lunedì 23 marzo 2020

L'Enigma di Ponsard - Capitolo 3



Le settimane che ci separavano dall’arrivo dei francesi, nonostante la mia obiezione che non fosse prudente spendere tutto l’incasso prima ancora di averlo guadagnato, furono impiegate da Milla per rivedere puntigliosamente l’arredo dell’albergo, acquistare vini e liquori pregiati, rifornire la dispensa di prelibatezze d’ogni genere, rinnovare le dotazioni di tovagliati, piatti e bicchieri e dotare la cucina di nuove pentole. Questo ultimo acquisto fu salutato con emozione da mia suocera che così con quei pentoloni da caserma poteva aggiungere nuovi suoni al suo concerto mattutino. Addirittura, per collaudare la resistenza della struttura organizzativa all'impatto con numeri rilevanti di persone, la mia compagna accettò una tantum di organizzare nella sala da pranzo dell’albergo la cena mensile della “Confraternita per la salvaguardia del musetto” di cui Giulio era membro influente con la qualifica di Accademico e tanto di toga in velluto rosso vermiglio. In realtà, la cosa, che normalmente Milla avrebbe visto come una calamità biblica, aveva anche un secondo scopo meno dichiarato ed era in relazione alle dicerie che volevano sul punto d’arrivo la pratica per elevare Sant’Anastasia dalla dimensione di frazione a quella di comune autonomo. Mio cognato, di conseguenza, si era messo in testa di potersi candidare a sindaco con una sua lista civica e quella cena, cui partecipavano tra i vari crapuloni alcuni personaggi di spicco della vita cittadina quali il signor Brusegan dell’omonima autofficina, il titolare dello Studio Levorato (paghe e contributi) e l’avvocato Nardello, con un passato di qualche rilievo nella vecchia Democrazia Cristiana locale, era un’ottima occasione per le pubbliche relazioni e per tastare il polso dell’elettorato che contava. Insomma, si trattava di cogliere i classici due piccioni con una fava. 

Nell'occasione, mia suocera aveva sfoggiato tutto il suo talento di cuoca dalla cucina tradizionale e sostanziosa e, in aggiunta allo scontato vassoio di musetto bollito con il cren, il suo stinco di maiale con le patate in tecia e le verze sufegàe le aveva procurato un applauso la cui lunghezza era proporzionale al numero di bottiglie già scolate. Anche Nadia, eletta reginetta della festa con la scusa delle migliaia di musetti affettati da banconiera, aveva ricevuto una vera ovazione quando si era chinata per tagliare la crostata di pere e crema pasticcera che concludeva la maratona gastronomica, ma lì si capiva che il motivo era diverso. A fine pranzo, mentre Giulio ormai lavorava di fantasia sulla sua immancabile elezione, Milla guastò l’atmosfera di trionfo trovando da ridire sul fatto che dal conto finale mancavano almeno quattro quote e sullo stato miserevole dei bagni. Inoltre, aveva trovato assolutamente disdicevole che Giulio avesse lasciato mano libera ai commensali per quanto riguardava le grappe pregiate messe sulla tavola al momento dei caffè. Otto vuoti di bottiglia dall’etichetta prestigiosa erano il risultato di tanta leggerezza e la mia compagna, indifferente a qualsiasi giustificazione, ne pretese il rimborso immediato. 

La mattina seguente, mentre davo la cera al salone e Giulio era impegnato a lucidare gli ottoni del bar, Milla apparve sulla porta tenendo per mano una signorina minuta, dai capelli crespi e, tutto sommato, abbastanza anonima. A prima vista si notava che la mia signora era raggiante di felicità <<Signori vi presento Maria. E’ una cameriera professionista e da domani prenderà servizio qui in albergo>>. 
Restai di sasso e spensi la lucidatrice per sentire meglio. << Scusa, cosa hai detto? Forse non ho capito bene>> 
<<Ho detto quello che hai capito benissimo: Maria è una cameriera esperta, con delle buone referenze e da domani ci darà una mano almeno per tutta la permanenza dei francesi e poi vedremo>>. 
Giulio rimase con l’ovatta impregnata di Sidol sospesa a mezz’aria, ma poi fu il primo a riprendersi con un’uscita delle sue. << Signorina, lei è sana di mente?>>. 
La poverina rimase interdetta e Giulio proseguì <<Glielo chiedo perché per lavorare qui occorre esser matti. Si ricorda la commedia, no? Se no i xe mati no li volemo…>> poi, come gli succedeva spesso, rise da solo per la sua battuta, ma nessuno gli diede corda. 
<< Non gli badi Maria. E’ mio fratello. Non sembra, ma è una brava persona, un padre di famiglia. Innocuo insomma! L’altro, invece, che fa finta di saper usare una lucidatrice, è mio marito. Lui è forse un po’ meno innocuo, ma niente di trascendentale. Basta un’occhiata storta e si mette in riga>>. 
<<Grazie per la simpatica presentazione, amore… sono sicuro che la signorina l’avrà apprezzata>>. 
Andai da questa Maria a stringerle la mano con il mio sorriso più charmant e subito dopo arrivò anche Giulio a darle il benvenuto a bordo.

