giovedì 19 marzo 2020

L'Enigma di Ponsard - Capitolo 1


Il gridolino di piacere di Milla giunse inaspettato alle mie orecchie mentre ero intento ad osservare la nevicata fuori stagione che ricopriva ogni cosa attorno a villa Seiffert. Essendo un suono ormai raro, oltre che inatteso, mi voltai giusto in tempo per vedere la mia consorte venire raggiante verso di me agitando un foglio di carta del fax << Arrivano! Arrivano! Lo sapevo che ce la facevamo!>>. 

La guardai sospettoso, perché ormai sei anni di convivenza con quella donna mi avevano abituato ad ogni stranezza. Sembrava che Milla per una sorta di suo oscuro malessere esistenziale non potesse passare serenamente le sue giornate senza abbandonarsi a qualche nota d’eccentricità, quasi sempre costosa e a danno mio o di suo fratello Giulio. Eppure avevamo due bellissimi figli in tenera età, ai quali si era aggiunto il marmocchio che mia cognata Nadia, già nota in paese come “Figa de fero” e ora detta “Voltaire” per il suo acume intellettuale, aveva sfornato subito dopo il matrimonio, vivevamo immersi in una campagna che era un inno alla vita placida, con una madre suocera che pensava a tutto (ed anche oltre) ed eravamo perfino discretamente benestanti. 
C’era tutto l’occorrente per passare il resto della nostra esistenza a leggere buoni libri e a coltivare amicizie appaganti intellettualmente delibando vini profumati e cibi eccellenti all’ombra del noce secolare davanti alla nostra dimora. Invece quella sventurata ci proponeva in continuazione iniziative strampalate, tanto che i bisticci con me e Giulio si erano andati infittendo negli anni, ma con la differenza sostanziale che se con Giulio la cosa finiva lì dopo un’urlata omerica, con me i musi lunghi si protraevano anche nel talamo nuziale e per diverso tempo. 
Per questo le risposi con una certa ansia: << Chi arriva? Per fare che cosa? E, soprattutto: perché? >> 
Milla mi guardò sorpresa da tanta ignoranza. <<I francesi! Chi se no? Saranno qui tra un mese>>. 

Mi girò le spalle e fece per tornarsene verso la reception. La cosa m’indusse subito ad inseguirla, non fosse altro perché odiavo essere piantato in asso nel bel mezzo di un discorso.
<< Camilla!>> (chiamavo sempre mia moglie con il suo nome intero quando volevo prendere le distanze da lei) <<la Francia è un paese amico, cosa hai combinato questa volta?>>.
La mia compagna si fermò e sorrise benevola <<Ma va! Mona che non sei altro! Vengono qua al residence >>.
Questa faccenda del residence, che in realtà non era tale, ma ambiva ad essere un albergo vero e proprio, era appunto una delle tante stranezze recenti di Milla che, da quando suo fratello Giulio aveva deciso che la villa Seiffert, da lui ereditata pochi anni prima, era troppo grande e ingestibile per la sua famiglia, aveva immediatamente rispolverato la sua laurea in architettura e le sue velleità d’arredatrice e grazie alla complicità di quella mente semplice di Nadia, facilmente suggestionabile, aveva convinto il fratello ad investire una cifra abnorme nella ristrutturazione della villa in albergo di charme. 

Alla fine d’interminabili lavori fatti in totale economia (che per la mia consorte voleva dire disturbare i suoi cari e tutto il paese per ottenere piaceri e favori di varia natura e soprattutto lavoretti in nero) ne aveva ricavato cinque stanze matrimoniali con bagno al piano nobile, una delle quali, l’ex stanza da letto dei conti Seiffert, era stata chiamata pomposamente “Suite del conte” solo perché dotata di una minuscola anticamera e di un bel paio di bifore. Poi c’erano altrettante camere più piccole al secondo piano, dove era stata ricavata anche una saletta per riunioni adatta per una quindicina di persone. 
I bagni delle stanze al piano nobile erano stati tutti decorati con un raffinato mosaico di stupendi “Sassi del Piave” che costavano un occhio della testa e che furono oggetto di un’accesa discussione tra Milla e suo fratello, il quale sosteneva che, dal momento che il Piave scorreva a meno di un chilometro da casa, proprio non vedeva il motivo di una spesa del genere. 

