domenica 19 maggio 2019

Delle astutissime ma molto fallibili tattiche di seduzione alle feste degli anni '60


Negli anni '60, noi giovani ragazzi veneziani, pur vivendo per definizione nella città più romantica al mondo, per iniziare i nostri primi amori adolescenziali con amiche o compagne di classe, avevamo a disposizione un solo strumento: le feste in casa, quelle con il giradischi Geloso, le pizzette, la coca cola, la sorveglianza discreta delle madri e delle nonne sedute in cucina e l'armadietto dei liquori chiuso a chiave e guai a chi la trova. Non avevamo altre occasioni perché, anche se avessimo avuto il permesso di andarci (ricordo che in quegli anni, dopo la rituale domanda delle madri: "di chi è figlio/a?" le ragazze potevano venire al cinema solo se accompagnate dall'amica bruttina e pettegola e ti toccava pure portarti dietro il compagno di classe sfigato per rifilarglielo) a Venezia non esistevano locali per ballare, a parte un night club per gente danarosa e un losco club privé in una calletta all'Accademia dove era meglio che un ragazzo giovane ed ingenuo non entrasse da solo. Per fortuna le festine in casa erano frequentissime e, volendo, se ne trovavano almeno un paio a settimana, di solito al sabato. Questo era lo stato dell'arte durante il periodo invernale e scolastico. D'estate, invece, con l'apertura della spiaggia e la transumanza delle famiglie veneziane al completo nelle capanne del Lido, dal Des Bains, al Consorzio Alberghi e dalle Quattro fontane all'Excelsior, le possibilità d'incontro tra ragazzi e ragazze si arricchivano di una nuova opportunità.   

Alle quattro di pomeriggio del sabato e della domenica, alla Pagodina dell’Hotel Des Bains c’era un complessino che suonava praticamente sulla spiaggia e si ballava in costume da bagno su una piccola pista in cemento. Io ci andavo spesso perché era un buon terreno di caccia e le regole d'ingaggio erano molto semplici. Una volta invitata la lei che ti piaceva tanto, con la quale durante la settimana c'era già stato tutto un precedente lavoro di sguardi d'intesa in capanna per capire se anche tu le piacevi o meno, ci si buttava le braccia al collo e iniziavano le danze al suono di “Unchained melody”, un lento dei Righteous Brothers molto struggente o anche di "Retiens la nuit" di Johnny Halliday, che per iniziare a sussurrarsi parole dolci andava bene lo stesso. In realtà, non era appropriato parlare di danze perché, appena abbracciati ci si avvinghiava come Laooconte con i suoi serpenti rimanendo immobili come paracarri sulla mattonella, anche se i ragazzini cretinetti (di solito i fratelli e le sorelle minori) che ti venivano addosso perché loro ballavano a twist oppure perché volevano fare uno scherzo, li trovavi sempre. Siccome si era tutti e due in costume da bagno, sentire la sensazione del tutto nuova di un corpo femminile caldo di sole e praticamente nudo così appiccicato al tuo a noi giovanotti imberbi di quegli anni '60 metteva ovviamente qualche agitazione addosso e occorreva concentrarsi sulle cose più tristi possibili pur di non manifestarle tutto il proprio gradimento. Per fortuna, pensare in quei frangenti di risolvere un compito di matematica a sorpresa funzionava egregiamente, a patto di evitare ogni riferimento a seno e coseno, soprattutto se espressi al quadrato. A volte, quando lei iniziava a passarti le dita tra i capelli e a darti dei grattini affettuosi sul collo,  occorreva anche pensare ad una contemporanea interrogazione di greco o a tradurre a memoria un brano di Isocrate o di Seneca, che i precettori, quando è in ballo la moralità, aiutano sempre. Poi, ultimate le danze se tutto era andato bene e durante "Io che amo solo te" era scoccato il primo bacio, si finiva a limonare in capanna sperando che non venissero i bagnini a riordinare. Altrimenti, se si era fatto tardi e la spiaggia stava chiudendo, c'era sempre il cinema Astra con le seggioline scricchiolanti e il suo buio accogliente in sala.  


La popolare spiaggia degli Alberoni, tranquilla e lontana in fondo al Lido,
ma senza piste da ballo, solo un juke-box al baretto.