Quindi, dopo che Milla aveva preparato un bricco di caffè e qualche biscottino per rompere il ghiaccio, c’immergemmo in una fitta conversazione dalla quale apprendemmo che Maria aveva ventinove anni (gliene avrei dati almeno quattro o cinque di più) ed era una studentessa fuori corso dell’Università di Perugia che lavorava per pagarsi gli studi. Era nata a Taranto, ma aveva vissuto molti anni in Belgio con il padre e questo le aveva consentito un’ottima conoscenza del francese, che parlava senz’altro meglio dell’italiano. Infine, che si trovava dalle nostre parti perché il suo fidanzato era a Feltre per fare il militare e lei lo aveva voluto seguire. 
Ma quel che più contava era che aveva lavorato sia in un albergo che in un ristorante e questo la rendeva praticamente la persona perfetta per noi. Tra l’altro, guardandola meglio, notai che la ragazza era molto più graziosa di quanto l’avessi giudicata a prima vista, forse influenzato dal fatto che era vestita con una tale modestia da rasentare la sciatteria. Maria era decisamente di carnagione olivastra e con quei capelli crespi e ribelli mi ricordava una vecchia fiamma di quando avevo fatto il servizio militare dalle sue parti. La pelle del viso, dove spiccavano una bocca sottile e due occhi nerissimi e vivaci, sembrava di seta e quando s’illuminava in un sorriso sapeva diventare stupenda come tutte le donne meridionali. Mi pareva anche molto aggraziata nel modo di fare e questo, per me era un elemento decisivo. Così diedi il mio benestare convinto all’assunzione e dopo un po’ la congedammo, anche perché un colpo di clacson fuori dal cancello ci aveva fatto intendere che il fidanzato era giunto a riprendersela. 

La seguii con lo sguardo attraverso i vetri della veranda finché non la vidi salire su una vecchia Fiat Regata di un orrido colore celestino. Cercai anche di aguzzare la vista per curiosare sul conducente, ma non riuscii che ad intravedere una sagoma scura dietro a dei vetri che avevano sicuramente bisogno di una buona lavata. Rimasti soli, Milla c’interpellò con aria soddisfatta. 
<<Allora, che ve ne pare?>> 
Giulio, che dopo le prime battute della conversazione con Maria si era tolto di mezzo tornando a lucidare i corrimano di ottone, sembrava ignorare la domanda ed io risposi volentieri al suo posto <<Beh! E’ un bel colpo di fortuna. Sembra fatta su misura per noi e mi ha lasciato un’ottima impressione. Tra l’altro, mi pare di aver capito che la ragazza intenda lavorare qui solo un po’ di mesi, giusto il tempo che il suo ragazzo finisca la leva e di ritornare a Perugia…>>. 
<<Infatti! E anche questo è un bel vantaggio, no? Contratto di tre mesi e poi tanti saluti >> 
<< Sì, ma come l’hai trovata?>> 
<<Non l’ho trovata io. Lei si è presentata alla Vigna d’oro chiedendo se avevano bisogno di personale. Biasin, il proprietario, mi ha telefonato per sapere se m’interessava e appena l’ho vista l’ho portata qui>> 
<< Ben fatto! Ma… siamo sicuri che sia brava?>> 
<<Ho visto il suo libretto di lavoro: a Perugia ha lavorato due anni come inserviente ai piani all’Hotel Rosetta e ultimamente lavorava come cameriera di sala in una piccola trattoria del centro>>. 
<< L’Hotel Rosetta lo conosco. E’ un signor albergo!>>. 
<< Già! E se ci ha lavorato due anni vuol dire che il suo mestiere lo sa fare… e poi, guarda, anche se non sapesse far niente l’assumerei solo per il fatto che sa bene il francese. Mi pare una tale fortuna che nemmeno ci credo! >> 
<<Come si chiama la ragazza?>> 
<<Maria Angelillo!>> 
<<Angelillo? Per un interista questo cognome vale più di cento credenziali. Assunta subito!>> 
<<Ma che mona che sei>> 
<<Certo che come studentessa è un po’ fuori corso>> 
Milla sorrise ironica, poi mi rifilò un buffetto amichevole sulla guancia << Ma poverina! E’ fin troppo brava. E poi, parli proprio tu che ci hai messo sette anni? Lei lavora tutto il giorno e studia quando può. Le fa onore che voglia proseguire con tanta determinazione. Mica è come te che hai avuto una famiglia che ha pagato ozi, stravizi e perfino l’appartamento in centro a Padova nell’attesa che il pupo si laureasse con suo comodo >>. 
Malgrado l’evidente provocazione, lasciai cadere il discorso perché non volevo guastare l’atmosfera con polemiche inutili. 

