giovedì 5 luglio 2018

Dell'apprendista casalingo e delle signore dai capelli azzurrini

Da quando sono entrato in pensione e salvo qualche occasionale revival da docente (credo funzioni come per quei vecchi attori scafati e istrioneschi che ogni tanto vengono richiamati sulle scene come tributo alla carriera) mi ritrovo finalmente con un bel po’ di tempo libero a disposizione. Così, oltre alle tre orette quotidiane adoperate per portare il bretone a sgambettare tra campi fangosi e nebbie invernali o steppe assolate e piene di zanzare (che lui non si degna di espletare i suoi bisogni nelle aiuole dei giardinetti, ma si sente ispirato solo dalla visione degli spazi agresti), ho una moglie che appena mi siedo in poltrona e oso aprire Repubblica per una fuggevole occhiata, invece del premuroso: “Amore, sei stanco? Vuoi che ti faccia un caffè?” tipico degli angeli del focolare di cui favoleggiavano le poesie delle elementari, mi ricorda con un automatismo tipicamente femminile che, visto che non ho nulla da fare, ci sarebbero le foglie in giardino da rastrellare o la biancheria da stendere. Dunque, essendo di natura un uomo curioso e aperto al cambiamento, sto perfezionando il ruolo del casalingo. 

Non che prima non lo facessi, ma lavorando a Torino e pertanto vivendo da solo a quattrocento chilometri da casa e con orari devastanti per la mia alimentazione (uscendo alle otto di sera, riuscivo a fare spesa solo se i negozi non mi chiudevano la saracinesca sui piedi) sopravvivevo solo con scatolami e tranci di pizza o di focaccia ligure rafferma e per il resto dei lavori di casa, non disponendo dei tempi tecnici, mi limitavo al minimo sindacale (lavaggio del mio piatto singolo e della forchetta, delle calze e mutande etc...), mentre per le pulizie di fondo, chiedendo ingenuamente lumi al giovanotto della cooperativa che ci puliva gli uffici, mi era stata indicata la “Soluzione Luciana” che, a suo dire, avrebbe depurato il mio appartamento come la “Soluzione Schoum”. Si trattava di una signora molisana (ovviamente parente del giovanotto) dall’età indefinibile, sempre vestita di nero e brusca di modi che veniva al venerdì sera, quando ero già sul treno per Venezia, e che, come promesso, mi riconsegnava al lunedì una casa lucente, ancorché affumicata come uno speck perché la maledetta fumava come una turca, tanto che le lenzuola e il cuscino sapevano di fumo per almeno due o tre giorni. Questo anche se prima di dormire lasciavo la finestra spalancata per arieggiare (misura in ogni caso indispensabile perché abitando in un condominio di vecchietti freddolosi, la caldaia andava a tutto spiano anche in primavera e sui termosifoni ci potevi friggere le uova) 

Oggi, quando mia moglie insiste con il suo consueto garbo, faccio il casalingo in maniera più articolata e consapevole, tanto più con la serenità di sapere che, comunque vada, una volta a settimana viene Sua Moldavità per le pulizie. 


Homo domesticus 2.0

Si tratta di un'esperienza sicuramente interessante e formativa, che, come fossi un novello Darwin, mi svela mondi nuovi e affascinanti come quelli del Mocio Vileda, del panno antistatico, dello spray sgrassante per i vetri e dell’olio paglierino per i mobili. I problemi iniziano quando ci sono da affrontare tecnologie complesse come quella del ferro a vapore, con quella sua fottuta caldaietta che va in corto ogni volta che provo a caricarla ed emette il getto di vapore da ustioni solo quando e dove non mi serve, oppure della lavatrice intelligente che si rifiuta di accettare il detersivo se il tessuto non è quello giusto, che però sa solo lei quale sia ed in effetti è curioso che un uomo che si destreggia abilmente come un hacker tra computer e software abbia un blocco mentale di fronte a tecnologie semplici e friendly anche per le migliaia di casalinghe che popolano la città di Voghera. C’est la vie e l’importante è avere la consapevolezza dei propri limiti e accettarli serenamente, sempre che lo faccia anche tua moglie. 

Comunque sia, questo nuovo mondo, spesso mi pone davanti a scelte sconosciute e laceranti come quelle relative al detergente migliore per i pavimenti (con lisoformio o no? E la candeggina profumata a che cazzo serve?) o a scoperte amare del tipo che non esistono guanti di gomma adatti alle mani di un signore alto un metro e ottantaquattro per novanta chili di peso e che anche il formato XL ti stringe due lacci emostatici attorno ai polsi. Quindi, alla fine, essendo uomo d’ingegno, dopo aver scoperto quanto bruci il Calinda a mani nude, ora lavo il water con le mani avvolte nei sacchetti del supermercato. 

