lunedì 13 aprile 2020

L'Enigma di Ponsard - Capitolo 14 (finale)



Il lavoro di lavaggio e vestizione dei figli per renderli presentabili agli ospiti, come espressamente raccomandato da Milla, ebbe termine verso le undici di mattina dopo quasi un’ora di lotta con due anguille sguscianti che trovavano da ridire su tutto. Subito dopo, mentre i due assatanati riprendevano quell’attività ludica che vanificando tutto il mio lavoro li avrebbe presto riportati all’indecoroso stato di partenza, mi concessi un attimo di respiro prima di rifare i letti. Spalancai la nostra finestra per dare aria alla stanza e guardai verso l’orizzonte. 
Malgrado fossimo già a maggio inoltrato, il tempo sembrava essere tornato indietro di alcuni mesi. Dopo la pioggia d’inizio settimana, che aveva indotto mia suocera alla ferale profezia “maggio piovoso, vino costoso” (accolta da Giulio con gesti scaramantici irriferibili), le ultime notti erano state fredde e nebbiose e anche se un vento teso aveva spazzato via la foschia del mattino, la giornata prometteva poco di buono. 

La cima del Cesen era nascosta fin dall’alba dalle nuvole, che si estendevano grigiastre ben oltre il Piave che, scintillante nei giorni di sole, ora appariva bigio e triste, come in pieno inverno. Dalla finestra della nostra camera da letto scorgevo tra gli alberi che la circondavano anche la sagoma imponente di Villa Seiffert chiusa fino a giugno per non meglio precisati lavori di ristrutturazione. 
Dal giardino mi giunse improvviso un cinguettio di voci femminili. Volsi lo sguardo in quella direzione e osservai ammirato le donne di casa che si adoperavano alacremente a preparare la tavola sotto l’ombrello protettivo del noce secolare che abbelliva l’ingresso alla nostra casa. Scesi giù in cucina accolto dal corroborante profumo del brodo che mia suocera stava rimescolando con cura nel pentolone delle occasioni conviviali, probabilmente quello che la brava donna aveva cercato a lungo nel cassettone delle pentole svegliandomi di prima mattina. 
<<Cosa fa di buono? E’ il fondo di un risotto?>>. 

Sentendo quella voce alle sua spalle la signora Lucia si voltò di scatto brandendo minacciosa il mestolo, poi, accortasi che ero io, sorrise affettuosa.<<Ah! Era lei, Carlo? Mi ha fatto ciapàr un tremo… comunque, nol xè per un risotto, so drìo a far la sopa de trippe >>. 
<<La zuppa di trippe? Eccellente! Con una giornata invernale come questa un bel brodo fumante ci sta a meraviglia. Ma piuttosto, perché mangiamo all’aperto? Non era meglio fare tutto in casa? A parte che è abbastanza fresco per stare fuori, c’è il rischio di pioggia>>. 
<<No, Camilla la ga deciso così. Dise che al capitano ghe piase magnar fora e lei sa come la xe fata quella tosa. Quando che la se mette in testa qualche cosa no ghe la cava nissuni>>. 
<<Sì, ho fatto qualche esperienza della cocciutaggine di sua figlia... >>. 
La signora Lucia sorrise imbarazzata quasi fosse un rimprovero diretto a lei.<<Comunque vedarà che nol piove. Sa come che se dise, no? Vento de matin, el sol xè vicìn! >>. 
<<Vuol dire che questo vento porterà via le nuvole?>>. 
Mia suocera riprese a mescolare la zuppa con decisione. 
<<Si! Staga tranquillo. All’ora de magnar vegnarà fora el sol!>> 
Presi per buono l’auspicio e mi dedicai alla raccolta di altre informazioni. <<Ma chi sono gli invitati oltre a Viccaro? Ho contato sulla tavola una decina di coperti. Vengono anche gli zii?>>. 
<<No, poareti! No ghe lo dito? Orio el xe sta mal, el xe in ospedal >>. 
<<No, non lo sapevo. Poveretto. Cosa ha avuto? >>. 
La signora Lucia s’inceppò di colpo.
<<Aspetti Carlo, che la xe una roba difficile…>>. 
Lo sguardo della mia interlocutrice si fece opaco perché evidentemente cercava di concentrarsi su quel termine astruso. La lasciai riflettere gusto il tempo di raggiungere il sacchetto del pane e di afferrare una michetta. Stavo deglutendo il primo boccone quando la poverina ritrovò quel che cercava ed esclamò soddisfatta. <<Ecco! La Ginetta me ga dito che lo zio Orio ha avuto un attacco di “Vagina pettori”. E’ una cosa grave? >> 
Per un attimo rischiai di soffocarmi con il pane, poi evitai di spiegarle che più probabilmente si trattava di “Angina pectoris” potendo escludere che alle tante sciagure che lo affliggevano, a cominciare dalla moglie, quel poveretto avesse anche aggiunto quella dell’ermafroditismo. La tranquillizzai genericamente abbandonando ogni spiegazione scientifica per non aumentare la sua ipocondria e la lasciai volentieri alla sua zuppa.

Raggiunsi le due donne che ormai erano quasi al termine del loro lavoro e mi fermai a guardarle a braccia conserte, mentre Paté correva festante dalla casa come ogni volta che si avvicinava l’ora di pranzo. Di lì a poco arrivò anche Giulio con la prima tornata di bottiglie di vino. L’uomo era talmente raggiante che alla fine cedetti alla tentazione e chiesi lumi a Milla.<<Si può sapere cosa ha tuo fratello? E’ così sorridente che tra poco si slogherà la mascella >>. 
La mia compagna mi tirò da parte con aria indispettita <<Come al solito sei sempre l’ultimo a sapere le cose >>. 
Replicai indispettito. <<Se non me le dite >>. 
<<Ne ho parlato con la mamma davanti a te, ieri sera. Possibile che quando c’è la Domenica Sportiva tu spenga sempre l’audio? >>. 
<<Solo quando c’è il calcio. Quando viene l’ippica mi si può parlare >>. 

Milla mi mandò in un posto irriferibile, poi si avvicinò complice. <<Beh! La novità è che Giulio ha sciolto le sue riserve e si è candidato ufficialmente a sindaco di Sant’Anastasia con una sua lista civica. Quindi oggi, oltre a Viccaro verranno a pranzo alcuni suoi grandi elettori >>. 
<<Vuoi dire tutta l’allegra confraternita dell’Accademia del Musetto? >>. 
<<Tutti no, non lo avrei permesso, ma comunque viene il fior fiore di quella banda di avvinazzati. L’elite di intellettuali che si propone di governare questo piccolo e sfortunato paese e di cui mio fratello crede di essere la punta di diamante>>. 
<<Meno male che ci saranno anche i carabinieri, così se ci fregano le grappe come l’altra volta li portiamo direttamente in guardina! Comunque, fammi vivere tranquillo: le probabilità per Giulio di essere eletto sono pari allo zero, vero?>>. 
<<No, non direi. L’avvocato Nardello controlla ancora un buon pacchetto di voti tra i commercianti e anche Levorato che fa paghe e contributi per la metà delle imprese della zona non scherza. Dalla loro c’è anche il fatto che l’altra lista civica non ha ancora scelto ufficialmente il candidato, ma sembra si tratti di quella nullità del direttore didattico delle elementari … >>. 
<< Oh mamma mia! Quello è anche di Cosenza, quindi da queste parti lo vota solo sua moglie e non è neppure detto. Tuo fratello ha già vinto in partenza con percentuali bulgare. Ci sono idee per un programma di governo? >> 
<<Poche, ma ottenebrate dal vino. Comunque l’aria che tira è di taglio clericale conservatore>>. 
<< Ma Giulio che ne dice? >>. 
<<E’ in piena fase peronista. Delira che vuole essere il sindaco di tutto il popolo, a destra e a manca che sia >>. 
<<Davvero? Vedo già Nadia nelle vesti dell’Evita Peron di Sant’Anastasia. Sarà impedibile! A questo punto scommetto che anche Don Fabio è schierato dalla loro parte e gli porterà i voti delle vecchiette >>. 
La mia consorte annuì.<<Scommessa vinta facilmente >>. 
<<Quindi, se capisco bene, quelle due vecchie volpi riciclate di Nardello e Lavorato hanno trovato la testa di turco piena di soldi da mandare avanti e che una volta eletto conterà come il due di picche a briscola, mentre loro alle sue spalle faranno gli affarucci di sempre>>. 
Milla allargò le braccia rassegnata. 
<<Impietoso, ma è così! >>. 
<<Di a tuo fratello che il mio voto dovrà sudarselo! >>. 
<<Se è per questo non avrà neppure il mio e forse neppure quello di Nadia… al massimo solo quello della mamma, che tanto quel che le dice il prete lo vota comunque >>. 

Le nostre considerazioni bellicose furono interrotte dall’arrivo di alcune macchine d’invitati subito accolte da Giulio e signora con grande spreco d’inchini e baciamani. 
Al seguito dei notabili ospiti di Giulio, spiccavano alcune mogli imbarazzanti. Una di loro, malgrado fossimo a maggio inoltrato, aveva approfittato di quel vento fresco per sfoggiare una pelliccia lunga fino a terra e con la quale spazzava volonterosamente le foglie del nostro giardino. Altre, oltre ad essere bardate da chili di chincaglierie sfoggiavano vestitini da matrimonio inguardabili, in un trionfo di chiffon e merletti. 
Per contrasto rivolsi lo sguardo verso Milla che senza ombra di trucco e con il suo maglionaccio norvegese sui jeans di velluto era senz’altro mille volte più carina di tutte quelle carampane e glielo sussurrai all’orecchio ricevendone un sorriso grato. Poi, per evitare tutti quei convenevoli e anche per rimarcare il nostro dissenso, ci appartammo con la scusa di aiutare la signora Lucia con i preparativi. 
Da lontano mi giungeva a tratti la voce possente di Giulio che disinvoltamente illustrava ai suoi ospiti come fosse riuscito a venire a capo della vicenda che ormai era su tutti i giornali. Sperai per lui che sua sorella non lo sentisse. 

Come Dio volle, a toglierci dall’imbarazzo si profilò al cancello l’Alfetta di Viccaro. Milla gli andò incontro decisa e appena il capitano scese dalla macchina gli si parò davanti a mano tesa e restò immobile in quella posizione, neanche fosse una di quelle mendicanti che chiedono la carità agli incroci. Il nostro amico, dopo averci salutato, fece finta di non capire il perché di quell’atteggiamento e mi lanciò uno sguardo interrogativo, così gli concessi un piccolo aiuto. 
<<Caro capitano, nel darle questo inconsueto benvenuto mia moglie vuole ricordarle a modo suo che c’è una piccola tassa d’ingresso: la restituzione della sua patente! Oggi sono trascorsi esattamente quindici giorni dal ritiro>>. 
Viccaro guardò l’orologio poi sorrise sornione ignorando volutamente l’interessata e la sua mano tesa. <<Veramente dovrebbe dire alla cara signora Camilla che è troppo impaziente, perché la patente le è stata ritirata quindici giorni fa alle diciannove e trenta, dunque siamo piuttosto in anticipo. Comunque, visto che la signora in questione è sempre così carina da invitarmi, vedremo di essere dolci con lei >>. 
Detto questo, prelevò dall’interno della vettura una bella scatola azzurra di biscotti siciliani guarnita con un fiocco argentato da cui penzolava la patente di Milla che a quel punto, non senza un certo mio imbarazzo, abbracciò con un grido di gioia il capitano e gli stampò due bacioni sulle guance facendogli anche ruzzolare il berretto a terra. 

Dopo essersi ricomposto, ed ancora un po’ imbarazzato per quelle effusioni pubbliche, Viccaro andò a salutare gli altri ospiti, poi, mentre Milla proseguiva nei convenevoli, tornò sui suoi passi e mi tirò da parte per un braccio. Poi, una volta lontani dal gruppo mi bisbigliò all’orecchio: 
<<Come mai c’è l’avvocato Nardello a questa tavola? >>. 
<<E’ uno dei grandi elettori di mio cognato Giulio, pare che gli abbia garantito l’elezione a sindaco >>. 
Il capitano assunse un’aria severa. 
<<Allora sarà bene che faccia quattro chiacchiere riservatamente con il caro Giulio prima che si metta nei guai. Lo sa che Nardello è da tempo sotto inchiesta e sta per essere incriminato formalmente? >>. 
<<Ah! Temo di no … cosa ha combinato? >>. 
<<Assieme ad altri galantuomini, uno dei quali gli fa compagnia a questo tavolo, ha truffato quattro miliardi alla Cee con i contributi per la soia. Stando alle sue dichiarazioni tutte queste colline dovrebbero essere ricoperte di soia. Anche questo prato>>. 
<<Allora sarà bene parlargliene! >>. 
<<Direi di si! Intanto ne metta al corrente sua moglie, e poi me lo mandi nei prossimi giorni. Sarà un colloquio riservato, ovviamente >>. 
<<Ci conti... >>. 

