martedì 28 giugno 2016

La seconda parte dell'arte veneziana di fare le settimane bianche in piena estate



(segue..) Il giorno seguente iniziò a piovere e quindi invece della prevista gita a funghi di famiglia ci concedemmo solo una passeggiata infreddolita e infagottati nelle giacche a vento al di là del rio di Costalunga e, nella speranza di una cioccolata fumante con lo strudel, fino alla malga Panna con Whisky che a forza di inseguire vanamente le cornacchie nei prati lungo la strada per Sorte era ormai inzuppato di acqua e fango come un babà lo è di liquore. Ovviamente venne a scrollarsi di fronte a Donatella che non la prese bene e ritornò sulla faccenda della mia idiozia perché non controllavo abbastanza il cane (con l'aggravante della recidiva, dato che l’avevo conosciuta il giorno in cui il mio lupo, scappato per le calli senza guinzaglio mentre aprivo il portone di casa, aveva intercettato e posseduto senza troppi preliminari la vezzosa barboncina di sua nonna che lei stava portando a spasso e la cosa mi venne rinfacciata per anni).

Verso sera capitolai e, dopo aver rinunciato a giocare a scacchi contro una che trasportava malinconicamente legname da una parte all'altra della scacchiera lasciando i pezzi in presa (che per un po’ fai finta di non vedere che ha lasciato la regina sotto tiro del tuo alfiere e di un paio di pedoni, ma poi l’etica del giocatore di scacchi s’impone su ogni calcolo affettivo), per disperazione andammo a vedere il film "Il bello, il brutto e il cretino" con Ciccio e Franco al cinema parrocchiale. Ovviamente, mia madre ci appioppò mio fratello tanto per spegnere qualsiasi ardore residuo, ma però, essendo sempre astuto come una faina, con un pacchetto di gomme americane e un mottarello ricoperto riuscii a convincerlo a prendere posto da un altra parte e così, rintanati nell'ultima fila riuscimmo a darci almeno qualche bacio, anche se la pellicola, talmente rovinata da sembrare che ci avessero pulito il pavimento, saltava in continuazione e quindi si accendevano spesso le luci in sala tra i fischi del pubblico e noi che cercavamo di ricomporci in fretta.


Il Campediè in versione invernale e sullo sfondo, tra i Mugoni e il Larsec,
 le torri del Vajolet, mentre a sinistra si vede la forcella delle Cigolade

Siccome in montagna quando inizia a piovere, poi ci prende gusto e lo fa per diversi giorni, il tempo rimase incerto tra una schiarita e un nuvolone fino a giovedì, quando un pochino di sole tornò a splendere nella mia vita privata perché mentre mia madre era in cucina a preparare la cena, dopo uno sguardo d'intesa, abbandonando il tabellone del Monopoli sul tavolo (tanto stavo perdendo), riuscimmo a scivolare furtivi dal salotto alla stanza di Donatella e nel massimo silenzio riuscimmo ad andare almeno oltre al semplice bacio. Avevo ancora due giorni a disposizione prima che Donatella tornasse a Venezia e presi la cosa come un segnale di buon auspicio perché l’intera settimana di vacanza con la mia ragazza non passasse senza che avessimo fatto l’amore almeno una volta. Perché le settimane bianche si trascorrono d'inverno, mica in estate, giusto?

Per salire al Re Alberto  e vedere le torri di fronte non c'è sentiero
e bisogna un po' arrampicarsi, ma è facile.

Però mia madre ci mise ancora lo zampino perché a cena, dopo aver visto dal balcone il cielo che era completamente terso e stellato, se ne uscì fuori con un “Carluccio, visto che domani sarà una bella giornata, perché non porti Donatella almeno al Rifugio Vajolet e poi magari su per il ghiaione fino al Re Alberto, per farle vedere lo spettacolo delle torri che si specchiano nel laghetto? Non vorrai mica che torni a casa dopo una settimana in montagna senza aver messo piede sul Catinaccio, no?” La destinataria della proposta accettò subito la proposta a scatola chiusa e con entusiasmo, mentre io che stavo mangiando di gusto la seconda cotoletta alla milanese dopo averla contesa a mio fratello, deglutito a fatica il boccone la guardai perplesso: “Mamma, io la porterei anche, ma è venuta su con le scarpe da tennis della Superga, e poi non so se Donatella ha le gambe allenate per cinque o sei ore di marcia tra andata e ritorno. Che io sappia non è mai andata seriamente in montagna e in questi giorni la passeggiata più lunga che ha fatto è stata quella per andare in paese a fare le spese alla Famiglia cooperativa.” 
“Oh senti...non fare sempre il difficile su tutto. Non ti sto mica dicendo di farle fare la ferrata del Santner. Un paio di scarponcini glieli do io, che abbiamo lo stesso numero e anche la giacca a vento. Per il resto sai bene che il sentiero non è difficile, è largo, quasi tutto pianeggiante e c’è solo lo strappetto finale, ma sono quindici minuti di salita e anche arrampicarsi fino al Re Alberto è facile e senza pericoli, basta che le fai vedere dove deve appigliarsi sulle rocce. Se vuoi domani mattina alle otto vi porto a Vigo di Fassa, alla seggiovia”.