Mio cognato, trincerato dietro il bancone del bar, persisteva nel suo silenzio ostinato, così mi venne spontaneo interpellarlo. <<E tu Giulio, che ne pensi?>> 
L’interpellato rispose con un mezzo grugnito che la diceva lunga sul suo umore.
<< Cosa vuoi che ne pensi? Tanto fate sempre tutto voi>> 
<<Che vuoi dire con questo discorso?>> 
Giulio interruppe il suo lavoro e si schierò di fronte alla sorella come per intimorirla con il suo fisico incombente <<Voglio dire che tanto tu e Culastrisce avete già deciso, quindi è inutile che ci prendiamo per i fondelli con il bel gesto di chiedere la mia opinione. Io conto solo quando c’è da mettere la mano sul portafoglio, per il resto non conto un cazzo…>>. 

Lo guardammo stupiti, poi Milla, risentita da quell’atteggiamento ostile e affatto intimorita, gli chiese spiegazioni a muso duro. <<Lasciamo perdere le tue solite stupidaggini vittimistiche perché qui si è sempre deciso tutti insieme e tenendo continuamente conto dei tuoi voleri, anche quando erano francamente impresentabili. Comunque, tira fuori il rospo: perché non sei contento? Non ti è piaciuta Maria?>> 
Giulio, che non appena la sorella s’impuntava innestava subito la retromarcia, fece spallucce e per un attimo mi fece venire in mente un bambino imbronciato. << Si, la tosa può anche andare bene. Però tu lo sai come la penso, no? Avrei preferito che non fosse della Bassa. Con tutte le brave ragazze di qua che hanno bisogno di lavorare non capisco perché dobbiamo andar a prendere una di Catanzaro Veneto. Semo sicuri che la ga voglia de lavorar? Ti sa quelli là come che i xe fatti, no? Voglia de lavorar saltime indosso!>>. 
Milla ed io scattammo indignati all’unisono. <<Giulio! Per amor di Dio! Che da oggi in poi non ti scappi una delle tue solite battute idiote sui meridionali. Guai a te! Non intendo perdere quella ragazza per le tue cretinerie e i tuoi pregiudizi da osteria!>>. 

In quel momento, un’energica voce maschile a noi ben nota risuonò nella sala.<<Cara la nostra signora Camilla… ha visto? Lei parla dei meridionali ed eccomi qui!>>. 
Il capitano Viccaro attraversò la hall a grandi passi e si chinò a squadra davanti a Milla per il rituale baciamano. Dietro di lui, intimidito come al solito, l’appuntato Chiariello, l’alter ego dell’appuntato Paullo che s’intravedeva al volante dell’Alfetta parcheggiata davanti alla scalinata. I due giovani militari erano da tempo i beniamini di casa ed erano soprannominati Cip e Ciop da tutti noi, con l’eccezione di Giulio che li chiamava “i magna magna” in quanto mal sopportava il fatto che i due giovanotti avessero eletto casa nostra a punto di ristoro durante i giri di pattuglia. Del resto, finché mia suocera li rimpinzava gratuitamente di pane, formaggio e soppressa, era difficile dar loro torto. 