Milla ci raggiunse e così accompagnammo l’ospite a tavola e ci sedemmo per conto nostro all’estremità del tavolo lasciando a distanza di sicurezza la comitiva di Giulio già intenta a far baccano e immagino poco ansiosa della vicinanza di un carabiniere. Subito dopo fummo raggiunti dai nostri bambini festanti e alla caccia di omaggi da quell’ospite con cui ormai si sentivano in confidenza. Viccaro, che probabilmente se lo aspettava, tirò fuori dalle tasche due pacchettini ben confezionati.<<Questo è un regalino per voi, bambini. Non litigatevi perché tanto sono uguali >>. 
I miei figli porsero all’unisono le pargolette mani e in men che non si dica cominciarono a sventrare brutalmente i due pacchetti per farne affiorare il contenuto. 
Il primo a riuscire nell’impresa fu Gianmarco che mi porse trionfante il suo regalo perché lo apprezzassi. Si trattava del modellino in ferro dell’Alfetta dei carabinieri. 
Guardai Viccaro che rimirava compiaciuto l’effetto del suo dono. <<Originale! Davvero originale. Devo ammettere che il nostro capitano conosce l’arte di stupirci… >>. 

Viccaro non parve turbato dalle mie ironie e si rivolse direttamente al mio primogenito per assicurarsene il consenso. <<E’ la copia della mia macchina, quella che uso per prendere i banditi … ti piace, vero? >> 
<<Ho già quella della polizia >> 
In tavola scese un momento di gelo, poi il capitano si riprese. 
<<Si? Beh… ma la mia è più veloce! >> 
Sorrisi al nostro amico per quella bugia spudorata, poi, visto che da lontano avevo scorto mia suocera arrivare con la pentola fumante della zuppa di trippe, decisi di tagliare corto. 
<<Bambini! Ho una bellissima idea! Sapete che cosa fate? Uno di voi due tiene la macchina dei carabinieri e l’altro prende dalla sua stanza un modellino diverso di automobile e fa finta che sia la nostra Peugeot, poi fate una pista nel cortile e giocate a fare gli inseguimenti tra i carabinieri e la mamma. Vince chi riesce ad acciuffarla e le toglie la patente.Vi va? >> 
L’idea piacque moltissimo e, coerentemente con le loro pulsioni edipiche, i due pargoli si spartirono i ruoli senza troppe discussioni. Quindi, visto che avevano mangiato in precedenza, sparirono alla nostra vista in un baleno per lanciarsi a capofitto in quel nuovo gioco. 

Subito dopo Milla, che non aspettava altro, entrò subito in argomento mentre mia suocera versava il brodo fumante sui crostoni di pane nei piatti e Nadia vi grattugiava energicamente il formaggio facendo ballonzolare allegramente tutta la sua mercanzia. 
<<Ci può dire qualcosa dell’interrogatorio di Maria? Cosa è emerso? >> 
Viccaro soffiò a lungo sul cucchiaio prima di assaggiare, poi, dopo aver tranquillizzato la signora Lucia che la zuppa era ottima, iniziò a rispondere. <<Sostanzialmente la ragazza ha confermato la vostra versione dei fatti. E’ stata una serie di vendette che traggono origine dalle vicende della guerra di liberazione in Algeria. Ponsard e i suoi tre amici, tutti già compagni di università ed impegnati nell’estrema destra francese, all’epoca dei fatti militavano nella decima legione paracadutisti del generale Massu, ma in realtà costituivano un piccolo gruppo specializzato in azioni “speciali” contro chiunque fosse anche solo sospettato di avere rapporti con lo FLN. 
In pratica avevano messo in piedi una sorta di “squadra della morte” specializzata in omicidi e torture e che spesso agiva autonomamente, fuori dalle direttive del comando e approfittando degli ampi margini d’illegalità che la situazione consentiva… >>… 

Milla interruppe per un istante il capitano. <<Mi tolga una curiosità: anche Tarentin ha un tatuaggio con i quattro assi? >>. 
<<Sì! La vostra supposizione era giusta. Tarentin ha l’asso di fiori in evidenza. Abbiamo anche verificato che Chevalier e Carmandes erano tatuati allo stesso modo. Si sentivano un gruppo forte e intoccabile e avevano formalizzato così il loro legame >>. 
<<E con Maria cosa è successo? >>. 
<<Maria, anzi, Amina al Hassan, che è il suo vero nome, aveva un fratello che simpatizzava con lo FLN. Una sera, mentre tutta la famiglia era a cena, sono arrivati i quattro e dopo aver sfondato la porta hanno fatto irruzione in casa. Maria, che all’epoca aveva cinque anni, si è rifugiata sotto il tavolo e da lì ha visto Ponsard sparare a bruciapelo al padre e alla madre che avevano cercato di reagire mentre gli altri portavano via il fratello. Poi Ponsard si è accorto di lei e si è abbassato per afferrarla e probabilmente ucciderla, ma in quel momento è rientrato in casa Chevalier che gli ha detto di andare via alla svelta che stava arrivando gente. Così l’ha lasciata perdere ed è scappato. Naturalmente, del fratello non si è più saputo nulla >>. 

Milla era visibilmente turbata da quel racconto e si asciugò velocemente una lacrima che le aveva fatto capolino sulla guancia. <<Ero molto scossa dalla morte di Ponsard e la consideravo quasi una mia responsabilità, visto che gli avevo portato io la sua giustiziera a portata di tiro. Ora sono confusa e non so più dove stesse il torto e la ragione. Anzi, ora lo so. Povera ragazza! Che vicenda terribile ha vissuto! Lo so che non si deve simpatizzare con una che in fondo è pluriomicida, ma in questo caso mi sento di fare un’eccezione. Al suo posto non so se avrei agito diversamente >>. 
<<Sì, la capisco, anch’io provo della simpatia umana per lei. Comunque, ha pur sempre ucciso tre volte e stava per farlo ancora, se non la fermavamo >>. 
<<Che ne sarà di lei? >>. 
<<Per ora è al carcere femminile della Giudecca con l’accusa di omicidio volontario, ma poi vedremo come evolverà la sua posizione processuale. La Francia ha già avvisato che ne chiederà l’estradizione, ma avendo commesso reati anche in Italia, dubito che sarà concessa, perché qui, probabilmente, la pena, pur commisurata alla gravità del fatto, sarà più lieve>>. 
<<E’ possibile andarla a trovare in carcere? Mi farebbe piacere >>. 
<<No, adesso no. E’ ancora in isolamento. Appena sarà possibile stia tranquilla che glielo farò sapere >>. 
<<Quanto pensa che le daranno? >>. 
<<Adesso non glielo so dire. Bisognerà vedere se il giudice le riconoscerà le attenuanti, che a mio parere ci sono, e se l’imputazione non si modificherà >>. 
<<Ma lei che dice? >>. 
<<E’ molto calma, sembra indifferente a quello che è successo e succederà. Riflette sempre prima di parlare e soppesa con cura ogni parola. Ha ammesso tutto senza problemi fin dal primo incontro con il magistrato. Ha solo cercato di alleggerire la posizione del suo ragazzo, attribuendogli unicamente un ruolo di complice. Così si è assunta la responsabilità diretta degli omicidi. Dice che è rammaricata di non essere riuscita a eliminare anche Tarentin, ma che comunque era stato Ponsard a sparare a suo padre e a sua madre e quindi è contenta di avergli dato la morte di suo pugno. Quando parla di quell’uomo ha ancora dei lampi di odio negli occhi che la dicono lunga sulla sua determinazione >>. 
<<Ma poi, come ha fatto a ritrovare Ponsard? >>. 
<<E’ stata una cosa fortuita. La ragazza, in effetti, risiedeva in Umbria da qualche anno convivendo con questo Jussef, un marocchino di Rabat più giovane di lei, ed era iscritta come fuori corso all’Università per stranieri di Perugia. Stava preparando la sua tesi in biblioteca e una mattina, mentre consultava la rivista della Società Francese di Psicologia ha visto le foto dei relatori ad un convegno e ha fatto un colpo perché si è rivista le facce di Ponsard e Chevalier davanti a lei e in primo piano. 
Mi ha detto di averli riconosciuti immediatamente e, del resto, credo che quella sera i volti di quei due aguzzini le fossero rimasti ben stampati in mente. Così, dopo aver coinvolto anche il suo ragazzo, è rientrata in Francia per rintracciarli. Ha cominciato da Chevalier. Lo ha pedinato per qualche giorno, ne ha capito le abitudini, e non era difficile perché l’uomo era molto metodico, e una sera lo ha atteso accanto all’auto che la vittima parcheggiava sempre in una stradina secondaria, poco frequentata. Come lui è arrivato lo ha distratto con la scusa di chiedere un’informazione. Poi ha estratto la rivoltella dalla borsetta e lo ha obbligato a salire in macchina>>. 
<<Perché non lo ha ucciso subito? >>. 
<<Non lo ha ucciso subito perché voleva avere da lui delle informazioni sugli altri tre. Così, assieme a Jussef, lo hanno condotto in una zona solitaria e dopo avergli promessa salva la vita se collaborava gli hanno estorto i nomi dei suoi compagni. Quindi lo hanno ucciso a colpi di pietra e hanno inscenato il delitto occasionale a sfondo sessuale…>>. 
<<Questo spiega anche perché fosse scomparsa l’agenda di Chevalier. C’erano gli indirizzi e i numeri di telefono degli altri tre >>. 
<<Non di tutti e tre, perché in realtà mancava il nome di Tarentin e tra un attimo vi spiegherò il perché! Comunque, di lì a poco, è stato il turno di Carmandes, l’editore. Anche per lui è stato facile. È bastato osservarne le abitudini per scoprire che l’uomo era solito fare jogging la mattina presto per le strade di campagna. Investirlo e scappare per quei due è stata una cosa da ragazzi >>. 
<<E Ponsard? >>. 
<<Beh! Quello è stato il bersaglio più difficile! Infatti, dopo la scomparsa in tempi ravvicinati dei suoi due camerati l’uomo, che era sicuramente furbo, ha capito che qualcuno stava cercando vendette e che probabilmente il prossimo sarebbe stato lui. Non ha collegato subito la cosa alle vicende algerine, e anche il perché di questo ve lo spiegherò dopo, comunque capisce che è il momento di prendere provvedimenti. Così si è armato, ha assunto una guardia del corpo e si è allontanato dalla Francia per qualche tempo, venendo ad alloggiare qui. 
Però, naturalmente, per Maria non è stato difficile scoprire dove sarebbe venuto a far docenza, perché è stata sufficiente una telefonata alla Ponsard & Chevalier per sapere date, luogo e costi d’iscrizione. Lo ha fatto anche perché in un primo tempo aveva pensato di partecipare come corsista e di avvicinarlo in quel modo. Però, si è subito resa conto che le lezioni erano specifiche per un’utenza di specialisti farmaceutici e che il rischio di essere smascherata era alto. 
Così ha deciso di tentare una strada più lunga, ma più subdola ed efficace per raggiungere lo scopo. E’ tornata a Perugia e ripresentandosi al suo vecchio ristorante per qualche giorno è riuscita a rubare il libretto di lavoro del suo collega, poi è arrivata qua sperando di essere assunta. Se non ci fosse stata la possibilità di lavorare nell’albergo, avrebbe cercato di avvicinare Ponsard in qualche altro modo, visto che aveva un mese di tempo per farlo >>. 
<<E noi abbiamo abboccato da idioti >>. 

Rifiutai quell’osservazione troppo colpevolizzante e Viccaro annuendo mi fece intendere di essere d’accordo con me. <<Beh! Scusa Camilla, tu fai come credi, ma io idiota non mi sento, anche se ero favorevole all’assunzione di Maria. Era difficile immaginarlo e poi lei non ci ha mai dato motivo di sospettare di nulla. E’ stata brava, ha lavorato sodo e si è fatta ben volere da tutti, perfino da Giulio, il ché è tutto dire>>. 
<<Infatti, ha ragione suo marito! Non dovete farvene un cruccio, perché la ragazza ha recitato bene la sua parte e non era facile scoprirla. Le avete dato una mano involontariamente quando avete scoperto Mauriot e lo abbiamo disarmato, ma anche questo non si poteva prevedere a cosa avrebbe portato. Comunque, il primo tentativo per uccidere Ponsard è scattato la sera che sua moglie è andata a Venezia con tutta la comitiva. Maria ha fatto finta di andare a casa per ultima, per controllare che il professore fosse a letto e che in albergo ci fosse solo il portiere di notte >>. 
<<Per la verità c’ero anch’io >>. 
<<Lo so! Ma lei non lo poteva sapere perché l’aveva vista andare verso casa e non immaginava che poi sarebbe ritornato con il cane a dar man forte a suo cognato. Comunque, Maria, dopo aver fatto finta di uscire, ha lasciato la porta dell’albergo socchiusa per il suo complice, sapendo che Giulio era solito passare la notte nel salotto davanti al televisore e non in portineria. Così, Jussuf, il suo ragazzo, senza farsene accorgere è salito al piano di sopra con l’intenzione di sparare a Ponsard. Per sorprenderlo nel sonno aveva in tasca il passepartout di Maria, ma ha dovuto rinunciare ai suoi intenti perché non poteva prevedere che Ponsard chiudesse la sua camera anche con il gancetto di sicurezza e quindi non è riuscito ad aprire la porta. Poi siete arrivati voi, lui è scappato in tutta fretta e si è ferito alla coscia scavalcando la cancellata>>. 
<<E questo spiega perché la mattina dopo Maria non è venuta al lavoro: doveva assistere il ferito>> 
<<Infatti, lo ha ricucito lei. Si è comperata del filo e degli aghi per sutura e gli ha dato quattordici punti, senza anestesia>>. 
<<Ma la Trevisan non si è insospettita per quell’acquisto insolito? Come minimo avrebbe dovuto telefonare in albergo per sapere se qualcuno si era fatto male>>. 
<<La ragazza è furba. Ha comperato il tutto in una farmacia di Vittorio Veneto dove non era conosciuta>>.
<<Capisco, ma… cosa sarebbe successo se Giulio avesse sentito lo sparo e fosse intervenuto? >> 