A dimostrazione della sua tesi, Giulio, dopo aver perlustrato il greto del fiume per una mattinata, aveva scaricato una carriola intera di ciottoli davanti alla nostra porta di casa. Questo atto di ostilità aveva alimentato l’ennesima zuffa fratricida. Al piano terra, cui si accedeva dal giardino grazie ad una minuscola scalinata abbellita da due sedicenti ninfe in pietra scovate nel retrobottega di un marmista di Oderzo, la nostra architetta, sopprimendo alcuni bei salottini in nome di quella che lei chiamava: “una lettura rigorosa della struttura”, aveva ricreato un’ampia sala da pranzo, valorizzando, ad onor del vero, la stupenda palladiana originale del pavimento. Poi, dopo una radicale ristrutturazione delle cucine da cui si era salvata, per le nostre veementi proteste, solo la vecchia cappa del camino e grazie ad un misterioso amico bergamasco che progettava interni di barche a vela, aveva realizzato finanche un minuscolo bar in mogano e ottone, a cui si accedeva, tra luci soffuse, dalla vecchia biblioteca del conte Vittorio, trasformata ora in reception e in sala di lettura. 

Per gli arredi si era fatto ricorso a quanto restava dei mobili originali e per il resto si erano saccheggiati tutti i robivecchi e i sedicenti antiquari compresi in un’area di svariati chilometri, da Belluno a Treviso. Tutto questo sfoggio di magnificenze, però, anche se Milla sosteneva con incrollabile certezza che una famosa catena americana di hotel “di charme” avrebbe presto avanzato una generosa offerta per rilevare le attività, fino ad oggi era servito soltanto ad ospitare alcune coppiette occasionali, una delle quali, oltre a svuotare il frigobar e a spegnere le cicche dappertutto fuorché nei portacenere, aveva anche fatto razzia degli asciugamani e degli accappatoi di spugna ricamati a mano con le iniziali del residence ed era stata vanamente inseguita da Milla fino al casello di Conegliano. Ora, a quanto sembrava, le cose stavano finalmente per cambiare…

Ad ogni modo, essendo sospettoso di natura, decisi di approfondire la notizia di quell’insperato arrivo. << Camilla… potrei sapere chi sono questi francesi, quanti sono, quanto si fermano e, soprattutto, com'è che ci hanno trovato? >>.
Milla mi porse con malagrazia il fax perché ci dessi un’occhiata e, intanto, appoggiandosi al banco della reception si era immersa a far calcoli scarabocchiando con la matita sul retro dell’elenco del telefono, cosa che se l’avessi fatta io sarei stato trucidato all'istante.
<<Allora… i francesi sono cinque persone, arriveranno tra venti giorni e si fermeranno per quasi un mese a mezza pensione…dunque…calcolando lo sconto e quindi un prezzo a persona di 90.000 lire per notte, perché di meno non gli faccio… fanno 450.000 lire al giorno e per 27 giorni ….sono 12.150.000 d’incasso. Inoltre, in tutti quei giorni, vuoi che almeno altri due o tre milioncini di extra non me li facciano? Quindi, possiamo calcolare all’incirca una quindicina di milioni. Poi ci sono i corsisti che sono una dozzina di persone di media. Noi ne possiamo alloggiare cinque al secondo piano, gli altri li mando alla locanda “Vigna d’oro”. Sono già d’accordo con il proprietario il quale mi darà una piccola percentuale… e anche qui, tra una cosa e l’altra, possiamo calcolare un’altra quindicina di milioni, Quindi, alla fine della giostra, ci portiamo a casa oltre una trentina di milioni al lordo delle tasse. Non è male, no?>>

