sabato 6 luglio 2019

Di come il destino si diverte facendoti incontrare gli amori che ti cambieranno la vita quando meno te l'aspetti


La mia nuova e giovanissima assistente aveva iniziato a collaborare con noi da pochi giorni quando, visto che per ultimare la sua tesi doveva fare una ricerca qualitativa di mercato, il docente che ce l’aveva segnalata mi chiese se potevamo aiutarla portandola dai nostri clienti perché potesse fare delle interviste per il suo lavoro e cominciare ad approfondire il contesto delle aziende. In questo modo iniziai il rapporto con Morena con una gaffe disastrosa. Forse sarà stato il destino che si era messo all'opera per le sue solite vie tortuose, ma comunque, per esaudire la richiesta, una mattina di maggio la feci salire (un po’ controvoglia, lo ammetto) a bordo della mia Delta e la portai a fare un giro nel Polesine, tra Occhiobello e Stienta, dove c’erano alcune aziende nostre clienti che la potevano interessare. 

La giornata era piena di sole e bellissima, come i colori della campagna e dei canneti del delta, così all’ora di pranzo, costeggiando un argine, fermai la macchina nello spiazzo davanti ad un’invitante trattoria all’aperto, con i tavoli sotto un tendone verde, dal lato ferrarese del Po. Lì, complici il vino bianco bello fresco e l’ambiente familiare, cominciammo a rompere il ghiaccio e a parlare di tante cose mentre un massiccio cameriere con giacca lisa e tovagliolo ascellare ci ammanniva “lento pede” delle robuste porzioni da camionista di gnocchi di zucca fatti in casa e anguilla in umido. Così passammo le due orette di quel caldo pomeriggio quasi estivo tagliando tabarri come vecchie comari e sghignazzando sulle mille disavventure delle nostre vite, con l’aiuto di un Trebbiano di buon corpo che scioglieva la lingua. 

Mentre lei sorseggiava il caffè di fine pranzo, mi alzai da tavola e visto che con tutto quello che avevo bevuto era saggio andare in bagno, ebbi la pessima idea di passare dalla cassa a chiedere che mi portassero il conto al tavolo. Errore fatale. 

Infatti, pochi minuti dopo che avevo ripreso il posto a tavola, arrivò il cameriere che assieme al foglio con il conto posò anche una bella chiave d’albergo, di quelle con la palla di ottone. Lo guardai sgomento, ma lui, ammiccando con aria complice, ci disse con un bell’accento emiliano: “Se adesso volete fare un riposino dopo mangiato, abbiamo delle stanze belle fresche su al primo piano”. Io dissi subito di no, ma Morena era inorridita e ora mi guardava torva, anzi, decisamente indignata. Pensava senza dubbio che quando ero andato alla cassa avessi chiesto la chiave convinto che ormai la pollastrella fosse cucinata a puntino e ci stesse. 


Quando ti guardano divertite perché
fai ancora il timidone che cerca di prendere tempo

Feci il viaggio di ritorno incartandomi sempre di più nel tentativo di spiegarle che la cosa non era stata voluta e che aveva sorpreso anche me. Lei ripeteva di sì, che mi credeva, ma capivo che era solo per educazione. Sapevo benissimo che mi considerava un vecchio porco che ci aveva provato. Comunque, il giorno seguente accettò le mie scuse sotto forma di un vistoso mazzo di rose rosse che suscitò invidia e sguardi interrogativi da parte delle colleghe di ufficio e i rapporti tornarono normali. 

Cominciando a fare amicizia, scoprii che Morena era molto, ma molto meglio di quanto l' avessi giudicata. Anzi, mi voglio rovinare: mi era diventata decisamente simpatica! Mi ero accorto che con lei stavo decisamente bene e mi piaceva ridere e scherzare da compagnoni (gran brutto segno! Quando ti piace ridere e scherzare con una donna come se fosse il tuo miglior amico probabilmente te ne stai innamorando.) 

