domenica 5 febbraio 2017

Dell'antica arte veneziana di essere salvati dalle acque e giungere al lieto fine

(continua...)
Lo strillo di terrore di Donatella arrivò una frazione di secondo prima che l’acqua gelida dell’Adriatico mi accogliesse in un ribollire di schiuma e di spruzzi e appena riaffiorai in superficie la vidi in piedi a poppa che stava per lanciare il giubbotto salvagente mentre Vittorio accorreva sul ponte. Il giubbotto cadde in acqua ad una ventina di metri di distanza (la ragazza poteva far di meglio…) incuriosendo alcuni gabbiani che ci seguivano dall'alba e questo mi diede modo di scoprire all’istante quanto fosse difficile tenersi a galla e nuotare quando si è intirizziti dal gelo (l’acqua del mare aperto è freddissima anche d’estate) oltre che in preda ad attacchi di tosse per tutto quello che avevo bevuto. Questo perché quando si cade in mare sarebbe consigliabile tenere la bocca chiusa evitando imprecazioni blasfeme durante il tuffo, dal momento che, nella peggiore delle ipotesi, non sarebbe un buon modo di presentarsi davanti a San Pietro. Essendo per mia fortuna un buon nuotatore, nonostante il giubbotto arancione apparisse e scomparisse tra le onde lo raggiunsi con poche bracciate indossandolo subito e anche se non sembrava portare un grande beneficio in termini di galleggiamento, almeno mi diede subito un senso di sicurezza. Salendo e scendendo come un turacciolo a mia volta tra un’onda e l’altra osservai la nostra imbarcazione che si allontanava rapida sotto la spinta dal vento e ormai era già distante un centinaio di metri da me. 


Vele bianche nel Golfo di Trieste, forse in rotta per l'Istria

Ora non la voglio fare tragica, ma cadere in acqua da una barca a vela è molto peggio che farlo da un motoscafo, dove devi stare solo attento a tenerti lontano dall'elica. Questo perché i tempi per tornare a recuperarti sono assolutamente diversi. Al motoscafo basta fermare i motori e inserire la retromarcia per consentirti di raggiungerlo o fare una virata per essere sul posto in un baleno, mentre la barca a vela, che spinta dal vento non può frenare, andando di media a otto o nove nodi (circa una ventina di Km ora) si allontanerà di parecchio e dovrà fare necessariamente delle manovre e dei bordi per invertire la rotta. Dunque, immaginavo che la nostra barca non sarebbe tornata a ripescarmi prima di una decina di minuti.  Questo mi mise addosso l’ansia di non farcela a resistere per tutto quel tempo anche perché iniziavo già a battere i denti e a sentire i brividi, non so se per la temperatura dell’acqua o per la paura che poi non riuscissero più a localizzarmi. Invece, Vittorio accese il motore diesel che usava per le manovre o le giornate di scarso vento e tornò sui suoi passi così presto che nel giro di qualche minuto potei afferrare la biscaglina di poppa e un paio di robuste braccia per issarmi a bordo. Ora, le prime parole che avrei voluto sentire da Donatella appena le fui di fronte grondante acqua erano del genere affettuoso e preoccupato. Qualcosa di materno del tipo “Povero amore mio, come ti senti? Stai bene? Mi hai fatto prendere uno spavento…”. Invece, precedute da uno sguardo furente, subii una specie di aggressione strillata e gesticolante.
 “Ma sei scemo? Come hai fatto a cadere? Solo a te succedono queste cose!” .


Pirano, la meta involontaria della nostra gita in tutto il suo splendore

Ora, siccome il sangue non è acqua malgrado la quantità che ne avevo bevuta, mi venne subito la voglia di rispondere per le rime facendole notare che se una prende in mano il timone, invece di dare poi dello scemo agli altri, sarebbe meglio che evitasse di far sbandate o di mettersi in filo vento facendo afflosciare di colpo le vele mentre c’è qualcuno in movimento sulla barca e che in ogni caso, a proposito di cadute in acqua tragicomiche, ricordavo benissimo la volta che ormeggiando la barca al Diporto lei aveva messo un piede sul pontile mentre l’altro era rimasto a bordo ignorando che le barche si allontanano anche solo per una piccola spinta (ricordavo pure come si fosse offesa a morte per le mie risate e quanto mi fosse costato il mazzo di rose per riprendere le relazioni diplomatiche con quella permalosa). Per sua e mia fortuna un nuovo e violento attacco di tosse per liberare i polmoni all'acqua, m’impedì di dirle tutto quel che pensavo. Vittorio, invece, dopo un principio di sgridata per l’imprudenza di non indossare il giubbotto intimò a sua figlia di non rompermi ancora le scatole e di lasciarmi andare in cabina a togliere i vestiti  fradici che in seguito vennero sciacquati in acqua dolce, strizzati e appesi ad asciugare a prora, così che saremmo entrati in porto a Pirano con le mie braghe, la polo, i calzini e i boxer a disegni scozzesi  messi in bella vista e al vento a far da gran pavese. 

