domenica 4 ottobre 2020

Diventa americano anche tu! Prontuario ragionato delle frasi più utilizzate su Real Time e Cielo


Lo adoro!

Esclamazione tipicamente femminile che in America esprime approvazione istantanea e incondizionata per qualsiasi abito, paio di scarpe, accessorio purché pacchiano e costoso. Gli uomini americani sostituiscono il "Lo adoro!" con il classico "Wow!" pronunciato però come un "Waaaaaouuuu" con un numero di A e di U variabile in rapporto alla meraviglia e al gradimento suscitati. Mentre il "Wow!" maschile di solito cessa il suo effetto istantaneamente nel momento in cui lo si pronuncia o Charlize Theron nel film si rimette il reggiseno ed è comunque un'emissione singola, la caratteristica del "Lo adoro!" femminile è quella di replicarsi nel tempo, soprattutto se viene pronunciato in un atelier di moda, in un negozio di profumi e cosmetici o in una gioielleria e a volte provoca effetti collaterali anche gravi sulla Master Card. L'esclamazione "Lo adoro!" in presenza di un abito da sposa spesso precede lo scoppio di pianto (vedi) mentre, se avviene nel contesto di una gara di cucina, di solito indicherà l'apprezzamento unicamente per un singolo dettaglio del piatto da valutare, dal rametto di cerfoglio messo per guarnizione, alla goccia di salsa di lamponi del dessert caduta accidentalmente sul bordo del piatto con la tempura di gamberi. Rimane comunque un mistero come si possa esclamare "La adoro!" per la purea di pastinaca, che assieme alla quinoa e alle noci di macadamia imperversa nei vari Master Chef senza che nessuno ne capisca la necessità.


Ha appena pronunciato "Lo adoro!" ed ora sta osservando l'effetto "Big meringa"
prima del previsto scoppio di pianto che perfezionerà la vendita.


Mi vien da piangere. 

Frase che di solito viene pronunciata quando, dopo essere riuscito a fare entrare a viva forza e con la promessa di ampie modifiche strutturali un'aspirante sposa da 120 chili in un abito nuziale di tre taglie più piccolo e da cinquemila dollari, dopo aver cercato invano di farle calzare quello da venticinquemila e in progressione decrescente di prezzo almeno un'altra mezza dozzina di capi, l'elegantissimo titolare del negozio, sempre sorridente ma esausto, può porre finalmente la fatidica domanda: “E’ l’abito giusto?”. A quel punto, dopo aver ammirato allo specchio l’effetto “big meringa” dell’abito strabordante di maniglie dell’amore e veli di chiffon, scoppieranno a piangere in rigorosa successione: la sposa, la mamma della sposa, la nonna della sposa (che in precedenza aveva cercato inutilmente di rifilarle il suo vestito degli anni '50) e le due damigelle rosicone che hanno stracciato i marroni a tutti disapprovando con metodo ogni vestito precedente anche quando la sposa sembrava convinta e aveva già esclamato "Lo adoro!" (vedi). Il pianto irrefrenabile, secondo la consuetudine americana, è il momento che suggella l’approvazione del contratto tra le parti e a quel punto inizierà anche quello del padre che dovrà staccare l’assegno. Il “Mi vien da piangere” è anche pronunciato da ogni concorrente di un Master Chef che presenti nell’invention test un “timballo di tortellini ripieni al cotechino con mousse di ceci, lenticchie e topinambur” di sua creazione, che, nella nostra edizione del programma, verrà subito definito da Barbieri un “mappazzone” e sarà seguito da un silenzio inquietante di Cannavacciuolo e dal piatto scagliato in pattumiera da Bastianich che veste i panni brutali di Gordon Ramsey in quello americano. In tali circostanze, normalmente il "Mi vien da piangere" è seguito a ruota dal "Sono deluso..." ma i più tenaci arrivano a rilanciare subito con il "Sono qui per vincere" (vedi) perché occorre infondere sempre al telespettatore ottimismo e positività. In un caso del genere, quando arriva l'inevitabile "Togliti il grembiule, sei fuori da Master Chef" si percepirà l'intensa soddisfazione, quasi erotica, dei giudici nel pronunciarlo.

Sono al settimo cielo.

