vedi? Sei sempre il solito! Lo sai benissimo che Il salmone è ricco di proteine e le devi limitare. Scordatelo! Anzi… guarda, se la metti così, lasciamo perdere i regali alla Lidl che è meglio, tanto lo so che di questo passo mi chiederai di prenderti i salamini affumicati tirolesi o il chorizo spagnolo...”

Ma non c’è solo questo a renderla simile alla Mitzi, perché l’elfa, esattamente come la mia gatta che, puntualissima, alle nove di sera la trovavi acciambellata sulla poltrona a dormire (ora lo fa il bretone che a quell’ora è già in pigiama sul suo lettino), se non c’è nulla d’interessante in televisione ha ripreso la vecchia abitudine di infilarsi prestissimo al calduccio sotto la trapunta per leggere qualche libro e ormai ne divora un paio a settimana, tanto che ne ha acquistati diversi da un tizio sulla Miranese che vende chincaglieria assortita, roba vecchia e libri usati in un caotico e polveroso negozietto.

Il problema è che quando verso mezzanotte io spengo il computer e la raggiungo sotto le coltri, arriva subito il “Ti dispiace se leggo ancora un po’?” aggiungendo poi con tono affettuoso “Tu, se vuoi, dormi pure, che non mi dai fastidio…” (che in un mondo normale dovrebbe essere il contrario, ma pazienza) .
Tuttavia, in realtà, il prendere sonno è tecnicamente impossibile visto che, da un lato abbiamo un lampadario a otto braccia ad illuminarci la stanza neanche fosse mezzogiorno e poi, appena ci provi, precedute da un colpetto di piede e un "Stai già dormendo?" (che se anche fosse così a quel punto sei comunque sveglio) iniziano le domande strane a cui devi rispondere assolutamente, altrimenti lei insiste e sbuffa perchè non sei collaborativo e non la badi.

Ieri sera, per esempio, mi è stato chiesto “Dove nasce il Danubio? In Austria?”
“No, mi pare nella foresta nera, in Germania…”
“Sei sicuro? Non è che ti confondi con il Reno? Se Strauss ha scritto il bel Danubio blu perché passa per Vienna, magari nasce in Austria”
“No… a parte che il Reno se ne va per i fatti suoi verso il Mare del Nord, a Vienna il Danubio lo hai anche visto e ci arriva che è già bello grande e navigabile. Quindi nasce molto prima, in Germania”
“Non è che può essere la Svizzera?”
“No, passa per una decina di paesi e attraversa quattro capitali: Vienna, Bratislava, Budapest e Belgrado, ma la Svizzera non se la fila nemmeno di striscio. Forse non ama il formaggio con i buchi, il cioccolato e gli orologi a cucù”
“Sarà come dici tu, ma dove sfocia?”
“Nel Mar Nero…”
“Naaah! Lo vedi che ti confondi? Quello è il Volga”
“No, amore… giuro che il Volga, se la Russia non lo ha deviato, sfocia ancora nel Mar Caspio”
“Sicuro? Non è che puoi controllare su Google Maps?”
“Ho spento il computer…”
“Si, ma puoi chiederlo al telefonino…”




Così mi alzo, vado nel mio studiolo a prendere lo smartphone in ricarica, con il cane che dal suo lettino mi guarda stupito di vedermi ricomparire, ed eseguo. Quindi torno a infilarmi di nuovo sotto la trapunta dicendole: “Google e Wikipedia confermano: il Danubio nasce nella Foresta nera e sfocia nel Mar Nero. Contenta ora? Possiamo dormire? “
“Sì, Finisco il capitolo e spengo..”
"Ma non l'avevi già finito?"
"Sì, ma mentre eri di là, ho iniziato quello seguente... però lo leggo in dieci minuti, non ti preoccupare"
Provo di nuovo a chiudere gli occhi, ma dopo un paio di minuti arriva implacabile un nuovo quesito: “Quali sono gli affluenti del Danubio?”
“Senti, tesoro.. a parte che non mi è chiaro perché debba sostenere un’interrogazione di geografia a mezzanotte e venti, mi dici che cacchio di libro stai leggendo e perché si interessa tanto del Danubio? Lo so che in quel negozio trovi libri sconosciuti e subito abbandonati da chiunque abbia provato a leggerli, ma… ”
“Questo non l’ho comprato in negozio… qualche tempo fa uscendo di casa ho visto che c’era una pila di vecchi libri appoggiati sopra il cassonetto della carta e siccome questo mi sembrava interessante l’ho preso…“
“Vabbè, allora se qualcuno lo aveva destinato al cassonetto fatti una domanda e datti una risposta. Comunque di che parla?”
“Racconta le vicende di una popolazione primitiva e nomade che esplora terre sconosciute e ad un certo punto mi dice che si accampano vicino ad un grande fiume che sfocia nel Danubio. Tu hai idea di quale fiume si tratti?”
“Boh… il Danubio ha decine di affluenti, ma l’unico grande che mi viene in mente è la Sava, anche perché ho abitato a Belgrado e il punto in cui i due fiumi si uniscono davanti alla fortezza del Kalemegdan l’avevo vicino a casa. Ci sarebbe anche l’Inn, ma è molto più a monte e non è tanto grande…”
“Mah.. per me ti dimentichi qualche fiume… puoi andare a controllare su Google maps?”

