sabato 19 settembre 2020

Come riuscire a trascorrere le settimane bianche anche in estate (parte 1 - le speranze vane)


Alla fine del 1966, dopo aver superato tra l'incredulità generale la maturità, m'iscrissi a Giurisprudenza e iniziai a frequentare le lezioni a Padova, con lunghi e perigliosi viaggi in treno da matricola sottoposta a vessazioni varie, tra le quali ricordo di aver dovuto fare, sotto la minaccia della "cacatio", ovvero del lancio di cachi maturi, arrampicato in mutande sul monumento di Cavour un dotto discorso sul tema dell'influenza del passaggio delle petroliere lungo le rotte artiche sul ciclo mestruale delle balene. Che poi il problema non fu tanto quello del discorso, che per inventare cretinate sono abbastanza portato, ma quello di scendere da solo dal basamento dove mi avevano issato, perché era alto oltre due metri da terra. Poco dopo mia madre assieme ad una sua amica, moglie di un collega di mio padre di base a Livorno, prese in affitto per i rispettivi figli un piccolo appartamento a poca distanza dalla facoltà per agevolarli negli studi (naturalmente noi figli intendevamo la cosa ottima anche per altre faccende ovvie a quell'età in cui i nostri ormoni giravano tumultuosi come i cavalli al Palio di Siena). Un mese dopo, concludendo un lungo corteggiamento che era iniziato ancora in spiaggia al Des Bains (visto che non osavo dichiararmi, per tagliar corto lei mi invitò ad una festa a casa sua che però non c'era, così come i suoi genitori che erano a Cortina) mi misi assieme ad una bella ragazza veneziana di nome Donatella, che studiava Lettere al Liviano e con lei, grazie anche al fatto di abitare a Padova lontano da occhi veneziani indiscreti e pettegoli, iniziai una storia d’amore piuttosto intensa che poi, tra alti e bassi, abbandoni e riprese durò per tutti gli anni dell’università.

Purtroppo, però, mia madre era riuscita ad ottenere una copia delle chiavi del nostro appartamento grazie al portiere del residence, una losca persona che, come Vittorio Emanuele II, non era insensibile al grido di dolore e ad offerte in denaro. Così mia madre, anche per conto di quella altrettanto sospettosa del mio compagno di stanza (le vicende seguenti che la resero nonna di un bel maschietto dimostrarono come non avesse poi tutti i torti) effettuava periodicamente delle incursioni a sorpresa per controllare come tenessimo in ordine la casa (in quel campo eravamo due "selvaggetti", secondo lei) e talvolta per portarci via le bottiglie di liquore dall’armadietto. In tal caso, siccome da brava artista con una bella vocazione al disegno aveva sempre un block notes in borsetta e qualche pennarello, al loro posto ci lasciava dei simpatici disegnini con la bandiera dei pirati, il teschio e le tibie incrociate. Naturalmente, oltre a sequestrarci alcolici e sigarette, ci buttava in pattumiera anche le copie di Playboy che Roberto portava su dal mercatino americano di Livorno (con bigliettino: “E’ così che studiate?”) e talvolta, immagino mettendosi le mani nei capelli di fronte a tanto disordine, trovava il tempo di rifarci i letti, lavarci la pila di piatti di qualche giorno prima (lasciamo stare quel che scriveva sui bigliettini che poi ci lasciava sull'acquaio. Diciamo che "Siete davvero indecenti!" era la cosa più carina) e talvolta ci preparava perfino qualche porzione di spaghetti che poi trovavamo pronti in tavola e coperti da un piatto perché non si raffreddassero quando tornavamo da lezione. Cosa che, al di là del fastidio per la violazione della nostra privacy, scoprivamo con gioia perché altrimenti ci sarebbe toccato andare a fare la coda in mensa. 

