sabato 21 marzo 2020

L'Enigma di Ponsard - Capitolo 2



La mattina seguente, mentre il sole cominciava ad invadere la stanza vanificando lo sforzo di riprendere il filo di un sogno già interrotto dal cigolare di cassetti aperti e chiusi, dal fruscio dei vestiti e da voci lontane di bambini probabilmente miei, il silenzio della campagna innevata fu squarciato dal ruggito di un motore e, subito dopo, dal rumore di ruote che scavavano furiose la ghiaia del giardino. Non vi era dubbio che si trattasse di Milla che portava i nostri figli alla scuola materna. La mandai mentalmente a quel paese per quelle quotidiane partenze da gran premio assolutamente immotivate se non dal fatto che, come al solito, la mia signora era in gran ritardo. 
Subito dopo, mentre cercavo di riprendere conoscenza di me e di proteggermi con la trapuntina dal gelo proveniente dalle finestre spalancate per arieggiare la stanza e svegliare gli oziosi, arrivò puntuale il frastuono della quotidiana transumanza di pentole tra i vari cassetti della cucina, che sembrava essere una tradizione irrinunciabile di mia suocera. La brava signora Lucia, infatti, doveva avere ancora in circolazione diversi cromosomi di quell’inflessibile nonno tedesco di cui ogni tanto mi parlava (tutti trasmessi puntualmente alla figlia) e questo le rendeva impossibile spostare anche di un solo minuto la sua meticolosa pianificazione quotidiana. 

Decisi pertanto che quello era il momento propizio per attuare il piano concordato con Giulio. Il mio obiettivo si trovava solo e indifeso in cucina. Dunque avrei potuto scendere giù da lei e, facendo leva sulle sue granitiche ritrosie a qualsiasi forma di vita sociale, spaventarla a morte con la prospettiva della calata dei barbari d’oltralpe. L’indiscussa superiorità dialettica e una certa soggezione nei miei confronti da parte di quella brava donna, che mi considerava una specie di alieno giunto dalla lontana Venezia a sposarle la figlia, avrebbero reso sicuramente facile il compito assegnato. Indossata la vestaglia e calzate le ciabatte scesi quindi al piano sottostante. Mia suocera, come da programma, dopo il rigoverno delle pentole e prima di cucinare si concedeva una ventina di minuti di riposo ed era alle prese con un cruciverba della sua inseparabile “Settimana enigmistica”. Appena mi vide comparire sulla soglia della cucina, posò la matita copiativa e mi si rivolse premurosa per conoscere i miei desideri in tema di colazione, poi, prima che potessi risponderle, con l’aria mesta di chi è conscio d’infliggerti un grande dolore pur contro la sua volontà, soggiunse: <<Comunque, questa mattina Camilla, siccome aveva i pomodori freschi la gà fatto un gazpacho e la ga dito che el xe da finir. Quindi de non star a butarlo via >>. 

M’indicò la caraffa del frullatore piena a metà della spremuta di pomodoro e altre verdure che Milla, fin dal nostro primo incontro, mi aveva imposto come salutare colazione e che ancora continuava a propormi, dimentica del fatto che se dopo quella notte d’amore, qualora me lo avesse proposto, avrei mangiato anche un topo gratinato, dopo cinque anni di matrimonio l’esigenza mattutina di un caffelatte con il pan biscotto ruggiva nel mio stomaco. In ogni modo, dall’indicazione decisa di mia suocera era chiaro che la volontà di Milla non era negoziabile in alcun modo e che la vittima designata a finire il beverone di verdure ero io. Inoltre, lei era lì per accertarsi che obbedissi all’ordine. Quindi, rassegnato, presi posto a tavola e dopo un’annusatina diffidente che mi rimandò erbacei effluvi di sedano e cipolla, versai l’intruglio nella scodella. La signora Lucia, che si era rimessa a trafficare con il cruciverba, mi guardò compiaciuta mentre affondavo il cucchiaio nel gazpacho e mi offrì una consolazione. <<Che bravo ‘sto toso! Dopo, se l' vol, ghe fasso un caffelatte>>. 