Milla fu la prima a riprendersi dalla sorpresa di quella apparizione inaspettata.
<< Caro Capitano, a cosa devo il piacere di questa sua visita inattesa?>>. 
<<Volevo congratularmi con lei per questo… >> 
Fece un cenno a Chiariello che gli porse una copia della Tribuna di Treviso, poi Viccaro aprì il giornale alla pagina della cronaca locale e lo stese sul tavolino perché potessimo vedere tutti. A metà pagina, su due colonne corredate da una foto dell’albergo presa direttamente dal nostro depliant, spiccava il titolo: “I manager d’Europa si formano a Villa Seiffert”. 
Lo sbigottimento mi consentì di dare solo una veloce scorsa all’articolo, ma quanto bastava per apprendere che la Ponsard & Chevalier, una delle principali società francesi di formazione manageriale aveva scelto la prestigiosa cornice di Villa Seiffert per una serie di seminari di èlite dedicati a manager del settore farmaceutico provenienti da tutta Europa. 

Al termine della lettura mi domandai se il Capitano non fosse lì per arrestarci per tentata truffa e millantato credito, ma poi scorsi l’aria soddisfatta di Milla e nella mia mente si fece strada la luce. 
<< Camilla, il giornalista che ha scritto queste vergogne era sbronzo o tu ci hai messo del tuo?>>. 
<< No, il giornalista che ha scritto queste cose non ha fatto altro che pubblicare il comunicato stampa che gli ho passato… piuttosto mi ha rovinato la sorpresa perché gli avevo chiesto se poteva pubblicarlo il giorno dell’arrivo dei francesi. Comunque andrà bene lo stesso>> 
<< Ah si! Servirà a fargli girare i tacchi e andare via indignati, ma non prima di averci fatto causa>> 
<< Perché la fai così tragica per un semplice messaggio promozionale?>>. 
<<Perché il messaggio è tutta una menzogna spudorata. Lasciamo perdere la faccenda della prestigiosa cornice con le lenzuola stese in giardino, ma i presunti manager sono dei normalissimi rappresentanti farmaceutici e in quanto alla provenienza europea, i partecipanti sono tutti italiani, a meno che tu non ritenga che Mirandola o Isernia siano località esotiche!>>. 
Quand’era alle strette la mia compagna pur di aver ragione sapeva arrampicarsi sugli specchi e, alla bisogna, mentire anche spudoratamente. Infatti, non tardò a farlo. 
<< Per la verità, ci sono anche uno spagnolo, un greco e due francesi… >> 
<< Come nelle barzellette….Camilla, non barare! Ho visto gli indirizzi: lo spagnolo abita a Savona e il greco sta a Porto Recanati. Ti passo solo i due francesi… >> 

Viccaro, che aveva assistito al nostro battibecco sempre più divertito, mise fine alle ostilità chiudendo il giornale e poggiandomi una mano sulla spalla come per fermare ogni ulteriore polemica. Non lo fece con Milla per prudenza. << Suvvia! Mi pare che lei la stia pigliando troppo sul serio. La sua signora, in fondo, ha fatto solo un po’ di pubblicità all’albergo. Un po’ esuberante, magari, come è nel suo carattere, ma non vedo che male ci sia>>. 
Milla gli sorrise, grata di quell’intervento a difesa. 
<< Grazie capitano. Mio marito, ogni tanto, quando è in presenza di estranei, si diverte a fare il moralista puntiglioso, ma poi, visto che anche lui ha i suoi peccatucci nell’armadio, gli passa>>. Dopo una breve pausa soggiunse: <<Comunque, lei non vorrà farmi credere che si è disturbato a venire fin qui solo per farci vedere quell’articolo, vero?>>. 
Viccaro assunse un’espressione compiaciuta perché probabilmente si aspettava quella domanda.
 << No, in effetti, no! Infatti, come non le è sfuggito, sono qui per un altro motivo e cioè perché mi servirebbe una vostra collaborazione… diciamo non ufficiale. Posso parlarvi riservatamente?>>. 
Milla, capì al volo chi fosse di troppo nella stanza e fece cenno a Giulio di allontanarsi. L’interessato lasciò cadere teatralmente lo straccio della polvere e si allontanò scrollando le spalle, senza protestare. Cosa decisamente sorprendente considerando quanto il capitano gli stesse sullo stomaco. 
La mia compagna attese ancora un attimo per essere sicura che Giulio si chiudesse la porta alle spalle, poi rispose. <<Per noi va benissimo, ma di cosa si tratta?>>.