Una mattina però, tornando dalla facoltà, vidi che mia mamma, dopo il raid di due giorni prima era passata di nuovo e, naturalmente, essendomi dimenticato di nasconderla non ritenendo ci fosse pericolo imminente, aveva notato la bella foto di Donatella che da qualche giorno tenevo incorniciata accanto al mio letto. Sopra c’era un bigliettino con un paio di cuoricini e un grazioso Cupido che diceva “Molto carina! Complimenti…” 
Ma, poiché è noto che in cauda venenum, subito sotto c’era il post scriptum che mi fece raggelare il sangue: “Se per caso lei è quella che si è dimenticata il mascara sulla mensola del bagno di casa nostra quella sera che io ero fuori al torneo di bridge, se la inviti a cena da noi mi farà molto piacere ridarglielo di persona e poterla conoscere” . 

Lo feci qualche sera dopo, sia pure con un imbarazzo mostruoso (anche da parte di lei), e, come immaginavo (e temevo), la cena fu simpaticissima. Mia madre, che conosceva l’arte dell’ospitalità e di mettere le persone a proprio agio, fu molto affettuosa con Donatella e le due iniziarono presto a fare amicizia e comunella a mio danno, tanto che in seguito, con una manovra a tenaglia perfettamente studiata, le due complici m'indussero a lasciare la chitarra e le crociere sulle navi, a riprendere gli studi e a dare esami, con Donatella che mi pose di fronte ad una di quelle alternative non trattabili del tipo “o me e la laurea o la chitarra” ed essendo una delle due possibilità in stretta relazione con il concetto economico di “bene scarso rispetto alla domanda” potete bene immaginare cosa abbia scelto e perché. 

Tuttavia, nel tempo il rapporto di cordialità ed amicizia si era esteso anche ai genitori di lei, due carissime persone che si erano affezionate a me come mia madre alla loro figlia. Questo anche perché a suo padre, appassionato velista, non pareva vero di aver trovato finalmente un uomo di mare che lo aiutasse in barca nelle manovre e, soprattutto, un discreto cuoco, dal momento che moglie e figlia andavano già in difficoltà a preparare un brodo con il dado (a volte pensavo che, come un novello Esaù, mi concedesse la primogenitura in cambio di un piatto di lenticchie o, nel mio caso, di un risotto). Così l’estate seguente ottenni almeno di avere Donatella nostra ospite per una settimana nella casa che avevamo preso nuovamente in affitto a Moena, dopo gli anni trascorsi ad Ortisei. Noi saremmo andati su ai primi di luglio mentre Donatella, che non ricordo cosa dovesse fare ancora a Venezia, ci avrebbe raggiunto un lunedì, subito dopo la metà del mese. 





Il fatto è che a quell’epoca Moena non presentava svaghi di sorta a parte il dancing dell’hotel Faloria, che era inavvicinabile per le mie tasche e probabilmente anche per la fascia d’età di chi lo frequentava. Purtroppo, già la seconda sera dall'arrivo era svanita subito la carta del cinema parrocchiale San Vigilio, che poi era l’unico attivo sulla piazza. Avevo notato sulla locandina attaccata a fianco dell’ingresso che proiettavano l’Armata Brancaleone e anche se l’avevo già visto a Venezia pensai che era un buon modo per far passare almeno una serata. Ma quando mi presentai al botteghino mi accorsi che quello era il film della settimana prima. Infatti quella sera proiettavano per la prima volta “il bello, il brutto e il cretino” con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Mi rifiutai di vederlo e tornai mestamente a casa con la brutta notizia che il parroco, considerandolo un film per famiglie, lo avrebbe programmato per almeno due settimane.