La prima sorsata, mi fece capire che l’intruglio di verdure non era poi malvagio e, soprattutto, costituiva un eccellente spunto per avviare il discorso. <<No, signora Lucia, grazie, ma non è il caso di disturbarsi. Dopo questo minestrone freddo sarei più incline alla bistecca. Comunque, più tardi vado in paese a comperare il giornale ed eventualmente prendo un cappuccino al bar delle corriere…mi dica, piuttosto: sono difficili? >> 
<< Che cosa?>> 
<< Le parole crociate che sta facendo>> 
Mia suocera guardò lo stato di avanzamento del cruciverba. <<Insomma … conforme!>> 
L’uso del “conforme” era tipico di quella donna quando non voleva sbilanciarsi troppo e veniva adoperato come forma di difesa nei confronti di chiunque. La cosa risaliva a quando, fermi ad uno stop molto trafficato, Milla le aveva chiesto se la strada fosse libera dalla sua parte e lei aveva risposto dapprima <<Si!>> e poi, dopo una discreta pausa di riflessione <<... Anzi, no!>>. Così, dopo un bello spavento e seicentomila lire di danni, era stata redarguita severamente, con il risultato che da quel momento ad ogni domanda potenzialmente insidiosa la poveretta rispondeva con quell’amletico: <<Conforme…>> che la toglieva da ogni impiccio. 

Dopo un breve silenzio tattico, buttai l’esca per avviare la conversazione e giungere al punto << Le serve una mano con qualche parola? Chieda pure…>>. 
La signora Lucia non se lo fece ripetere due volte, anche perché di norma quando la vedevo indaffarata con i cruciverba cercavo di defilarmi e immaginavo che l’occasione di avere finalmente a sua disposizione la mia cultura universitaria, le sarebbe sembrata troppo ghiotta per lasciarsela scappare.
<<Sì, grazie! Però… Carlo, non si offenda, ma lo sa che l’altra sera lei mi ha dato una parola sbagliata?>>. 
Per rafforzare il concetto agitò più volte la matita nell’aria, come una maestra intenzionata a dare una bacchettata al somarello della classe per aver fatto male il compito. Il tono di bonario rimprovero mi punse nell’orgoglio, così come il fatto che la mia interlocutrice aveva abbandonato il dialetto, cosa che, di norma, significava il suo intento di prendere le distanze. 
<<Ho sbagliato? Io? Come è possibile? >>. 
<<Ciò! Certo che è possibile! Si ricorda che le avevo chiesto cosa fosse “il vento che soffia su Venezia”? Lei mi ha detto: “Sciroppo”, ma non era giusto ….>>. 
Pensai amareggiato allo spreco di cultura che andavo perpetrando con gente che non era neppure in grado d’intendere chiaramente le mie risposte. <<Immagino! Però io le avevo detto: “Scirocco”! E’ successo come l’altra settimana con il latte “stremato” che invece era scremato. Non sono io che ho sbagliato, cara signora… forse è lei che ha capito male!>>. 
<<Ah! Ecco…sarà così!>> Mia suocera ammise mansueta le sue colpe, poi soggiunse: <<Comunque, se proprio el vol darme una man, mi dica questa, che io non me ne intendo: “Nota casa automobilistica”. E’ di quattro lettere…>>. 
<< Questa è proprio facile! Sarà la Ford! Oppure la Saab…>> 
<< No, finisce con la T>> 
<<Allora è la Fiat! In ogni caso, le ha detto qualcosa Milla dei francesi? Lo sa che alla fine del mese avremo l’albergo pieno di persone straniere?>>. 
Lanciai l’attacco utilizzando deliberatamente la parola “straniero”, certo dell’effetto panico che avrebbe indotto in una persona mai uscita dai confini della provincia di Treviso. 
Lo sguardo della signora Lucia, come previsto, si fece immediatamente vitreo. Subito dopo, fece cadere il lapis sul tavolo ed esclamò con evidente dispiacere: <<Oh! Madre santissima!>> 