Per me che sono un etereo sognatore, sempre pronto a far fughe in avanti, una donna che, invece di pendere dalle mie labbra di grande affabulatore, mi riportasse a terra tirandomi per la giacchetta era una novità assoluta e affascinante. Il solo problema, ma lo seppi dopo, è che spesso lo avrebbe fatto in maniera energica. Tra le sue virtù che a poco a poco si rivelavano mi piaceva anche molto il fatto che Morena fosse una persona leale, di modi franchi e solari, senza pensieri contorti e retrostanti. In particolare, mi colpivano molto alcuni aspetti della sua personalità veramente insoliti rispetto ai tipi di donne con le quali mi ero accompagnato fino ad allora. Lei era risoluta e determinata come un maschiaccio, con una grinta da far paura e scoprii presto che reggere lo sguardo di Morena “heavily incazzed” per più di due secondi era difficile anche per me, che pure ero allenato. 


Quando la mattina dopo vengono a fare colazione assonnate
e con addosso solo la giacca del tuo pigiama, sai bene che la tua vita da single durerà poco.

Mi piaceva meno, invece, il fatto che dopo aver detto scandalizzata: “Ma a questa povera Delta ci tiri mai il collo? Sembra un trattore” mi aveva fatto scendere e si era impadronita del volante facendomi vedere che giocando con le marce e lanciandola a tavoletta poteva anche toccare i duecento all’ora nel rettilineo autostradale tra Portogruaro e Latisana (per fortuna non c’erano pattuglie della Polstrada e ormai il reato è prescritto). Così, da quel momento in cui scoprii che avevo a bordo una specie di pilota di rally, ogni volta che si andava in trasferta, voleva guidare lei. Un giorno non lontano si sarebbe impadronita della mia vita, intanto cominciava con la mia Delta. 

Tornando al laborioso scoccare della scintilla tra noi, una mattina partimmo insieme per Portogruaro, dove avremmo dovuto pernottare in albergo perché ci attendeva del lavoro anche la mattina seguente. 

La sera, durante la cena di lavoro con i dirigenti dell’azienda nostra cliente, la mia giovane assistente, seduta di fronte a me sembrava davvero bellissima. Indossava una camicetta in lamé che ne valorizzava ampiamente la scollatura e aveva gli occhi che brillavano di una luce così densa di significati che tutte le mie attenzioni erano rivolte a lei. Il povero funzionario dell’azienda nostra cliente che continuava imperterrito a parlarmi di percorsi formativi e di processi di lavoro ne riceveva in cambio risposte vaghe o del tutto senza senso. D'altronde, che diamine, stava sbocciando un amore... 

Il salottino minimalista della mia casa da single arrampicata sui tetti di Calle del pestrin

Salutati i nostri ospiti, c’incamminammo per il corridoio dell’albergo verso le nostre stanze che, per un gioco del destino (o di una lauta mancia al portiere?) erano proprio una di fronte all’altra. In preda a vistoso imbarazzo e con il cuore in tumulto esitavo a dichiararmi, anche se avrei voluto, perché mi sarebbe dispiaciuto molto rovinare tutto con una mossa azzardata. Così, dopo una serie di assurdità del tipo “Se vuoi leggere ti posso dare il giornale” o anche “Vuoi dell’acqua minerale?” tanto per dirci ancora qualcosa nell’attesa di un segno di incoraggiamento da parte dell’altro, ci demmo la buonanotte e ci ritirammo delusi nelle nostre camere. 


Quello che la sua nuova vita da single è durata solo pochi mesi,
ma un grappino per festeggiare e vincere l'emozione ci vuole tutto...  