La mia consorte mi rivolse uno sguardo complice e mi fece sentire in dovere di non deluderla <<Sì, non è male, ne convengo, finalmente si vedrà qualche soldo entrare e non uscire soltanto. Ma, al di là di quanto sborseranno, non mi hai ancora detto chi sono questi signori e come mai, dalla Francia, tra tutti gli alberghi della zona hanno scelto proprio il nostro che già a Valdobbiadene, se non fosse che la gente mormora ancora su quanto c’è costato, sarebbe del tutto sconosciuto>>.
Milla mi tolse il fax dalle mani e me lo agitò sotto il naso. <<Se tu avessi la pazienza di leggere, invece di fare sempre il sospettoso, vedresti che questi signori che tanto ti turbano sono il direttore di una società di consulenza di Marsiglia e quattro suoi collaboratori. Vengono qua perché devono tenere dei corsi in zona e se hanno scelto il nostro residence è stato grazie alla signora Trevisan…>>.
La rivelazione mi colse completamente di sorpresa.
<<La Trevisan? La farmacista del paese? Ma cosa ha a che fare con noi?>>
La mia consorte sospirò con la solita aria infastidita di quando doveva proprio spiegarmi tutti i misteri della vita, anche quelli che secondo lei avrei dovuto sapere per non so quali capacità divinatorie.
<<Visto che, come al solito, quando una cosa non t’interessa spegni l’audio e dopo fai la parte di quello che casca dalle nuvole, anche se te ne avevo già parlato il mese scorso, te lo ricordo subito! La Trevisan ha partecipato tre mesi fa ad un corso di questo professor Ponsard a Vicenza per conto dell’Associazione di categoria dei farmacisti. Siccome il professor Ponsard aveva trovato da ridire sull’albergo vicentino che era troppo affollato e sapendo che in seguito sarebbe dovuto venire qua in provincia a fare degli altri corsi, lei, che è una persona sempre tanto cortese nei nostri confronti, gli ha detto che il nostro albergo era il massimo del comfort e della quiete e così ci ha messo in contatto. Soddisfatto?>>.

Il primo impulso fu quello di domandarmi come mai quella megera non si fosse fatta i fatti suoi. Poi, ricordando che la signora in questione, da dietro il bancone della sua farmacia veniva inevitabilmente a conoscenza di vita, morte, miracoli e acciacchi di ogni abitante del paese e che sembrava trarre lo scopo della sua esistenza nell’impicciarsi dei fatti altrui, capii il perché di quel favore non richiesto. Sicuramente alla signora non pareva vero di aver gente nuova, straniera per giunta, in giro per il paese e su cui curiosare. Quest’ultimo era sicuramente uno dei motivi per cui mia moglie e la Trevisan legavano tanto, unitamente al fatto che da quando Milla aveva risolto il caso dei conti Seiffert e il delitto della vedova Orzes, la signora, che era un’appassionata lettrice di romanzi gialli, la considerava come una giovane Miss Marple, ignorando colpevolmente il mio decisivo contributo alla soluzione d’entrambe le vicende. La mia memoria, per un’elementare questione di correttezza, andò a ripescare nei ripostigli dimenticati del cervello i frammenti smarriti di quella conversazione sulla Trevisan in mezzo ad un groviglio di comunicazioni sui figli da portare all’asilo, il sale grosso che mancava e sulle lenzuola da cambiare e, alla fine, mi parve che probabilmente Milla avesse ragione. L’avevo colpevolmente rimossa. 

