giovedì 24 novembre 2011

Nina ti te ricordi la nostra Venezia? (seconda parte)


(segue...)

Ancora una dozzina di anni fa, per la pubblica via, erano vendute da floride contadine le uova e i fiori del Montello,  portati a spalla per ponti e calli dentro grandi cestoni di vimini, mentre un omino, in campo San Lio, proponeva incessantemente le pierette per accendere il gas, ma anche le lamette "Bolzano" per il rasoio. Una volta al mese passava in calle, annunciato dal caratteristico richiamo: el Gua! , l’arrotino che riparava gli ombrelli e affilava i coltelli da cucina pedalando di gran lena sopra una rugginosa bicicletta con la mola, in un nugolo di scintille che volavano in alto prima di spegnersi sui masegni. Fino agli anni sessanta passava per i canali, annunciato da alte grida, il barcone della fabbrica del ghiaccio che era alla Giudecca, con le donne che strillavano a loro volta dalla finestra le ordinazioni  per riempire le ghiacciaie di casa. Le sbarre di ghiaccio azzurrino, arpionate con grandi uncini di ferro, venivano portate a spalla su per le scale dai facchini che le appoggiavano su un sacco di juta ed era buona creanza offrire loro un bicchiere di vino come mancia. Immagino che a fine turno fossero ubriachi.  

Una piccola corte nascosta dalle parti di Ruga Giuffa

Al Lido, l’alternativa al filobus o alla bicicletta per la spiaggia era la carrozzella trainata dal cavallo. Davanti alla fermata della motonave ne stazionavano quattro o cinque, con i ronzini sempre con il muso immerso nel sacco della biada. Credo però che l’ultimo cocchiere sia andato in pensione una trentina d’anni fa. Io ho fatto ancora in tempo a salirci sopra, ma non so se sia una cosa di cui vantarsi…

Così come non se vantarmi di aver fatto in tempo a veder recitare il grande Cesco Baseggio (il nostro Gilberto Govi) e gli spettacoli di marionette di Podrecca che andavano in scena al teatro Ridotto durante il carnevale. Ho visto anche, accovacciato sulla sabbia in mezzo a decine di altri bambini, gli spettacoli di marionette che ogni sabato pomeriggio alle quattro avvenivano sulla spiaggia del Des Bains, con Arlecchino, Pantalone, Colombina e Fracanapa che pigliava tutti a bastonate. Però quelli ha fatto in tempo a vederli anche mio figlio, dunque in questo caso non mi sento tanto decrepito.

Tra le figure familiari ad ogni veneziano di una certa età, mi piace ricordare anche un omone con dei grandi baffi alla Stalin che, con un vocione tenorile da strillone, che si sentiva fino in Merceria, vendeva con qualsiasi tempo: eeèl Gaaasetìno (Il Gazzettino) e i biglietti della lotteria all’angolo di campo San Salvador. So che è mancato alcuni anni fa e con lui è un altro pezzettino di Venezia che se ne è andato. Un po’ come le tessere dorate dei mosaici di San Marco che si potevano accarezzare con la mano attraversando la basilica sugli stretti camminamenti interni a cui si accedeva dalla loggetta superiore, prima che li chiudessero alle visite perché quelle le fregavano i turisti per ricordo.

Un piccolo chiostro adiacente San Piero di Castello


Non c’entra nulla con il taglio edificante del racconto, però, tra le figure familiari di quella Venezia che è scomparsa mi è venuta in mente anche la Maria “C” che non era una nave da crociera, ma un’ anziana signora della quale si potrebbe dire che ai suoi tempi era stata una nave scuola.  La “C”  sottintendeva il nomignolo dialettale con il quale era nota in città e che, anche se è difficile crederlo, in fondo era affettuoso, ma è tuttora irriferibile. Si trattava della decana (sicuramente oltre i settanta) delle uniche sei meretrici di tutta la città, a loro volta ampiamente in età pensionabile, che battevano la zona tra la Frezzeria e la Bocca di Piazza e che rendevano imbarazzante aspettare Donatella (quella sciagurata era sempre in ritardo) davanti al cinema San Marco perché ogni volta iniziavano dialoghi tragicomici per indurmi a cedere alla loro seduzione. Cosa del tutto improbabile, visto che, a prescindere da ogni altra considerazione, quelle matrone erano talmente inguardabili per età e stazza da non indurre in tentazione neppure un assatanato. Della Maria la vox populi diceva che da ragazza fosse molto avvenente e anche che, oltre ad aver svezzato almeno una generazione di veneziani, fosse stata addirittura l’ultima donna di D’Annunzio.