Viccaro si girò verso l’altro capo del tavolo dove Giulio, ignaro, continuava a gozzovigliare con i suoi compagni di baldoria. <<Probabilmente suo cognato ora non sarebbe lì ad addentare quell’arrosto. In caso di emergenza, Jussef avrebbe sparato anche a lui. E’ stata proprio la sua presenza imprevista in albergo che gli ha in qualche modo salvato la pelle, perché due persone e un cane da guardia rendevano la cosa più difficile>>. 
<<Bene! Giulio sarà contento di apprenderlo. Comunque, ci dica il resto…>>. 
<<E’ presto detto! Maria, con Jussef fuori combattimento, si è messa all’opera per arrivare ad un nuovo tentativo. Quindi ha atteso il successivo momento propizio, che era quello della sagra. 
Nel frattempo, dalla litigata in pubblico tra Ponsard e Mauriot, ha avuto modo di apprendere che anche il professore era armato e facendo le pulizie nella sua camera ha rinvenuto facilmente il nascondiglio dell’arma. Questo le ha suggerito di provare ad inscenare un suicidio ed eventualmente, qualora la tesi fosse venuta a cadere, di fabbricare delle prove contro di quella che a quel punto sarebbe apparsa la colpevole più ovvia, cioè Pauline. 
Nei giorni precedenti la sagra si è messa d’impegno per cercare di superare il problema del gancetto, perché ormai il tempo cominciava a venire meno ed essendo ingegnosa ha trovato la soluzione del problema esattamente al suo stesso modo. Così, alla sera, mentre tutti eravate a cena in giardino, ha drogato il latte di Ponsard e lo ha fatto portar su da Nadia, ovviamente ignara. Per un colpo ulteriore di fortuna, Chiariello si è servito dello stesso latte e anche se ne ha preso solo pochi sorsi, giusto per calmare l’acidità di stomaco, poco dopo la partenza di tutti gli ospiti per la sagra, è crollato di colpo. Tra l’altro, non ve lo avevo ancora detto, ma la dose di sonnifero era talmente potente che secondo l’anatomo-patologo che ha fatto l’autopsia, Ponsard, che soffriva di scompensi cardiaci, era probabilmente già morto da una ventina di minuti al momento dello sparo >>. 

Restammo entrambe a bocca aperta per quella rivelazione, poi, Milla fu la prima a riprendere la parola. <<Quindi Maria avrebbe sparato ad un cadavere? >> 
<<Credo di si! Comunque, resta sempre un’assassina, visto che quel sonnifero lo aveva messo lei nel bicchiere. Comunque, senza sospettare che fosse già morto, gli ha sparato usando un cuscino di piume prelevato dalla stanza di Pauline e dopo averne indossato i guanti da sera. Subito dopo aver simulato il suicidio di Ponsard ed aver scritto un foglietto di addio per rendere la cosa più credibile, ha ripulito il pavimento e il letto dalle piume fuoriuscite al momento dello sparo ed è uscita chiudendo il gancetto dall’esterno con lo stesso suo trucco. Infine, è tornata in camera di Pauline ed ha nascosto i guanti tra la rete e il materasso, in modo che non fosse difficile trovarli >>. 
<<E ha buttato il cuscino nel cassonetto! >>. 
<<No! Quello lo ha fatto due giorni dopo, quando è uscita per buttare la spazzatura, ma sono dettagli … e comunque il resto lo sapete>>. 
<<Fin qui è tutto chiaro. Ma come ha fatto ad identificare Tarentin? >>. 
<<Questo è il punto che avevo tenuto in sospeso. In effetti, Maria ha avuto dei problemi. Perché Chevalier non sapeva dove fosse finito Tarentin e non ne aveva il nome sull’agenda >>. 
<<Come mai? >>. 
<<Tarentin, dopo le vicende di Algeria, è venuto in Italia assieme a Pauline e si è sistemato nei pressi di Verona dove per alcuni anni ha svolto attività non chiare. Dobbiamo supporre che, considerando le sue simpatie politiche, svolgesse un ruolo di supporto per l’estrema destra locale che era molto attiva in quegli anni, ma lo stiamo verificando. 
Quel che è certo è che l’uomo disponeva di moltissimo denaro, probabilmente frutto delle razzie fatte in Algeria ai danni delle vittime, oppure, come stiamo valutando, l’uomo era una specie di tesoriere di una sezione dell’OAS che aveva trovato rifugio in Italia. 
Fatto sta che poco dopo Pauline e Tarentin sono raggiunti da Ponsard e i tre lavorano insieme per qualche tempo sotto la copertura dell’agenzia immobiliare finché una bella mattina Ponsard porta via a Tarentin in un sol colpo la donna e i soldi. 
Infatti i due fuggono dapprima in Svizzera e poi Francia con tutto il malloppo e il loro socio, abbandonato, non potendo denunciare il furto minaccia vendette ai loro danni. Ponsard e Pauline, dopo aver depositato una parte dei soldi in una banca d’affari del Canton Ticino, ritrovano il vecchio amico Chevalier e aprono la società. Finanziano anche Carmandes, che nel frattempo ha ereditato la piccola casa editrice della sua famiglia, ma versa in cattive acque e che in seguito diventerà il loro editore. 
Passano diversi anni, la società si afferma e tutto sembra procedere per il meglio, a parte la lite con Chevalier. Però, ad un certo punto, come una folgore caduta dal cielo Maria entra in azione e spariglia le carte a tutti. Infatti, non appena vede cadere i suoi amici sotto i colpi dell’assassino Ponsard pensa istintivamente ad una vendetta tardiva di Tarentin. Tanto che dopo il tentativo compiuto da Jussef di assassinarlo in albergo si persuade definitivamente della cosa. >> 

<<Quindi, a questo punto Ponsard si è finalmente convinto che le minacce vengano proprio dal suo ex amico che lo ha rintracciato e ora gli sta presentando il conto. Ma non è stato imprudente da parte sua stabilirsi proprio qui a poche ore di macchina dal suo rivale? >> 
<<E’ così! Però, a parte che la società versava in cattive acque e quindi l’occasione per far fatturato, anche se in una zona a rischio, non andava perduta, magari voleva anche sfidarlo per indurlo a venire allo scoperto. Ponsard non era nuovo a questi atteggiamenti un po’ guasconi. Poi non dimentichiamo che con una guardia del corpo e in un ambiente protetto come un albergo si sentiva ragionevolmente sicuro. Comunque, giacché è un uomo di azione, decide di prendere il toro per le corna e gli telefona per chiedergli un chiarimento a brutto muso. Il colloquio deve essere stato drammatico. Dapprima gli offre dei soldi, poi i due litigano al telefono, ma alla fine Tarentin accetta di incontrarsi con il vecchio compagno di avventura. Ovviamente, nel recarsi all’appuntamento Ponsard si arma di pistola perché in realtà ha in mente di ucciderlo e quindi sparisce per una giornata senza lasciar detto a nessuno dove stia andando. 
Anche la sua compagna Pauline, che pure nei giorni precedenti aveva cercato di convincerlo dell’innocenza di Tarentin è tenuta all’oscuro della cosa. Quando Ponsard arriva a San Zeno e incontra il suo ex compagno di malefatte, si rende subito conto che quell’uomo, ormai gravemente ammalato, non può certo essere stato in grado di eseguire i delitti precedenti. Così non lo uccide e se ne torna in albergo sempre più confuso su chi gli stia dando la caccia e per quale motivo. 
Ma, purtroppo per lui, non riesce a sospettare di Maria, cosa che del resto non abbiamo fatto neppure noi, se non a cose fatte. In quanto a dove si trovasse Tarentin, Maria ci ha confessato che aveva saputo soltanto che probabilmente si trovava ancora in Italia. In seguito ha avuto la prima informazione utile, sia pure generica, da uno degli assistenti del professore e quindi, una volta appreso che l’uomo doveva risiedere dalle parti di Verona non ha fatto altro che controllare con comodo sull’agenda di Ponsard, che il professore lasciava in camera durante le ore di lezione, se non vi fosse qualche nome e numero con il prefisso di Verona. Lo ha trovato e lo ha chiamato. Tarentin ha risposto e lei ha riagganciato subito perché a quel punto il gioco era fatto. Sapeva dove trovare il quarto uomo! Ha aspettato qualche giorno, subito dopo l’omicidio di Ponsard per vedere come andavano le cose. Poi, appena ha visto che veniva arrestata Pauline con il suo compagno Mauriot ha avuto la certezza di averla fatta franca e si è diretta verso San Zeno per finire la sua vendetta, ma poi siete arrivati voi… >>. 
<<…e con qualche spavento l’abbiamo assicurata alla giustizia >>. 
<<Già! Mi spiace solo che adesso, con quel che hanno detto i giornali sulla villa dei delitti e tutta la pubblicità negativa che ne è derivata temo che dovrete chiudere l’albergo >>. 

Milla guardò il nostro amico con aria stupita per quella considerazione, poi replicò piccata. 
<<Chi glielo ha detto, scusi? Lo abbiamo chiuso per una rinfrescatina, ma siamo già pieni di prenotazioni. Lei non ha idea di quanta gente nutra la passione morbosa di dormire nella stessa stanza dove si è svolto un omicidio. C’è un gruppo fiorentino di studiosi di fenomeni paranormali che quando ha saputo che la villa aveva visto diversi fatti di sangue ci ha fatto una maxi prenotazione perché sono certi che ci siano un mucchio di presenze. Perfino degli inglesi si sono prenotati per qualche notte a fine settembre. Pare che abbiano un’associazione di cultori degli alberghi con fantasma con centinaia d’iscritti. Per non deludere qualcuno dovremo creare diverse stanze del delitto Ponsard>>. 
Viccaro sorrise divertito. << L’avverto che questa si chiama truffa! Devo far finta di non aver sentito? >>. 
Allargai le braccia rassegnato. <<Al suo buon cuore >>. 
<<Comunque, cara signora Camilla, le devo fare i miei più sinceri complimenti per come ha risolto questo caso. Conoscevo da tempo la sua bravura, ma qui è stata eccezionale. Ha dato la polvere a molti miei uomini e mi ci metto anch’io, perché confesso che ero completamente fuori strada >>. 

Guardai la mia compagna deluso per quell’attribuzione di meriti che m’ignorava completamente. Milla, che aveva capito al volo, sorrise affettuosa, poi prese la mia mano tra le sue e replicò al nostro amico. <<Caro capitano, purtroppo lei è fuori strada anche adesso. Guardi che io non ho alcun merito nella soluzione del caso. L’intuizione giusta del collegamento dei delitti con le vicende della lotta di liberazione in Algeria l’ha avuta mio marito. Devo dargliene atto, perché altrimenti anch’io sarei rimasta ancora all’ipotesi del delitto passionale come lei. A volte Carlo mi fa arrabbiare perché io sono un’impulsiva che si butta a capofitto nelle situazioni, mentre lui mantiene sempre un certo distacco aristocratico dalle vicende terrene, però è bravo, perché in tutte le vicende di questi anni, se ci penso, lui ha sempre messo lo zampino nei momenti giusti >>. 

Viccaro mi guardò compiaciuto per la rivelazione. <<Davvero? Beh, quand’è così le faccio i miei complimenti più sinceri. Una volta tanto un po’ d’onore anche a noi uomini>>. 
Subito dopo, si rivolse nuovamente a Milla. << Certo che suo marito, per fare una metafora calcistica, è come il grande Josè Altafini: sembrava assente per tre quarti della partita, poi, quando il pubblico cominciava a spazientirsi, cavava fuori la giocata di genio e ti faceva goal… >>. 

