giovedì 1 dicembre 2016

Dell'antica arte veneziana di andare per canali e prendere le multe.


Restituito al suo proprietario quel “cagaoro” di motore da 2 cavalli bolsi e non senza fatica perché chi si libera di un catorcio del genere poi difficilmente lo rivorrà indietro, tanto più se te lo aveva prestato dietro la vaga promessa di un successivo acquisto, potei finalmente ormeggiare la barca nel canale sotto casa e, dopo averlo sollevato rischiando l’ernia sotto lo sguardo preoccupato del commesso del negozio di motonautica che mi teneva ferma la barca perché non finissi in canale con il motore in braccio, agganciai finalmente al pianale di poppa della Carla II (già Tellina) il fiammante Johnson 15 hp e il mio mondo cambiò di colpo. Anche perché appena collegato il serbatoio da 25 litri e presi in consegna tutti i documenti relativi, senza nemmeno guardare il libretto d’istruzioni (che probabilmente lo fanno per i mestrini, ma a noi veneziani di laguna di certo non serve) slegai la Carla II non volendo partire ancora legato alla palina come un padovano qualsiasi e dopo aver pompato un po’ di benzina e dato aria, tirai il cordino d’avviamento. Il motore si accese docile al primo colpo e senza nemmeno far fumo, cosa questa che mi lasciò a bocca aperta. Smanettai un po’ in folle per farlo carburare bene e per bearmi di quanto fossero scalpitanti tutti quei nuovi cavalli a disposizione, poi spinsi in avanti la manopola del gas. Tuttavia, se solo mi fossi degnato di controllare dove era posizionata la leva del senso di marcia, avrei evitato di partire all'indietro e di andare come una scheggia impazzita a sbattere di poppa contro una palina centrando poi con l’abbrivio la fiancata di una grossa barca piena di casse di bottiglie ormeggiata all'altro lato del canale. E non avete idea del fracasso che facciano un migliaio di bottiglie tintinnanti una volta urtate.


 "Madame, Miss, Fraulein ...
Lo facciamo un bel giro in gondola?" (1972)


Per fortuna non ci furono danni se non alla mia reputazione marinara, peraltro già compromessa dalla faccenda del tappo di scarico. Un paio di turisti che passavano sul ponte di Campo della guerra scattarono delle foto (per fortuna all'epoca non c’era Facebook per divulgare la cosa) e il gondoliere che sostava nei pressi per catturare clienti incauti mi dedicò un lungo applauso d’incoraggiamento. Dubito che se avessi speronato la sua gondola con le cromature luccicanti di Sidol e i cuscini di raso e broccatello, sarebbe stato altrettanto comprensivo.

Comunque, dopo un lungo girovagare scoprendo che a Venezia l'andare per i canali è diverso dal camminare a piedi per le calli perché cambiano completamente la prospettiva e i punti di riferimento e se non li conosci e sai dove portano, ti ci perdi, riuscii finalmente a raggiungere il bacino di San Piero di Castello e a riportare la Carla II in cantiere. Ora, prima di iniziare la vita di avventure memorabili, di esplorazioni e di conquiste femminili che mi prefiggevo, non mi restava che provarla “in corpore nobilis” (lo so, avrei dovuto dire: “in corpore vili” ma noi veneziani abbiamo un’alto livello di self consciousness). Così, un sabato mattina mi recai di buon ora al cantiere e dopo i consueti grugniti dell’addetto alla gru che aveva sempre altro da fare per definizione (giacché quell'uomo avido si dedicava anima e corpo alla cura dei cabinati più grossi visto che lucrava dai proprietari delle mance che io non avevo alcuna intenzione di dare) la Carla II fu calata (scaraventata) in acqua. Iniziai così un rapido percorso d’apprendimento sulla navigazione in laguna facendo almeno cinque fondamentali scoperte su aspetti che di solito sfuggono a chi come me fino a quel giorno guardava le cose dalla riva.

Attraversare il bacino di San Marco con una piccola barca
beh... non è affatto una buona idea (1972)

La prima fu che attraversare il bacino di San Marco in estate e verso le dieci di mattina a bordo di un piccolo guscio di tre metri e mezzo equivaleva ad un tentativo di suicidio. Infatti, qualsiasi barca da carico, motoscafo, vaporetto o, peggio ancora, motonave o ferry-boat per il Lido provoca delle onde tali da farti ballare come un turacciolo e inzuppare te e la barca come un babà napoletano, rendendo un paio di sessole e un secchiello a bordo assolutamente indispensabili per evitare altri naufragi.