Notai che, come suo solito, aveva accettato a scatola chiusa e senza neppure consultarmi. Era evidente che fiutava qualcosa d’interessante nella proposta di Viccaro e siccome sapevo bene che quando quella donna si invaghiva di qualcosa non vi erano speranze di farla recedere, mi accomodai in poltrona, rassegnato ad ascoltare il capitano. 
<<La storia è questa: quattro mesi fa il professor Chevalier, il socio di questo Ponsard che ospiterete tra poco nel vostro albergo, esce dal suo ufficio verso le sette di sera. La mattina dopo deve recarsi a Parigi dove presenterà all’editore le bozze del suo ultimo lavoro di ricerca. L’ultima a vederlo è la sua segretaria che gli consegna i documenti e gli ricorda che l’indomani mattina ha il volo per Parigi alle otto e trenta, ma lui quell’aereo non lo prenderà mai. 
Infatti, viene ritrovato assassinato nella sua macchina, con la testa sfondata a colpi di pietra, in un viottolo di campagna a dieci chilometri da Tolosa, dove abitava. Il cadavere era seduto sul sedile del passeggero e con le gambe fuori dall’abitacolo. 
Il professore aveva i pantaloni abbassati sino alle caviglie, come se fosse stato sul punto di avere un rapporto, tanto più che sul sedile vicino a lui c’era una confezione aperta di preservativi. Siamo certi che il rapporto non fosse ancora stato consumato perché non vi erano tracce di sperma da alcuna parte. 
Ad ogni modo, questo fatto, unitamente al luogo del ritrovamento, abbastanza frequentato da coppiette e da prostitute, ha indotto la polizia locale a classificare sbrigativamente il caso come un delitto a sfondo sessuale. In pratica, hanno ritenuto che il professore avesse cercato una compagnia occasionale e che una volta appartatosi fosse scoppiato un diverbio tra i due, magari per una prestazione rifiutata o per il compenso, e che questa persona o il suo protettore alla fine l’avessero conciato per le feste. Hanno fermato un po’ di prostitute e di protettori, hanno fatto qualche interrogatorio, non ne hanno cavato un ragno dal buco e la cosa è finita lì >>. 
<<E invece?>>. 
<<Invece ci sono alcune cose che non quadrano. Intanto, il professor Chevalier era un uomo molto chiuso, solitario, senza vizi conosciuti. Secondo chi lo conosceva non era persona da amori mercenari, anche perché era un igienista quasi maniacale, con una vera fobia per le malattie. E questo è avvalorato in qualche modo anche dal fatto che nessuno dei fermati ricordava di averlo mai visto in precedenza. Poi appare improbabile che una persona concentrata su un impegno come quello che attendeva il professore a Parigi il giorno dopo e che dovrà alzarsi di buon mattino, vada a cercare avventure di quel tipo. Comunque, ammettiamo anche che Chevalier, tanto per rilassarsi, abbia deciso di passare la serata in allegra compagnia. Resta pur sempre il fatto strano che chi l’ha ucciso ha sì svuotato il suo portafoglio come per rafforzare l’impressione di una rapina immediatamente precedente o successiva al delitto, ma non ha preso l’orologio d’oro che la vittima portava al polso e che era sicuramente molto più redditizio di quei quattro soldi che il professore era solito portare con sé>>. 

La vicenda si faceva intrigante, e avanzai un’ipotesi <<Forse sono stati disturbati da qualcuno e non hanno fatto tempo a prenderlo, oppure al buio non lo hanno notato. Se il professore è stato ucciso senza che la cosa fosse premeditata, probabilmente la ruberia successiva è stata improvvisata da gente non del mestiere che ha colto l’occasione per arraffare in fretta qualche spicciolo dal portafoglio senza pensare che vi fosse di meglio>>. 
Viccaro annuì << E’ possibile che sia andata come dice lei, ma la cosa più strana è che dalla macchina sembra mancare la borsa da lavoro che secondo le testimonianze della segretaria, che l’ha visto uscire dall’ufficio, il professore doveva avere con sé. E questo non è un comportamento coerente con la tesi dell’omicidio occasionale o per rapina >>. 