Viste le attenzioni per la mia persona intervenni in quel duetto. <<La ringrazio per il complimento, però l’esempio è infelice per un interista come me. Come lei saprà, Altafini ha giocato nel Milan >>, 
Viccaro sorrise divertito. <<Ma anche nella Juventus, non se lo dimentichi… >> 
Quella precisazione mi confermò un sospetto che covavo da tempo. <<Non mi dica che lei è juventino… >> 
<<Lo sono di famiglia e da almeno trent'anni>>
Feci cenno a Giulio perché si avvicinasse con la sedia, poi guardai Viccaro dritto negli occhi e gli riempii il bicchiere, mentre mia suocera gli serviva una fetta di crostata di pere ancora fragrante di forno. 
<<Bene, capitano! Si metta comodo perché passeremo la prossima ora parlando di rigori dati e non dati >>. 
<<E di sudditanza psicologica!>> aggiunse minaccioso Giulio. 
<<Sono a vostra disposizione! Da dove si comincia?>>. Viccaro raccolse la sfida, intanto che addentava la prima forchettata di dolce. 
<<Cominciamo dalla partita con la Roma, dal goal annullato a Turone… >>. 
Milla ci guardò sgomenta, poi si rassegnò, mentre il sole caldo di maggio faceva finalmente capolino tra le nubi. 

















domenica 12 aprile 2020

L'Enigma di Ponsard - Capitolo 13 (Parte seconda)



Arrivammo a San Zeno, dopo strade e stradine di campagna che costeggiavano la gardesana ed esserci inerpicati lungo le prime pendici del Baldo. Milla si fermò all’ingresso del centro abitato, su una di quelle piazzole panoramiche con il cannocchiale tanto care ai turisti tedeschi. Il pomeriggio di sole stava lasciando il posto ai colori del prossimo crepuscolo e il paesaggio appariva di una dolcezza struggente. Scesi dalla macchina per respirare l’aria frizzante della collina e subito il mio olfatto fu pervaso piacevolmente da un profumo di legna bruciata che mi richiamò alla mente le carni alla brace che mia suocera arrostiva sull’aia di casa. Mi guardai attorno estasiato. Quel buon odore proveniva dal camino di una casa colonica con tanto di pollaio e nell’orto decine di piante di pomodori già cariche di frutti, anche se ancora acerbi. In lontananza il lago scintillava alla luce del sole ormai radente, mentre alle mie spalle il massiccio del Baldo appariva in tutta la sua imponenza. Improvvisamente sentii la nostra macchina che si metteva in moto e Milla che mi gridava di saltare dentro. Riuscii a salire a bordo per un pelo, mentre vedevo sfrecciare al nostro fianco una Regata azzurra.
<< Ci avranno visti?>> 
<<Penso di sì e comunque ci vedranno ora, non appena lei guarda nello specchietto retrovisore>> 
<< Ma non sanno ancora che li abbiamo smascherati>> 
<< Non sono stupidi! Se ci vedono qua lo capiscono subito che non è una coincidenza>>. 
<< Cosa hai in mente di fare?>>. 
<< Li inseguo e provo a tagliargli la strada. Tu metti la cintura che si balla!>>. 

Non c’era bisogno che me lo dicesse, anche perché, conoscendola, se avessi avuto un paracadute a portata di mano, lo avrei indossato. Una lunga sgommata diede il segnale che la danza era cominciata. Le due auto cominciarono a rincorrersi spericolatamente lungo le stradine in discesa che riportavano verso la gardesana e che fortunatamente a quell’ora erano deserte. 
Mi tenni forte aggrappandomi alla maniglia sopra il finestrino. La strada stretta e sconnessa faceva traballare la macchina come una scheggia impazzita. Ad ogni curva benedicevo i potenti freni a disco di cui Loris, il meccanico di Camilla aveva insistito per dotare la nostra vettura. Mai spesa si stava rivelando più opportuna. Tra uno stridio di gomme e il rombo di un’accelerata cercai di far sentire la mia voce. <Come cavolo pensi di raggiungerli? Hanno una macchina più potente della nostra. Anche se è vecchia, sarà almeno una millesei!>>. 

Milla si prese del tempo per rispondere, mentre la nostra Peugeot saltava letteralmente al passaggio su un dosso, facendomi sbattere la testa contro il tettuccio per il contraccolpo. Un vecchio con la bici che arrancava lungo la salita si buttò nei campi per lo spavento. La mia autista gli fece un cenno con la mano per scusarsi. 
<< Sì, ma io da ragazza ho fatto le corse a cronometro sul Fadalto. Per me correre su questi fondi stradali non è un problema, per lei lo è senz’altro, quindi più di tanto non può correre, altrimenti va fuori>> . 
Guardai nello specchietto retrovisore. Il vecchietto, in compagnia di alcune galline, ci stava mandando platealmente a quel paese. Non potevo dargli torto. 

La distanza tra le due auto si manteneva attorno ai cento metri, anche se ad ogni curva Milla, che proprio come un pilota di rally anticipava la sterzata per entrare in derapata e riprendere subito velocità, si avvicinava sensibilmente, salvo poi riperdere terreno sui rettilinei dove giocava la maggiore potenza dell’altro motore. Mentre per l’ennesima volta mi domandavo chi diavolo avessi mai sposato, osservavo affascinato con quanta freddezza e precisione la mia compagna cambiasse velocemente le marce per tenere sempre il motore con il miglior numero di giri. 
All’uscita da un rettilineo, con la Regata che aveva perso velocità si sporse il passeggero e vidi che ci puntava contro una pistola. Gridai subito. <<Attenta che quello spara!>>. 
Milla reagì con due sbandate mozzafiato per impedirgli di prendere la mira. Poco dopo il giovane esplose due colpi in rapida successione che non ci presero e poi, dopo qualche attimo un terzo e un quarto che ebbero la stessa sorte. Il quinto colpo, sparato mentre la macchina sbandava, scheggiò l’asfalto davanti a noi e rimbalzò lontano. L’ultimo colpo, invece, colpì la nostra vettura all’altezza di uno dei fanali, che andò in frantumi, e uscì dal mio lato, vicino alla portiera, sfiorandomi la gamba. Poi, se Dio vuole, il giovanotto rientrò nella macchina. 

Milla, mentre armeggiava con il volante, mi chiese un rapporto sui danni.
<< Ehi! Tutto bene?>>. 
<< Sì, per ora sono vivo>>. 
<< Quanti ne ha sparati?>>. 
<< Sei, credo…>>. 
<< Bene! Allora, o ha finito i colpi oppure sta ricaricando l’arma, in ogni caso per un po’ non ci spara più!>>. 
<<Sai che consolazione! Lo sai che per pochi centimetri l’ultimo proiettile non mi sbriciolava un ginocchio?>>. 
<<Non farla tanto lunga! Ti ha colpito? No! E allora goditi il fatto che ti è andata bene e non ti lamentare!>>. 
Offeso da tanta indifferenza per le mie vicende mi trincerai nel più rigido mutismo. Cosa resa facile dal fatto che il terrore mi mozzava il fiato. 

Poco prima di una curva a gomito dietro di cui era già scomparsa l’altra vettura ci giunse il suono del clacson di una corriera che risaliva in senso opposto. Il tempo d’imprecare e ci si parò dinnanzi il muso celeste del pullman della SAV. Milla sterzò e controsterzò in un battito di ciglia, ma per una frazione di tempo interminabile sembrò che l’impatto sulla fiancata fosse inevitabile e mi rannicchiai aspettando il colpo. Invece, arrivò solo il suono metallico dello specchietto esterno che andava in frantumi, seguito subito dopo da quattro suonate di clacson del pullman che portavano, oltre agli insulti dell’autista, il segnale di cessato allarme. Guardai subito davanti a noi e mi accorsi che anche la Regata celeste doveva avere avuto i suoi problemi nell’incontro con la corriera perché stava zigzagando come se chi la guidava cercasse di recuperare il controllo della vettura. La cosa per un istante sembrò riuscirgli, poi, dopo una nuova frenata prima della curva successiva uscì definitivamente di strada derapando sullo sterrato fino ad arrestarsi con la fiancata contro un albero in un fracasso di vetri e lamiere. 

La nostra Peugeot gli fu subito addosso e, dopo una frenata che sollevò una nube di polvere e sassi, Milla si proiettò fuori dall’abitacolo con la Luger puntata verso i due che stavano uscendo malconci dalla loro vettura semi accartocciata. 
Dopo essersi accertata che nessuno si fosse ferito seriamente, la mia compagna dovette ricordarsi di qualche telefilm americano perché subito urlò ai due: 
<<Appoggiate le mani sul tetto della vettura e non muovetevi che altrimenti vi piazzo una pallottola in mezzo agli occhi!>>. 
Il tutto esclamato con la pistola tenuta a due mani e puntata verso le loro teste. Maria e il suo compagno, un ragazzo alto e magro e con una gran massa di capelli crespi che doveva essere proprio il tizio entrato di soppiatto nella villa, obbedirono senza fare resistenza. 
Io mi precipitai fuori dalla vettura per darle una mano, ma una forza misteriosa mi trattenne energicamente sul sedile. Si trattava della cintura di sicurezza, che, come al solito, si era bloccata e non ne voleva sapere di sganciarsi. Cominciai ad armeggiare con quel maledetto pulsante che sembrava saldato, mentre Milla cominciava a dare segni d’impazienza. 
<< Che cazzo fai ancora lì seduto? Vuoi venire a darmi una mano sì o no?>>. 
L’inquietudine che si avvertiva in quelle parole dovette essere percepita da Maria che improvvisamente si chinò nell’abitacolo della Regata e ne riemerse con la pistola, mentre il suo ragazzo approfittando della sorpresa di Milla la prese per il collo immobilizzandola e strappandole l’arma. Poi gliela puntò alla tempia e mi gridò con la faccia alterata. 
<<Scendi da quella macchina o l’ammazzo!>>. 
<<Non posso! Ho la cintura bloccata!>>. 
<<Ti ho detto di scendere! Guarda che l’ammazzo davvero!>>. 
<< Non ce la faccio! Sono bloccato! Vieni a vedere se non ci credi!>> 
<< Ti ho detto che l’ammazzo! Esci fuori! >> 

L’ultima frase il ragazzo la pronunciò con la voce strozzata, tanto che mi diede l’impressione che avesse più paura lui di quanta potesse averne Milla, la quale, però, era a mal partito perché quella stretta disperata le stava stringendo dolorosamente il collo. Moltiplicai le forze su quel maledetto gancio e finalmente, dopo l’ultimo strappo disperato la cintura si sbloccò e potei uscire a mani alzate. Maria, come mi vide uscire fece un cenno al ragazzo che allentò un po’ la presa. 
<< Che intenzioni hai?>> le chiesi andandole incontro. 
La ragazza, con uno sguardo determinato che non le avevo mai visto prima, mi spinse da parte e salì a bordo della Peugeot cercando le chiavi d’accensione che invece aveva Milla. 
Così strillò rabbiosa puntandomi la pistola addosso dal posto di guida. <<Presto! Dateci la vostra macchina e non vi facciamo niente. Non siete voi che vogliamo>>. 
Non ebbi tempo di risponderle, perché alle mie spalle, dalla stessa direzione da cui eravamo venuti, giunse il rumore di diverse auto che stavano arrivando di gran carriera. Subito dopo, in un turbinio di polvere, fummo circondati da quattro alfette dei carabinieri da cui scesero i militari con il giubbotto antiproiettile e le mitragliette spianate. 
<<Fermi tutti! Buttate le armi!>> 
Il grido del graduato che comandava il drappello sovrastò qualsiasi rumore e fu subito seguito da quello di Milla alla vista delle mitragliette che puntavano Maria. 
<<Non sparatele! La ragazza ha la pistola scarica! Non può far nulla!>> 
Maria, uscita dalla vettura, lasciò cadere l’arma per terra in segno di resa e fu subito afferrata da due militari, mentre il suo compagno, che adesso tremava vistosamente per la paura, aveva ripreso a rinserrare Milla tra le sue braccia e a puntarle la Luger alla testa. 

Dall’ultima Alfetta comparve Viccaro che si diresse dritto verso il ragazzo, poi gli tese la mano. <<Non fare lo stupido! Ormai è finita, dammi quella pistola…>> 
Due militari puntarono le armi in direzione del ragazzo per tenerlo sotto tiro. Maria si rivolse al suo uomo con un grido disperato. << Lasciala Jussef! Lasciala! Ha ragione lui, per noi è finita!>> 
Il ragazzo, dopo un attimo di smarrimento, lasciò andare Milla e consegnò la Luger a Viccaro prima di essere portato via dai carabinieri. Poi il capitano si piantò di fronte alla mia signora che ancora si stava massaggiando il collo. Il volto del nostro amico era raggiante di gioia, anzi, la sprizzava proprio da tutti i pori. <<Cara la nostra signora Camilla! A quanto pare, ancora una volta l’ho tolta dai pasticci >>. 