La seconda fu che attraversare la città attraverso il suo labirinto di canali, una sorta di delta del Mekong dove è facile smarrirsi, sarà anche romantico, ma non è affatto una buona idea. Infatti, a parte il fascino indubbio degli scorci suggestivi e inediti che offre, la navigazione per i canali espone chi è a bordo a concreti rischi di sentirsi arrivare in testa della spazzatura poiché le signore veneziane a volte trovano più comodo aprire la finestra della cucina e gettare giù le bucce, gli avanzi di cucina o le lische di pesce per non parlare di quelle brave donne che eseguono la battitura dei tappeti o ti cospargono il capo con le briciole delle tovaglie.  Tanto il popolino veneziano ha la scusa buona dei turisti a cui dare la colpa se i canali sono sporchi e vi galleggia di tutto (come se uno venisse da Amburgo o da Madrid con il fustino del detersivo o la bottiglia in plastica della candeggina da gettare nelle acque veneziane). 


La  solita "vecia maràntega" che sbatte il tappeto
sulla testa di chi passa di sotto in canale (1971).


Una volta, attraversando il rio di San Martino in un’ora di bassa marea, ho sentito un tonfo e una raschiata minacciosa sotto la chiglia e dopo aver subito accostato a riva per controllare i danni  ho scoperto di aver urtato lo spigolo di un frigorifero che giaceva sul fondo. Un po’ come il Titanic con il suo iceberg, con la differenza che in quel caso non affondai. Infine, tra i pericoli che incombono sulle teste dei navigatori di canali veneziani ci sono i cani che quando passano sui ponti alzano la gamba per pisciare sulla ringhiera proprio mentre stai passando di sotto con la barca. A me è capitato alcune volte di fare la doccia e purtroppo capitò anche a una ragazza a cui facevo la corte e che era seduta a prora a conversare amabilmente proprio mentre un grosso alano stava iniziando ad annusare minaccioso la balaustra in ferro del ponte sul Rio delle Terese. Malgrado la mia disperata manovra per evitarlo fu colpita dal getto e non la prese affatto bene, tanto che dopo le sue vibrate proteste protrattesi sino al giorno seguente dovetti pagarle il conto della lavanderia.



Le paline e gli anelli per legare le barche, un vero miraggio... (1971)

La terza scoperta fu che i distributori di benzina/miscela per imbarcazioni all’epoca si contavano sulle dita di una mano, erano lontanissimi tra loro (uno al Lido, uno alla Giudecca, uno alle Fondamente Nuove…) non sempre erano aperti e quando lo erano i tempi di attesa per fare il pieno erano eterni perché i motoscafoni (e sottolineo cafoni) si prendevano sempre la precedenza e per riempire i loro serbatoi enormi ci stavano almeno un quarto d’ora. Inoltre, voi che fate benzina al self service riempiendo il serbatoio di un’automobile perfettamente immobile, non avete idea finché non lo si prova (non l’avevo neppure io) di quanto sia difficile infilare in precario equilibrio l’erogatore nel serbatoio di una barchetta che ballonzola come alle giostre, che a volte sbatte contro il pontile per le onde delle barche di passaggio e che devi tenere ferma con una mano alla palina per impedire che si allontani sul più bello. Diciamo che per mettere nel serbatoio 25 litri, ne sprecavo almeno una decina spruzzandoli dappertutto tranne che nel bocchettone o nell'imbuto (che era anche peggio perché il dondolio faceva fuoriuscire la benzina non ancora scesa nel serbatoio). Ai prezzi odierni del carburante sarei andato in rovina.


