lunedì 21 novembre 2011

Nina ti te ricordi (una Venezia che non c'è più)



Attraverso le tende della camera da letto filtrano i raggi di una giornata di sole fantastica dopo una settimana di quei nebbioni impenetrabili che qui a Venezia ti intridono le ossa di umido e malinconie più ancora delle acque alte novembrine e che quando sei in piazza San Marco non riesci nemmeno a vedere il campanile. Invece, il vento di borìn (la bora triestina che attraversando rabbiosa le tante miglia di mare arriva qua da noi sfinita) fischiando tra i rami dei platani per tutta la notte, le nebbie le aveva spazzate via come i brutti sogni e ci aveva regalato una di quelle mattine tanto luminose e terse che dietro i profili delle ciminiere di Marghera si vedono le montagne del Cadore già innevate. Dunque, macchina fotografica a tracolla, una “gorgeous” compilation di brani unplugged nell’iPod per farmi compagnia durante il viaggio in autobus sino a Piazzale Roma e poi via per le calli e i campielli silenziosi che solo un veneziano conosce e che tiene rigorosamente nascosti alle masse dei turisti (da sempre ammucchiati nel triangolo delle Bermuda tra San Marco, Rialto e i Frari).



Il modo migliore di capire Venezia è girarla senza meta per i suoi quartieri 


Siccome è una mia tradizione irrinunciabile, come l’ascoltare in piedi e con la mano sul cuore la Radetzky March del concerto di Capodanno da Vienna, anche se sono appena passate le nove mi concedo una breve sosta ristoratrice al “bacaretto” da Lele, un minuscolo e rustico localino in fondamenta dei Tolentini, dove gli unici tavolini disponibili sono le due botti all'esterno e a qualsiasi ora del giorno devi sgomitare duramente tra nugoli di affamati studenti del vicino IUAV per raggiungere il bancone e mangiare in piedi una croccante francesina con la soppressa trevigiana o il salame all’aglio di Schio tagliato grossolanamente a mano e buttarla giù con un fresco rosso “de casada” (un rabosetto asprigno il giusto) spillato direttamente dalla damigiana impagliata. Un posto dove potresti rimanere in piedi anche sollevando i piedi da terra da tanta gente che c’è. Infatti, la cosa migliore è arraffare il panino e il bicchiere, pagare e finire lo spuntino seduti sulla balaustra del rio a chiacchierare con qualcuno che non conosci. Come quando da ragazzi ci si sedeva ai tavolini dei bar chiusi nei campielli e si stava a discutere allegramente di tutto (politica, amori, film…) fino a tarda notte, con gente mai vista prima e poi magari qualcuno proponeva il “Venite su da me che ci facciamo un risottino o due bigoli in salsa d’acciughe”. Venetian way of life, temo irripetibile altrove…



Il Rio dei Tolentini e il minuscolo baretto da Lele 


Faccio così, saluto i due giovanotti (lei carinissima) che ce l’avevano con i prezzi degli affitti a Venezia (gli offro un altro giro di ombre per consolarli) e poi via di buon passo lungo la fondamenta del Gaffaro verso i Frari, San Polo e poi Rialto, per poi virare a caccia di immagini per il rio della Misericordia e sant’Alvise, seguendo un percorso lungo la spina dorsale della città, che vorrebbe essere anche un viaggio nelle mie memorie più antiche. Invece, ancora una volta, dopo tanti anni di lontananza, osservo come la Venezia dei miei ricordi abbia cambiato pelle, tanto che la riconosco a fatica. Non è più mia. E’ un’altra cosa…