Il colpo sembrava andato a segno e rinforzai subito l’attacco <<E’ preoccupata, vero? In effetti, lo sono anch’io. Mi pare che questa volta facciamo il passo più lungo della gamba! Siamo troppo pochi per reggere l’urto, non trova? >>. 
Mia suocera cercò il mio sguardo, poi scrollò la testa in segno di sconforto.
<<Carlo! Ha sbagliato di nuovo! Non può essere la Fiat perché comincia con la esse. Adesso mi tocca cancellare tutto!>>. 
Alzai le mani in segno di resa <<D’accordo, mi dispiace. A questo punto è chiaro che non è la Fiat, ma la Seat! Comunque, la Seat una volta faceva parte della Fiat, quindi non ho poi sbagliato di tanto. Però adesso mi dica una cosa: sua figlia le ha già parlato dei francesi?>>. 
La signora Lucia era indaffarata a cancellare il mio strafalcione con la gommina della matita e tuttavia rispose sorridendo. <<Si… lo so! So già tutto! Camilla me lo ga dito stamattina. Nol xe contento?>>. 

Il ritorno all’uso dell’ital-trevigiano significava il ripristino delle normali relazioni diplomatiche e quindi andai avanti. <<Contento? Veramente io sono molto preoccupato, soprattutto per lei. Come farà con la cucina? Si tratta di almeno quindici persone, non è mica uno scherzo>> (aumentai un po’ il numero dei commensali per calcare sull’effetto). 
Mia suocera spalancò gli occhi meravigliata, come se le avessi domandato il nome di sua figlia.
<< Che problema ghe xe? Fasso da magnar tutti i giorni, matina e sera, per otto persone, posso far da magnar anca per quindese, no? Basta aver qualche tecia più granda…>>. 
La sua calma serafica cominciava ad indispettirmi, così, anche se non era vero, provai ad attribuire a tutti i quindici ospiti dell’albergo la cittadinanza francese, ma quella santa donna non fece una piega <<‘Sti siori sarà anche francesi, ma i magna come noi, no? Vedrà che resteranno contenti>>. 

Visto che la cucina sembrava ben presidiata la lasciai perdere e spostai l’attenzione su altri aspetti logistici <<Si… ma come facciamo per le stanze? Al mattino ci saranno tutti i letti da rifare, occorrerà cambiare le lenzuola e gli asciugamani, che poi andranno anche lavati e stirati>>. 
La signora Lucia sorrise bonaria per fugare le mie paure anche su questo punto <<Nol staga a preoccuparse, Carlo! La Nadia la xe brava e svelta. Se la xe bona de starghe drio a quel macaco de Giulio, la pol starghe drio anche a cinquanta francesi, nol ghe par? E poi alle dieci, quando go messo su el magnar, posso anche darghe una man a fare qualche stanza o a stirare. Camilla la me ga dito che ‘sti siori i starà a far lessiòn fino alle sie de sera, quindi gavemo tutto il pomeriggio a disposizione >>. 
A quanto sembrava la donna, sicuramente già indottrinata dalla figlia, era molto più coriacea del previsto e non riuscivo a metterla in agitazione, così giocai l’ultima carta, quella della disperazione << Sì, ma ci saranno anche da preparare due coffee break al giorno, come facciamo?>>. 

La parola straniera e misteriosa causò l’effetto sperato e il volto della signora Lucia si fece finalmente preoccupato. 
Stavo per proseguire nell’attacco quando una mano si posò sulla mia spalla trasformando subito la presa in un doloroso pizzicotto che aveva lo scopo di bloccare ogni velleità di proseguire nel discorso. Subito dopo, risuonò la voce di Milla 
<<Non ti preoccupare, mamma! Il coffee break di cui parla Carlo, che si riempie la bocca con i suoi soliti paroloni, non è altro che un piccolo spuntino a metà mattina e a metà pomeriggio. Bastano due caraffe di succo di frutta, qualche biscottino e un thermos di caffé. Cosa vuoi che ci voglia? >> poi, rivolta a me soggiunse << …e in quanto a questo bel signore ancora in vestaglia alle dieci del mattino, che ne direbbe di accompagnare sua moglie in paese a fare due spese?>>. 