Ma torniamo alle feste nel periodo invernale e scolastico che per le vicende amorose erano la consuetudine e non l'eccezione come le opportunità in spiaggia. 

Avendo risolto a modo mio il celebre dilemma di Moretti: "alle feste mi si nota di più se non ci vado o se resto lì in disparte?" con la scelta di frequentarle assiduamente rimaneva in sospeso la questione di quale comportamento adottare per ottenere la giusta visibilità ed evitare l'anonimato dell' "effetto massa", che poi una il giorno dopo ti diceva "peccato che non sei venuto!" e invece c'eri. Abbandonai subito l’ipotesi di imitare un mio compagno di classe che si atteggiava a compagnone allegro e confidente di tutte un po’ perché non era nelle mie corde e aveva pure l'aria malaugurante del temutissimo "restiamo amici", un po’ perché la parte la faceva già lui e non era il caso di farla in due, ma, soprattutto, perché, come giustamente osservato molti anni dopo dal giovane Pippo di “Dillo con parole mie”, chi sceglie di fare “l’amico delle donne” generalmente va in bianco perché con gli amici ci si confida ma non ci si mette, se non in età adulta e come ultima ratio. Dunque, non volendo aspettare tanto tempo, la tattica che adottavo era quella ben collaudata di assumere l’aria malinconica di chi si porta dentro un grande dolore e se ne sta in disparte con il suo bel bicchiere di coca-cola in mano. Insomma, una cosa a metà tra l’umore tenebroso di un giovane Werther che vede Charlotte imburrare una fetta di pane per Albert e un poète maudit

Dai diciassette anni in poi, come detto in precedenza, avevo introdotto tra gli strumenti di seduzione anche le Gauloises senza filtro, che lasciavo penzolare dal labbro come un giovane Alain Delon, ma stando ben attento a non riempire i denti di pezzettini di tabacco, con il rischio di ritrovarsi il “sorriso primavera” come con i tramezzini vegetariani. Naturalmente, l'espressione triste andava utilizzata senza esagerare altrimenti si finiva come Emanuele a fare il ruolo di quello un po’ sfigato che cambia i dischi. Doveva essere giusto un velo, uno sguardo disilluso da uomo ferito ma non domo da far balenare ogni tanto. Quindi occorreva studiare con cura la candidata da scegliere tra le meno peggio di coloro delle quali ti accorgevi, intercettando qualche sguardo insistito, che ti avevano notato a loro volta. Soprattutto, occorreva essere sicuri che non ci fossero da parte sua o di altri delle mire in corso, per evitare spiacevoli incidenti diplomatici.

A questo proposito, siccome l' "Arte della guerra" insegna che il primo passo verso la vittoria consiste nel saper scegliere realisticamente il proprio nemico, conveniva abbandonare subito la pretesa di indirizzare le proprie attenzioni verso la fascia di nicchia delle "bellone abbaglianti " dove trovavi più affollamento di pretendenti che sul vaporetto della linea 1 nelle ore di punta. Lo stesso valeva per le "belle incantevoli" e le "carine intriganti" dove i duellanti erano ancora in buon numero. Invece, scegliendo come target il vasto territorio delle "graziose-accettabili" fino al livello del "che non si fila nessuno" la possibilità di trovare la concorrenza era molto ridotta, incontravi quasi sempre ragazze sveglie, di grande simpatia e molto piacevoli perché non se la tiravano come le altre e magari la possibilità d'incrocio tra domanda e offerta era attraente per entrambe le parti. In ogni caso, una volta individuato il bersaglio e ultimate le verifiche, tutto era pronto per l’attacco che doveva essere effettuato con la determinazione e la rapidità di un incursore di marina.

Anche il juke-box, in montagna e al baretto della spiaggia, provvedeva
  alle nostre voglie di ballo. Bastava avere le cento lire e sperare che nella lista
ci fosse qualcosa di meglio di Little Tony e Rita Pavone.