Dolci mai visti prima in 10 secoli di storia veneziana 


I negozi una volta erano punti di riferimento per il vivere quotidiano, tanto che potevi dire ad un amico: "Ci troviamo davanti a Marforio, da Rosa Salva o da Barera" e di sicuro nessuno si sarebbe sbagliato. Oggi i negozi che aprono, chiudono e ancora riaprono sempre più rapidamente ormai sono quasi sempre o di calzature e jeanserie per il turismo mordi e fuggi, oppure di maschere, souvenir e varia paccottiglia in vetro. Tutta roba che propone un'immagine stereotipa della città, e che – non me ne vogliano i proprietari - l’immiserisce in una banalità senza limiti, come quegli agghiaccianti “pani dei Dogi” color verde pistacchio e traboccanti mandorle a imitazione di pampepati e simili, comparsi da qualche anno nelle vetrine per i gonzi che credono siano davvero un nostro dolce tradizionale. Immagino che qualche secolo fa i Siori de la notte al criminal, avrebbero disposto il taglio delle mani al fornaio che lavorando nottetempo ricadeva sotto la giurisdizione di quel tribunale di nobili incappucciati competenti per i crimini commessi dopo il tramonto e fino all'alba, tra il plauso generale.

Sono scomparse da tempo le botteghe più antiche, quelle con una storia da raccontare e non solo. Per esempio, non ci sono più i cinema dei nostri amori giovanili e in tutta la città, che pure ospita la Mostra del Cinema, è rimasto solo il vecchio Giorgione, oggi ristrutturato in sala multiplex. Sono spariti quelli più eleganti, come Il San Marco, dove avevo ricevuto il bacio imprevisto di quella Elena che pensavo fosse venuta al cinema per mettersi con il mio amico Emanuele che le sedeva a fianco e invece… 



Improbabili damine e damerini ad uso turistico 


Un’agenzia di viaggi (se non è cambiata ancora) ha preso invece il posto dell’Olimpia, che quando c’era l’acqua alta in piazza, andava sotto anche lui e poi per giorni le poltroncine vellutate erano umide e odoravano di salso ed è scomparso anche il Rossini, dal bel lampadario di Murano che illuminava l’atrio e la grande vetrata dell’ingresso, dove una sera rischiai di rimanere chiuso dentro con Donatella e fummo liberati dalle donne delle pulizie (con relativi commenti indelicati perché non avevano creduto al fatto che ci fossimo addormentati). Ma hanno chiuso i battenti anche quelli più modesti, dove si andava da studenti a vedere i film in seconda visione o il cinema d’essai, come il Progresso, il Moderno, l'Ita­lia (un bell’edificio liberty), il Massimo, il Ritz, il Savona, il Nazionale e il misero Garibaldi, dove i film erano tutti graffiati e vecchissimi, i marinai in franchigia dall’Arsenale ci portavano le morosette a pomiciare, con i sedili in legno che cigolavano orrendamente e dove una sera avevo intravisto nella penombra della sala una mamma che faceva fare pipì al bambino contro il muro per non perdersi la scena.

Non ci sono nemmeno più il civettuolo Santa Margherita, dove si andava come carbonari a vedere il teatro di Dario Fo con la polizia politica a prendere nota in campo, ed il glorioso Accademia frequentato dalle più belle studentesse di Cà Foscari e meta costante delle mie (non sempre infruttuose) battute. 



Sottoportego dell'Abbazia (e una persona a me ben nota) 


Hanno finito la loro storia unica anche la libreria Tarantola in campo San Luca, che ha fatto scoprire a noi giovani veneziani sessantottini affamati di letture dopo la lunga notte democristiana autori tanto affascinanti quanto all’indice (Bakunin, per dirne uno…) e quella del vecchio Filippi, in calle del Paradiso, una sorta di antro delle streghe, polveroso e incasinato ma odoroso di libri ingialliti e inchiostri da stampa (era anche un piccolo ma raffinatissimo editore) e con il piacere delle lunghe discussioni politiche e letterarie con quel bastian contrario (dal cuore d’oro) del proprietario che poi, anche quando diventavano accese, finivano sempre a ricomporsi davanti ad un’ombra di bianco nel bar di fronte. 