Mi alzo nuovamente, torno al telefonino con il cane che stavolta ha l’aria del “Ehi! Qui c’è gente che sta dormendo… basta andare su e giù!” e poi ritorno sotto alle coperte.
“Avevi ragione, oltre alla Sava c’era anche la Drava… contenta?”
“Sì… comunque, ora girati sul fianco…”
“Oooh! Finalmente si spegne la luce e dormiamo?”
“No! Mi serve la tua schiena per fare da leggio, cosi posso cambiare posizione e appoggiare il libro …”
Beh, non ci crederete, ma quando alla fine l’elfa ha spento la luce ormai ero così sveglio che ho passato alcune ore ad immaginarmi di pescare carpe sulle rive del Danubio, ma non ne ho presa nemmeno una.

venerdì 2 settembre 2022

Quelli che hanno lo smartphone che si attiva per conto suo e "fa cose"


Il mio smartphone, forse perché annoiato di stare confinato nella tasca posteriore dei pantaloni quando vado in giro con il bretone mentre lui vorrebbe vedere il mondo e farsi notare dagli altri telefonini, ogni tanto si avvia per conto suo e "fa cose".

Per esempio, chiama persone prese a caso dal mio elenco dei contatti che poco dopo mi richiamano per chiedere come mai li avessi cercati, costringendomi ad un imbarazzato "Scusami, ti avevo chiamata/o per sbaglio, ma almeno ne approfitto per salutarti con tanta simpatia" non potendo ovviamente rivelare che a chiamarli era stata la mia natica destra.

Oggi lo Xiaomi mi ha chiamato lo spazzacamino che era venuto il mese scorso e ho dovuto salutare con tanta simpatia anche lui. Ora mi aspetto di salutare anche il tizio dell'espurgo pozzi o il dentista.
Ogni tanto mi lancia qualche video musicale di YouTube (canzoncine "tumpa tumpa tumpa" da discoteca di periferia, da vergognarsi) oppure la pubblicità di un'auto dove una voce suadente ti dice "Abbiamo progettato un Suv di livello superiore e l'abbiamo fatto per te!" costringendoti a replicare "Ma chi ve l'ha chiesto?".

Stamani, invece, mentre facevo colazione seduto al caffè con mia moglie, lo smartphone mi ha annunciato dal fondoschiena le previsioni del tempo e le temperature qui a Mestre nelle prossime ore. L'elfa mi ha anche ringraziato dell'informazione pensando l'avessi fatto apposta.

A volte, mentre cammino, mi giunge una voce che mi propone di chiedergli qualcosa tipo "ricordami di portare giù la spazzatura" o di raccontarmi una barzelletta (non fatelo, sarebbero penose anche in terza elementare). Così, per accontentarlo una volta tanto, poco fa ho usato la sua funzione di ricerca vocale.

Per tre volte gli ho chiesto di cercare il sito "il mio libro" cercando anche di scandire bene le parole e parlare forte e chiaro, come direbbe John Wayne. Mi ha aperto nell'ordine la pagina web di Libero, il sito di un agriturismo in Umbria e infine la pagina di un' agenzia di viaggi polacca. Epic fail...




venerdì 19 agosto 2022

Quelli che, appena arrivati nell'alberghetto di montagna stanchi e accaldati, prima di poter salire in camera ascoltano pazientemente le ciance della titolare e si morsicano la lingua per non replicare.


Di solito, quando parlo in sua presenza con persone appena conosciute che per far breccia nella mia simpatia iniziano a sciorinare tutto il loro repertorio di banalità, battutine, freddure da scuola elementare e luoghi comuni, essendole nota la mia insofferenza per il cretino medio, mi arrivano subito pestatine di piede molto discrete dell’elfa (mia moglie è chiamata così in famiglia per via che tira con l'arco come Legolas e ha un carattere spumantino) che significano: “Togli subito il dito dal grilletto, qualunque cretineria dica… lo so che stai per sparare una bordata, ma non farlo. Rassegnati e assumi l’aria consenziente, quella con il sorrisetto bonario tipo cheese!”, ma questa volta è stato davvero difficile trattenersi, dunque, ancora una volta, il piedino dell’elfa è stato salvifico, altrimenti avremmo iniziato e proseguito la vacanza in albergo in un clima teso.