Il tono della richiesta era tale che dieci minuti dopo ero già lavato, sbarbato e vestito a fianco di Milla sulla Peugeot che usciva sparata dal cancello di casa in direzione di Sant’Anastasia. Dopo aver chiuso gli occhi al momento dell’immissione sulla provinciale che la mia autista compiva regolarmente buttandosi fuori dallo stop senza vedere cosa stesse arrivando da dietro la curva, aspettai rassegnato la presumibile ramanzina che non tardò.
<< Perché ti diverti a preoccupare la mamma? Lo sai che lei interpreta le cose a modo suo, no? Sono già abbastanza preoccupata io senza che tu ti metta a buttare altra benzina sul fuoco >>. 
Quell’ammissione imprevista mi lasciò stupefatto. <<Beh? Come sarebbe a dire che sei preoccupata? Ieri sera sembravi… >>. 
Milla m’interruppe <<Ieri sera ero contenta di poter finalmente riempire l’albergo! Ma non sono la pazza irresponsabile che tu e Giulio pensate. So benissimo a cosa andiamo incontro e, se ti può far piacere, non ci ho dormito tutta la notte perché ho una paura maledetta che qualcosa vada storto e so perfettamente che ci stiamo condannando tutti ad un mese d’inferno >>. 
<<Ma…allora possiamo pensare a qualche rinforzo?>>. 
Milla sbuffò infastidita, intanto che dava un colpetto di clacson ad un ciclista per toglierlo di traiettoria. 
<<Ma siii! Che palle con questa storia! Certo che ci sto pensando! Se sarà possibile prenderemo qualcuno, ma deve essere una persona con le caratteristiche che voglio io. Non voglio una contadina rifatta o qualche ragazzetto dall’oratorio di Don Fabio. Mi serve una persona che abbia qualche esperienza e sia professionale nel servizio a tavola, ma siccome quelli bravi difficilmente accettano di lavorare solo per un mese e per quattro soldi, non sarà facile >>. 
Presi atto con gioia della ritrovata ragionevolezza della mia compagna.<< Allora non sei arrabbiata con me?>> 
<< Perché dovrei esserlo? Se non me ne dai motivo… e poi non è proprio il momento di litigare. Questa mattina Giulio e Nadia hanno già fatto una baruffa di quelle che basta e avanza. Pensa che sono stata da loro quasi un’ora per metter pace>>. 

La notizia di quello scontro coniugale mi fece capire che anche l’altro congiurato aveva fallito, ma ormai importava poco. Così mi accomodai sul sedile passeggero e mi dedicai ad osservare compiaciuto il verde dei prati che spuntava dalla nevicata del giorno prima, ormai visibile in abbondanza solo sui tetti delle case e in qualche zona all’ombra. Il vento forte della sera prima aveva spazzato via le nuvole e ora tutta la vallata appariva splendente di sole e senza un filo di foschia e pensai che se fossi salito in cima al Cesèn avrei potuto vedere all’orizzonte la laguna di Venezia e forse, come favoleggiava qualcuno in paese, perfino la costa istriana. Per un attimo fui tentato di chiedere a Milla di imboccare la strada verso Pianezze per inebriarmi assieme a lei con la visione di spazi infiniti, ma poi, appena sceso dalla macchina, un refolo di venticello fresco mi fece rimpiangere di aver lasciato la giacca a casa e spense subito qualsiasi velleità di scalatore. 