Ma quello che più mi affascina è la scoperta di specie umane nuove e insidiose, quali la verduraia del mercatino del giovedì nella piazzetta dietro casa, che ogni volta che mi vede passare davanti al banchetto mi sorride e lusinga il cane per una coccola (e quel pirla abbocca subito), ma poi approfittando della totale incompetenza di uno abituato a mettere nel carrello del supermercato il lattughino “tempo zero” già lavato e pronto da condire, mi rifila come misticanza di insalatine novelle le erbacce che crescono sui bordi della strada e quando acquisto un chilo di cipolle, facendomi credere con la gestualità di un’ illusionista che sta scegliendo solo le migliori per me, poi me ne rifila sempre almeno una marcia. Lo stesso accade in pescheria quando mi magnificano seppioline atlantiche scongelate e gommose come nostrane e fresche di giornata. Delle due mirandoline ciarliere del nostro panificio e della farmacista che qualsiasi richiesta le faccia di farmaci da banco, mi propone di default prodotti omeopatici o unguenti e tisane preparate da lei, purché costosissimi dicendo ogni volta “Questo è un prodotto tutto naturale. Vedrà che le farà solo bene” ho già parlato in precedenti post, dunque non mi ripeterò, se non per raccontare che quando, anni fa, cercavo di fare il furbo e dopo aver controllato attraverso la vetrina che la titolare non fosse al banco mi rivolgevo alla sua collega di allora, una bella signora esile, bionda, di origine tedesca e dallo sguardo glaciale, il risultato era assolutamente identico, solo che mi veniva detto: “Qvesto è prototto tutto di natura, Fedrà ke le farà solo pene” .


l'aspetto inquietante della tua fruttivendola che ti attende al varco con la mela bacata

Una delle specie più aggressive che ho potuto scoprire andando a fare la spesa su mandato coniugale, è quella delle signore "vintage" con i capelli cotonati e azzurrini. Quelle donne di età indefinibile, spesso già nonne, che parlano in dialetto, con l’abitino a colori inspiegabili e il trolley della spesa da cui spuntano due gambi di sedano e che verrà presto usato contro le tue caviglie come una macchina da guerra di Leonardo da Vinci. Quelle che quando il tuo macellaio pronuncia il fatidico “A chi tocca?” le senti subito mentire alle tue spalle: “Tocca a me!” e che, dopo averti spostato con la grazia di un rugbysta degli All Blacks per raggiungere il bancone, iniziano il Cantico delle Fettine. 

Detto Cantico, comincia sempre chiamando per nome il macellaio, per farti capire subito che tra i due c’è un’antica confidenza che, pertanto, le consentirà di pretendere la rimozione minuziosa di ogni filo di grasso dalle bistecche, il disossamento del quarto di pollo e il legamento con lo spago dell’arrosto. Inoltre, consiste nel rivelarti, di fettina in fettina e di etto in etto, tutte le abitudini alimentari della famiglia e di conseguenza quanto lei sia carica di attenzioni e avveduta nelle scelte, casomai avessi pensato che ordinasse alla: “Valà, che vai bene...” (Purtroppo non posso più dire: “Alla ca... di cane”. Qualcuno in famiglia non la prenderebbe bene). 


Quando l'acquisto della carne non diventa un piacere, anzi...


Così, in capo ad una mezzoretta verrai a sapere che il figlio trentenne, quello che lavora in banca, non sopporta i nervetti nella carne sin da quando era bambino, che li sputava di nascosto e meno male che c'era il cane che glieli mangiava sul pavimento, mentre suo marito è l’unico della famiglia che mangia il fegato, ma solo alla veneziana con la cipolla che invece per suo figlio è indigesta, che lei usa solo la guancia per fare lo spezzatino, come lo faceva una volta sua mamma, che diventa tenerissimo, mentre oggi la gente compera solo lo spezzatino misto di maiale e vitello che costa di più e poi diventa anche stopposo perché non lo sa cuocere (incrocio lo sguardo carico d'odio della signora di prima che era ancora sulla porta della macelleria a parlare con un'amica e doveva aver comperato lo spezzatino misto). Invece, i messicani di pollo (ma senza il peperone, mi raccomando) sono per il nipotino di cinque anni che mangia poco, perché la nuora come tutte le ragazze di oggi non sa cucinare, ma che se glieli prepara la sua nonna… "ti gà da védar come se li magna...leca anca el piato"

A quel punto, dopo aver invocato qualsiasi divinità affinché il pargolo si strozzi con i messicani di pollo della nonna, appena ti sembrerà che il Cantico abbia avuto termine e dopo l'attesa di altri minuti di ricerca nelle borse per trovare i dieci centesimi che mancano (“Guardi… glieli do io, signora, se non si offende e anche se si offende…”), proprio quando stai per aprire bocca e ordinare, la signora dai capelli azzurrini si fermerà sulla soglia della macelleria come folgorata da una visione celeste e tornerà subito al banco dicendo: “Maria santissima… gèro drio a desmentegàrme… Mauro, hai mica il prosciutto cotto dell’altra volta? Ma non quello con i conservanti, quell'altro naturale che era piaciuto tanto a …”  (poi, già che prima non li aveva visti, seguiranno dei wurstel, ma solo se i xè boni, e poi dammi anche un etto di pancetta coppata e un toco de salame all'aglio, ma tagliato a mano, mi raccomando...)

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