Questo è infatti il dialogo intercorso con la giovane e garrula titolare del nostro alberghetto di montagna (l'unico trovato nella settimana di ferragosto, preso per disperazione perché nelle altre valli non c'era nemmeno un fienile disponibile e pagato come un cinque stelle anche se ne aveva due) al momento della riconsegna delle carte d’identità dopo la registrazione e la consegna della chiave della stanza. Tra parentesi riporto quel che avrei voluto replicarle e non ho potuto:

“Aaaah! Non mi dite che siete di Venezia!”
(perché te lo dovrei confermare se l’hai appena letto sulle nostre carte d’identità?)
“Sì, certo… siamo veneziani”
La signora assume l’aria estasiata
“Che bello!” (sì, è piacevole…) Ma lo sa che abbiamo avuto per trent’anni un cliente di Venezia come voi che era affezionatissimo?”
(No, se era scritto sul Gazzettino mi è sfuggito e comunque come posso saperlo se questa è la prima volta che ci vediamo?)
L’aria della signora vira di colpo dall’allegro con brio al preoccupato “Ma purtroppo sono quattro anni che non lo vedo…” (vabbè… o è morto o si è rotto i coglioni di queste ciance inutili e ha cambiato albergo).




La nostra interlocutrice, superato il momento toccante di malinconia, riprende subito quota con una brillante idea.
"Magari, se fosse stato in albergo, potevate fare amicizia…”
(Come no? Morena ed io ci domandavamo durante il viaggio se ci sarebbe stato qualche veneziano in albergo, ma solo perché di solito evitiamo Fiera di Primiero, la valle di Zoldo e quella di Fiemme proprio per evitare di incontrare migliaia di mestrini e veneziani, che poi non ci sentiamo più in vacanza e ci sembra di essere in Piazza Ferretto o nelle Mercerie)

La signora, non trovando alcun supporto da noi, gioca le sue ultime carte per vedere se poteva far scattare l’empatia con dei veneziani, un po’ come il vecchietto ottantenne di Pian di Meleto che per trovare comunque un punto di contatto con noi e il Veneto ci aveva detto di aver fatto il militare a Gorizia.
“Questo signore era di Cannaregio, sapete dov’è?”
(No, a Venezia non l'ho mai sentito, ma ora lo cerco su Google maps…)




Arriva subito il primo calcetto di Morena, celato allo sguardo dal trolley che è posato davanti a me.
Così, dopo un respiro profondo, le replico cortesemente: “Sì, ovviamente lo conosco, Cannaregio è il più grande sestiere di Venezia”
“Ah! bene... ma forse, se mi ricordassi qual era il nome della strada o il numero civico di casa sua, potreste capire dove abitava?”
Altro calcetto dell’elfa…
“Non credo proprio, a parte Strada Nova, noi non abbiamo strade, ma calli, callette, rughe, fondamenta, campielli e cose del genere e in ogni caso le numerazioni civiche a Venezia coprono tutto il sestiere, quindi partono dal numero 1 e, proseguendo con un andamento circolare, noto solo ai postini, arrivano a qualche migliaio. Io, per esempio, abitavo a Castello 5653..."
(dai bellezza, ora chiedimi meravigliata come mai abbiamo tanti castelli a Venezia, così facciamo l’en plein)
“Certo, capisco… comunque, questo signore veneziano era di Cannaregio e si chiamava Mario. Non è che per caso lo conoscete?”
(Ehi, ciccia! Se questo tipo si fosse chiamato Ajeje Brazorf magari ci pensavo anche, ma hai un idea di quanti Mario ci sono in un sestiere di trentamila persone? Venezia non è mica il paesotto qui vicino con duecento anime, un bar-tabacchi, il negozietto della Famiglia Cooperativa e dove vi conoscete tutti…)

Questa volta il pestone dell’elfa è forte e doloroso, tanto da spostare perfino il trolley.
“No, signora… l’unico Mario di Cannaregio che mi viene in mente era Marietto, uno che veniva sempre allo stadio a tifare il Venezia, soprattutto per i brindisi nelle osterie dopo le partite quando il Venezia vinceva, ma per fortuna vinceva poco. In ogni caso, a dispetto del nome, Marietto era un omone alto due metri e dieci, sempre un po' malfermo sulle gambe per via delle ombre de vin… poteva essere lui?”
“No… questo Mario che veniva qui era un signore piccolino e con i baffi”
(Ah! Se di mestiere faceva l'idraulico forse l’ho visto in un videogioco della Nintendo...)”
“Allora non ci pare di conoscerlo, vero Morena?”