Milla sbuffò seccata, guardandolo storto. <<Ma di quali pasticci parla? E’ soltanto arrivato un attimo prima di me. Perché se solo riuscivo a trovare il momento per girarmi a quello gli davo una ginocchiata che lo stendevo, tanto non poteva spararmi >>. 
<<Perché non poteva? >> 
<<Quella è la Luger di mio padre e lei che l’ha già vista altre volte, sapeva benissimo che non può sparare perché ha la canna otturata! Quindi non faccia tanto l’eroe>>. 
<<Sì, ma c’era anche Maria ad essere armata! >> 
<<Niente affatto! Mentre c’inseguivano hanno sparato sei colpi, quindi aveva l’arma scarica! Neppure lei poteva far fuoco>> 
<<Davvero? Cimminello, per cortesia, mi porti la pistola della ragazza >>. 
Il giovane carabiniere obbedì all’ordine, quindi Viccaro, con studiata lentezza tolse il caricatore alla pistola e lo svuotò sotto gli occhi di Milla, facendo uscire le pallottole una alla volta. <<Una….due….tre… è ancora convinta che non potesse spararle? >> 

Milla sbiancò in volto, poi, di fronte all’evidenza, si arrese docilmente tendendo la mano a Viccaro per una stretta pacificatrice. <<Va bene! La devo ringraziare anche questa volta, anche se gradirei, per una prossima occasione, che facesse in modo di arrivare un po’ prima. Con quella corsa in macchina stavamo per ammazzarci >>. 
<<Cercheremo di venire incontro ai suoi desideri. Ma certo ci riusciremmo meglio se lei e suo marito non cercaste sempre di fare di testa vostra senza avvisarci. Comunque, sono io che vi ringrazio perché senza le vostre intuizioni non avremmo risolto il caso così alla svelta >>. 
<<Ma, a proposito … come ha fatto ad essere qua prima di noi? Avevamo molte ore di vantaggio. Ha volato?>> 
<<Proprio così! Esistono anche gli elicotteri, no? Da Vittorio Veneto a qui sono trenta minuti di volo e, ovviamente, ad attenderci sul posto c’erano i colleghi del distaccamento di Verona che sorvegliavano la zona da ore. Ben prima che arrivaste voi e anche i due assassini>>. 
<<Sì, ma come avete fatto a sapere di Maria e del nuovo movente? >> 
<<Semplicissimo, avevamo messo da tempo il telefono dell’albergo sotto controllo, così abbiamo ascoltato la sua telefonata al ristorante di Perugia, quella a suo fratello per sapere il numero di telefono di Tarentin. Diciamo che ci avete aiutati a vostra insaputa. >> 
<<E Tarentin? >>. 
<<E’ al sicuro >>. 
<<Meno male! Non rispondeva al telefono, pensavamo che fosse morto >>. 
<<Non ha risposto perché da qualche giorno è in ospedale. Il poveretto non se la passa molto bene, ha una malattia muscolare progressiva. Ormai cammina a fatica e deve fare delle terapie. Comunque, ci ha raccontato tutti i retroscena della sua storia con Ponsard e ci ha dato anche le chiavi di casa. Così quando i ragazzi hanno richiamato da un Autogrill lungo la strada, questa volta abbiamo risposto e abbiamo preso un appuntamento per il giorno dopo, cioè oggi>>. 
<<Un appuntamento con quale scusa? >>. 
<<Tarentin fa l’agente immobiliare. E’sulle pagine gialle, non era difficile saperlo. Lei si è finta interessata a comperare un appartamento in zona…>>. 
<<Allora com’è che non li avete presi? >>. 
<<Il piano prevedeva di catturarli una volta dentro l’appartamento. Allo squillo del campanello i miei uomini nascosti di sopra avrebbero risposto al citofono e aperto la porta, poi, non appena fossero entrati nel vano scale, noi, appostati dietro la siepe, saremmo scattati alle loro spalle per prenderli tra due fuochi. Invece, quando sono arrivati davanti alla casa di Tarentin lui è sceso dalla macchina per cercare il campanello dell’agenzia, mentre lei è rimasta al posto di guida a guardarsi attorno sospettosa e probabilmente ha scorto uno dei miei uomini appostati. Però ha avuto un bel sangue freddo perché è rimasta calma e ha fatto finta di niente. Così, mentre lui stava tornando indietro per chiamarla, di colpo gli ha gridato qualcosa in arabo e lui è volato in macchina e sono scappati>>. 

Milla lo guardò ironica. <<Bloccare le possibili vie di fuga avrebbe avuto troppo il sapore di un’azione di polizia, vero? >> 
<<Non dica così! Certo con il senno di poi è facile criticare… però eravamo certi che non sarebbero riusciti ad uscire da quel cortile. Pensavamo che fossero imbottigliati >> 
<<E invece? >> 
<<Invece sono stati bravi a fare l’inversione di marcia in così poco spazio e ci hanno sorpreso. Non potevamo sparare alla macchina perché c’erano delle case lì attorno con della gente affacciata alle finestre. Così li abbiamo inseguiti subito, anche se avevano preso un bel vantaggio, dal momento che avevamo mandato le macchine diverse centinaia di metri più in là perché non le vedessero, ma poi, appena fuori dal paese, una nuova vettura inattesa si è intromessa tra noi e loro e gli ha messo pressione fino a provocarne l’uscita di strada >>. 
<<E quelli siamo noi … >>. 
<<Appunto… e il resto lo sapete!>>. 
<<Ah! Certo! Pistolettate comprese! >>. 

Viccaro mi diede una cordiale pacca sulla spalla che mi fece sobbalzare e che esprimeva tutta la sua soddisfazione nei nostri confronti. Poi, si fece sornione e guardando la mia consorte dritto negli occhi le disse: <<A proposito di guida, cara signora Camilla, posso vedere la sua patente? >> 
<<Certo che può vederla … tanto il bollo è in regola!>>. 
 Milla la estrasse dal portafoglio e Viccaro, dopo averla presa in punta di dita, se la mise in tasca con un gesto teatrale, senza neppure aprirla. La mia compagna sbiancò in volto. 
<<Perché me la ritira? >>. 
<<Premesso che le faccio i miei più sinceri complimenti per la sua abilità nel seminare i miei uomini, ci sarebbe la faccenda del trattore. Doppia riga, sorpasso in curva, centotrenta all’ora in un tratto dove si deve andare a sessanta. Ci sarebbero tutti gli estremi per ritirargliela per qualche mese, se non a vita, ma visto che è stata preziosa, la terrò intanto per quindici giorni e gliela restituirò solo se mi prometterà che eviterà cose del genere per il futuro. Ormai dovrebbe saperlo che ci tengo alla sua pelle >>. 

L’interessata sorrise acida, poi, vista l’ineluttabilità della decisione, si rassegnò a prenderla sportivamente, anche perché essendo svelta di riflessi doveva esserle venuto in mente che quindici giorni di sospensione erano in fondo un pagar dazio accettabile, mentre se avesse graffiato Viccaro, come il cuor suo le suggeriva di fare, probabilmente la pena si sarebbe allungata. 
<<Lei è davvero un amico premuroso! Comunque, tra quindici giorni l’aspetto mio ospite nel nostro albergo così suggelleremo la riconsegna con un buon pranzo. Però, intanto, posso prendere la macchina per ritornare a casa? >> 
<<Niente affatto! Lei e suo marito, se ne hanno piacere, potranno ritornare a casa sulla mia vettura, mentre il brigadiere Inzaina, a cui la prego di consegnare le chiavi, ci seguirà con la vostra macchina >>. 

Così, dopo aver provveduto con una certa malagrazia alla consegna delle chiavi ed essersi attardata a spiegare puntigliosamente al milite in questione la faccenda della seconda che era un po’ dura e del numero di giri ottimali per quel motore, la mia signora, si accomodò rassegnata al mio fianco nell’Alfetta di Viccaro, che partì subito alla volta di Sant’Anastasia schizzando ghiaia dappertutto. 

sabato 11 aprile 2020

L'enigma di Ponsard - Capitolo 13 (Parte prima)



Milla mi attendeva passeggiando nervosamente davanti al cancello di casa. Si capiva lontano un miglio che doveva essere sulle spine per qualcosa. Così, per un istante, appartenendo alla categoria di coloro che amano colpevolizzarsi anche se nessuno glielo chiede, mi venne in mente che, forse, dopo aver preso il pane in paese avrei dovuto tornare subito a casa invece che trastullarmi da “Celio” a parlare di rigori dati e non dati con quello juventino supponente del ragionier Moretta. Così mi avvicinai con le orecchie basse ma fu subito chiaro che il pane non c’entrava per niente. Infatti, appena a portata di voce, Milla mi gridò l’ultima novità: 
<<Hanno arrestato Pauline e anche Mauriot! >>. 
Affrettai il passo e la raggiunsi. 
<<Caspita! Come mai Mauriot? Non doveva essere già a casa sua in Francia?>>. 
<<No, pare che dopo la scenata con Ponsard avesse abbandonato il nostro albergo, ma solo per trovare alloggio da un affittacamere di Miane in attesa di tempi migliori. Sembra che stesse aspettando che Pauline mollasse il professore per portarsela via>>. 
<<Meno male che le aveva dato della puttana! >>. 
<<Evidentemente, chi disprezza compera! >>. 
<<Ma come hanno fatto a sapere della presenza di Mauriot? >>. 
<<Sembra che Pauline, la notte dell’omicidio, dopo il nostro rientro in albergo abbia fatto una telefonata e che qualcuno sia venuto a prenderla in macchina verso le due per riportarla poi indietro verso le cinque del mattino>>. 
<<E questo chi lo dice? >>. 
<<Chiariello! A quel punto era sveglio e ha registrato tutto. Compreso il numero chiamato da Pauline che era poi lo stesso che l’aveva cercata nel tardo pomeriggio, prima che andassimo alla festa>>. 
<<Fammi indovinare: il numero corrispondeva a quello dell’affittacamere di Mauriot! >>. 
<<Infatti! Così non ci hanno messo molto per pizzicarlo. Farà anche il detective, ma mi pare tanto mona >>. 

Visto che la faccenda si stava facendo interessante aprii il sacchetto del pane e strappai un pezzo di mantovanina ancora fragrante di forno che trangugiai in un sol boccone. Milla porse subito la mano per reclamare l’altra metà del panino. Il nostro dialogo proseguì, molto maleducatamente, a bocca piena. <<Una storia d’amore commovente, ma che prove hanno contro Pauline? >>. 
<<Perquisendo la stanza hanno trovato nascosti tra il materasso e la rete due guanti da sera che lei ha riconosciuto come suoi e che pare presentino tracce di polvere da sparo. Inoltre, guardando nei cassonetti lungo il viottolo, hanno trovato un cuscino di piume con un foro di proiettile nel centro e, guarda caso, dal corredo della stanza di Pauline manca proprio uno dei due cuscini di piuma. Quindi, sono convinti che la nostra amica abbia ucciso Ponsard con l’aiuto di Mauriot in forme che ancora devono essere accertate e che il movente sia da ricercarsi in parte nella relazione tra i due e in parte nel fatto che Ponsard era pieno di soldi in conti bancari svizzeri di cui solo Pauline sarebbe a conoscenza e di cui sembra che possa disporre in quanto cointestataria>>. 
Visto che l’appetito a quell’ora non mancava, questa volta spezzai in due una rosetta e porsi la sua parte a Milla che nuovamente non si fece pregare. <<Soldi e sesso! Un classico tra i possibili moventi. Immagino che Viccaro si stia fregando le mani, però… >>. 
<<Però cosa? >> 

Lo sguardo di Milla si fece ancora più attento, come se mi esortasse ad andare avanti per dirle quello che si aspettava da me. Così mi lanciai spericolatamente nel campo insidioso delle ipotesi. <<Non ci credo neppure se me lo giurano in ginocchio. Questa cosa mi sa di fasullo dall’inizio alla fine! Quando le prove sono così evidenti, quasi pacchiane, credo che un buon detective dovrebbe diffidarne subito. Tanto più che abbiamo di fronte persone d’intelligenza brillante, tanto brave da escogitare il trucco della porta chiusa dall’interno per simulare il suicidio, che se non era per te ci avrebbe gabbato tutti quanti. Vuoi che subito dopo siano state così stupide da nascondere tracce del genere sotto il proprio letto? Qui non c’è il pastore semianalfabeta che uccide il rivale d’impeto e poi mette la roncola sotto la paglia nel fienile. Anche un bambino sarebbe andato a cercare per prima cosa sotto il letto e nel cassonetto, figuriamoci i carabinieri. Secondo me chi ha ucciso Ponsard preparando lo scenario del suicidio con tanta cura ha fabbricato anche le prove a carico di Pauline casomai la pista principale fosse caduta>>. 
<<Bravo amore! Speravo proprio che anche tu la pensassi così! >> 
Milla mi buttò le braccia al collo e mi stampò un bacio sulla fronte. Nel farlo avvertii sul mio corpo la pressione dei suoi seni ancora tanto sodi da non meritare l’onta del reggipetto e la cosa mi offrì un flash di cattivi pensieri, presto domati dalla necessità di proseguire nella disamina dei fatti. 

Parlammo a lungo degli ultimi sviluppi, ma senza riuscire a cavarne alcunché di sensato. Ogni tentativo d’imboccare piste diverse ci riconduceva sempre ai soliti due nomi: Grouchy e Pauline. D’altronde, anche se in cuor nostro coltivavamo la certezza che il delitto fosse opera di altri, era innegabile che gli unici del gruppo ad avere moventi e anche l’occasione di compierlo erano loro. Non si scappava. Così mi ritirai in camera nostra a giocare con i bambini e lasciai Milla a dare una mano a sua madre. Tornai da basso in cucina che erano quasi le undici. 
Mia suocera era china sulle sue parole crociate e sembrava totalmente assorta, quando improvvisamente richiamò la mia attenzione <<Carlo, lei che sa tante cose… mi può aiutare con questa domanda, che è di cinema, ma io non me ne intendo?>>. 
Non ero certo dell’umore giusto, come sempre prima di pranzo, nondimeno mi rassegnai alla bisogna. <<Ma sì! Certo, mi dica…>> 
La signora Lucia annuì soddisfatta, poi mi sottopose il quesito.<<Dieci lettere: il Gillo regista…>> 
<<Pontecorvo, signora, Gillo Pontecorvo…>>. 