Me ne scusai, ma subito dopo pensai che fosse mio dovere far presente alla signora alcune incognite che la mia mente d’uomo organizzato vedeva chiaramente. <<Camilla… va bene pensare all’incasso che faremo, ma ci sono alcuni problemi che sarebbe bene non sottovalutare. Il primo è: chi accudirà tutta questa gente? >>
Milla scrollò le spalle <<Non ti preoccupare. Ho già pronta la squadra: la mamma in cucina e la Nadia per le stanze e il servizio bar e ristorante. Giulio per la manutenzione e logistica e io a sovrintendere il tutto >>.
L’esclusione dalle convocazioni mi ridiede il buonumore, tanto da indurmi ad una mossa affrettata <<Vedo con sollievo di non essere incluso nel team>>.
Naturalmente, il crollo delle mie speranze fu immediato <<No affatto! Signorino mio, non t’illudere di stare come al solito a guardare noi che lavoriamo. Tu ti occuperai, oltre che dei nostri figli, anche delle relazioni pubbliche, visto che mastichi un po’ di francese e sarai, assieme a Giulio, una specie di factotum, pronto a dare una mano dove occorrerà. >>.

Incassai disinvoltamente la faccenda del factotum, confidando che in seguito, con qualche accorta diplomazia, la cosa sarebbe finita nel dimenticatoio. In ogni modo le preoccupazioni persistevano e considerai mio dovere farlo presente.
<<Camilla… sorvolo sul fatto che Nadia, Giulio e tua madre normalmente stentino a comprendere l’italiano, figuriamoci il francese, ma tu pensi seriamente che la mamma regga per un mese l’urto di colazioni, pranzi e cene per una dozzina di persone, con tutte le possibili varianti di richieste e che la Nadia sia capace di servire adeguatamente a tavola? Una cosa è fare la banconiera al bar “da Celio” ad affettare musetti e a servire ombre e spritz al giro degli avvinazzati del paese, un’altra è servire dodici clienti alla tavola di un ristorante che pretende di essere di tono. Ci vuole professionalità, non bastano un paio di mammelle ipertrofiche. E poi occorre fare quotidianamente le pulizie e le stanze. E’ un lavoraccio. Non possiamo scaricarlo sulle spalle di tua madre e di Nadia, mentre Giulio da questo punto di vista è irrecuperabile. Se non altro per il fatto che a quarant'anni suonati e grazie a tua mamma non ha mai rifatto un letto in vita sua. Anzi, deve essere convinto che i letti si rifacciano misteriosamente da soli. E’ bravo a portare il trattore e a curare le viti, ma questo non ci serve, no? Dovremo prendere almeno qualche altra persona che non ci costi troppo. Che ne pensi di tua zia Ginetta? E’ pensionata, robusta come un toro e si annoia mortalmente>>.

Milla sollevò la frangetta con uno sbuffo, come quando era infastidita da qualcuna delle mie idee bislacche. Poi mi fissò dritto negli occhi affinché m’imprimessi bene in testa quanto stava per dirmi <<Per amor di Dio! La Ginetta sta bene dov’è. Anzi, che non venga in mente a nessuno, e a te per primo, di raccontarle quel che succede perché non la voglio tra i piedi a curiosare e a straripare con tutte le libertà che si prende con le persone e neppure lo zio Orio. Chiaro? Questo deve essere un posto elegante e di stile, non una bettola di campagna. Mia madre non uscirà dalle cucine e la Nadia la tengo apposta perché non sa una parola di francese e quindi anche se dice una delle sue solite cretinate non la capiscono. In quanto al servire a tavola avrà tutti gli insegnamenti che le servono. Ma i rapporti con i clienti li gestisco io e soltanto io. Se proprio occorrerà un aiuto, ma dovrò vedere qualcuno stramazzare al suolo, cercherò qualche cameriera professionista, Per ora non è proprio il caso. Siamo tranquillamente in grado di far funzionare tutto da soli e non intendo spendere una sola lira in più di quanto abbiamo già speso! >>. 
Subito dopo, guardandomi minacciosa soggiunse: <<Tra l’altro, non capisco perché tu ti debba mettere sempre di traverso su ogni cosa che faccio. Sembra quasi che ti compiaccia di stare lì a seminare dubbi e geremiadi con la tua solita aria di superiorità di quello che ha già visto il mondo e c’illumina del suo sapere. Non è che potresti pensare in positivo ed essere un po’ più collaborativo? C’è già Giulio che fa il profeta di sventure a tempo pieno, se vi mettete in due siete un po’ troppi >>.