Non appena lei era seduta a rifiatare da qualche parte, possibilmente senza amiche attorno, era il momento di spegnere con decisione la sigaretta (che spesso si era già spenta per conto suo, perché a forza di tenerla in bocca si era inumidita). Dopo aver passato rapidamente la lingua sui denti per rimuovere gli eventuali pezzetti di tabacco di cui sopra, ci si avvicinava alla preda con l’aria di chi aveva improvvisamente deciso di dare un calcio alla cattiva sorte e fissandola con lo stesso sguardo che mia madre classificava come "fecondatore" si proferiva un: "Vuoi ballare?" che non ammetteva rifiuti. Di solito lei spalancava gli occhioni ingenui e rispondeva stupita: "Chi, io? " 
Così, dopo esserti morsicato la lingua per non ribattere: "Certo, bellina! Chi vuoi che inviti? La tua sedia? "  dovevi risponderle come il Principe Azzurro di Cenerentola con un suadente: "Sì, è proprio con te che vorrei ballare, sai? Però se non vuoi... " . 
L'ultima frase serviva a farle intendere come fossi una persona di sentimenti profondi e disposta anche ad accettare l'ennesima cattiva sorte di un rifiuto. 
Il suo: "Ma certo che lo voglio! Sono qui per questo, mica per far tappezzeria, che diamine!" era implicito nel fatto che a quel punto lei si alzava subito prima che potessi cambiare idea e raggiungeva con te il centro della sala. Ovviamente, per avviare le danze, che dovevano essere lente e struggenti, occorreva aspettare che finisse la manciata iniziale di twist e surf, utile solo per frollare le carni.

Dopo i rituali convenevoli di cortesia (nome, cognome, scuola, numero di matricola) bastava di solito aver la pazienza di aspettare un pochino e la pesciolina, curiosa come tutte le donne, abboccava all'amo con l’atteso: "Ti posso chiedere una cosa un po’ indiscreta? Come mai te ne stavi tutto solo? ".
Questa sua domanda ingenua era la prova provata che aveva notato il tuo velo di malinconia e che ora si stava ponendo il problema di come ficcare il naso nei tuoi affari sentimentali, che dovevano esserne la causa. 
Da quel momento in poi, disponendo di inventiva e dialettica, si giocava alla grande rivelandole gradualmente tutta una serie di sofferti “ti dico e non ti dico” a proposito di una recente e tristissima storia d’amore con una ragazza che l'aveva illuso e poi lasciato di punto in bianco per mettersi (chi l'avrebbe mai detto?) proprio con uno dei suoi migliori amici. Se il racconto era credibile di solito provocava dopo pochi istanti la domanda incuriosita "Ma (questa zoccola) la conosco?" . Qui si doveva rispondere "forse sì, ma come immagini non voglio dirne il nome per correttezza" e questo ti dava subito dieci punti bonus nella sua considerazione. Era comunque importante mescolare nello stesso pentolone della vicenda ingredienti forti quali: l’amore infedele, l’ingenuità oltraggiata e irrisa, l'amicizia tradita, l’inganno crudele... cioè la serie completa di tutti i peggiori luoghi comuni delle soap opera argentine.

Il premio di tanta fatica.

Durante il ballo era necessario aumentare progressivamente la stretta e insinuare per gradi nel discorso concetti riassumibili in: "Magari la mia ex fosse stata una donnina dolce e comprensiva come te. Allora si che avrei avuto la felicità a portata di mano". Di solito lei annuiva pensosa e si stringeva di più. A quel punto occorreva avere ancora un po’ di pazienza, mentre la pesciolina si rosolava ulteriormente al fuoco delle chiacchiere e aspettare il momento clou di tutte le feste: lo spegnimento della luce. Prima o poi, infatti, arrivava il momento in cui qualcuno, facendo finta di essersi appoggiato per sbaglio con la schiena all'interruttore, spegneva le luci della sala. In quel preciso istante tra tutte le coppie in sala partivano delle raffiche di baci e di stropicciamenti frenetici (ma solo per i più evoluti). Occorreva però sbrigarsi a pomiciare perché appena si accorgeva del buio la madre della padroncina di casa accorreva a sirene spiegate con la velocità della polizia nei film americani per ripristinare l’ordine e smascherare il colpevole che era severamente redarguito di fronte a tutti (lo dirò a tuo padre) e a volte persino invitato ad andarsene con un rosso diretto. A casa di una ragazza di Cannaregio arrivò perfino la nonna con la scopa in mano, salutata dall'applauso di tutti.