Io la ricordo con affetto come una vecchietta tutta pelle e ossa, che girava come un fantasma per le calli infagottata in una vecchia pelliccetta che aveva conosciuto tempi migliori e indossando un cappellino con la veletta del tutto fuori moda. Abitando dalle nostre parti la incontravamo talvolta nei bar e mia madre, che l’aveva in simpatia, le offriva sempre un bianchetto o le sigarette. Qualche volta, anche se era molto schiva, si riusciva a scambiare quattro parole con la Maria e l’impressione che ne riportavo è che fosse una donna di considerevole intelligenza, ironica e con una buona cultura, tanto che mi chiedo ancora oggi per quali percorsi sfortunati si fosse ridotta a quella vita.

Il canale di San Pietro di Castello, dove ormeggiavo la mia piccola barca


Tornando a parlare di ricordi meno tristi un vero veneziano sa che in un tempo felice esistevano i Caramel Bepi, gli ometti in camice bianco e vetrinetta appesa al collo che vendevano la pinza e un castagnaccio caldo, intriso d’olio, con la crosticina bruciacchiata e pieno d’uvetta davanti all’uscita della scuola, così che poi ti divertivi a stampare ditate unte sui libri, sulle cartelle e sui cappotti dei compagni di classe, per la gioia delle loro madri, che già erano furenti perché i pargoli si presentavano a tavola belli rimpinzati. Nei mesi invernali e di scuola c’erano agli angoli delle strade e soprattutto al mercato di Rialto, anche i venditori di patate americane arrostite, di caldarroste e perfino di pere cotte immerse  nel liquido di cottura appena zuccherato (perché lo zucchero costava), ma queste ultime cose m’ingolosivano di meno, soprattutto le pere, che facevano tanto ospedale.

La domenica i Caramel Bepi gironzolavano invece per piazza S. Marco, vendendo gli spiedini con la frutta caramellata più appetitosa del mondo (chicchi d’uva, albicocche secche e prugne). Se non avevo rotto tanto le scatole durante la messa in basilica, ne potevo avere uno come premio, cosa che, peraltro, non succedeva spesso. Era un po’ come per i soldatini di Linetti, in Merceria, che allora era il negozio di giocattoli per definizione. Nella vetrinetta d’angolo, circondato attorno alla sua tenda dai soldatini dei cow boy e dei nordisti, c’era un bellissimo capo indiano con il tomahawk e la corona di piume d’aquila in testa che era il mio sogno proibito (anche perché costava parecchio). Quando ci passavo davanti, per staccarmi dalla vetrina mia madre mi diceva: “Se ti comporti bene, al ritorno te lo compero”. Poi ogni volta mi fregava cambiando strada. Non sono mai riuscito ad averlo ed immagino sia uno dei miei traumi infantili da raccontare un domani all’analista.

Una corte privata dalle parti di Campo Santa Giustina


Oltre agli spiedini di frutta caramellata, tra i dolci che amavo di più c'erano i croccantini con le mandorle, le nocciole o i bagigi (le noccioline americane). Questi ultimi, con un po’ di buona volontà, si trovano ancora nei panifici o nelle trattorie tradizionali (L’Antica Bessetta nei mesi invernali te li offriva a fine pasto assieme con lo zabaione caldo e i biscottini ebraici da pucciare dentro. D’estate, invece, li proponeva con un calice di ramandolo fresco). Gli spiedini di frutta caramellata sono ormai scomparsi da oltre vent'anni e, temo, per sempre. Ho provato a farli in casa con dell’uva bianca da tavola e mia moglie sta ancora brontolando perché, seguendo le istruzioni di immergere la frutta nel caramello rovente e di raffreddarla subito sul marmo le ho appiccicato tutto il piano della cucina. Per mia fortuna, Morena, quando ha i bioritmi giusti, è molto brava a cucinare il castagnaccio, per non parlare della sua profumatissima pinza fatta con il pane vecchio (o la farina gialla di polenta), l’uvetta, i fichi secchi e i semi di finocchio, che appena esce dal forno mio figlio ed io iniziamo a soffiarci sopra come mantici per divorarla prima possibile. Anni fa, quando aveva voglia e tempo, sapeva anche preparare i sùgoi (il mosto di vino cotto con zucchero e farina fino a fargli raggiungere la consistenza di un budino) come facevano le nonne di una volta sulle cucine economiche a legna. Oggi, in stagione, si trovano ancora in qualche supermercato, ma quelli fatti in casa erano un altro mondo.