Avrei avuto molto da obiettarle, ma in quel momento il nostro scambio d’opinioni fu interrotto da un essere riccioluto comparso dal nulla e che correva a nascondersi tra le braccia della mamma piagnucolando. <<E’ brutto lo zio Giulio, mamma… è brutto! >>. Contemporaneamente apparve in fondo al salone mio cognato che teneva per mano Ortensia, la nostra figlia più piccola, che al confronto di quello zio dal fisico così massiccio sembrava ancora più minuscola. L’uomo era decisamente imbarazzato e Milla, cui l’intuito materno non faceva difetto, lo interpellò subito. <<Giulio, che hai combinato con Gianmarco? Perché piange?>>
<<Ma niente...  non ti agitare come al solito. Li ho portati a Valdobbiadene in piscina, cosa vuoi che sia successo? Ha bevuto un poco mentre cercavo d’insegnargli a nuotare, tutto qui! >>.
La mia consorte si fece ancora più sospettosa. <<Tu gli insegnavi? Ma non ti avevo detto di affidarli all'istruttore?>>.
<<Sì, ma costava diecimila lire l’ora e poi l’orario non andava bene. Allora ho chiesto ai bambini se volevano che gli insegnasse lo zio e sono stati contenti>>.
Gli occhi di Milla si fecero piccoli e vitrei come quelli del cobra che sta per mordere <<Non per sfiducia, ma posso saper come gli stavi insegnando a nuotare? Avrai avuto qualcuna delle tue pensate geniali, immagino>>.
Mio cognato indietreggiò istintivamente, in gran disagio, tanto da inciampare contro una poltroncina. 
<<Beh… li ho calati in acqua e li ho lasciati a muoversi da soli. Ortensia è stata bravissima, ha preso subito confidenza con l’acqua>>. Poi, per cercare complicità si rivolse alla nostra piccolina <<E’ vero che sembravi un pesciolino? Dillo alla mamma>>.
Nostra figlia annuì soddisfatta, confermando la faccenda del pesciolino. Milla, però, non era tipa da farsi depistare così facilmente. <<Lascia stare il pesciolino… cosa è successo a Gianmarco? >> 
Giulio tirò il fiato, poi confessò. <<…invece Gianmarco ha bevuto un pochino, si è spaventato ed è andato sotto, ma l’ho tirato su subito >>.
Milla lo guardò inorridita, mentre il nostro piccolo, nell’ intento di far sgridare lo zio, drammatizzava l’accaduto con una sceneggiata spudorata, simulando singhiozzi e convulsioni. 
La mia consorte si rizzò di scatto alzando la voce. 
<<Giulio, ma sei scemo?…Ma cosa ti è venuto in mente? Volevi affogarmelo? Lo sai che un bambino può restare traumatizzato per tutta la vita?>>. 
Poi, sopraffatta dall’amore materno, si riaccomodò sulla poltrona al mio fianco, stringendo a sé il nostro pargolo e riempiendolo di baci e carezze. Gianmarco, raggiunto lo scopo, si voltò soddisfatto verso lo zio come a dirgli: <<Hai visto che la mamma ti avrebbe sgridato?>>.