Da bambino, quando accompagnavo mia madre a fare la spesa al mercato di Rialto, ero molto affascinato dalla drogheria Bernach, in campo S.Bartolomeo, tutta scura come una vecchia farmacia e odorosa di liquirizia, zenzero, zafferano e frutta candita. Bernach aveva delle straordinarie caramelle al miele, vera e propria panacea contro la tosse, tanto che io, pur di farmele comprare, non esitavo a tossicchiare un po’ più del lecito, soprattutto se in transito da quelle parti. Vi si trovavano anche le gustosissime scarpette di liquirizia e le violette candite, dal languido profumo. In un angolo del negozio erano invece adagiati dei grandi sacchi di juta traboccanti di granaglie che qualche piccione più ardimentoso veniva talvolta a sbeccottare, sfidando il grosso soriano grigio del proprietario.



Luci nel canale 

Il commesso era un signore anziano, molto gentile, ve­stito con un camice grigio azzurro sempre stirato impeccabilmente. Affondava un cucchiaio di legno (una sessola) nei grandi boccioni di vetro ordinatamente allineati sugli scaffali e pesava caramella per caramella su di una bilancina a piatti, aggiungendo e togliendo i pesi (e le caramelle) fino al perfetto equilibrio. Poi, giacché ero un bambino educato che non faceva fretta alla mamma, al momento di uscire dal negozio ero gratificato, con asburgica puntualità, di una cordiale arruffata di capelli e di una rotella di liquirizia (quelle con lo zuccherino colorato in mezzo.). 



Il barcone che porta ancora la verdura da Sant'Erasmo 

Cento metri più in là c'era un bar che, se non ricordo male, mi pare si chiamasse Caffè Rialto. Il bello del posto era costi­tuito soprattutto da una colonna a centro sala, proprio di fronte al bancone, tutta ricoperta di tesserine di vetro, che consentiva al sottoscritto un vasto campionario di smorfiette e boccacce intanto che i genitori prendevano l'aperitivo servito da solerti camerieri in giacca rossa con i bottoni dorati. Dietro una balaustra liberty si intravedeva la saletta superiore con i civettuoli tavolini con le zampe di ghisa e le seggioline di velluto cremisi.

Poi c'erano i fritolini, che ti consegnavano per poche lire uno scartoccino di carta da macellaio ricolma delle più croccanti e asciutte fritture di pesce che abbia mai assaggiato. E c'era in Calle della Bissa una latteria vecchietta con tavoli e cucina che d’inverno sfornava piattoni bollenti di minestra di trippa rissa, come anche all’Antico Dolo in Ruga Rialto (questo locale esiste ancora). E per le calli si aggiravano, con le loro ceste di vimini profumate di mare e il grido caratteristico (donèe! Vardè che bèi!) i Pellestrinotti e i Marinanti (quelli di Sottomarina) a vendere cape, moèche, masanete, sardèe, sardoni, caparòssoi e caragòi. 

Tutte cose buone oggi proibitissime per via delle normative igieniche, anche se a me torna in mente quel vecchio malgaro del monte Grappa che, intervistato da Linea Verde sul fatto che la Ue intendeva vietare la produzione del formaggio Bastardo e del Morlacco dato che le vacche degli alpeggi venivano munte a mano, aveva bofonchiato con saggezza antica: “Un po’ de merda de vaca nel secchio del latte non la ga mai copà nissuni…”.


(continua...)