Milla approvò la tesi del capitano << No, certamente! Un rapinatore se prende una borsa convinto che contenga dei valori, quando si accorge che non ha nulla che possa servirgli, di solito se ne disfa alla svelta, dunque si sarebbe dovuta ritrovare nei paraggi. Si ha un idea di cosa contenesse la borsa?>> 
<<C’era un po’ di tutto: l’agenda con gli indirizzi e gli appuntamenti, documenti vari e, soprattutto, le bozze del lavoro che Chevalier stava ultimando e che è stato il pomo della discordia>> 
<<Quale discordia?>> 
<<Quella tra lui e il suo socio: il professor Ponsard. Da quel che risulta i due, amici ancora dai tempi del servizio militare nei paracadutisti, andavano d’amore e d’accordo, fino appunto a pochi mesi fa quando hanno litigato perché Ponsard accusava Chevalier di avergli copiato dei materiali originali per pubblicare il suo libro e Chevalier, dal canto suo, sosteneva che in tutti questi anni Ponsard era stato un parassita che aveva fatto fortuna solo grazie al suo lavoro. Il diverbio è stato piuttosto pesante, tanto che c’era una causa per plagio pendente in tribunale con scambi incrociati di diffide>>. 
<<Caspita! Però vedo che la società continua ancora adesso a chiamarsi con il nome di tutti e due i soci>>. 
<<Solo perché Chevalier non c’è più. Aveva già avanzato un’azione legale per impedire al professor Ponsard di utilizzare il marchio societario, ma ormai…>>. 
<<Quindi, se capisco bene, voi siete convinti che l’omicidio del professor Chevalier non sia addebitabile ad un convegno amoroso andato a male o ad una rapina, ma nasca direttamente dall’entourage del professor Ponsard >>. 
<<Non io direttamente, ma ne è convinto l’ispettore Quinot della Polizia Distrettuale di Marsiglia che vorrebbe riaprire il caso e devo dire che alla luce di quanto mi ha fatto sapere sono del suo stesso avviso. Anche perché c’è un altro fatto non facilmente spiegabile che non vi ho ancora detto e cioè che sono stati trovati abbondanti schizzi di sangue sui pantaloni, ma non sulle gambe nude del professore, come se qualcuno gli avesse calato i pantaloni solo dopo averlo ucciso>>. 
<<Quindi, lei sostiene che se fosse stato colpito alla testa già con i pantaloni abbassati avrebbe sicuramente avuto dal sangue anche sulle gambe, quindi il fatto che non ci sia avvalora l’ipotesi di una messa in scena per coprire un delitto nato per altri motivi >>. 
<<Si! Questa è anche l’ipotesi su cui si basa l’indagine di Quinot >>. 
<<La condivido pienamente e mi pare che gli spazi per avanzare dei sospetti sulla morte di questo professore siano molto ampi>>. 
<<Infatti! Ma c’è di più…>> 
<<E cioè?>> 
<<Sarà forse una coincidenza, ma circa un mese fa l’editore Carmandes, vecchio amico di entrambi che aveva pubblicato in precedenza tutti i libri dei due, è stato travolto e ucciso da un’auto pirata mentre faceva jogging di buon mattino vicino alla sua casa di campagna a Neuilly >>. 
<<E’ lo stesso editore che avrebbe dovuto pubblicare il libro della discordia. Ho indovinato? >> 
<<Esattamente… erano grandi amici, perché anche lui era un ex parà, poi si è schierato dalla parte di Chevalier e Ponsard se l’è legata al dito >>. 
<<Beh! La coincidenza pare davvero eccessiva, tanto che sembra quasi una prova>>. 
<<Infatti. Lo è a tal punto che sono convinto che il professore ne sappia qualcosa. E’ vero che in entrambe i casi aveva un alibi di ferro, perché era impegnato in convegni altrove, ma potrebbe benissimo aver commissionato i delitti a qualcuno>>. 
<<E’ possibile, ma, mi scusi se glielo dico, non capisco proprio come potremmo aiutarla>>. 
<<Voi due, in questi anni in cui ho potuto vedervi all’opera come investigatori dilettanti …>>. 
Lo interruppi subito <<Dica: “Avervi tra i piedi”, è più realistico e tanto non ci offendiamo>>. 
Viccaro sorrise, perché evidentemente era proprio quel che pensava, poi riprese:
<<… vi siete dimostrati intuitivi, svelti, attenti ai particolari e anche fortunati, cosa che non guasta. Quel che io vi chiedo, quindi, è di osservare tutto ciò che si svolgerà nei prossimi giorni all’interno del gruppo del professore. Non mi attendo che accada nulla di particolare, ma vorrei comunque che mi riferiste qualsiasi piccolo dettaglio che a voi sembri interessante per lo sviluppo delle indagini. Che ne so? Qualche frase, una telefonata, qualche tensione nel gruppo… Il professor Ponsard gestisce il rapporto con i suoi collaboratori in modo molto militaresco e questo non li rende di sicuro disponibili a collaborare ad una indagine, ma non escludo che in una situazione informale, amichevole e rilassata come voi siete sicuramente capaci di creare, a qualcuno possa sfuggire qualche allusione o qualche dettaglio interessante. Avrei potuto infiltrare nel gruppo dei corsisti qualche mio collaboratore, ma il rischio che non fossero plausibili era molto alto>> 
Lo sguardo del capitano si rivolse intenzionalmente a Chiariello che arrossì vistosamente, poi Viccaro continuò << Così, visto che ho la fortuna di poter disporre qui sul posto di due persone capaci e insospettabili ho pensato di avvalermi di voi. Che ne pensate?>> 