E come la caduta di un insignificante sassolino lungo un pendio può amplificarsi fino a trasformarsi in una frana rovinosa, così quella singola parola mise in moto all’improvviso tutta una serie di meccanismi a cascata e nello stesso istante il mio cervello fu finalmente attraversato dalla luce. Così saltai in piedi con un urlo di gioia che fece trasalire mia suocera, poi corsi a baciarla e ad abbracciarla, mentre la signora Lucia cercava inutilmente di difendersi coprendosi il volto con il grembiule. Mia moglie posò la spugnetta e il piatto insaponato nell’acquaio osservando la scena perplessa, poi intervenne a soccorso della mamma. <<Carlo, va tutto bene? Ti basta una camomilla o devo chiamare gli infermieri?>>. 
Lasciai stare mia suocera e corsi ad abbracciare la mia compagna. <<Ho capito tutto! Milla, ho capito tutto! Ora so perché è stato ucciso il professore!>>. 

Milla si staccò dall’abbraccio e dopo essersi sfilata i guanti di gomma, incrociò le braccia diffidente. 
<<Cioè?>> 
<<Ma non capisci? La battaglia d’Algeri!>> 
<<Si! Gillo Pontecorvo ha girato “La battaglia d’Algeri”. E allora? Gran bel film, ma non ci vedo nulla di speciale>>. 
L’incredulità di Milla finì con lo spazientirmi. <<Oh! Insomma! Dov’è finito tutto il tuo intuito investigativo? Ponsard era un ex paracadutista e questo è assodato, giusto? Ti ricordi che aveva quello strano tatuaggio sul polso? Era un paracadute con sotto due pugnali incrociati e quattro carte da gioco, sì o no? >>. 
<<Sì, certo, l’ho visto anch’io. Erano quattro assi>>. 
<<Brava! Ma ora so che quei due pugnali, in realtà, formavano una X e significavano che Ponsard era appartenuto alla famigerata Decima Legione Paracadutisti, quella del generale Massu, che durante la rivolta algerina ha condotto una repressione durissima contro i membri del FLN ed ogni persona che fosse sospettata di appartenervi, con torture e assassini mirati. E la cosa che avevano in comune Ponsard, Chevalier e l’editore Carmandes è che tutti e tre avevano fatto il soldato in quel corpo di paracadutisti. Dunque siamo di fronte ad un assassino che agisce per vendetta contro chi ha militato nella Decima Legione. Il delitto passionale non c’entra niente! Stiamo tutti seguendo una pista sbagliata. La chiave di lettura di quel che è successo risiede nel passato di Ponsard e lui lo aveva capito subito. E’ per questo che si portava dietro Mauriot come guardia del corpo e che aveva una pistola con sé>>. 

Lo sguardo di Milla si fece improvvisamente ammirato, come se la luce avesse pervaso anche i suoi pensieri, poi mi stampò un gran bacio in fronte. <<Lo sai che sei proprio bravo? Non lo avevo mica capito! Adesso quadra tutto. Le tre morti sono probabilmente collegate e i quattro assi significano…>>. 
<<…che forse dobbiamo aspettarci un quarto assassinio, perché chiunque sia stato non ha ancora finito il suo compito! A meno che quei quattro assi non fossero il simbolo di un’unità speciale della Legione.>>. 
<<Dobbiamo dirlo subito a Viccaro>>. 
Era la prima volta in tanti anni d’indagini con Milla che potevo condurre io il gioco e non volevo certo lasciarmi scappare l’occasione. <<No, Camilla, non essere precipitosa, lascia che Viccaro si culli qualche giorno con l’illusione di avere in mano gli assassini. Il nostro amico non è affatto stupido e alla fine ci arriva anche lui. Dunque teniamoci qualche giorno di vantaggio>>. 
<<Di quel cretino di Mauriot non m’importa nulla, ma mi dispiace per la povera Pauline che si sta facendo della galera da innocente. Poi, se davvero ogni asso corrisponde ad una persona e nel frattempo l’assassino rintraccia il quarto uomo e lo ammazza, lo sai che finiamo in galera anche noi per favoreggiamento?>>. 
<<Lo so, ma probabilmente ci vuole del tempo perché lo rintracci e comunque tutte le persone che erano presenti in albergo al momento dell’omicidio, per un motivo o per l’altro sono ancora qui, quindi, per il momento, finché non si muovono non possono nuocere... >>. 

Milla fece sgomberare sua madre dal tavolo, poi, dopo aver preso la grappa delle grandi occasioni dalla credenza e due bicchieri, si sedette di fronte a me. <<Hai qualche idea su chi sia stato?>> 

Allargai le braccia impotente, mentre la mia compagna mi riempiva il bicchiere <<Non lo so. La possibilità del vendicatore che viene dall’esterno, compie l’omicidio e poi sparisce nel nulla la scarterei subito. L’ipotesi che qualcuno sia potuto entrare di soppiatto mentre eravamo in giardino per i fuochi, quindi mettere il sonnifero nel latte con una siringa e poi, mentre noi eravamo alla sagra, uccidere il professore narcotizzato non regge. Perché come poteva sapere questa persona che l’albergo quella sera era vuoto e che anche Chiariello avrebbe bevuto il latte finendo per addormentarsi? E poi, perché perdere tempo a preparare tutta la messa in scena del finto suicidio? Bastava sparargli a bruciapelo e via…>> 
La mia compagna annuì convinta <<Sono d’accordo! Anche perché per mettere su quella messa in scena occorreva sapere della pistola, conoscere le stanze, le abitudini del professore e anche i nostri programmi per la serata, perché Ponsard avrebbe benissimo potuto venire alla sagra con noi e quindi vanificare il piano dell’assassino. Quindi il vendicatore o quanto meno il complice che gli ha fatto da basista e gli ha guidato la mano era presente sul posto e dunque occorre cercarlo tra gli ospiti dell’albergo>>. 

Sorseggiai la grappa palleggiandola tra la lingua e il palato per poterne sentirne il profumo che tendeva piacevolmente all’amarognolo, poi ripresi l’ analisi <<Certo è che se accettiamo il nuovo movente della vendetta per i fatti d’Algeria, questo scagiona del tutto la Geminiani...>> 
<<Su questo, ormai non vi è dubbio>> 
<<Allora, se non è stata lei, esaminiamo le altre posizioni: i corsisti sono andati quasi tutti via sabato sera per il cambio turno, tranne cinque che però alloggiano alla Vigna d’oro e che comunque sono tornati assieme a noi dalla sagra. Dunque non c’entrano, così come quelli del turno del lunedì, che sono arrivati a cose fatte. Restano quindi i due ragazzi francesi, ma sono troppo giovani e nuovamente Grouchy che però, come gli altri, non penso abbia legami di sorta con quelle vicende, anche perché a suo tempo mi ha raccontato che lui il servizio militare lo ha fatto in Indocina ai tempi di Dien Bien Phu e del generale Giap e in Algeria non vi ha mai messo piede. Inoltre, se quello fosse il motivo, non si capisce perché avrebbe dovuto aspettare l’occasione di ammazzare Ponsard in Italia, quando poteva benissimo farlo in Francia in tutti questi anni. Lo stesso vale per Mauriot, che, se cade la pista passionale e quella dell’eventuale interesse per i soldi che Pauline gli avrebbe portato in dote, non ha di certo motivi del genere per ammazzare Ponsard. Quindi, sembrerà assurdo, ma in teoria resteremmo solo noi>>. 
La logica ferrea di quella conclusione mi diede un brivido nella schiena, che cercai di minimizzare con una battuta. <<Pensa che bello…magari scopriamo che ad uccidere Ponsard è stata la Nadia che finalmente ha tradotto il complimento sulle tette, oppure tua mamma perché il professore le aveva rimandato indietro la sua salsa pevarada!>>. 

Ci fu un silenzio abbastanza lungo, probabilmente dedicato a rimuginare sulle cose appena dette, poi, all’improvviso, Milla sbiancò in volto, si alzò di scatto e si diresse verso la porta. 
<<Ti senti poco bene? Non avrei dovuto scherzare sulla mamma?>> 
<<No, vado al telefono. Devo fare un controllo. Tu resta pure lì!>> 
Restai al mio posto, anche perché l’opportunità di servirsi a piacere della grappa di Teroldego delle grandi occasioni non andava sprecata. Da lontano mi giungeva a tratti la voce di Milla e capii che stava chiedendo all’operatore del servizio abbonati il numero della trattoria “La carbonaia” di Perugia. Così la curiosità mi spinse ad andare da lei per capire cosa avesse in mente. La raggiunsi mentre stava componendo il numero che le avevano dato. Era molto tesa, quasi eccitata ed io, che la conoscevo bene, sapevo che quello era il suo stato d’animo di quando era sulle piste di qualcosa. 

Dopo qualche attimo di pausa, che mi sembrò interminabile, qualcuno rispose e Milla domandò del titolare, poi, nell'attesa che glielo passassero al telefono, mi fece cenno di allontanarmi, perché evidentemente voleva restare al massimo della concentrazione. Mi ritirai dietro la porta, tendendo l’orecchio per cogliere almeno i frammenti di quella conversazione e fui subito accontentato. 
<<Buonasera, lei è il signor Paolo? Senta….volevo avere da lei qualche informazione su una ragazza che ha lavorato da voi come cameriera fino allo scorso gennaio e adesso lavora qui in albergo da me. Sì, è una ragazza. Si chiama Maria Angelillo, è una morettina sui trent’anni, di Taranto>>. 
Ci fu la pausa della risposta, poi Milla sembrò colta di sorpresa. <<Scherza? Come sarebbe a dire che è un uomo? Ne è sicuro? >> 
Ci fu un'altra breve pausa, poi la conversazione riprese con la mia signora un po’ piccata per una risposta che presumevo non troppo urbana <<Si, lo immagino benissimo che lei sa distinguere un uomo da una donna, conosco anch’io la differenza>>. 
Sporsi la testa nella stanza per vedere la scena e la mia compagna questa volta mi fece cenno di avvicinarmi, perché voleva che sentissi anch’io. <<Ah! Questo ragazzo è lì di fronte a lei? Quindi questo Mario Angelillo è proprio la persona che mi ha risposto al telefono. Giusto? Ma la ragazza che è da me, allora, chi sarebbe? >> 
Milla fece un gesto con la mano come a dire che la cosa era davvero grossa, ma non c’era bisogno di farlo perché dalla conversazione tra i due lo si capiva benissimo. 
<<Addirittura! Ma allora, com’è che io ho qui il libretto di lavoro di…. Ah! Ecco! Lo ha rubato e poi falsificato! E per quanto tempo è rimasta lì da lei? >>. 
La telefonata proseguì ancora per qualche minuto, infine, avute tutte le risposte che desiderava, Milla ringraziò il signor Paolo e riattaccò. 
Subito dopo aver riagganciato, si prese la testa tra le mani, mi guardò smarrita e scoppiò inaspettatamente a piangere buttandomi le braccia al collo e chiedendomi scusa tra i singhiozzi <<Amore, perdonami, è tutta colpa mia. Io l’ho assunta e l’ho portata qui. Sono stata una cretina, ma come facevo a sapere che quella donna m’ingannava? Povero professore, gli ho portato proprio io la morte addosso! Ma non è colpa mia…non è colpa mia! >> 

La tenni stretto tra le braccia lasciando che sfogasse tutta la tensione di quella scoperta inaspettata. Poi, quando ormai la crisi di nervi sembrava risolta, le chiesi di riferirmi cosa le avesse detto il signor Paolo e Milla, dopo essersi asciugata gli occhi rossi, mi raccontò, tra un sospiro e l’altro, che la donna che noi tutti conoscevamo come Maria era in realtà una ragazza araba, che si era qualificata come marocchina, ma probabilmente non lo era, e che si doveva chiamare Amina. Asseriva di essere una studentessa di psicologia iscritta all’Università per stranieri di Perugia ed aveva lavorato effettivamente per qualche tempo presso “La carbonaia” e senza mai dare problemi. 
Poi, di colpo, circa quattro mesi fa, la ragazza era sparita dalla circolazione e qualche tempo dopo, il titolare della trattoria aveva scoperto che era stato sottratto dall’armadietto il libretto di lavoro di questo Mario Angelillo, che era un suo collega. Siccome non era stato rubato del denaro, ed essendo possibile ottenere facilmente un duplicato del libretto, il gestore non aveva denunciato la cosa. 

Al termine del racconto guardai Milla. <<Hai detto che Maria ha lasciato la pizzeria quattro mesi fa? E’ proprio il periodo di tempo trascorso dal primo omicidio, quello di Chevalier!>> 
<<Infatti! E sono abbastanza sicura che Maria ne sia coinvolta fino al collo, così come in quello di Carmandes, perché ormai è chiaro che l’investimento è stato tutt’altro che casuale. Probabilmente lei, da sola o con dei complici, ha individuato la prima vittima in Francia e anche la seconda. Così ha attraversato il confine e le ha fatte fuori quasi nello stesso periodo e senza troppa difficoltà, visto che poteva contare sulla sorpresa. Ponsard, ovviamente, era un obiettivo ben più difficile, perché ormai, dopo la seconda uccisione di suoi ex camerati, capiva di essere nel mirino a sua volta e aveva preso delle precauzioni. A quel punto, deve aver lasciato passare qualche tempo per capire come giravano le indagini e se c’era qualche modo più subdolo per arrivare al professore. Quando è venuta a conoscenza del fatto che Ponsard veniva in Italia per qualche tempo, e saperlo non era difficile, perché bastava fare una telefonata alla sua società fingendosi interessata ai corsi, è arrivata qui e con in mano il libretto di lavoro falso si è presentata alla Vigna d’oro perché dovevano averle detto che l’albergo convenzionato per i corsisti era quello e lei avrà pensato che anche il professore ci risiedesse per il periodo delle lezioni. 