Lenzuola stese sul canale dietro Campo San Rocco


Anche gli storti con la panna montata della latteria Zorzi al ponte della Regina hanno segnato un’epoca, insieme con i gelati di Glacia in Merceria, i ghiaccioli da 10 lire al tamarindo e all’anice e la sua panna in ghiaccio racchiusa tra due cialde di wafer, con la ciliegina candita all’interno. In via Garibaldi, nel cuore del sestiere di Castello, c’era, invece, la Gelateria Toscana che vendeva gelati artigianali fatti con la polpa della banana e i pinguini al fiordilatte ricoperti di vero cioccolato fondente. Alle Zattere c’è tutt’ora il mitico Nico con il suo gianduiotto con la panna montata. Venire a Venezia e non sedersi a gustarlo sui tavolini con vista strepitosa sul canale della Giudecca, è come andare a Roma senza vedere il papa.
(segue...)

10 commenti:

  1. Che bella anche questa seconda puntata.
    Mi hai fatto venire fame!
    La Maria con la sua pelliccetta è proprio una meravigliosa figura poetica.
    Mi raccomando Carlo, non stancarti di lasciarci questi bellissimi racconti: sono una rarità.

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  2. @Maude Chardin: Cara Maude, grazie in primis per i complimenti, anche se scrivere della mia adorata Venezia per me è come un invito a nozze. Infatti, ho già pronta anche la terza parte del post. Dunque non temere, che non c'è pericolo che smetta. Tra l'altro, proprio scrivendo i pezzi che sto pubblicando, mi è tornata la voglia di riprendere il vecchio progetto di compiere alcuni percorsi attraverso le zone meno note della città raccontandone le storie antiche e recenti, gli aneddoti curiosi, i segreti tenebrosi (e horror, come quello di Biagio il luganeghèr) e i tanti piccoli frammenti della vita quotidiana. Proprio come se vi passeggiassi amabilmente con degli amici venuti da fuori per scoprire le tante "meravègie" segrete di questa città che non è solo la scenografia abbagliante di Piazza San Marco e del Palazzo Ducale. Anzi...
    Magari ci aggiungo anche qualche consiglio su dove e cosa mangiare lungo i percorsi senza essere spennati come un giapponese qualsiasi, così uniamo anche l'utile al dilettevole.
    Comunque, per quanto riguarda l'appetito, vedrai quanto te ne viene con la prossima puntata quando parlerò della cucina popolare, dei cicchetti e delle osterie...
    Ciao

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  3. Dovresti proprio realizzarlo questo progetto!
    Ognuno di noi ha lasciato nella vetrina di un negozio di giocattoli una cosa sempre promessa e mai raggiunta....redcats

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  4. Non so se è il termine giusto, ma questi tuoi ricordi li vedo come un patrimonio per la tua città. Immagino che vengano pubblicati con l'interessamento dell'assessorato dellaCultura di Venezia, mi raccomando, questi scritti non devono andare persi ma essere condivisi con tutti coloro che conservano gli stessi ricordi e con coloro che amano conoscere fino in fondo la Città della Biennale o della mostra del Cinema e del Campanile. Venezia è immensa in ogni aspetto e Doge la sa raccontare come pochi, complimenti!

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  5. @redcats: si, credo che lo farò senz'altro. Ho in mente una cosa simile alla piccola passeggiata per le calli che abbiamo fatto assieme a Morena e Corrado. Che ne dici? Se poi avete voglia di farne un'altra, ma di quelle toste, tipo da Sant'Alvise sino a San Piero di Castello, con soste mirate alla scoperta dei "cicchetti" veneziani, ditemelo che prendo la macchina fotografica e poi si va...