Come padre del naufrago non potevo più esimermi dall’intervenire sulla questione. Mi rivolsi dunque a Milla. <<Perché te la prendi con Giulio? Quello di buttarli subito in acqua mi pare un ottimo sistema, per insegnare a nuotare ai bambini. Tanto, prima o poi tornano a galla, no? >>.
La provocazione colse subito nel segno e lo sguardo di mio cognato si fece minaccioso.<<Senti un po’, Culastrisce, tu mi hai sempre fatto due marroni così con la storia che tuo padre, ufficiale di marina, per insegnarvi a nuotare aveva fatto allo stesso modo con te e tuo fratello quando eravate bambini >>.
<<Infatti! Mio fratello, trentacinque anni dopo, nuota ancora con i bracciali, Ti dice niente?>>. 
Giulio non fece a tempo a replicare, forse frenato dal fatto di essere alla presenza di due minori, che Ortensia, in crisi di gelosia, si staccò dalla sua mano e corse a sua volta a farsi coccolare dalla mamma. Non appena le passò la mano nei capelli, Milla avvampò nuovamente di sdegno.
<<Giuliooo… ma la bambina è fradicia! Non le hai asciugato i capelli? Fuori nevica, vuoi che mi prenda una polmonite?>>.

Mio cognato provò come di consueto a tirar fuori la faccenda della “Razza Piave” che a dire suo e di Nereo Rocco era praticamente indistruttibile e le storie di quando lui e Milla da ragazzini facevano il bagno nel fiume d’inverno, ma ne ricavò solo un insulto irriferibile. Poi, mia moglie, definitivamente disgustata, prese per mano i due bambini e li portò via per asciugarli. Rimasti soli, Giulio, che voleva evidentemente recuperare una complicità tutta maschile, mi fece cenno di prender posto su uno sgabello del bar. Quindi, dopo aver armeggiato nei cassetti alla ricerca del cavatappi e di qualche salatino, tirò il collo ad una bottiglia di Merlot e riempì due calici rasi sino all’orlo. Mentre mi porgeva il vino, sbottò improvviso: <<Culastrisce, se pol savèr cossa gà la tosa ?>>.

L’annosa faccenda del Culastrisce, che alludeva alla mia condizione di nobiluomo veneziano solidamente squattrinato, di solito m’induceva a pesanti ritorsioni sul suo recente e immeritato titolo di conte a cui, per rinforzo, associavo spesso l’invettiva di “Sculassavacche di un trevisàn”, ma questa volta, avendo già avuto quell’uomo il fatto suo dalla sorella, mi disposi di buon grado ad ignorare la cosa, disponendo, tra l’altro, di una vendetta ben più raffinata che intendevo attuare immediatamente. <<Giulio, dovrei dirti che fa così solo perché hai cercato di sterminarle la prole, ma non ho il coraggio di mentirti. In realtà Milla sa benissimo che Gianmarco ha fatto solo una bevutina d’acqua clorata, buona al massimo per disinfettargli l’intestino e che Ortensia, se va fuori a fare a palle di neve con il fratello, si bagna ben di più. In realtà tua sorella è su di giri per quello>> 
Gli indicai con noncuranza il fax che era rimasto sul tavolino. Giulio lo raccolse e mi divertii a vedere la sua espressione mutare in rapida successione durante la lettura fino all'inevitabile esplosione. 
<<Ma porca di quella porcona di una vacca! Ma semo diventai matti? Dove la mettemo tutta sta gente?>>. Per ben sottolineare la sua disapprovazione tirò un cazzotto sul piano di mogano del bar facendo tintinnare tutti i bicchieri e spandendo metà del suo vino. 
A quel punto, sollevato il calice verso la luce della finestra per ammirare il perfetto color rubino di quel Merlot, lanciai l’ultima stoccata. <<Giulio, hai voluto la bicicletta? Ora pedali…>>
Mio cognato mi fissò ostile <<Cos'è questa storia che io devo pedalare?>>.
<<Voglio dire… avevate una villa stupenda e piovuta dal cielo dove potevate vivere sereni per il resto dei vostri anni. Chiunque lo avrebbe fatto, ma voi no, non vi bastava. Avete voluto fare il residence? Ci avete speso un sacco di soldi? E’ovvio che ora Milla lo vuol fare funzionare a pieno regime. Non penserai mica che tua sorella si accontenti di giocare all'albergatrice con qualche coppietta che viene qua a farsi una sveltina e frega pure gli asciugamani, non ti pare?>>.