Milla incrociò per un attimo il mio sguardo perplesso e, come al solito, lo interpretò disinvoltamente a suo modo. <<Caro capitano, noi siamo disponibilissimi. Ci consideri già arruolati, pronti ad obbedir tacendo e a tutto il resto, con l’esclusione del morir, naturalmente >> 
Viccaro sorrise, poi aggiunse compiaciuto <<Bene! Era proprio la risposta che attendevo da voi. Sapevo che non sarei rimasto deluso. Siete dei buoni amici, vi piace raccogliere le sfide e sapete lavorare con intelligenza. Cosa potrei desiderare di meglio?>> 
Milla si alzò per andare a preparare qualcosa da bere per festeggiare l’intesa e io rimasi ad intrattenere il capitano. 
<<Già! Cosa potrebbe desiderare di meglio?>> 
Lo ribadii per far capire che se fossi stato interpellato avrei potuto fornire tutta una serie di risposte su possibili desideri alternativi e sicuramente più appetibili. Ma nessuno mi prese in considerazione. 
<<Comunque, non sarete soli. Per ogni esigenza di contatto con me vi metto a disposizione l’appuntato Chiariello…>>. 
<<Di cui ci è ben noto il valore…>> aggiunse Milla ritornando dal bar con quattro calici di prosecco e sorridendo all’interessato che avvampò nuovamente d’imbarazzo. 
<<E anche l’appetito…>> pensai io, evitando, però, signorilmente di profferir verbo per non accrescere i rossori del giovanotto. 
<<Come pensa di metterci Chiariello a disposizione?>>. 
<<Potrebbe lavorare qui in incognito … non vi serve un cameriere? Di recente ha dato una mano alla nostra mensa ufficiali e non ha sfigurato >> 

L’immagine di Chiariello che si aggirava a far malanni nella nostra sala da pranzo dovette attraversare simultaneamente i nostri pensieri perché quasi al’unisono Milla ed io lasciammo cadere l’offerta.<<No, con i camerieri siamo coperti. Piuttosto ci servirebbe a notti alterne un portiere notturno per dare il cambio a mio fratello e anche un factotum che possa dare una mano in cucina e magari fare l’autista, Se lui se la sente…>>. 
L’idea piacque al capitano che decise al volo <<Bene! Chiariello, lei da domani si mette a completa disposizione della signora che le darà tutte le istruzioni del caso. E’ chiaro?>> 
Il signorsì con regolamentare sbattuta di tacchi fece intendere a tutti che il messaggio era stato recepito. Subito dopo, considerandolo ormai parte della squadra, anche Chiariello venne dotato del suo flute di prosecco. 