Dopo le spese e prima di far ritorno a casa, Milla, dal momento che era quasi l’ora di pranzo, mi propose un aperitivo al bar “Da Celio” che accettai volentieri, un po’ perché quell’aria frizzantina aveva già stuzzicato l’appetito e anche perché ero curioso di vedere la nuova banconiera che, dopo molte sostitute non all’altezza, aveva finalmente riempito il vuoto lasciato da Nadia nel cuore degli avvinazzati del paese. La penombra odorosa di vino e di fumo del bar e il brusio degli avventori alle prese con il bianchetto di mezzogiorno ci accolsero piacevolmente. 
Sul banco di marmo grigio facevano bella mostra alcuni piattini con le mezze uova sode, le alici con il cappero e i cubetti di mortadella infilzati negli stuzzicadenti. Più in disparte, la pentolona di cottura del musetto e il tagliere di legno affiancato dalle ciotoline del cren e della senape. Dopo esserci fatti largo a fatica tra la ressa e dopo il solito scambio d’arguzie da caserma con il vecchio Celio che stava alla cassa, mi dedicai ad osservare la nuova entrata. In effetti, la ragazza, che veniva da Mareno di Piave, era una cavallona di tutto rispetto e ben tornita, anche se di viso non era un granché, ma sicuramente quella era la parte che avrebbe destato meno interesse tra gli avventori. 

Piuttosto trovavo un po’ volgare il suo modo di rivolgersi ai clienti con un uso del “tu” indiscriminato e, in quanto a seno, sicuramente con l’uscita di Nadia il locale aveva perso molto del suo fascino. In ogni caso, la giovanetta sembrava nel complesso un acquisto azzeccato. Mentre ero intento a quelle riflessioni ed anche a mandar giù un mezzo uovo sodo con la cipollina e il pezzetto d’acciuga, Milla mi bruciò sul tempo facendo le ordinazioni <<Io prendo uno spritz con l’Aperol e mio marito un calice di Merlot >>. 
La scelta non casuale mi fece paura << Perché per me hai chiesto proprio un calice di Merlot?>>. 
Milla ridacchiò anche perché probabilmente ero sbiancato in volto e la cosa non le era sfuggita. 
<<Non ti piace? Eppure mi sembrava che ultimamente lo tenessi in gran conto>>. 
Mi fu subito chiaro che ogni resistenza era vana e puntai ad una resa onorevole sperando nella clemenza della vincitrice <<Va bene, mi arrendo! Ma come hai fatto a sapere?>> 
<<Scemo che sei! Non lo sai che ho i miei informatori segreti? E poi tu e Giulio con la vostra tendenza alle chiacchiere siete molto improbabili come congiurati, soprattutto se passate la serata al bar a far bisboccia con gli amici>>. 
Capii al volo chi fosse stato l’anello debole della catena. Pensai anche che se Giulio in tempo di guerra fosse caduto in mano della Gestapo, non avrebbero avuto neppure bisogno di torturarlo per ottenere informazioni, sarebbe bastato portarlo al bar e offrirgli un calice di vino. 

Sondai cautamente il terreno che sapevo essere minato. <<Davvero non sei arrabbiata?>>. 
Milla attese un attimo prima di rispondere. Gli occhi le brillavano di divertimento, come quando sapeva di poter giocare come il gatto con il topo.
<< Tu che ne pensi?>> 
<< Penso che dovresti esserlo!>> 
La mia compagna, prima di rispondere, si prese del tempo e trafficò a lungo con il bicchiere dello spritz cercando di far uscire la scorza di limone. Quel silenzio scatenò le mie ansie, poi, dopo che un sorriso le aveva illuminato il volto, ruppe gli indugi. 
<<No, non lo sono affatto. Anzi, la storia del vostro “Patto del Merlot” mi ha divertito molto. Sembrava uno di quei complotti tra studenti sfigati che si ordivano al liceo contro il professore o la secchiona di turno. Devo ammettere che a volte tu e mio fratello avete slanci adolescenziali assolutamente deliziosi. Invece, in quanto al Merlot, avrei qualcosa da ridire sul fatto che tu e Giulio ve ne siete scolati quasi due bottiglie, per non parlare della strage delle noccioline. Pensavate che non lo vedessi? Ti faccio notare, come l’ho già fatto con Giulio, che il bar dell’albergo non è lì per dissetarvi e mangiucchiare a vostro piacimento. Quindi mi devi cinquemila lire di vino e ti abbuono le noccioline perché hai ammesso le tue colpe >>. 
Pagai volentieri quel prezzo sicuramente esoso e la pace fu suggellata da Milla appena usciti dal bar con un abbraccio e un bacio sulla bocca che sapeva di limone e che fece voltare mezza piazza.


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