15 commenti:

  1. Partendo dalla fine del tuo racconto ho pensato al corso di igene pubblica che ho frequentato pochi giorni fa, da rispondere proprio come quel contadino!Mi sa che con tutto questo igenismo agli estremi rischiamo di ammalarci ancora di più. Un tempo dicevano che bisogna anche permettere al nostro corpo di difendersi creando degli anticorpi.
    A parte questa parentesi, hai scritto un racconto veramente bello, sembra l'inizio di un libro, una storia, e quanta ragione hai proprio su tutto, quello che hai descritto non succede solo a Venezia, per esempio nella mia città, noi commercianti e artigiani stiamo lottando molto per conservare quei piccoli negozietti nei borghi mediovali con una loro storia e tradizione lottando contro agguerriti supermercati, e non è facile sai. Conosco il "pan dei dogi" o il "dolse delle comari" uso molto la Sessola, è come la penna per te, o meglio i tasti del pc(altro cambiamento) ed io stessa continuo a fare dolci seguendo riccette "dei poveri" che si facevano più di cento anni fa, trovate su fogli ingiallitti scorrette e scritte a mano.
    Sempre belle le tue descrizioni di ambienti ed atmosfere.
    Ciao

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  2. @alessandra: cara Alessandra,non sai che piacere mi faccia ritrovarti sul mio nuovo blog.Molti dei più cari amici di Splinder, scesi sulle scialuppe prima del naufragio, stanno approdando come ho fatto io su queste rive e sono contento che ora ci sia anche tu. Ho appena visto il tuo nuovo blog e mi sembra molto gradevole, quindi complimenti. Ovviamente, lo seguirò con interesse (posterai qualche foto dei tuoi quadri nuovi? Mi piacerebbe vederli).
    Per il resto, so bene, per tutte le nostre discussioni passate, quanto tu sia attenta agli aspetti della tradizione della tua terra e la passione che metti nel tuo lavoro, che è anche un operazione culturale di ricerca delle tante piccole cose preziose che rischiano di essere dimenticate, come le tante ricette della cultura contadina. Dunque immaginavo che avresti condiviso il mio scritto, così come sono sicuro che il tuo Pan del Doge sia tutt'altra cosa da quelle pagnottelle verdognole e rafferme che qua rifiliamo ai turisti di bocca buona.
    Ciao, un abbraccio.
    Carlo

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  3. Non so se siano più belle le foto o il racconto.
    Sei bravissimo, e non lo dico per dire, credimi.
    Venezia a noi comuni mortali, che sfortunatamente la visitiamo da turisti e basta, può sembrare un set cinematografico. Mia cognata (americana dell'Alabama) ha proprio usato queste parole, assolutamente convinta di quello che diceva, con quella tipica caparbietà e sicurezza delle proprie opinioni degli americani. Non voleva credere che fosse una città vera (e secondo me non ci crede ancora).
    Purtroppo i negozi moderni e l'atmosfera generale molto spesso contribuiscono al formarsi di questa nefasta opinione, per cui certi la paragonano alle gondole finte del Bellagio. In questo il tuo racconto mi ha trasmesso anche tanta malinconia, perchè noi abbiamo una storia, tradizioni incredibili, ma non facciamo nulla per difendere questi nostri tesori, anzi lasciamo che una città così diventi un supermercato della maschera e della palla di vetro con la neve.

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  4. @Maude Chardin: cara Maude, grazie intanto per le cose carine che mi dici. Sono contento che ti piacciano anche le mie foto, che sono il secondo o il terzo (non lo so...ho perso il conto) dei tanti hobby tra i quali mi disperdo per la gioia di mia moglie che vorrebbe mi concentrassi unicamente sul bricolage domestico e il giardinaggio.
    Se dai un'occhiata al mio Flickr troverai anche le foto in bianco e nero degli anni '70 che per me restano le migliori.
    In quanto a Venezia, devo dire che è difficile per chiunque comprendere appieno come si possa vivere oggi in una città che per tante cose è rimasta ferma al 1700 ed è unica anche per le tante scomodità impensabili, tipo le ambulanze e i pompieri che possono arrivare solo attraverso i canali e se, per colmo di sfortuna, non hai la marea giusta in ospedale ci vai saltellando per i ponti e l'incendio te lo spegni da sola. Infatti, la mia casa quattrocentesca in Campo della Guerra è bruciata completamente perché quando si è incendiata c'era la bassa marea e dopo era troppo tardi (però siamo finiti sul Telegiornale in prima serata). Poi, in centro non hai supermercati e nessuno ti porta la spesa a casa, non esistono ascensori e se hai qualche chilo di patate nella borsa e la confezione della minerale, farsi due o tre piani di scale ripide, è una meraviglia. Potrei continuare con mille altre cose, tipo prendere in campagna una damigiana di vino e portarla a casa a spalla per ponti e calli. Comunque, la tua parente americana è in ottima compagnia perché l'altro giorno, dopo essersi informati se fossi di Venezia, una coppia italianissima mi ha chiesto se sapevo dirgli in che giorni e a che ora facessero l'acqua alta in Piazza San Marco. Però essendo di mio molto educato ho suggerito loro di guardare sul sito del Comune, nella pagina degli eventi in città.
    Ciao