    @alessandra: Ti ringrazio per tutte le belle cose che mi dici e che m'invogliano a scrivere ancora. In questi giorni, come avrai visto dal mio invito agli amici su Facebook, sono impegnato con la presentazione alla stampa della mia collana di gialli e, la settimana dopo, di Ars Amandi Veneziana, che ormai è pronta anche nella versione commedia teatrale. Siamo già molto avanti nelle prove e andremo in scena all' Auditorium Lippiello a metà gennaio. Ne parlo al plurale perché il regista e i ragazzi della compagnia (bravissimi e molto professionali) hanno insistito per farmi recitare una piccola parte e alla fine, al secondo giro di salame piacentino e Cabernet, mi sono arreso. Dunque impersonerò il padre di Donatella nella scena in cui Carlo, dopo che la fidanzatina e la futura suocera gli hanno tritato per bene i marroni, cede e va a chiedergli in sposa la figlia (e la tentazione, ricordando come andò a finire nella vita reale, sarebbe di dirgli di no, che non se ne parla nemmeno). Dunque un motivo in più, se ti va, per venire alla prima e vedere recitare uno che Alec Guinnes gli fa un baffo. Appena sono fuori dal tunnel degli impegni e ho un attimo di calma, mi rituffo per le calli veneziane e inizio a scrivere quello che immagino sarà il mio prossimo libro. Però pensavo di collaudare la formula che ho in mente anche attraverso il giudizio critico e i suggerimenti degli amici di blog e quindi pubblicherò a puntate almeno il primo itinerario, corredato dalle mie foto e dalle attese indicazioni enogastronomiche, che non si vive di soli ricordi e aneddoti storici. Appena mi passa il raffreddore e trovo la giornata giusta, prendo la fedele Nikon, indosso le scarpe da camminata e il giaccone "da combattimento" pieno di tasche (tra telefonino,Ipod, batterie di riserva etc.. non bastano mai) e si parte...
    Ciao

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  6. Che meraviglia!Che momento intenso stai vivendo!
    Anch'io sto vivendo un periodo simile al tuo.
    Mi hanno assegnato la sala grande espositiva al castello inferiore di Marostica per la mia mostra personale di pittura, dove nel medioevo si svolgevano dei teatrini, ottima acustica, quindi è previsto in occasione dell'inaugurazione uno stacco musicale, oltre naturalmente al buffet, foto per un successivo catalogo e come se non bastasse, la critica d'arte che mi sta seguendo, sta pensando ad un libro che parli di me con tanto di opere e pensieri dell'artista. Ho parlato in un post di un incontro con Francesca, storica e studiosa d'arte. Insomma, peggio che organizzare un matrimonio!
    Vi invierò l'invito non appena sarà pronto dalla stampa. Ciao e buona domenica

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  7. @alessandra: caspita che bella notizia! Sei bravissima! Ti faccio i miei complimenti più affettuosi e verrò senz'altro a vedere la tua mostra, anche perché non ho ancora visto le tue nuove opere e ci tengo molto.
    Ciao

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  8. Carlo però quel pucciare mi suona un po' troppo milanese... e la cosa non va bene, mi sarei aspettato un bel tociare...

    cb

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  9. @anonimo (cosimobernardo): hai proprio ragione... a forza di guardare all'ora di pranzo la Clerici che parla di "puccino" per definire il sugo, mi sono inquinato le origini venete. Un'altra prova di come la Tv possa far male...
    ciao

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  10. Che delizia per gli occhi e il palato!! Sono ingrassata di tre chili, solo a leggere...e non ne avrei proprio bisogno! Però le tue descrizioni sono deliziose ( e non solo quelle gastronomiche!).
    La Maria C. in pelliccetta, ormai l'ombra di se stessa, è davvero tenera...
    E che dire della storia che intendi scrivere?? Tale Biagio il Luganegher...ha MOLTO di inquietante...Se tanto mi dà tanto, con che cosa confezionava le sue luganegne...? Brrrrrrrrr.......
    Tua moglie, che fa cose straordinarie, deve essere veneta anche lei, vero? Mamma, come invidio chi sa cucinare bene! ;)

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