La frase indica una località celeste che nel mondo anglosassone dev'essere affollatissima come la metropolitana di Tokyo nell'ora di punta. Infatti, nei vari programmi la salita al settimo cielo pare avvenga per qualsiasi cosa, dall'essersi aggiudicato un box a scatola chiusa (contenente solo stracci sporchi, videocassette VHS e paccottiglia) per soli settecento dollari, all'essere riuscito a squamare un salmone reale da 15 chili buttandone via solo un terzo. Ma anche dall'aver acquistato dai due fratelli in affari per soli seicentomila dollari la casa dei sogni sul limitare del bosco che andrà ristrutturata sempre che le termiti (vedi) non si portino avanti con il lavoro e una simpatica famigliola di grizzly non decida di conoscere i nuovi vicini, sino all'aver venduto al negozio dei pegni per 50 dollari il vecchio quadro di un certo Edward Hopper che il nonno teneva in casa, ovviamente dopo aver sentito il parere dell’esperto (vedi). Come la scala di Maslow anche la salita al settimo cielo può essere percorsa rovinosamente all'indietro e nelle gare di cucina di solito la frase in questione si colloca temporalmente a metà tra il “Sono qui per vincere” (vedi) e il “Sono deluso”.

Già! 

Esclamazione di cui viene fatto largo uso nei programmi ma di nessuna utilità pratica perché serve solo a confermare quanto appena detto dal concorrente precedente e agli autori per riempire qualche secondo di trasmissione e fare apparire in video una persona che altrimenti non avrebbe nulla da dire. Esempio classico il/la concorrente che afferma “La prova di oggi fa molta paura” e l’altro/a che inquadrato/a subito dopo dice con aria pensosa “Già!” senza aggiungere altro in modo che tu ti chieda quale possa essere il valore aggiunto della dichiarazione. L'uso puramente confermativo del "Già!" può presentare alcune insidie quando durante la gara uno dei concorrenti agita il pollice squartato che gronda sangue gridando "Mi sono tagliato!" e l'altro annuendo pensoso risponde "Già!" e per questo te lo pregusti riverso sul pavimento della cucina con un coltello da cucina piantato nello sterno.


Al centesimo jogurt alla banana verrà uccisa dai suoi bambini a colpi di cucchiaino
mentre il marito calvo le farà bere tutti quegli shampoo alla mela verde


Sono qui per vincere 

Convinta dichiarazione d’intenti che viene effettuata da ogni concorrente ammesso a partecipare ad un master chef o a una gara tra pasticceri e finanche tra chi possieda la malattia più imbarazzante e serve per rassicurare gli spettatori che nessun concorrente sia lì per pareggiare o perdere. Normalmente la pronuncia anche qualsiasi sposa che partecipi alla gara tra i quattro matrimoni, pur essendo consapevole che il suo si svolgerà in una chiesa rupestre persa tra le brughiere scozzesi e il ricevimento sarà nella vicina locanda con una sala da pranzo allegra come una mensa aziendale dove al suono delle cornamuse verrà servito da mesti camerieri in tartan del brodo tiepido di montone e dello haggis di interiora d’agnello. Qualche giorno fa la frase “Siamo qui per vincere!” l’ho sentita pronunciare trionfalmente in coppia da una moglie e un marito australiani che durante una gara di cucina tra cuochi amatoriali si apprestavano a servire ai giudici una polenta italiana cotta in forno e condita con aceto e limone. Non mi è stato difficile immaginare che le loro speranze di vittoria sarebbero rimaste tali… 

Farò (faccio) del mio meglio 

Enunciazione sia maschile che femminile che spesso viene equiparata a "Sono qui per vincere" in quanto apparentemente ne condivide il proposito ma che in realtà ne differisce per la presenza laica del dubbio. Nelle gare tra cuochi amatoriali, dichiararlo prima e durante la prova serve infatti per mettere la mani avanti e indossare le "iron underpants" quando si viene colti dal sospetto che forse il peperoncino Habanero nel ripieno dei calamari non ci sta molto bene e tanto meno in quella quantità. Affermare che si sta facendo del proprio meglio chiarisce comunque al telespettatore medio americano (che a questi principi è sensibile) oltre che ai giudici di gara che nessuno è lì per fare del proprio peggio o per lavorare in modo approssimativo, dunque l'Habanero non l'ho messo per caso, ma facendo del mio meglio, sappiatelo. La dichiarazione però pare non funzionare con la stessa efficacia nelle gare di cucina a coppie. Infatti quando la moglie aspetta impaziente le venti costine d'agnello da mettere al forno e il marito, a quindici minuti dalla fine, sta ancora togliendo il grassetto dalla prima, pronunciando infastidito all'ennesimo sollecito il "Sto facendo del mio meglio" verrà percosso più volte con la padella... 