Non riuscii ad oppormi a quelle due e così la mattina seguente, con un sole scintillante che scaldava le ossa, appena sbarcati dalla seggiovia lasciammo alle nostre spalle il Rifugio Ciampediè dopo averne estratto a forza Donatella che assieme con il cappuccino si stava strafogando con una nusstorte alta un palmo e voleva assaggiare anche lo strudel con i frutti di bosco. Così prendemmo il sentiero 540 verso il Gardeccia che si snodava tra pini e cespugli di rododendro e con lo scenario mozzafiato del dirupi del Larsech e dei Mugoni a farci compagnia e l’aria fine dei duemila metri da respirare a pieni polmoni. Di solito percorrevo il tratto in discesa dal Ciampedié al Gardeccia in 45 minuti, ma avevo sottovalutato la totale incompatibilità di Donatella con la montagna.


Spunta il sole di buon mattino sulla ferrata del Santner e scaccia le nebbie notturne.
Tra poco, mia madre, io e due nostri amici veneziani l'affronteremo ancora.
(dal lato del rifugio Fronza alle Coronelle)

Dopo un ora e venti di camminata a ritmo di processione passata a chiedere: "Ma quanto manca al rifugio?" e fermandoci ogni dieci minuti, prima perché aveva sete e voleva la borraccia, poi perché aveva caldo e doveva togliere la giacca a vento e cento metri dopo perché aveva freddo e voleva rimetterla, alla fine Donatella iniziò a borbottare che non si sentiva bene, provava un senso di peso all'addome sempre più forte e le veniva da vomitare. Pensai che potesse aver preso un banale colpo di freddo perché era sudata e lungo il sentiero soffiava un po' di vento e poi aveva mangiato troppo prima di mettersi in marcia. Tutta roba che o riesci a prendere qualcosa di caldo o vomiti l'anima, ma poi ti passa. Così le dissi di tenere duro che appena arrivati al Gardeccia avrebbe avuto la sua camomilla fumante con tanto limone, ma dopo altri dieci minuti chiese ancora di fare sosta e questa volta si appartò dietro un cespuglio da cui riemerse dopo un’imprecazione irriferibile, visibilmente contrariata, tanto che le domandai che avesse.
"Che vuoi che abbia? Mi sono venute in anticipo. Le aspettavo per domenica o lunedì...”
“Cosa? Le mestruazioni?”
“Certo! Cosa credevi che aspettassi: la corriera? Ho un mal di pancia della malora... torniamo indietro”
“Ah! Mi dispiace. Comunque, non riesci a stringere i denti e proseguire ancora per venti minuti? Non manca molto al rifugio e sicuramente al Gardeccia hanno qualcosa da darti, prendi una bevanda calda, ti riposi un po' e magari dopo stai meglio e ti riporto a casa. Proprio non te la senti?”
La mia era solo una domanda gentile ma lei rispose con un’aggressività che non le conoscevo (avrei avuto modo di farlo più avanti). “Noooo! Sto malissimo, starò ancora peggio e non ho neppure gli assorbenti. Lo capisci o no? Portami a casa subito...” 
Le ultime parole le pronunciò quasi strillando, tanto da aumentare il mio disagio perché se lei stava male io i miracoli non li potevo fare.
Si... certo che lo faccio, ma siamo a metà strada tra i due rifugi e non è che posso chiamare un taxi per portarti a casa. Andare al Gardeccia che è più vicino mi sembrava razionale, ma se vuoi tornare a Moena dobbiamo risalire al Ciampediè, prendere la seggiovia e poi la corriera e quindi devi avere pazienza perché ci tocca camminare per almeno un oretta, oltre a tutto il resto. Quindi muoviamoci perché finché rimaniamo fermi qui, non risolviamo il problema. ”
Lei bofonchiò qualcosa che finiva per “..onzo” e ci rimettemmo in marcia per tornare alla seggiovia.