L’elfa ribatte subito con aria di sollievo per la fine dei convenevoli.
“No infatti… mio marito ed io non lo conosciamo. La nostra stanza è al primo piano, vero?”
“Si, certo… ”
“Bene, a dopo, allora…”
"Ah! la colazione domani inizia alle otto in punto, mi raccomando!"
"Grazie, saremo puntuali..."

Prendiamo i trolley e iniziamo a salire le scale preceduti dal cane che ci fa strada, mentre l’elfa, che ancora ridacchia tra sé e sé, si gira verso di me dicendo: “i commenti li facciamo dopo, in camera…”
“Sì, ma ho sofferto l’anima mia…. questa tipa è davvero una cret…”
“Ti ho detto dopo… comunque sei stato bravo.”
“Grazie, ma di un panino con la soppressa come premio, più tardi, giù in paese, non se ne parla, vero?”
“No, perché ti fa male…”
“Come l’ultimo pestone che mi hai dato?”
“Sì… fa conto che sia una cosa del genere…”

Quelli che hanno il vicino di ombrellone che fa i cruciverba ad alta voce.


Ora del dopo pranzo in spiaggia, sole a picco e caldo atroce sotto l’ombrellone dove c’è calma piatta di vento, tanto da farti pensare che almeno il tuo forno di casa è ventilato, invece qui è statico. Mentre cerchi di appisolarti per smaltire il panino e la birra che ha già iniziato a fuoriuscire per conto suo sotto forma di rivoletti di sudore e, dopo il Despacito che proviene dal tizio alla cassa che tiene la radio accesa, provi ad escludere dalla tua vita anche il bambino che, un paio di ombrelloni più in là, si diverte da alcuni minuti a far scrocchiare la plastica di una bottiglia vuota di minerale rivalutandoti la nobile figura di Erode, ecco che il vecchietto seduto dietro a te inizia a cimentarsi con un cruciverba della Settimana enigmistica compitandolo ad alta voce, come i bambini delle elementari.

“Quattro verticale… l’Humprey del cinema”
“Bogart” lo soccorre subito la moglie (esatto, però era facile)
"Dieci verticale.. il Don ballerino"
"Lurio..." (peccato, speravo dicesse Abbondio...)
“Nove orizzontale… il fiume delle quattro capitali”

E qui si ride, penso subito… infatti inizia immediatamente con il Reno (ma no, el xè de sette lettare) così la moglie lo corregge con la Senna (sono cinque lettere signora… può far di meglio) e poi con il Volga (sempre cinque signora…zoppichiamo anche con la matematica, eh?) e perfino con il Tamigi (sono sei lettere… dai che ci avviciniamo!). Alla fine, quando già stai per fischiettare il bel Danubio blu, lui ci arriva da solo e si capisce che ne è soddisfatto.

Avanti con la prossima: “Quindici verticale… lo scienziato che ha scoperto i buchi neri” (Oddio! Questa è davvero dura…)
“Galileo!”
“No…”
“Leonardo…”
“No…”
“Michelangelo…” (sì, sì… vabbè.)
“No, quèo el xè un pitor … me serve due lettere soltanto, le ga da essar le iniziali… una xè la H di chiodo, parché quel che se batte col martèo el xè el ciodo…”
“Nol xe l’incudine?”
“No… me serve de sie lettere, incudine el xè de oto…” (giusto, lui la matematica la sa…immagino che lei stia per replicare che ciodo el xe de cinque lettere, ma poi si trattiene)




Alla fine, con l’aiuto di vari incroci, scoprono anche la S però si capisce che sui due permane la nebbia in Val Padana riguardo al nome completo dello scienziato. Quindi, dopo essere andati via spediti sul Cristiano calciatore, sulle lasagne intese come "il piatto di Bologna" e sulla cantante di “Maledetta primavera” ma con un nuovo piccolo intoppo sulla targa di Sondrio, lui prosegue da solo, mentre la moglie si stende sul lettino ad abbronzarsi, finché, dopo una decina di minuti si alza e gli chiede spazientita “Ma ti gà finìo col cruciverba, che go vogia de andar in acqua?”
“Sì, lo go quasì finio… me manca solo una parola de quattro lettere che non so bon de trovar…”
“Mona?” (suggerimento ad alta voce del vicino di ombrellone, che quando ci vuole, ci vuole…)