E’stata anche fortunata perché Biasin, senza saperlo, le ha fatto un favore mettendoci in contatto e aprendole così le porte della tana del lupo, dove ha potuto prendere servizio e decidere con tutta calma il momento opportuno per eseguire la sua missione. Infatti, lei, dopo averne studiato le abitudini, sapeva benissimo che il professore andava a letto presto e non partecipava alle nostre serate. Tanto è vero che la sera che siamo andati tutti al Casinò di Venezia, guarda caso, qualcuno ha cercato di entrare in casa per sorprendere il professore da solo, ma tu e Giulio lo avete messo in fuga. Quando poi Maria ha scoperto le tensioni tra Ponsard, Mauriot e la Geminiani, non le è parso vero perché ha avuto la certezza che avrebbe potuto portare a termine il suo disegno in tutta tranquillità facendo cadere i sospetti su altri. Così ha cambiato i suoi piani che forse inizialmente prevedevano un’eliminazione di Ponsard più sbrigativa. Si trattava solo di attendere una nuova occasione propizia per cogliere il professore indifeso e questa non poteva essere che la domenica successiva, con la nuova uscita di gruppo. Infatti, mi è venuto in mente che aveva rinunciato al suo giorno di libertà con la scusa di dare una mano a Nadia per la cena in giardino, ma in realtà lo ha fatto per essere presente sul posto proprio quella sera. 

Comunque sia, appena ha avuto la conferma che saremmo usciti tutti in massa per andare alla festa in paese e che, come ampiamente prevedibile, Ponsard non ci sarebbe venuto, ha fatto scattare il suo nuovo piano. Ha fatto portare da Nadia il latte con il sonnifero al professore poco prima che andassimo tutti fuori per la sagra e ha aspettato che facesse effetto. Il fatto che Chiariello avesse bevuto lo stesso latte e si fosse addormentato è stata solo un’opportunità aggiuntiva per lei, perché con il rumore dei fuochi d’artificio avrebbe potuto benissimo sparare al professore senza che il nostro amico da basso se ne accorgesse. Quindi, Maria ha aperto la porta con la chiave di servizio e ha preso nel cassetto del comodino la rivoltella del professore, cosa che poteva fare solo chi sapeva dove fosse e lei lo sapeva, dal momento che rifacendo la stanza tutti i giorni aveva avuto il tempo di frugare per bene dappertutto. Infatti, come ora sappiamo, assistendo alla litigata in sala da pranzo tra il professore e Mauriot, aveva appreso dell’esistenza di una seconda pistola oltre a quella sequestrata alla guardia del corpo. A quel punto, appoggiando l’arma ad un cuscino per attutire ulteriormente il colpo, ha ucciso il professore nel suo letto. Subito dopo ha chiuso la stanza dall’esterno con il trucco del filo di rame ed è scesa a rigovernare la sala da pranzo per farsi trovare da noi mentre era intenta a lavorare al piano di sotto >>. 

Milla mi rivolse lo sguardo ansiosa per cogliere la mia prima impressione sulla sua ricostruzione dei fatti e non la lasciai delusa. Infatti, la spiegazione fornita dalla mia compagna mi trovava una volta tanto completamente d’accordo. <<Sì, deve essere andata proprio così! E questo spiega anche perché non c’erano tracce di impronte nella stanza, Maria indossava i guanti che poi sono stati rinvenuti in camera di Pauline. Certo che, a pensarci, è stato proprio come nei gialli classici: alla fine l’assassino è la cameriera!>>. 
<<Già! E adesso mi è venuta in mente un’altra cosa: mi sono ricordata che quando siamo tornati dalla sagra lei era giù in sala a sparecchiare i tavoli e io, quando ci siamo messi a parlare delle cose da fare per l’indomani, le ho tolto istintivamente qualcosa di bianco che aveva tra i capelli. Avevo rimosso questo particolare ma ora mi sono ricordata cosa fosse: una piccola piuma d’oca!>>. 

<<Quindi, ricapitolando, Maria, appena è rimasta sola in albergo è andata per prima cosa nella camera della Geminiani e ha indossato i suoi guanti da sera, da un lato per non lasciare impronte e dall’altro perché conservassero tracce di polvere da sparo e costruire una prova contro quella donna. Poi ha preso anche il suo cuscino di piume d’oca e lo ha usato per sparare al professore attutendo il rumore del colpo. Quindi ha riportato i guanti in camera di Pauline e li ha nascosti tra la rete e il materasso, immaginando che una perquisizione li avrebbe senz’altro fatti saltar fuori, semmai ce ne fosse stato bisogno. Infine, ha buttato il cuscino d’oca nel cassonetto sapendo che qualcuno prima o poi si sarebbe accorto che mancava dall’arredo della stanza e che c’era tutto il tempo perché venisse trovato, visto che lo svuotano una volta a settimana, se va bene. Subito dopo, ha preso l’aspirapolvere e ha ripulito la stanza e il letto dalle piume che al momento dello sparo dovevano essere volate dappertutto>>. 
<<Esatto! Ecco perché abbiamo trovato l’aspirapolvere nel corridoio. Ti ricordi che mi ero arrabbiata per averlo trovato fuori posto? Probabilmente, l’arrivo anticipato di Pauline, o quello successivo di Grouchy l’ha costretta a finire il lavoro e a chiudere la stanza in fretta e furia>>. 
<<Sì, e non si era accorta di avere anche una piuma tra i capelli. Comunque, se controlliamo il filtro dell’aspirapolvere vedrai che lo troviamo pieno di piume>>. 

Una breve visita al magazzino degli attrezzi e l’apertura del coperchio dell’aspirapolvere confermarono appieno l’ipotesi di Milla. Raggrumate tra la polvere, si vedevano decine di piumette bianche d’oca. <<Caspita! Hai proprio ragione! L’aveva usato per togliere ogni traccia di piume e nella fretta di scappare da basso l’ha dimenticato nel corridoio. Ma perché Maria non è scappata subito dopo l’omicidio? Perché è rimasta ancora qua con il rischio di essere scoperta?>>. 
<<Non aveva nessun motivo di scappare. Perché se si fosse allontanata senza motivo avrebbe indirizzato automaticamente i sospetti su di lei. In fondo poteva stare abbastanza tranquilla perché aveva due diverse strategie in atto. La messa in scena del suicidio era sufficientemente ben congegnata per avvalorarlo e, qualora fosse crollata, c’erano le prove contro Pauline già belle che pronte. L’arresto successivo di Pauline e Mauriot con l’ipotesi di un delitto con movente passionale l’ha tranquillizzata ulteriormente sul fatto che nessuno ormai pensasse a lei e ora può aspettare in tutta calma che le acque si calmino abbastanza da potersi congedare. E poi, forse, lei o i suoi complici devono sempre cercare il quarto uomo, Comunque, tutte queste cose ce le dirà Maria di persona>> 
<<Perché? Sai dove abita?>>. 
<<Io no, ma mi ricordo che Giulio una ventina di giorni mi ha detto di aver scorto la Regata celeste del ragazzo di Maria davanti a una pensioncina di Follina dove vanno le coppiette. Magari era un caso fortuito, ma forse abitano davvero lì. Se ci andiamo e non se la sono svignata proprio in queste ore, troviamo lei o quantomeno il suo ragazzo, o quel che è >>. 
<<Scusa, ma qualche tempo fa non ci aveva telefonato per dire che stava poco bene? Basterebbe rintracciare il numero>> 
<<Perderemmo un mucchio di tempo a cercarlo, sempre ammesso che il centralino lo abbia memorizzato e di sicuro finiremmo per scoprire che ha chiamato da un telefono pubblico o da un bar. Poi, cosa vorresti fare? Chiamarla e dirle: stia li ferma che la stiamo venendo a prendere?>>. 
<<Ma non deve venire a farsi dare i soldi dell’ultimo stipendio?>>. 
<<Purtroppo le ho dato l’assegno con il mensile l’altro ieri, praticamente non avanza nulla e sicuramente lo avrà già incassato. Comunque, ha dimenticato il grembiulino qui. Se pensi che passi a riprenderlo… >>. 

Milla si alzò e corse in cucina a rovistare nel cassettone della credenza. <<Cerchi la vecchia Luger di tuo padre?>> 
<<Sì, chiunque troveremo in quella pensione non so come prenderà questa nostra visita e non mi va di andarci a mani vuote>>. 
<< Ma la Luger non spara. Non ricordi che ha un proiettile incastrato nella canna e il percussore rotto?>>. 
<<Certo che lo so, ma loro non lo sanno e tu cerca di non farglielo capire>>. 
Una volta assicurata la pistola alla cintura e dopo averla coperta con il maglione, tanto per non sembrare una pistolera, Milla andò a chiamare Giulio per farsi dire esattamente dove fosse la pensione. Quindi, nel giro di un minuto mi ritrovai sulla Peugeot sgommante alla volta di Follina. 

Dopo qualche chilometro di provinciale percorso ad andatura regolare, mi accorsi che Milla lanciava sguardi nervosi nello specchietto retrovisore e proprio in quel momento, in prossimità di una curva in discesa ci si parò davanti un trattore carico di barbabietole. Non feci a tempo a dirle di frenare che Milla accelerò bruscamente eseguendo un sorpasso mozzafiato e alla cieca. 
Appena deglutito il cuore impazzito che cercava di uscirmi dalla gola le gridai tutto il mio risentimento <<Ma sei una pazza furiosa? Lo sai che se veniva una macchina dall’altra parte eravamo belli che spiaccicati?>>. 
Milla, intanto era concentrata su altri due nuovi sorpassi a pelo e tardò a rispondere. Poi, finalmente, dopo che una Fiesta proveniente in senso opposto le aveva fatto i fari e anche le corna, ridusse l’andatura e si girò soddisfatta verso di me. <<Lo so, ho rischiato! Però facendo il tornante precedente ho visto che la strada giù in basso era libera per un buon tratto e ho avuto fiducia che lo fosse ancora. Scusami se ti ho fatto prendere paura, ma c’era una macchina che ci seguiva ed era l’unico modo per sorprenderla. Ora è rimasta bloccata dietro al trattore e prima che riesca a liberarsi con questo traffico saremo già arrivati a destinazione>>. 
<<Ma come fai ad essere così sicura che ci stessero seguendo?>>. 
<<Molto semplice: quando sono arrivata allo stop sulla provinciale ho notato una Thema blu scuro con due uomini a bordo parcheggiata vicino al distributore di Ginetto. Come mi sono immessa sulla provinciale, loro hanno fatto manovra e si sono subito messi dietro di me…>>. 
<<Non poteva essere una combinazione? Magari erano lì a far benzina>>. 
<<Certamente. Peccato che oggi il distributore di Ginetto sia chiuso per turno. E’ questo che mi ha insospettito!>> 
Altre due curve e la nostra vettura fece il suo ingresso tra le case della piccola frazione di Follina. Degli inseguitori presunti, non vi era più alcuna traccia. <<Chi credi che fossero?>>. 
<<Non lo so e non lo voglio sapere…>>. 
<<Gente di Viccaro incaricata di sorvegliarci?>>. 
<<E’possibile. Comunque ora parcheggio qui la macchina e andiamo a piedi perché Maria conosce bene la mia Peugeot e, se la vede, addio sorpresa!>>. 

Girammo l’angolo alla svelta e in breve fummo davanti ad un caseggiato anonimo con un accenno di giardinetto, dove spiccava sulla porta d’ingresso una targa in ottone che informava di come gli “Alloggi Sorriso”, pensione ad una stella, fossero al primo piano. Dopo aver suonato il campanello, visto che la porta era aperta salimmo le scale e oltrepassata una porta a vetri che portava ancora delle decalcomanie natalizie ci fermammo davanti al bancone dove penzolavano dalla rastrelliera quattro chiavi. Di lì a poco, arrivò un signore corpacciuto che ci squadrò con aria non proprio benevola. 
Probabilmente stava finendo di pranzare, come suggeriva lo stuzzicadenti ancora in bocca e la cosa lo aveva infastidito. Infatti, senza neppure un cenno di saluto, andò subito al sodo <<Ve lo dico subito così non perdiamo tempo: se volete una camera per un soggiorno siamo al completo fino a martedì. Altrimenti vi avviso che se volete la stanza per qualche ora, adesso ne ho una libera, ma sono quindicimila più una caparra di diecimila per il cambio lenzuola ed eventuali danni>>. 