Sapevo di rischiare la vita, ma la mia contrarietà su quella follia dell’albergo andava ribadita ad ogni costo. 
<<Culastriscie! Bevi quel vin e non sta a dirme un'altra parola che altrimenti rendo orfane quelle due creature. Perché dopo de ti vado su in casa e accoppo anche quella pazza scatenata di tua moglie che è la responsabile di tutto… e magari anche la mia, così impara ad ascoltare quell’incantatrice di serpenti che hai sposato!>>. 
Giulio mi guardò per un istante con un’espressione che faceva temere che stesse davvero per compiere quanto andava minacciando. Poi, di colpo, depose le armi e la sua voce si fece grave, come quel giorno che ci aveva annunciato che il trattore si era ribaltato nella roggia. <<Comunque, è chiaro che da adesso abbiamo un problema serio, quindi smettiamola di dirci monate che non servono a niente. La questione è: come ce la caviamo con tutta questa gente?>>.
Allargai le braccia sconsolato <<A parte che mia moglie sarebbe anche tua sorella, non c’è molto da fare, purtroppo…d’ora in poi si tratta di fare l’albergo sul serio e non per scherzo come lo abbiamo fatto fino ad oggi. Dunque dobbiamo prendere tutti gli interessati e, dopo aver loro spiegato con tutte le cautele del caso, e mi riferisco soprattutto a tua madre, quel che sta per capitare, farli sedere attorno ad un tavolo per mettere nero su bianco tutto quel che ci sarà da fare e chi farà che cosa. Mettere a punto un mansionario e definire le responsabilità è fondamentale per la sopravvivenza. Mi pare che tua sorella, nella sua estasi creativa, non abbia ancora messo bene a fuoco la complessità della cosa. Una cosa è gestire una o due coppiette che è già tanto se si fermano per la colazione, un’altra è il tutto esaurito nelle camere e a pranzo e cena. Probabilmente, dalla riunione verrà fuori chiaramente la necessità di prendere dei rinforzi per il servizio in sala e nelle stanze, anche se tua sorella per ora non ne vuole sapere. Dice che prima vuole vederci stramazzare al suolo, e probabilmente di questo passo sarà accontentata. Pensiamo, per esempio, al portiere di notte…chi lo fa? Per ora, con quei quattro gatti che sono venuti ce la siamo cavata chiudendo il portone a mezzanotte e con il campanello collegato alla tua camera, ma ora con le stanze al completo ci vuole senz’altro un servizio continuo e se uno resta sveglio tutta la notte, poi non è che il giorno dopo può sfacchinare come un mulo, non ti pare? >>.

Giulio annuì versandosi dell’altro vino e strappando brutalmente con i denti una bustina d’arachidi con cui si riempì il palmo della mano <<A parte che mia sorella sarebbe anche tua moglie, su questo hai ragione… qui se non prendiamo in mano la cosa noi uomini vien fora un casìn che non ci voglio neanche pensare >>. Poi, dopo una pausa di riflessione, dovuta anche alla sofferta masticazione di una manciata troppo abbondante, mi guardò complice <<Senti un po’, Culastrisce… e se io e te mandassimo ora un fax ai francesi dicendo che ci dispiace tanto, ma l’albergo deve fare delle ristrutturazioni urgenti o qualche altra balla del genere e non li può più ospitare? >>