Dunque, senza cinema e senza televisione, escludendo dopo le prime cinque sconfitte consecutive di giocare ancora a scala quaranta con mia madre e mio fratello e tanto meno a Monopoli, tutte le sere scendevo in paese per fare le code interminabili davanti alle cabine della Sip e telefonare a Donatella spendendo un patrimonio in gettoni. Era l’unico momento bello, a meno che non rispondesse sua madre per dirmi che era al cinema o peggio, come successe una volta, che la figlia era in bagno e se volevo aspettarla. Dopo dieci minuti di attesa con i gettoni che continuavano a cadere inesorabili, decisi che doveva essere stitica e riagganciai. Al ritorno, facevo una rapida puntatina al bar per una spuma di mele sorseggiata guardando quelli che giocavano a biliardo. Poi con le ultime cento lire mi concedevo una partitina a flipper che tanto finiva subito perché i bumper ti scaraventavano immediatamente la palla appena lanciata nelle canalette laterali senza neppure poterla toccare e se provavi appena a scuoterlo o sollevarlo per fregarlo, il maledetto aveva il tilt ipersensibile. Non a caso, immagino, proprio sopra il flipper era appeso un cartello che ricordava le sanzioni contro chi bestemmiasse in luogo pubblico. 

Poi, finalmente il lunedì agognato arrivò e con lui anche il sole ad illuminare i boschi fradici di acqua e le montagne picchiettate di neve, che considerai di buon auspicio. Mia madre mi ordinò di prendere una giacca a vento e anche se sul momento mi sembrava una bizzarria, quando vidi Donatella scendere dalla corriera rossa della Siamic con un abitino leggerissimo di cotone, capii che la sapeva lunga. Naturalmente, visto che non eravamo soli, il nostro saluto fu molto formale e durante la strada, io che portavo le valigie rimasi indietro rispetto a quelle due che parlottavano come vecchie amiche. All'altezza del ponte in ferro sull’Avisio riuscii finalmente a prenderle una mano. Lei me la strinse affettuosa e questo mi mise di buonumore. Dopo una cenetta molto simpatica e quattro passi serali in paese riuscii a stare da solo due minuti con lei e a concordare il piano di battaglia per la notte, che era molto semplice. Siccome avevamo le stanze con la parete in comune avrei atteso che mio fratello finisse di leggere Topolino e si addormentasse (gli avevo nascosto sopra l’armadio quelli vecchi casomai vedendoli volesse rileggerli) poi le avrei bussato leggermente due volte sul muro e se lei era pronta avrebbe risposto a sua volta con un colpetto. Così dopo aver aperto con cautela la mia porta (che non cigolava...avevo fatto le prove tutto il giorno e avevo anche unto i cardini con l’olio d’oliva extravergine) sarei scivolato furtivo nella sua stanza e nel suo letto, come un novello Casanova. 



Il primo Whisky della serie, il mio adorabile lupacchione


Purtroppo, Il generale cinese Sun Tzu nel suo trattato sull'Arte della guerra diceva che il presupposto per il successo è quello di conoscere il proprio nemico e io avevo sottovalutato mia madre, che invece mi conosceva perfettamente. Infatti, appena aperta la porta della stanza desideroso di cogliere l'agognato frutto dell'amore, mi giunse il latrato festoso di quel cretino di Whisky che invece che sul pianerottolo d’ingresso quella notte era stato messo sapientemente a dormire sulla sua vecchia trapunta in quel punto strategico del corridoio dove si aprivano le nostre camere. Non solo, ma era stato collocato in modo tale da fargli percuotere la porta di mia madre scodinzolando per la gioia di vedermi. Così immediatamente arrivò dalla sua stanza il “Carletto su... da bravo, torna nel tuo letto e non farmi arrabbiare.”

Anche il secondo e il terzo assalto nel giro di mezzora finirono allo stesso modo (i lupi hanno il sonno leggero) malgrado cercassi di bisbigliare a quel traditore di stare buono, che non avevo voglia di giocare con lui. Alla fine, visto che mia madre dal livello giallo del "Vai a dormire" era passata a quello arancione del “Guarda che vengo lì, ti chiudo dentro a chiave e ti riapro domani mattina” dovetti desistere, anche perché ormai, dopo che gli ultimi colpetti sul muro non avevano avuto risposta, avevo appoggiato l’orecchio sulla parete e sentito il russare profondo di Donatella vinta dal sonno. E quando si dice che ogni lasciata è persa, beh.. quella era davvero persa. Ma un prode marinaio veneziano non si arrende mai di fronte alla cattiva sorte e quindi tra qualche giorno saprete come andò a finire

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