Escursionisti diretti al Rifugio Principe che ho ripreso da una cengia
 della via ferrata Est dell'Antermoia 

Ovviamente, visto che sino a quel punto eravamo scesi, il sentiero ora andava ripercorso in salita e questo la mise ulteriormente in difficoltà, tanto che dopo venti minuti di lamentazioni e scarognamenti vari sulle montagne, su di me che ce l’avevo portata, i rifugi e perfino sul povero Re Laurino, venne colta da una crisi isterica di pianto anche perché ora ai dolori mestruali si erano aggiunti anche quelli ai piedi. Riuscii a calmarla a stento, poi la feci sedere e l’aiutai a togliersi gli scarponcini giusto per scoprire che avendo indossato dei calzini di filo talmente leggeri da lacerarsi, ora aveva due belle vesciche a carne viva proprio sopra i calcagni, perché i suoi piedini da fatina non erano abituati alla durezza del cuoio delle pedule da roccia. Così, visto che non era più in grado di camminare, scartata l'idea di darle il colpo di grazia con la piccozza e di abbandonarla sul sentiero, per disperazione me la issai a cavalcioni sulla schiena come fosse un secondo zaino e, passo dopo passo, la portai su per la salita fin quasi a destinazione con lei attaccata al collo fino a strangolarmi e io che la reggevo per le gambe (meno male che, malgrado gli strudel e le torte ingurgitate, era ancora magrolina), fermandomi e posandola a terra ogni cento metri per riprendere fiato, con il sudore che inzuppava la camicia e il cuore che saliva quasi in gola per lo sforzo.

Quello che tra poco avrà uno zaino animato da caricarsi sulle spalle.

Per fortuna incontrammo un gruppo di signori gentilissimi di Piacenza che stavano scendendo, ma vista la situazione mi aiutarono, tornando indietro e dandomi il cambio, a portare la sedicente ferita (dissi loro che era una storta alla caviglia, non potendo rivelare il vero problema). Alla fine rientrammo al Ciampediè dove tra cerottini, garze, tintura di iodio, una pastiglia di Saridon per i dolori mestruali e un assorbente avuti gentilmente in omaggio dalla signora che gestiva il rifugio, rimisi Donatella abbastanza in sesto per riprendere la seggiovia e tornare a casa. Una nuova fetta della torta di noci alta un palmo con una tazza di te bollente, aiutarono molto a tonificarla. A me, che ero di ben altra tempra, bastò un bicchiere raso di Kapriol. Ovviamente, le era stato rimesso in sesto il fisico, non l’umore, così già sulla corriera per tornare a Moena litigammo, perché lei sosteneva la tesi risibile che era tutta colpa del mio egoismo e che avrei dovuto avvisarla e io che era lei che avrebbe dovuto avvisare me, che se solo avessi saputo quanto era piantagrane e incapace di sopportare un minimo di sofferenza fisica, con il ca..volo che l’avrei portata per rifugi. La sera e tutto il sabato seguente trascorsero nel broncio più totale e a nulla valse il tentativo in extremis di un vassoio di krapfen per risollevare l’umore tetro di Donatella. La domenica pomeriggio, quando risalì sulla corriera per Venezia mi sentii quasi sollevato, tanto che appena rientrato a casa mi misi volentieri a studiare Diritto Costituzionale, dal momento che a settembre c’era una sessione d’esami e in fondo riuscire a trasformare una disavventura in un’opportunità era molto intelligente (almeno volevo crederlo).

1 commento:

  1. Se questa Donatella non riusciva ad alzare gli occhi e vedere la meraviglia del creato meritava di essere messa sulla corriera illico presto! I tuoi racconti sono freschi ed immediati e leggerti è sempre un piacere grande, quando poi racconti delle mie montagne guadagni 2000 punti in un botto e potresti anche fare la lista della spesa ed io ti leggerei con passione! Secondo me Whiskey aveva capito tutto di Donatella...lascia fare ai Pastori Tedeschi! ;)

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