Sporsi la mano per avere a mia volta una manciata di noccioline. <<L’idea è buona, purtroppo, però, mi pare difficile da realizzarsi per due buone ragioni. La prima è: ammettiamo che i francesi prendano per buono il fax e rinuncino. Certamente Milla non si spiegherebbe le ragioni della loro sparizione improvvisa e chiederebbe delucidazioni. Quindi verrebbe di sicuro a conoscenza dei responsabili del misfatto e sarebbe quantomeno la fine del mio matrimonio. Forse a te la cosa non importerà, ma io, per puro masochismo, ci tengo ancora. La seconda è che se leggi il fax fino in fondo vedrai che i francesi dicono di aver già mandato due milioni di caparra sul conto dell’albergo sul quale ha la firma solo Milla. Dunque, nessuno tranne lei potrebbe restituire loro i soldi, con quel che ne deriva>>.
Mio cognato ebbe un gesto di disappunto, poi ammise sconsolato: <<Allora lo abbiamo in quel posto>>. Il suo tono era quello della disfatta e nella sala scese un silenzio cupo, interrotto solo dalla masticazione delle noccioline.

Ora, quando un esercito è sull’orlo della disfatta occorre che i veri leader escano allo scoperto e prendano in mano la situazione per invertire le sorti della guerra. Così, il Von Clausewitz che riposava in me si fece sentire << Non è detto! Se siamo bravi possiamo riuscire a prendere noi in mano la situazione senza che Milla si senta esautorata e senza esporci troppo. Se la investiamo di petto, tua sorella farà una resistenza accanita, ma se la lavoriamo accortamente ai fianchi cederà. E’ un po’ come la linea Maginot, per restare sul tema dei francesi…i tedeschi l’hanno aggirata dal Belgio, mica sono andati a rompersi le corna sui fortini. Basterà agire sul versante femminile facendo un’accorta opera di persuasione su tua madre e su Nadia, che sono il ventre molle dello schieramento. Da loro e solo da loro deve partire durante la riunione la richiesta di rivedere la squadra e di assumere rinforzi, oppure, ma non oso sperarlo, di mandare a monte l’operazione per manifesta inadeguatezza della struttura e di restituire la caparra ai francesi. Noi staremo calmi e sottotraccia, apparentemente collaborativi e pronti ad intervenire solo per dar loro manforte se fosse necessario >>.

Giulio rimase qualche attimo in silenzio mentre riempiva nuovamente i nostri calici. Si vedeva lontano un miglio che l’idea lo stuzzicava. 
<<Quindi proponi una specie di ammutinamento generale?>>.
<< Diciamo un ammutinamento mirato. A noi Milla può dire di no, ma a tua madre e a Nadia, che hanno un ruolo strategico, non può, altrimenti non sarebbe in grado di gestire l’albergo. Quindi, sarà una resa senza condizioni! >>.
<< E noi saremo magnanimi… il generale sconfitto avrà l’onore delle armi!>>.
Giulio, conquistato dal mio pensiero strategico, sollevò il bicchiere verso di me per brindare al successo del piano. 
I brindisi propiziatori furono ripetuti e convinti, per scacciare del tutto ogni possibile malasorte, quindi, dopo aver nascosto i vuoti delle bottiglie affinché Milla non ci trovasse da ridire, chiudemmo l’albergo, perché, tanto, con un tempo del genere non ci sarebbero venute neppure le coppiette.
Quindi convenimmo di avviarci verso casa, dove ci aspettavano benigni i profumi corroboranti della cucina di mia suocera e le nostre modeste gioie familiari. 

Al momento d’inforcare le biciclette e prima d’inoltrarci nel gelo del viottolo ricoperto di neve, dopo aver stabilito che io avrei preso in consegna mia suocera, mentre lui avrebbe instillato il germe del dubbio in sua moglie Nadia, Giulio suggellò l’intesa con una vigorosa stretta di mano e propose che il nostro patto avesse un nome da tramandare agli storici e così, non trovando di meglio, quell'intesa tra gentiluomini venne denominata “Patto del Merlot”.

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