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  5. Ciao super doge, ho appena letto proprio un bel racconto, se tutti scrivessero come te, al mondo ci sarebbero meno coglioni quali moccia e quel pirla di twilight..

    per il resto rimanendo nella tua metafora del titanico affondo di splinder io, sprezzante del pericolo e delle acque gelide, da esperto marinaio quale sono, sto facendo un giro con la mia scialuppa scalcagnata per i blog, in attesa di riuscire a trasferire TUTTO il mio su blogspot così da poter tornare a trovarti.. hahaha
    ciao carlo.
    cb

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  6. Quanto mi piace quando con la tua arte mi fai rituffare nell'incanto di Venezia!
    Comunque la metaformosi in veste globalizzata e consumistica del vecchio centro è costante anche a Roma, dove è sempre più difficile ritrovare i vecchi angoletti , i vbcchi artigiani, i negozietti deliziosi che descrivi.
    Ieri passando in un quartiere tutt'altro che vicino al centro, abbiamo scoperto una "vera libreria", non un supermarket, come orgogliosamente ha detto il padrone, una libreria con splendidi scaffali di legno, che vende solo libri, come una volta, dove entrando ti senti in una casa...redcats

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  7. @Cosimobernardo (in veste anonima). Caro Alessandro, sbrigati a saltare dal Titanic di Splinder e a salire sulla scialuppa di Blogspot che le acque artiche non hanno la stessa temperatura di quelle di Bibione. Non vorrai mica fare come Leo Di Caprio che attardandosi a cazzeggiare poi è finito su un banco del pesce come una fantozziana cernia surgelata con il limone in bocca. Dai...salva tutto alla svelta e arriva tra noi, che abbiamo già le Ceres in fresco.
    Ciao

    @Redcats: ma davvero hai trovato una libreria di quelle di una volta, silenziose come una chiesa, con gli scaffali in legno, dove potevi sfogliare con calma i libri e ricevere consigli dal proprietario e senza che la commessina di turno spalanchi gli occhioni sgomenta e dopo averti detto di default "devo cercare al computer" ti chieda: "Come si scrive Steinbeck?". Fortunella, tientela stretta...
    Ciao

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  8. Adoro Venezia, è la città nella quale andrei a vivere anche domani, se non costasse una follia. Ho avuto l'onore di lavorare a Venezia per due mesi, facevo volentieri avanti e indietro ogni giorno casa mia-negozio negozio-casa mia, peccato però che non avevo mai il tempo di vivere la vera Venezia quindi conosco solo il tragitto stazione dei treni-mercerie attraversando il ponte degli scalzi!