Mentre padre e figlia riprendevano la navigazione dirigendo la prora verso il porto me ne restai seduto dentro la cabina a tossicchiare e a battere i denti avvolto in un telo da bagno rimuginando rancoroso sull'accaduto e sul comportamento sgradevole di Donatella, fino a che non la vidi scendere sottocoperta. Mi fece cenno di alzarmi con fare imperioso e senza dire una parola, poi, dopo aver spostato i cuscini del divanetto dove ero seduto che di notte diventava il letto di suo padre, si mise a frugare nella cassettiera portaoggetti sottostante. La guardai quasi con fastidio per quell'atteggiamento ostile.
"Stai cercando qualcosa per darmi il colpo di grazia?"
"No... mi piacerebbe, ma non posso finché c'è mio padre che guarda"
“Allora cosa sei venuta a fare?”
“Due cose importanti… la prima è questa” 
Mi mostrò una bottiglia di Glenfiddich comparsa dal nulla, poi dopo aver sciacquato uno dei bricchetti in metallo con cui bevevamo il caffè lo riempì generosamente di whisky e me lo porse.
“Buttalo giù, papà dice che ti farà bene…  toglie l’umidità e lo spavento”.


Entrare in porto con le luci dell'alba è un'emozione da provare una volta nella vita

Il primo sorso di liquore per via del sale che ancora m'impiastricciava la bocca, in un primo momento mi sembrò disgustosamente aspro e forte scendendo lungo la gola e nello stomaco come un'onda rovente, ma poi giunse l'atteso effetto tonificante tanto da restituirmi la vis polemica, prima piuttosto inumidita.
“Avendo escluso il colpo di grazia, la seconda cosa che volevi fare era per caso quella di verificare che non fossi morto per dirmene ancora?”
No, affatto… volevo invece scusarmi con te per come ti ho trattato prima. Ero terrorizzata dal fatto che avessi rischiato di morire per colpa mia ed appena ti ho visto in salvo, come per reagire alla paura che mi avevi fatto prendere ho avuto una reazione nervosa da stupida. Mi scusi?”.

Buttai giù di fila un paio di sorsate di whisky tanto per riavermi dallo stupore di quell'ammissione di colpa inattesa che doveva esserle costata parecchio ben conoscendo quanto Donatella fosse orgogliosa e, visto che tra i poteri tonificanti del Glenfiddich c’era anche quello di renderti magnanimo, le sorrisi.
Certo che ti scuso…  ma perché dici che è colpa tua?
Lei mi guardò stupita per quella domanda che considerava superflua.
Dai… lo sappiamo tutti e due che è stata colpa mia. Mentre mi sedevo al tuo posto ho mosso per sbaglio il timone e ho perso il vento facendo afflosciare le vele, così istintivamente ho dato un colpo di barra per riprenderlo ma in quel momento ho preso l’onda e la barca ha avuto uno scarto, così tu hai perso l'equilibrio e sei volato fuori bordo…”
“Quello che dici ti fa onore, ma sono cose che possono succedere a tutti, non sentirti in colpa e poi anch'io avrei potuto tenermi meglio alle sartie o al corrimano sulla tuga, quindi diciamo che tutti e due ci abbiamo messo del nostro per movimentare la mattinata”
“Già… ma per movimentarla di meno avresti anche potuto indossare il giubbotto salvagente come ti avevo chiesto di fare…”
“Hai ragione e ti chiedo scusa per non averlo fatto… ma tanto sapevo che me l’avresti lanciato”.
"Ne sei così sicuro?"
"Certo... non ti saresti mai persa l'occasione di sgridarmi da vivo, anche se per un attimo ne ho dubitato vista la distanza a cui me lo avevi lanciato."



La bellissima passeggiata lungo il mare a Pirano

Lei annuì dedicandomi un mezzo sorriso mentre le riconsegnavo il bricchetto vuoto, poi mi osservò preoccupata.
Tremi tutto… hai i brividi. Vuoi che ti prepari qualcosa di caldo? Magari un caffè…
Conoscendo bene il sapore indegno del caffè liofilizzato che veniva servito su quella barca, preferii rinunciare.
E’ vero… sto ancora battendo i denti e non riesco a fermarmi. L’acqua sembrava ghiacciata. Comunque più che di una bevanda calda per lo stomaco ho bisogno di scaldarmi le ossa. Non avete qualcosa da mettermi addosso? Questo telo da bagno sembra più impregnato di umidità che altro…
Potrei darti uno dei lenzuoli, ma non credo serva a molto anche perché sulle barche l’umidità è di casa e se vieni su in coperta con tutte le nuvole che ci sono questa mattina trovi più vento che sole…”
"Che se mi va bene mi predo un torcicollo, altrimenti la pleurite..."
"Non fare l'esagerato... diciamo che non migliorerebbe la tua situazione."
Fece una pausa come se stesse valutando qualche altro sistema per risolvermi il problema, poi disse: Forse è meglio che ci pensi io a scaldarti con il calore del corpo. Mettiti sdraiato…”
Obbedii all'istante e lei, anche se stare in due su quel lettino minuscolo era un vero gioco d’incastri, si stese al mio fianco abbracciandomi.
“Va meglio ora?”
“Si…credo di si”
Avrei voluto dirle (ma forse lo capiva da sola) che trovavo molto confortevole il calore del suo corpo contro il mio, ma fui sopraffatto da un nuovo attacco di tosse.