Da noi i vigili ti beccano e ti fanno la multa anche in barca (1971)


La quarta scoperta fu che a Venezia e nelle isole non è che puoi parcheggiare la barca dove vuoi  se trovi un  posto libero, perché le paline, i pontili e gli anelli di ormeggio fissati alle rive dei canali appartengono con tanto di graduatoria comunale ad un preciso proprietario che non sempre è disposto a prenderla sul ridere se ti trova ad occupargli il posto. A volte può succedere che ti sleghino la barca per legare la loro e recuperare un'imbarcazione alla deriva non è mai bello. Dunque, prima di scendere a terra devi pregare che chi detiene il diritto di legare la barca a quella palina sia fuori tutto il giorno per lavoro o sia in vacanza, altrimenti rischi di fare come quella volta che mi ero seduto per una birretta al tavolino di un bar di Murano che si affacciava sulla Fondamenta Navagero e dopo aver sentito gridare a gran voce “chi xe quel mona che el gà ligà sto cagaoro de barca al pontil, che gò da scaricar! ” dovetti lasciare la birra a metà, pagare e correre di gran fretta a lasciare libero il posto ad un grosso burchio da carico con a bordo i mobili di un trasloco e un paio di scaricatori imprecanti.


Una mia cara amica sulla Carla II, ma non è la Donatella del racconto.
Vicino a lei, la ristampa di un vecchio libro  del '700 
sulle isole e le carte nautiche della laguna. Perfetto per finire in secca.

La quinta e ultima scoperta fu la più dolorosa, perché appena uscito dal Rio della Tana, quasi di fronte ai giardini della Biennale provai a lanciare la barca dando manetta al massimo e facendola planare, ma percorsi qualche centinaio di metri, proprio all'altezza di Sant'Elena venni affiancato da un barchino della Polizia che non avevo scorto e mi fu fatto cenno con la paletta di accostare a riva. Cercai di fare il simpatico chiedendo comprensione al poliziotto facendogli presente che in fondo ero agli esordi e che stavo solo provando il motore nuovo, ma quello rispose accigliato  “Bene! Allora vediamo se il nostro esordiente è in regola…” . Così, dopo l’esibizione di tutti i documenti possibili del motore e del conducente iniziò una severa verifica delle dotazioni obbligatorie di bordo.
Ha i giubbotti salvagente per i passeggeri?” 
“Li ho…”
“il natante è omologato per quattro passeggeri. Li ha tutti e quattro?”
“Li ho…. ma solo per ottimismo. Sono i quattro passeggeri che mi mancano”
“Non faccia lo spiritoso! Ha il certificato di conformità dei salvagenti?”
“Ce l’ho…”
“L’estintore di bordo?”
“Ce l’ho…”
"Due fuochi a mano a luce rossa?"
“Li ho…”
“La cassettina del pronto soccorso?” 
“Ce l’ho…”
“la luce di navigazione a prora?” 
“Ce l’ho…”
"Una torcia a luce bianca?"
“Ce l’ho…”
“Il mezzo marinaio?”
“Ce l’ho…” (pensavi di fregarmi, eh?)
“Il salvagente anulare con la cima?”
“Oh cazzo! Mi manca…”

Quell’unico: “mi manca…” assieme alla contestazione del fatto che andavo ad una velocità di molto superiore agli 11 nodi consentiti in laguna, mi costò una multa di 120.000 lire che all'epoca era una fortuna e che provocò una severa reprimenda da parte di mia madre.


Il mio ufficiale di rotta consulta la mappa della laguna sul libro.
Finiremo a Sant'Erasmo pensando di essere alle Vignole, ma ci consoleremo
con un panino con la soppressa al bar dei Vignotto.

Comunque, esaurito il duro apprendistato ed acquistato dal vecchio Filippi in Calle del Paradiso un bellissimo libro con la riproduzione di illustrazioni settecentesche e la storia di tutte le isole della laguna ma, soprattutto, le antiche mappe di navigazione tra le barene e i canali, non mi restava altro che scegliere una compagna di navigazione cordiale e avventurosa quanto basta per iniziare assieme l’esplorazione del territorio sconfinato della laguna. Dopo qualche breve giro di prova con una mia volonterosa amica per saggiare i percorsi tra le Vignole, la Certosa e Sant'Erasmo, decisi che era giunto il momento di iniziare ad usare la barca anche come strumento di seduzione oltre che di avventura e, siccome in quanto a chiacchiere sono imbattibile, riuscii a convincere un’amica di Donatella (anche perché  volevo che la mia ex sapesse che non stavo a macerarmi nel dolore nell'attesa di un suo ritorno…) che era pure molto graziosa e simpatica. Così l’invitai per la domenica seguente ad un lungo giro tra Burano, Torcello, San Francesco del deserto e Sant’Erasmo con colazione al sacco in barena e lei accettò entusiasta. Ma ne parleremo alla prossima puntata…
(Continua)

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