Quando i giudici di Master Chef Australia ti hanno appena suggerito
un uso alternativo di tutto quel peperoncino Habanero

Sono angosciato/a

Frase che viene spesso pronunciata dai concorrenti a Master Chef quando i giudici hanno assaggiato i calamari ripieni di peperoncino Habanero e sono ancora chiusi in camera di consiglio da tre ore. Di solito i presenti che l'ascoltano replicano con un "Già!" (vedi) che in tal caso prende il significato di un "Potevi mettercene di meno, coglione..." oppure con un "Va tutto bene" (vedi) che in quel contesto significa: "Anche se hai messo le mutande di ghisa, appena escono quelli l'Habanero te lo ficcano dentro con il bazooka". Il passaggio dal "Sono angosciato" al "Sono qui per vincere" (vedi) in tali circostanze non è possibile e al massimo si potrà esprimere un "Sono deluso" prima di correre dal proctologo. La frase è anche tipica di chi ha appena acquistato la casa di campagna da ristrutturare dai due fratelli e sente il trombettiere delle termiti che suona l'adunata e anche della sposa da 120 chili di stazza che ha comperato l'abito nuziale da 5.000 dollari e tre taglie in meno e ora deve tirare su la cerniera. 


Quelli che a Masterchef Australia presentano un piatto di corn flakes
con panna e wurstel pensando: sono qui per vincere

Va tutto bene (andrà tutto bene, nella nostra variante Covid)

Frase che nella cultura pragmatista ed eternamente positiva degli americani ha un potente effetto sedativo e tranquillizzante e solitamente è presa in prestito dai film di guerra, quando il tenente la dice paternamente al suo soldato che, avendo messo il piede su una mina, ora si tiene le budella in mano, invitandolo ad essere ottimista, che tutto si risolverà per il meglio (di solito il poveretto spira un attimo dopo). In realtà, il significato corretto del "Va tutto bene" sarebbe: "Ci sei dentro fin al collo e se fossi in te nuoterei con la bocca chiusa". La frase, se utilizzata in certi contesti, nel mondo latino può assumere anche un forte contenuto ironico e provocatorio che invece nel mondo anglosassone non viene colto assolutamente. Per esempio dire "Tranquillo...va tutto bene..." quando il concorrente ha appena scoperto di aver dimenticato in forno le sue polpettine di astice e ora presenterà ai giudici una dozzina di biglie carbonizzate, di solito espone dalle nostre parti ad un immediato "Ma va a cagare, va..." mentre l'americano ti annuirà grato prima di pronunciare in rapida successione "Sono deluso " e "Sono qui per vincere" (vedi)



i fratelli furbacchioni che ti propongono la casa da ristrutturare 
perché ha delle potenzialità (per loro)


Purtroppo ci sono le termiti… 

Tipico espediente dei due fratelli in affari per far sforare di almeno cinquemila dollari il budget del cliente gonzo il quale non ha ancora capito che, spaventandolo con cifre insostenibili dopo avergli chiesto che budget avesse o mostrandogli intenzionalmente dei ruderi per demotivarlo, alla fine lo hanno indotto a comperare una casa da ristrutturare "Perché ha delle potenzialità" (esclusivamente per il loro conto corrente) ma soprattutto perché così i restauri li farà uno dei due fratelli facendo, tra l’altro, demolire a picconate le pareti al loro cliente come se fosse un simpatico gioco in amicizia. Nel caso le termiti non fossero disponibili perché la casa dista miglia da qualsiasi bosco o giardino, ci saranno sempre l'impianto idraulico o i cavi elettrici marci o non a norma da sostituire. Sia le termiti che i cavi da cambiare sono sempre annunciati dal fratello carpentiere con la camicia a quadrettoni con l’aria falsamente mesta e prima che il cliente varchi la soglia di casa con la frase: “Ci sono brutte notizie…” seguita dalla cifra di quanto costerà rimediare che, probabilmente, è quanto serve a lui per andarsene in vacanza ad Acapulco. 

Ti spiace se chiamo l’esperto? 

Frase che viene pronunciata dai titolari del negozio di pegni di “Affari di famiglia” dopo che l’astuto negoziatore di turno dalle idee chiarissime ha appena confidato fuori onda (che tanto quelli mica lo sanno) che per la sua lettera autografa di Abramo Lincoln intende chiedere almeno diecimila dollari, ma però potrebbe anche accontentarsi di cento. La convocazione dell’esperto (ne hanno sempre uno per qualsiasi cosa: dalla storia dei tappi di bottiglia, ai bottoni delle divise nordiste, dalle confezioni di supposte giapponesi della seconda guerra mondiale, sino alle figurine del baseball) in realtà serve, come nella migliore tradizione dei film di Totò a fare venire il compare che dopo aver sentenziato che per lui il reperto non vale nulla, consentirà al titolare del negozio di proporre un prezzo da strozzino motivato sempre da “Non posso darti di più perché anch’io ci devo fare un guadagno”. Alla fine, dopo una serrata trattativa a base di “Ti posso offrire al massimo trenta dollari” e di “Puoi arrivare almeno a quaranta?” le due parti si metteranno d’accordo per trentadue dollari, un pacchetto di sigarette e un ingresso al casinò di Las Vegas…

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