Sperando ardentemente in una sua visita, ad ogni buon conto lasciai la porta aperta. Lei, sperando ardentemente in una mia visita, a sua volta lasciò la porta aperta. Ci addormentammo tutti e due con la porta aperta, rischiando un torcicollo per via della corrente. E dormimmo saporitamente, per la serie: il fiore che non colsi... anzi, che non cogliemmo. Poche settimane dopo questi eventi mi ricoverai in ospedale perché, dopo l’incendio pauroso che aveva distrutto la casa di mia madre, dove ora abitavano mio fratello e mia zia ed altre sventure che non dico, mi era salita la pressione a livelli da pallone sonda e prima che m’innalzassi in cielo occorreva fare degli esami. Restai ricoverato dieci giorni in un triste reparto di nefrologia, in mezzo a vecchietti dializzati ed altri sofferenti. Ero molto abbacchiato, anche perché per un malato immaginario non c'è niente di peggio che stare da sano in mezzo a gente ammalata sul serio, quando un pomeriggio Morena arrivò con mia sorpresa (lei sola, tra tutti i miei presunti amici) a farmi visita. 


Appena pronunciato il "Sì!" e con una bella convinzione...

M’illuminai d’immenso e per un attimo fui tentato di abbracciarla e baciarla con passione, ma l’idea di fare incominciare il nostro amore in una stanza di corsia non mi sembrava particolarmente romantica. Così, ancora una volta mi astenni dal farmi avanti. Morena però, che da donna pragmatica era arcistufa del mio tergiversare, mi venne misericordiosamente a prendere in consegna il giorno dell’uscita dall’ospedale (ero pallido e debolissimo) e andammo a pranzo assieme alla Fiaschetteria Toscana. Il risotto con gli scampi e le zucchine e il Cartizze fecero miracoli e iniziai a sentire le energie perdute che riprendevano a scorrere nelle vene. Dopo pranzo si offrì di accompagnarmi fino a casa anche perché mi disse di essere curiosa di vedere se ero davvero una persona ordinata come mi vantavo. 

Una volta seduti sul divano del salotto fui preso dal panico perché non sapevo che fare, o meglio, lo sapevo benissimo, ma non avevo il coraggio di muovere il primo passo. In gran parte avevo timore di aver frainteso ancora una volta il suo atteggiamento e di venire rifiutato, ma un pochino avevo anche paura di essere troppo debole nel caso gli eventi avessero preso una certa piega e, per un minimo di decoro, non avrei voluto iniziare con la possibile figuraccia di un nulla di fatto. 

Alla fine, pur di superare quel silenzio imbarazzante iniziai a parlarle dei giochi simpatici che avevo sul mio Commodore 64 tanto per guadagnare tempo, finché lei mi fermò ponendomi la mano sulla bocca e, dopo uno sguardo divertito, sussurrò: “Ti decidi a baciarmi, stupido?”. 


And the winner is... (in realtà è stato un caso scolastico di Win -Win)

Dopo quattro anni di vita sostanzialmente serena, decidemmo che era il caso di continuare e che ci sarebbe piaciuto sposarci e mettere al mondo un nostro bambino. 

Ci sposammo nel Municipio di Venezia. La mia sposina, che come vuole la tradizione quella notte aveva dormito lontana da me a casa di mia zia, a due passi da San Bartolomeo,  arrivò tanto puntuale quanto elegantissima, con un bell'abito di raso scelto dalla collezione di non ricordo quale stilista, che naturalmente non avevo potuto vedere in anteprima perché porta male, ma che ci tenne in ansia per la consegna fino all’ultimo e tanti fiorellini tra i capelli. Naturalmente, le avevo raccomandato di stare attenta ai piccioni lungo la strada, che a Venezia si fanno un punto d'onore nel battezzare gli abiti delle spose in transito nelle calli. In quanto ad eleganza anch'io però non scherzavo, tutto impettito in uno splendido doppiopetto grigio ferro di Valentino acquistato da Longega con metà dei miei risparmi. 

A cerimonia conclusa, con l’altra metà dei risparmi ci concedemmo anche il lusso di un costosissimo corteo di motoscafi fino alla Punta della dogana per offrire ad una quarantina d’amici un dinner all’americana alla Linea d’ombra, il vecchio e glorioso bar con biliardo delle manche a scuola trasformato in locale di gran fascino e dal nome simbolico (sempre che uno abbia letto Conrad). Io la linea d’ombra l’avevo attraversata quel giorno, ma per tornare finalmente dalla parte del sole.

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