lunedì 26 agosto 2019

Degli splendori e della decadenza di mio zio Antonio, nobiluomo fuori dal suo tempo.


La mia nonna paterna agli inizi del secolo scorso, viveva a Smirne, dove era nata e dove la sua famiglia, di solide radici genovesi, a metà dell'ottocento si era rifugiata da Chios per sfuggire al massacro della popolazione greca, e aveva quattro fratelli e una sorella. Di questi fratelli, uno era morto a quattordici anni per una peritonite (si chiamava Gustavo, e mio padre in seguito ne prese il nome in suo ricordo) mentre il maggiore, Guglielmo detto Bibe, era caduto combattendo durante l'assedio e l'incendio di Smirne, nel 1922. Così al momento di fuggire in Italia sulle navi della nostra flotta giunta in porto per imbarcare e salvare i connazionali, oltre a sua sorella minore Ines le erano rimasti solo due fratelli: Renato e Antonio. Il primo l'ho frequentato pochissimo e ne ho dei ricordi vaghi, mentre il secondo è stato una presenza abbastanza ricorrente nella mia famiglia, soprattutto negli anni in cui abbiamo vissuto nella villa di mia nonna a Rapallo, perché mio padre aveva il suo primo comando in mare (un vecchio dragamine tedesco preda bellica della prima guerra mondiale) di stanza a La Spezia. Dunque, siccome Antonio era un personaggio a suo modo assai originale, che viveva in un mondo tutto suo e aveva un vero talento per dilapidare ricchezze (ed io qualcosa di quel talento, a detta di mia moglie, devo aver ereditato...), ho pensato di raccontarne le vicende come un mio tardivo tributo affettuoso e solidale. La foto qui sotto, che proviene dagli album di famiglia ereditati dalla sorella di mia nonna, l'ultima ad andarsene della famiglia, è di incerta attribuzione. Dai tratti del viso e da come li ricordo potrebbe essere Antonio, ma potrebbe trattarsi anche dell'altro fratello Renato, visto che i due si somigliavano molto. Comunque, non avendo altre immagini disponibili, la posto ugualmente.





Questo zio, ancora poco più che adolescente, aveva vissuto un amore impossibile per una delle cameriere di casa, che, scoperta la cosa, era stata bruscamente allontanata. E tanta infelicità sembra lo avesse molto turbato, tanto che, non potendo concretizzare il suo amore, espresse l’intenzione di restare signorino a vita. Qualche tempo dopo, la famiglia, preoccupata perché il giovane rampollo stava davvero osservando la più ostinata misoginia, gli predispose, per aiutarlo nell’educazione sentimentale, una crociera nel Mediterraneo a bordo di un panfilo noleggiato per l'occasione e, con un inganno, gli mise a bordo, come unica passeggera e con il compito di svezzare il pupo, una famosa diva del cinema di allora, profumatamente pagata. Antonio, però, non appena la nave fu al largo e si rese conto d’essere solo con la... mangiatrice d’uomini, corse a chiudersi a chiave in cabina, dove restò testardamente fino alla fine del viaggio.



Mia nonna  Maria "Bebitza" appena ventenne

Avendo deciso di escludere dalla sua vita il genere femminile (con tutti i fastidi connessi) e disponendo di mezzi economici tali da poter lasciare agli altri la fastidiosa incombenza del lavoro, diventato adulto si concentrò, da vero single, sugli aspetti più piacevoli della vita e cominciò a spendere e spandere allegramente. Si concesse così un tenore di vita decisamente dispendioso. Basti sapere che mandava a stirare le sue camicie da sera (rigorosamente londinesi...) a Parigi perché sosteneva che in Italia non fossero capaci di farlo in modo adeguato! E che non c’era ristorante di gran lusso dove il nostro, che era anche un esigente gourmet, non avesse un conto aperto. Viveva, dunque, senza negarsi nulla di quanto di più raffinato si potesse reperire in Europa in termini di qualità della vita, tanto che, a riprova di quanto affermo, fino ai venticinque anni ho posseduto, non ricordo per quali vie, un suo smoking, originale degli anni '30, prodotto da una sartoria londinese e di una stoffa di qualità davvero straordinaria. 

Tuttavia, siccome il Signore separa velocemente gli sprovveduti dai propri soldi, un brutto giorno questi cominciarono a finire. Una robusta mano gliela diedero anche gli inglesi quando bombardarono Genova dal mare distruggendogli alcune case, e ben presto Antonio, che un po’ alla volta si era venduto tutte le sue proprietà per far fronte ai debiti, si ritrovò, attorno ai cinquant’anni, completamente senza quattrini. Per la verità, anche se la cosa fino ad allora gli era stata completamente sconosciuta, provò perfino a lavorare, senza metterci, peraltro, una grande convinzione. Suo fratello Renato, mosso a pietà, gli aveva trovato un lavoro da impiegato all’ufficio immigrazione del porto di Genova, visto che Antonio parlava molto bene l'inglese, il francese ed il tedesco, ma lui, igienista convinto, si era licenziato dopo pochi giorni perché sosteneva che quella povera gente male in arnese che scendeva dalle navi portava con sé i microbi di chissà quali tremende malattie. E lo stesso accadde in seguito con altri lavoretti che gli venivano procurati amorevolmente dai parenti e dai quali si licenziava dopo pochi giorni, accampando scuse quantomeno curiose. Trascorse quindi il resto della sua vita aiutato dai fratelli e peregrinando da una pensione all’altra della Riviera, lasciando distrattamente debiti di qua e di la.