Con il favore delle tenebre potevi infliggere alla preda la stoccata finale del matador e sussurrarle in rapida successione una serie di cosette tanto dolci da intenerire anche Angela Merkel. Al termine della sequenza, tenendo pronto il kit di salvataggio "scuse-fraintendimento", era possibile provare a darle un primo tenero bacino di test sulla fronte, sugli occhi (a patto di non sciuparle il Mascara) o anche sul lobo dell’orecchio, ma senza mordicchiarlo ancora. La scelta tra queste opzioni dipendeva in particolar modo dalla statura della malcapitata che imponeva alcune regole da rispettare:
1-Se ti accompagnavi a delle nanerottole andava bene il classico bacio sugli occhi o sopra la teca cranica. 
2-Se ambivi a delle cavallone: bacio sul lobo e, nei casi estremi, sulla punta del mento o sul gargarozzo e fino a dove si arrivava senza camminare sulle punte come una ballerina classica, evitando comunque il bacio all’attaccatura del seno in quanto prematuro. 
3-Se, infine, eri interessato al genere normolineo, bastava un bacio sul lato del collo, o, meglio ancora, dietro l’orecchio stando attento però a non farle cadere l’orecchino che poi ti toccava cercarlo subito in ginocchio sul pavimento prima che gli altri lo pestassero, con grave rischio per le tue delicate dita da chitarrista. 
In mancanza di apprezzabili reazioni negative, si poteva finalmente, dopo tanta fatica, passare al bacio vero e proprio (modello base, lingua optional) con successiva, travolgente limonata su divano appartato e/o in una delle tante callette buie dove passavano sì e no due persone al giorno, eccetto quando stavi pomiciando.

In realtà, la tattica che dava i migliori risultati per incuriosire positivamente le ragazze era quella che mi veniva spontanea nella vita di tutti i giorni per una naturale predisposizione alla timidezza e all'essere imbranato nelle faccende quotidiane come tutti i giovanotti cresciuti nella bambagia di mamme, nonne e zie che tutto sanno e che a tutto provvedono . Però essendo un maldestro volonteroso cercavo almeno di rimediare alle mie carenze con soluzioni ingegnose, ma quasi sempre con risultati discutibili. Per esempio, fino al giorno in cui cominciai a vivere fuori di casa nell'appartamento padovano dei tempi universitari ero del tutto all'oscuro del fatto che i bottoni potessero anche staccarsi, questo perché mia madre e mia nonna come due fatine buone facevano periodicamente il giro dei cassetti e degli armadi rinforzando all'occorrenza quelli penzolanti. Così, appena scoperta la caducità di quegli utili accessori, mi adattai all’arte del cucire con l’entusiasmo dell’autodidatta. Ma, riuscendomi del tutto impossibile far passare un filo nella cruna di un ago senza attorcigliarlo irreversibilmente (ma come faranno le donne a farlo al primo colpo?) mi ridussi ben presto a pescare aghi con il filo già inserito nel cestino da lavoro di mia madre. Di conseguenza andavo in giro con i bottoni del loden e delle camicie attaccati con fili dai colori più strani, cosa che faceva sghignazzare gli amici, ma inteneriva tanto le ragazze del’epoca. Questo giacché a rinforzo dell’addestramento da “angelo del focolare” impartito a quei tempi dalle madri, a scuola avevano anche l’ora di economia domestica per diventare bravissime oltre che nello sfornare crostate bruciacchiate anche nel cucito e nel lavoro a maglia. Così, oltre ad infliggerti tragici maglioni con gli orli sformati e con le maniche di diversa lunghezza, guardavano divertite e con tenerezza materna quei miei rammendi improbabili (e non avevano nemmeno visto i calzini blu ricuciti con il filo rosso). Ed era proprio sull'istinto materno che ad un certo punto decisi di puntare per entrare nelle grazie del gentil sesso anche perché non mi costava molta fatica, visto che spesso le cretinate per intenerirle mi venivano spontanee.

Ma di questo parleremo, magari in una prossima puntata, altrimenti poi mio figlio si lamenta che quando racconto la tiro troppo lunga.

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