Dopo il brindisi, qualche manciata di pistacchi e una cordiale stretta di mano i due militari ritornarono sui loro passi, lasciandoci soli. 
L’occasione era finalmente propizia per domandare a Milla i motivi di quell’accettazione incondizionata, ma il ritorno improvviso di Giulio in salone m’interruppe ancora una volta. L’uomo era paonazzo in volto e visibilmente contrariato e apostrofò subito la sorella in malo modo. 
<<Ecco! Adesso ti me porti in casa anche gli assassini! Non ti bastava riempirla di puttane e puttanieri che i veniva qua solo per ciavàrne gli asciugamani. Mancava solo questa in ‘sto casìn de albergo! >>. 

Il vocione di Giulio e le argomentazioni addotte erano un chiaro segnale che l’uomo cercava la lite. E siccome la mia compagna era una che quando la cerchi la trovi, andò su tutte le furie e gli si parò davanti pronta alla guerra. <<Ah! Ma che stronzo che sei! Adesso ti metti anche ad origliare come i bambini! Proprio non conosci vergogna>>. 
<<Brutta cretina! Non ho origliato! Non è colpa mia se quel terrone del tuo capitano ha una voce che passa i muri! E comunque tu questi francesi li rimandi subito a casa loro. Qui, non voglio neppure vederli! >>. 
Giulio diede una spinta alla sorella che traballò per un attimo, ma essendo di natura indomita si riportò subito all’assalto indirizzandogli una ginocchiata al basso ventre che per fortuna di Nadia mio cognato riuscì a schivare, evitando di trascorrere i suoi restanti giorni da eunuco.<<Ma che cazzo dici? Coglione! Ho già incassato la caparra! La paghi tu la penale?>> 
<<Tanto pago sempre tutto io in questa casa!>> 
<<Brutto stronzo! E i bagni, chi li ha pagati?>> 
<<Certo che li hai pagati tu, cretina! Io non pago i sassi del greto del fiume trecentomila lire a metro quadro! Non sarò architetto, ma non sono mona!>> 

Considerando che, in realtà, i due non sembravano aver l’intenzione di passare a vie di fatto, quanto piuttosto quella di darsi una bella strillata reciproca, lasciai che si sfogassero un po’ a colpi di “stronzo” e di “cretina”, quindi, appena li vidi esausti provai a fare da paciere interponendomi tra di loro: <<Scusate! Cerchiamo di vedere le cose con un po’ di razionalità. Non è che stiamo per ospitare Barbablù o Jack lo squartatore. Si tratta di persone che vengono qua per fare dell’innocente formazione. Non per farci il Far West in salotto! E’ vero che il capitano Viccaro desidera che verifichiamo se qualcosa può indirizzare le indagini sull’omicidio del professor Chevalier verso una pista diversa, ma è solo un’ipotesi investigativa. Nulla di più. Probabilmente scopriremo che il professor Ponsard non c’entra nulla e così saremo tutti contenti >>. 
Milla fu la prima a riaversi e a far sbollire l’arrabbiatura <<Si… io questo lo so benissimo, ma prova tu a farglielo entrare in testa a questo caprone ottuso!>>. 
Il caprone in questione permaneva ansante e tutto rosso in viso e non sembrava affatto disposto a cedere, quando, proprio come una dea ex machina apparsa dal nulla, mia suocera apparve benevola sulla porta dell’albergo per annunciare che il risotto con le cipolle novelle era pronto e fumante nei piatti. Fu quindi stabilita una tacita tregua per salvaguardare quel prezioso cibo e, chiuso l’albergo e inforcate le biciclette, ci dirigemmo verso casa. Una volta a tavola, complice qualche buon bicchiere, un secondo piatto di croccanti fiori di zucca fritti e ripieni di mozzarella e acciuga e la considerazione che i francesi sarebbero arrivati all’albergo nel giro di due giorni, rendendo ormai vana qualsiasi obiezione, fu siglato finalmente l’armistizio.


3 commenti:

  1. Risposte
    1. Grazie, la prossima puntata la posterò mercoledì mattina :)

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  2. Ecco qua, mi è toccato leggerlo sul cell, alla fine!!
    Adesso il tutto di tinge di giallo...:-)

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