L'ingresso al porto di Pirano con i due faretti rosso e verde


Donatella mi guardò sorpresa e incuriosita.
Beh? Cosa sarebbe questa tosse? Non sei più abituato alla mia presenza o ti è andato il whisky di traverso da quanto te lo sei scolato alla svelta? Non mi dire che hai ancora acqua nei polmoni...
“Non fare ironie gratuite. Anche se non lo credi è proprio così. Grazie alle tue manovre inconsulte ho bevuto qualche litro di Adriatico, lo sai? In certi momenti mi sento ancora soffocare."
"Poverino, quanto ti ho fatto soffrire..."
"Senti... invece di prendermi in giro, non è che mi faresti la respirazione bocca a bocca?”
Mentre le parlavo avvertivo il sibilo dei miei bronchi irritati che sembravano una zampogna e feci un respiro a fondo perché lo sentisse anche lei.
Donatella sorrise maliziosa.
“Abbiamo un medico a bordo, Se vuoi chiamo papà che te la fa lui….”
“No, dai… non disturbarlo che è al timone e deve fare le manovre. Sei sua figlia, la saprai fare anche tu, no?”
“Certo… ho fatto il corso di pronto soccorso”
“Allora me la fai? Sto malissimo, te l’ho detto che non riesco a respirare” (mi produssi nuovamente in una tosse stizzosa per incoraggiarla, battendomi anche più volte il pugno sul petto per teatralizzare la cosa)
Assolutamente no… in primo luogo perché nel tuo caso non serve a nulla e in secondo luogo perché, conoscendoti, so che poi ci metteresti la lingua
No, dai … ti giuro che non la metto” (altro colpetto di tosse)
Su cosa giuri?”
“La mia chitarra…”
“Troppo facile. Ricordo benissimo che mi hai detto che la stavi per cambiare. Giura su qualcosa a cui tieni di più”
“Mio fratello va bene? Che possa essere subito lasciato dalla sua ragazza se…”
“Questa è pura invidia perché so che piaceva anche a te… giura sulla Carla II che possa affondare in mille pezzi se solo ci provi”
“Lo giuro sulla mia barca” (la voce usci esitante e fioca come quella di Violetta della Traviata un attimo prima di accasciarsi consunta dalla tisi)
“Ripetilo, che non ho sentito bene…”
“Giuro sulla mia barca, che possa essere travolta dalle eliche di una petroliera e triturata a julienne come le carote”
Lei mi guardò soddisfatta poi posò le sue labbra sulle mie.
La lasciai fare per qualche secondo, anche se il suo metodo di respirazione bocca a bocca si rivelò subito piuttosto insolito.
“Ehi! Ma la lingua la stai mettendo tu…”
“Lo so… lo so… lasciami lavorare…”


Piazza Tartini, il cuore di Pirano

La sua tecnica di rianimazione, anche se poco ortodossa, a testimonianza della validità del corso infermieristico che aveva seguito produsse subito dei benefici effetti sul paziente che divenne immediatamente collaborativo e la faccenda sarebbe degenerata alla svelta se non fosse stato per il rumore di ferraglia dell’ancoretta di prora che scendeva attraverso la cubia per tuffarsi nell’acqua del porto di Pirano e che ci indusse a rimettere a posto le cattive intenzioni facendoci subito ricomporre. 

Una volta ultimate le manovre d’ormeggio Vittorio, che oltre ad essere molto pragmatico era anche un uomo di mondo, bussò con discrezione sulla porticina della cabina prima di affacciarsi, poi dopo aver chiesto alla figlia notizie sulla mia salute ed avendo constatato con i suoi occhi come fossi perfettamente guarito, forse anche troppo, le disse:
Donatella, Io vado alla capitaneria e in dogana a fare le pratiche e a pagare per l’ormeggio, poi vado a fare un po’ di cambusa al supermercato. Tu prenditi cura del naufrago e ci vediamo con comodo a mezzogiorno sul molo davanti al ristorante Tri Vdove, che dopo tutte queste ore di mare ci meritiamo una bella scorpacciata di pesce.”
Una volta rimasti soli a bordo, essendo sua figlia una ragazza molto obbediente, come da istruzioni ricevute si prese cura del naufrago che apprezzò moltissimo quel lieto fine sperato da tempo e più che meritato.

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