    Mi piace tanto questo racconto perché mostra quella Venezia che avrei tanto voluto vivere :-)

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  9. @Okashi Lau: Ti ringrazio. Scriverò ancora su Venezia, quindi spero di averti nuovamente tra i miei lettori. Grazie per essere passata a trovarmi. Ciao

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  10. Che magnifico amarcord!! E che invidia, visto ch io ho girato un po' "come i fiaschi rotti" come si diceva a Carrara, dove sono nata e dove ho vissuto solo per i primi sei anni...Perciò ho qualche sbiadito ricordo e niente più!
    Comunque tre anni fa, in inverno, siamo stati due giorni a Venezia con un amico francese e la sua nuova moglie cinese, che voleva visitarla.
    Devo dire che, su suggerimento del proprietario dell'hotel, ci siamo infilati verso Cannaregio ( che vergognosamente non avevo mai visitato!) e devo dire che ho scoperto...un'altra Venezia!
    Senza parlare del Ghetto ( stupendo!) e della Trattoria dell'Antica Mola, dove abbiamo mangiato bene con poca spesa e, soprattutto senza confusione o file...Sembrava di essere in un altro mondo, rispetto al Centro!!!

    Beh, comunque chi ti ha chiesto "a che ora facessero l'acqua alta" ahahaha, probabilmente credeva di essere in Bretagna, dove esistono gli opuscoli con l'orario delle Maree, essendo là plurigiornaliere e ben determinate !!!! ;-DDDDDD
    La gente a volte non si rende conto di parlare a vanvera!!!

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    1. Ma dai... che divertente! L'antica Mola è una delle mie trattorie preferite perché conserva ancora i tratti e l'atmosfera della venezianità classica (ormai siamo pieni di ristoranti pretenziosi che reinventano la nostra cucina) e sei stata brava a scovarla. Una volta ti avrei consigliato ad occhi chiusi quell'autentico gioiellino dell'Antica Bessetta, ma purtroppo il mio amico Nereo Volpe e la sua impareggiabile moglie-cuoca Mariuccia che faceva il più straordinario pasticcio di pesce mai assaggiato (per non dire delle sue fritture leggere e croccanti), si sono ritirati e hanno lasciato il locale ai cugini padovani, che ad un veneziano già dice tutto. Se ti diverte ne parlerò di questo locale stupendo e irripetibile e delle storie e dei personaggi ad esso collegati in qualche prossimo post. Comunque condivido anche la scelta di addentrarsi per la Venezia cosiddetta minore che poi non lo è affatto. Se hai occasione di tornare da queste parti fammelo sapere per tempo che ti consiglio degli itinerari affascinanti e fuori dalle rotte turistiche. Ciao...

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  11. Dimenticavo!! Il titolo del tuo post mi ha fatto fare un balza all'indietro di quasi 40 anni ( madoonnaaa....detto così!!).
    Intorno al '74/'75 bazzicavo un gruppo di amici, tra cui uno molto amante dei Canti popolari ( lui frequentava il Conservatorio di Milano). Quando eravamo in compagnia, si cantava spesso di tutto e mi ricordo "Nina ti te ricordi, quanto che gh'avemo meso.." Bellissima!!!

    Poi, qualche anno fa, quando ho comperato "Il fischio del vapore" di De Gregori e della Giovanna Marini, me la sono ritrovata interpretata da loro!! ;)

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    1. Conosco bene questa canzone perché la suonavo anche io e poi sono amico su Fb di Gualtiero Bertelli che ne è l'autore. Mi piace pensare che sia nota anche fuori dai nostri ambiti lagunari...

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  12. Gentile Signore, chiedo scusa per il disturbo, ma forse Lei mi può fornire il primo gradino per una ricerca che sto conducendo. Lei si ricorda dov'era situata esattamente la drogheria Bernach? Se poi potesse indicarmi quale negozio si trova ora nei suoi locali sarebbe veramente un grande aiuto, per poter avere qualche dato più preciso per il catasto storico. Grazie infinite comunque! Anna Bogo

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    1. Nessun disturbo, anzi, sono lieto di poter essere utile per la sua ricerca. La drogheria Bernach era situata nell'edificio di campo San Bartolomeo che fa angolo con la calle Pio X che conduce al ponte di Rialto ed attualmente ospita il negozio Vodafone. Un cordiale saluto e grazie per essere passata a leggere i miei racconti :)

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