venerdì 24 gennaio 2020

Quelli che: non ci sono più le frìtole di una volta


Mia moglie sostiene che sto diventando un vecchio brontolone per il condizionamento psicologico dei settantuno anni che mi sono piombati addosso a tradimento quando pensavo di averne ancora diciannove. Lo so e forse ha ragione, ma ogni tanto nella mia quotidianità vedo cose che mi lasciano perplesso e non riesco a far finta di nulla. C'è chi è intollerante al glutine, chi al lattosio, io sto diventando intollerante oltre che all'imbecillità umana, che sicuramente è sempre esistita nei secoli ma ora grazie ai social appare in tutta la sua oceanica vastità, anche alle novità delle quali non se ne sentiva proprio la mancanza.

Per esempio: uno aspetta un anno intero che arrivi il periodo di carnevale (che qui ormai inizia già a metà gennaio, tanto "par ciapàr più schei") per deliziarsi di frittole e galani e, invece, di colpo si trova costretto a chiedersi perché nelle pasticcerie e nei panifici veneziani ormai al posto di quelli classici si trovino sempre più spesso (costosi) galani al Kamut (quelli al farro non li ho ancora visti, ma penso non ci manchi tanto), addirittura proposti in un assurdo formato mini con le dimensioni di un raviolo, che poi uno si chiede se non facciano parte di un corredo della Barbie. Non voglio discutere del Kamut e delle sue eventuali proprietà benefiche, ma le nostre nonne preparavano ugualmente dei fragranti e friabilissimi galani con le farine del ravennate e bene che facevano perché ti attaccavi al vassoio e smettevi solo quando anche passando il polpastrello inumidito non tiravi più su le briciole e lo zucchero. Poi, che è 'sta storia da fighetti di prepararli al forno anziché fritti e di cospargerli con lo zucchero a velo come un pandoro? Tanto le calorie ve le pappate lo stesso, non è che il forno vi salva il girovita e nemmeno il fegato. Mentre di sicuro avrete il castigo divino dello zucchero a velo che dopo il primo morso vi avrà imbiancato senza scampo la cravatta di seta, la giacca blu o il vestitino nuovo e non ci sarà una spazzola a portata di mano.


la frìtola classica veneziana, da addentare ancora calda

Passiamo alla nota dolente delle frittole (si dovrebbe scrivere frìtole, lo so, ma il correttore automatico di Windows è foresto e non capisce). Ormai le classiche veneziane, grandi come un mandarino, con l'uvetta e i pinoli e soffici da affondarci i denti con libidine, proprio come è successo con i panettoni classici e le colombe stanno diventando minoranza da riserva indiana di fronte all'avanzare nei vassoi di quelle mignon farcite con ogni tipo di cremina slimegosa partorita dai deliri creativi del pasticcere/fornaio di turno. Ora, purché si senta bene la Marsala (qui da noi si dice al femminile), passi pure la frittola farcita di quello zabajone più o meno denso o liquido che a Venezia da sempre accompagna fumante i biscottini ebraici o la pinza da inzuppare e quindi ci può stare, ma ormai di frittole aliene se ne trovano di tutti i tipi comprese quelle con la crema Chantilly, la cremina all'arancia, quella al Grand Marnier e l'onnipresente e infestante Nutella che tra poco ti ci mantecheranno anche il risotto di pesce visto che ormai ha trovato spazio anche sulla pizza napoletana verace.


gli improbabili pani verdissimi dei pescatori e dei dogi, mai visti prima


Ora io, ormai in preda allo sconforto, non discuto più sugli obbrobri dolciari che vedo ogni tanto fiorire nelle vetrine del centro storico perché so perfettamente quanto nel triangolo delle Bermuda turistico tra Rialto, San Marco e i Frari le logiche della domanda e dell'offerta siano peculiari. Magari, al posto di certe sedicenti pagnottelle “dei dogi” color E142 verde pistacchio e traboccanti mandorle a imitazione di pampepati e simili, comparse da qualche anno nelle pasticcerie per allettare i gonzi che credono siano davvero un nostro dolce tradizionale e che Casanova, oltre ad essere il nostro Rocco Siffredi di quei tempi, fosse un doge, io avrei proposto altri capisaldi della nostra grande tradizione dolciaria. Penso alle varie fugasse soffici e burrose, alla torta greca alle mandorle (deliziosa, ma ormai l'ultima l'ho vista in una pasticceria di Spinea e questo la dice lunga), agli zaletti, alla pinza, ai bussolai de Buran, vera bomba calorica di tuorli d'uovo, burro e zucchero, ai baìcoli, ai bruti ma boni, agli ossi da mordere, alle bisse e le impade della tradizione ebraica o perfino agli stecchini con l'uva, le albicocche e le prugne caramellate come li vendeva in Piazza San Marco il Caramel Bepi con la bacheca di vetro appesa al collo.


la pinza veneziana di pane, fichi, uvetta e semi di anice che prepara mia moglie

Però, è anche vero che se uno si compera sui banchetti in Strada Nuova la statuetta della torre di Pisa che cambia colore con il tempo, le damine in vetro di Murano fatto a Taiwan o la gondola in plastica con il carillon che suona "O sole mio" è giusto che se ne torni a casa con la sua pagnottella verde pistacchio pesante come un fermaporte.

E' la selezione darwiniana della specie.

Però su un punto mi sento di lanciare un appello accorato: adesso basta oltraggiare il nostro glorioso e serenissimo passato! Giù le mani dai nostri dolci di carnevale! La Nutella non passerà... sia perché la fanno con le nocciole turche e noi veneziani ci ricordiamo del nostro eroico comandante Marcantonio Bragadin scuoiato vivo per vendetta a Famagosta, sia perché magari uno ne fa indigestione e poi va a suonare ai citofoni.

Nessun commento:

Posta un commento