Milla lo guardò con l’aria di quella che è abbastanza divertita ma lo sarebbe di più se potesse usare la Luger. <<Non si preoccupi, siamo marito e moglie e non una coppietta in cerca di avventure e poi, incidentalmente, sono proprietaria di un albergo qui vicino, quindi la sua preziosissima stanza non ci serve affatto. Piuttosto volevo sapere se abita qui da lei una signorina mora, piccolina e con i capelli ricci, sui trent’anni che si chiama Maria e che dovrebbe essere in compagnia di un ragazzo >>. 
L’uomo scrollò subito la testa in segno di diniego <<Mai coverta!>>. 
<<Ma è sicuro?>>. 
<<Certo! Qua di Marie non ce ne sono mai venute. Perché la cerca proprio qua?>>. 
<<Perché ieri ho urtato la sua macchina con la mia e siccome volevo pagarle i danni le ho chiesto l’indirizzo e lei mi ha dato l’indirizzo della sua locanda…>>. 
L’uomo sembrò riflettere, poi improvvisamente aprì uno spiraglio di dialogo.
<<Che macchina era?>>. 
<<Una vecchia Fiat Regata celeste>>. 
Il proprietario della pensione, dopo aver spostato lo stecchino all’altro capo della bocca, s’illuminò perché finalmente doveva aver associato persone e cose. 
<<Ah! Quella? Ma la macchina no la xè di questa Maria, la xè di un tosatto marochìn, che el xè stà qua fino a ieri >>. 
Poi, dopo una nuova pausa riprese. <<Però, forse, gò capìo chi la xè questa Maria. Quando il marochìn se ga fatto male alla gamba la xè vegnuda due o tre volte a trovarlo. Me lo ricordo perché go fatto discussiòn per via che i magnava in camera e poi la xè vegnuda a torlo ieri, quando i xè andai via…>>. 
<<Fantastico! E’ proprio la persona che cerchiamo. Sa dirci dove sono andati?>>. 
<<Quei due? Cossa vusto che sappia mi? I me ga messo in man i miei schei e i xè scampai via >>. 
<<Non le viene proprio in mente niente?>>. 
Il nostro interlocutore si fece di colpo sospettoso. 
<<Ma perché v’interessa tanto questa tosa? ‘Sta storia del risarcimento dei danni la scominsia a spussàr. Dica la verità: siete della polizia? Vardè che qui el xè tutto a posto! Mi qua de gente brutta no ghe ne vogio…>>. 
<<No, stia tranquillo. Non siamo della polizia, ma visto che siamo colleghi le dirò la verità: la ragazza ha lavorato come cameriera nel mio albergo e se ne è andata via dopo aver rubato diverse cose di valore. Allora, prima di denunciarla la voglio trovare per farmi restituire quello che ha preso e la voglio guardare dritta negli occhi per vedere la faccia che fa …>>. 
<<Ah! Ecco! Comunque, scusi se mi permetto, ma lei se l’è cercata. Mi no me mettarìa a servir in albergo quel tipo di gente. Ghe xè poco da far: si vede dal muso che i xè diversi! >> 
Stavo per ribattergli che, allo stesso modo, si vedeva dal suo muso che lui era un vecchio coglione razzista quando quello si ricordò finalmente un particolare utile. 
<<Comunque, ieri, prima di partire, lei, la morettina, è venuta due o tre volte a chiedermi di telefonare ad un numero di Verona, ma non gli ha mai risposto nessuno>>. 
<<Ha conservato quel numero?>>. 
<<Si, lo go scritto da qualche parte, ora lo trovo>>. 

Il nostro uomo si recò dietro il bancone e dopo aver cercato nel cestino scomparendo alla nostra vista, riemerse dopo qualche attimo con un foglietto appallottolato che ci porse. 
Milla lo guardò, poi gli chiese se poteva tenerlo. <<Certo che pol tegnirselo. Lo avevo già butà dentro le scoasse…>> 
Mentre la mia compagna infilava il foglietto nella tasca della borsetta, mi feci avanti nella discussione. Per una di quelle antipatie “di pelle” che a volte mi concedo, quell’uomo mi stava sullo stomaco fin dal primo momento e così mi venne spontaneo formulare la domanda con il tono un po’altezzoso che adotto quando voglio rimarcare le distanze. 
<<Ma, il ragazzo, come si chiama? Questo lo saprà, almeno, visto che è stato suo ospite per diverso tempo>>. 
Il nostro alzò le spalle <<Alì, Mustafà…cosa vusto che ne sappia di quei beduini là? Se ciamarà come che l’vol!>>. 
<<Beh! Ma come fa a dire che non sa come si chiama? Se vuole essere sicuro di essere pagato dovrà pur prendere delle generalità o un indirizzo! Come lo ha registrato? >>. 
<<Non l’ho registrato… gli ho preso il passaporto quando è arrivato e gliel’ho restituito appena mi ha messo i soldi in mano e che li go contai. Poi, arrivederci e grazie>>. 
<<Come è possibile? Non può non averlo registrato! Qualsiasi albergo lo fa. E’obbligatorio, lo sa lei?>>
Quell’uscita mi procurò uno sguardo carico d’odio. L’uomo mi posò una mano sulla spalla con fare minaccioso. Era chiaro che anche lui non doveva trovarmi molto simpatico. 
<<Scolta vecio, ma ti, che albergo ti ga?>> 
<<Il Villa Seiffert, a Sant’Anastasia, è un quattro stelle>> 
<<Ecco…allora i siori che i vien da ti a duecentomila lire per notte ti pol anca registrarteli in quel posto o dove che ti vol, mentre con i poareti che i vien qui, mi fasso quel casso che vogio. Ti ga capìo?>> 
Milla mi trascinò via per un braccio prima che la situazione degenerasse. <<Grazie, comunque, lei è stato utilissimo! Le faremo sapere>>. 

Appena giù dalle scale mi guardò severa. Era chiaro che il battibecco con quel tizio avrei dovuto risparmiarmelo. <<Ma volevi farti dare un pugno sul naso? Cosa gli vai a chiedere della registrazione? Ma lo hai visto il posto? Solo tu puoi pensare che in una fogna del genere ti chiedano i documenti. E poi, da che pulpito viene la predica… non sei tu quello che stava per farci prendere una multa per non aver registrato Mauriot?>>, 
Evitai polemiche e non raccolsi la provocazione, mentre la mia compagna si dirigeva inaspettatamente dall’altra parte della strada. <<Perché vai di la? La macchina è qui dietro>>, 
Milla sbuffò sollevando la frangetta, come quando dicevo qualcosa che la irritava. 
<<Lo so perfettamente, visto che l’ho parcheggiata io. Ho preso questa strada perché lì c’è una cabina telefonica>>. 
La raggiunsi e la fermai trattenendola per un braccio. <<Vuoi chiamare quel numero?>>. 
<<Dopo, prima faccio una verifica>>. 
<<Che vuoi fare?>>. 
<<Chiamo Giulio in albergo e gli chiedo di guardare al centralino i tabulati delle telefonate di Ponsard. Voglio vedere se quel numero è uno di quelli che aveva chiamato il professore>>. 
Milla entrò nella cabina e ne uscì dopo un certo tempo tutta soddisfatta. 
<<Hai scoperto qualche cosa?>> 
<<Si! Ti va di fare un salto sino a San Zeno? E’ vicino a Bardolino, dalle parti del lago di Garda>>. 
Nel dirlo, un sorriso prima appena accennato le si allargò sul volto perché pregustava la mia faccia sorpresa e, infatti, non la delusi.<<A San Zeno? Fino al Garda? E’ perché poi?>> 
<<Perché il numero che ha chiamato Maria dalla pensione è lo stesso che aveva chiamato Ponsard prima di fare quel suo viaggio misterioso. 
Ho chiamato il servizio informazioni della Sip e l’operatore mi ha detto che questo numero appartiene ad un certo Jacques Tarentin e mi ha dato l’indirizzo. Ho provato a chiamare anch’io, ma non mi ha risposto nessuno. Dopo qualche squillo parte il fax, ma questo non vuol dire nulla. Probabilmente questo tizio ha un ufficio e quello è il numero. Però ho la sensazione che se andiamo lì probabilmente ne sapremo di più e comunque credo che Maria e il suo amichetto abbiano avuto la nostra stessa idea >>. 
<<Ma secondo te chi sarebbe questo Tarentin?>>. 
Milla mi guardò meravigliata poi posò la mano sulla mia spalla. <<Forse è l’ora di farsi vedere da un medico perché stai invecchiando male! >>. 
<<Perché?>>. 
<<Sei uno smemorato perché te ne aveva parlato Cristophe e il bello è che me lo avevi raccontato proprio tu! Tarentin è la persona con la quale Pauline era venuta in Italia e che poi ha mollato per tornarsene in Francia con Ponsard. E’ la persona che il professore è andato a trovare la mattina che è sparito e molto probabilmente è anche il quarto asso del poker d’assi! Se guardi bene Ponsard e i suoi tre amici hanno dei cognomi le cui iniziali sono le stesse dei semi delle carte da gioco francesi: picche, quadri, cuori e fiori>>. 
Feci un rapido controllo mentale e poi sbottai deluso. 
<<Ma no! Camilla, non ci siamo! Rifletti: ammettiamo anche che Ponsard fosse le“Piques”, il suo socio Chevalier il “Cœur” e l’editore Carmandes fosse il ”Carreau“, cioè l’asso di quadri. Il quarto uomo però dovrebbe avere un cognome che inizia con la “F”di “Fleurs" per essere l’asso di fiori…>>. 
Milla salì in macchina lanciandomi un’occhiata ironica. 
<<Sì, amore mio, non c’è alcun dubbio che sia così se usiamo un francese maccheronico come il tuo. Peccato, però che la carta di fiori in francese si chiami: “Trèfle”, e quindi inizi con la “T” esattamente come Tarentin. E credo che Maria il francese lo conosca meglio di te…>>. 

Sprofondai nella vergogna più totale che mi tenne compagnia quasi fino al casello di Soave, poi, finalmente mi ripresi. <<Credi che questo Tarentin sia il loro obiettivo e che siano diretti li?>>. 
<<E’ chiaro! Se ha cercato di mettersi in contatto con lui era probabilmente per tendergli una qualche trappola. Spero solo di fare in tempo a salvargli la pelle>>. 
<<Ma come fa Maria a conoscere quel numero di telefono e anche a sapere che il quarto uomo si trovava per una fortunata combinazione in Italia, addirittura a due ore di macchina dall’albergo?>>. 
<<Per il numero di telefono ha fatto come me. Ha guardato il tabulato delle telefonate della stanza di Ponsard. Non dimentichiamoci che se ha ucciso Chevalier possiede anche la sua rubrica. Non ti ricordi che tra le stranezze che Viccaro ci aveva riferito c’era anche quella che i presunti rapinatori si erano impadroniti dell’agenda del morto? Quindi le sarà bastato confrontare i numeri telefonici. In quanto al fatto che il quarto uomo si trovasse in Italia, purtroppo credo lo abbia saputo involontariamente da me …>>. 
<< Da te?>> 
<<Si! Mi sono ricordata che una sera mi è venuta a dire, con quella sua arietta innocente, che non c’era bisogno di sapere il francese perché il professore parlava benissimo italiano e mi ha chiesto come mai lo sapesse così bene. Così le ho raccontato quello che mi avevi detto a proposito del fatto che Ponsard aveva lavorato per alcuni anni da queste parti. A quel punto le è bastato vedere sull’agenda di Chevalier e sulle chiamate di Ponsard un numero con il prefisso di Verona per capire che quello probabilmente era l’uomo che stava cercando >>. 
<<Forse c’è un'altra ipotesi… tutte le vicende sentimentali di Ponsard, Pauline e Grouchy, come sai io le ho sapute da quel pettegolo di Cristophe che mi aveva fatto anche il nome di questo Tarentin, indicandomelo come l’uomo di cui Pauline si era innamorata e che poi, dopo un periodo di lavoro assieme, aveva improvvisamente lasciato qui in Italia per tornare in Francia assieme a Ponsard>>. 
<<E allora?>>. 
<<Beh! Il giovanotto, oltre che con Nadia deve averci provato anche con Maria. Lo so perché un pomeriggio li ho visti in giardino che chiacchieravano allegramente. Probabilmente lei ha fatto finta di stare al gioco per farlo cantare e lui, con un unico obiettivo in mente, le ha spiattellato nomi e cognomi>>. 
<< Bel pollo il tuo francesino!>>. 
<<Che vuoi farci? Questa è la prova della teoria di Stephen Hawking sul potere traente dei buchi neri>>. 

Milla sghignazzò a lungo per la battutaccia, ma non prima di avermi dato del mona. Attesi che un minimo di compostezza ritornasse nell’abitacolo, poi ripresi le domande. 
<<Secondo te, perché questo Tarentin non ci ha risposto? Loro hanno un giorno di vantaggio su di noi, non è che lo hanno già ucciso?>>. 
<<No, non credo. Se ti ricordi quello che ci ha detto il proprietario della pensione non ha risposto neppure a Maria. Quindi anche lei deve essere venuta qua per vedere di rintracciarlo. Il paese è piccolo, non dovrebbe essere difficile sapere dov’è. E comunque sappiamo entrambe che Tarentin fino a pochi giorni fa era qui in loco, perché Ponsard gli ha parlato>>. 
<<Ma dove potrebbe essere andato?>>. 
<<Non lo so. Potrebbe essere via per lavoro, oppure Ponsard potrebbe averlo avvisato che qualcuno cercava di fare loro la pelle e potrebbe essersi nascosto da amici. Tanto più ora che avrà saputo della morte del suo amico>>. 
<<Ma non sarebbe il caso di chiamare Viccaro?>>. 
<<Aspetta … prima vediamo la situazione in loco e poi possiamo scomodare il nostro amico con tutte le sue alfette lampeggianti. Se non riusciamo a trovarlo noi, questo Tarentin non lo trovano neppure loro, questo è certo>>.