Mio padre al comando in plancia


Un bel giorno lo zio, già piuttosto anziano, fece, con nostra sorpresa, il beau geste di invitarci a colazione in una delle pensioncine dove scendeva (perché lo zio, come la nonna Bebitza, negli alberghi non ci andava, come tutti i comuni mortali, bensì ci scendeva, immagino da qualche carrozza immaginaria). Lo zio ci accolse sulla porta della pensione, profondendosi in baciamani alle “belle signore” (anche se poco interessato al genere, era pur sempre molto charmant con le donne…) e in frizzanti battutine di spirito con il papà e i nipotini. Per l'occasione, il nostro anfitrione (che nella mole e nella forma del viso assomigliava in maniera sorprendente al grande Alfred Hitchcock...) vestiva con la solita ricercata eleganza, la paglietta, le ghette e l'inseparabile cravattino a farfalla, anche se, guardandolo attentamente, si capiva che la sua giacca di tweed ed il gilet avevano conosciuto tempi migliori, essendo in alcuni punti lisi fino alla trama. 

La gaia tavolata che ne derivò, tra nipoti e parenti vari, fu, alla fine, di una quindicina di persone. Rammento di aver notato, fin dall’inizio del pranzo, come la cameriera che ci serviva lo facesse in modo strano...diciamo a metà strada tra il sospettoso e il vagamente scortese. Verso fine pasto la cameriera parlottò con zio Antonio, che ebbe un gesto di risentito fastidio, quindi passò a bisbigliare qualcosa a mio padre (che sbiancò in volto...) e, alla fine, i due si allontanarono insieme dalla sala.  Al loro ritorno, lo zio Antonio appariva sollevato, mentre mio padre, aveva stampata in viso l’espressione tesa di quando c'era qualcosa che proprio non gli garbava...


Ines, la più piccola della famiglia.

Al momento del commiato noi tutti ringraziammo zio Antonio per la bellissima ospitalità, rimproverandolo affettuosamente per averci voluto offrire il pranzo e lui, sospirando e allargando le braccia, ci rispose: "Miei cari, quel che è importante è che oggi siate stati felici, e in quanto al resto, che volete... noblesse oblige! " .

La sera seppi, giurando di mantenere il gran segreto, che mio padre era stato supplicato dallo zio di pagare non solo il conto del pranzo, ma anche alcuni mesi di pigione arretrata. Lui ad ogni buon conto, per dargli una mano, aveva aggiunto di suo un altro paio di mensilità, un po’ perché voleva bene a quel vecchio matto e un po’ - vivaddìo ! - perché ... noblesse oblige! 

In ogni caso, a parte queste curiose…cadute di stile, ricordo lo zio come un gran signore nei modi, sempre vestito di tutto punto, con monocolo, ghette e regolamentare bastone con pomolo d'argento. Era un personaggio completamente fuori del tempo e dalla logica comune, ma restava un conversatore sorprendentemente colto e, a suo modo, affascinante. Ogni tanto lo zio veniva a passeggio con noi per il centro di Rapallo, aiutando la mamma a fare le spese e, strada facendo, dopo avermi comperato dal fornaio lo scartoccino di focaccia, mi raccontava delle favole bellissime e di sua creazione, che oggi vorrei tanto poter ricordare. La nonna sospettava che ciò accadesse non tanto per una sua buona disposizione nei nostri confronti, quanto perché Antonio, sempre molto critico verso la sua cucina (e, francamente, con fondati motivi), sapeva abilmente indurre mia madre ad acquistare costose prelibatezze. In realtà, lo zio provava viva simpatia per il suo nipotino, probabilmente intravedendo in lui il suo stesso talento dissipatore, tanto che, un giorno, giunse perfino ad avere uno sdegnato battibecco con sua sorella per uno scappellotto che, peraltro, avevo meritato. A causa di ciò il cancello di villa Mercedes si chiuse per un periodo piuttosto lungo, dato che i due contendenti erano dotati d’orgoglio e testardaggine illimitati, tanto che una mattina, per allontanare lo zio Antonio che io avevo involontariamente smascherato al cancello salutandolo con entusiasmo, non aveva esitato a chiamare il cameriere perché facesse fuoco in aria con una delle innumerevoli doppiette da caccia di mio nonno. Lo zio fuggì a gambe levate, insieme a qualche centinaio d’uccellini che si levarono in volo atterriti dagli alberi del giardino. Mio padre, così, dovette impegnarsi in una estenuante mediazione di diverse settimane che si risolse solo quando i diversi fratelli di mia nonna, allarmati perché cominciava a rivolgersi a loro, le chiesero di riprendere i rapporti diplomatici con lo zio, considerato una sorta di mina vagante per le loro sostanze. 

Nel settembre del 1964 lo zio Antonio scomparve misteriosamente dalla pensione dove alloggiava. Per qualche tempo, visti i precedenti, nessuno se ne diede troppa pena, poi, dopo qualche giorno di ricerche tra ospedali e posti di Polizia della Liguria, ci giunse la conferma di quanto si temeva. L’avevano trovato su di una panchina dei giardini di Zoagli, che sembrava stesse dormendo. Aveva ancora vicino a sé il giornale dove aveva letto della morte di mio papà e un infarto lo aveva stroncato. Riposa in pace, caro vecchio zio Antonio e se lassù hai lasciato con nonchalance qualche conto da pagare, cerca pure mio padre che sarà lì da qualche parte. Vedrai che con lui il Noblesse oblige funziona ancora...  

2 commenti:

  1. bellissimo racconto, emozionante. Simpatico questo zio così atipico e pervicace nella sua risoluzione a rimaner scapolo. Un legame forte e carico d'affetto con te e tuo padre... bei ricordi!

    RispondiElimina