giovedì 3 agosto 2017

Della mia sorprendente mutazione in casalingo e della prevalenza del budino


Da quando sono felicemente arrivato al traguardo della pensione sollevando i remi dopo una lunga vogata di quarant'anni, malgrado la seccatura di qualche acciacco più o meno serio, me la godo assai e non appartenendo alla schiera dei tanti che una volta lasciato il lavoro si aggirano smarriti per casa o te li vedi seduti al baretto con il bianchino davanti a guardar passare quelli che al lavoro ci vanno ancora e con l'aria sgomenta perché loro adesso non sanno più cosa fare, io lo so benissimo. Anzi, lo so da sempre cosa fare, perché a far correre la fantasia per ottimizzare il non fare un tubo mi ci sono allenato. Così, oltre alle due orette quotidiane adoperate per portare il bretone a sgambettare sotto il sole rovente di questi giorni o sotto i diluvi, tra i campi fangosi e le nebbie (che lui non si degna di espletare i suoi bisogni nelle aiuole dei giardinetti come i cani comuni, ma si sente ispirato solo dalla visione degli spazi agresti) mi rimane un mucchio di tempo da dedicare finalmente ai miei hobby: la fotografia, lo scrivere, la chitarra e il cazzeggio su internet che è quello in cui riesco meglio, come sa chi mi segue su Facebook e su questo blog.

L'unico elemento perturbatore di tanto paradiso è rappresentato da una moglie che appena rientro dalla passeggiata tra i campi con il cane che mi zampetta attorno ancora felice e posso finalmente stravaccarmi sul divano del salotto, se solo oso aprire Repubblica per una fuggevole occhiata o accendere la televisione, invece del premuroso: “Amore, sei stanco? Vuoi che ti faccia un caffè?” tipico degli angeli del focolare di cui favoleggiavano le poesie delle elementari, arriva subito a ricordarmi, con le braccia conserte e l'aria minacciosa, che: "Visto che non hai nulla da fare, ci sarebbero le foglie in giardino da rastrellare o la biancheria da stendere. Scegli tu..."

Dunque, essendo comunque un uomo curioso e aperto al cambiamento, sto perfezionando il ruolo del pensionato casalingo. Non che prima non lo facessi, perchè avevo iniziato a vivere da solo da studente e chi avesse letto su queste pagine la vicenda del poulet à la merde sa di cosa parlo, ma molto tempo dopo e già in età adulta lavorando a Torino e pertanto vivendo da solo a quattrocento chilometri da casa e con orari devastanti per la mia alimentazione perché uscendo, se andava bene, alle otto di sera, riuscivo a fare spesa solo se i negozi non mi chiudevano la saracinesca sui piedi e in tal caso qualche carbonara o una pasta con le alici ci scappava pure. Altrimenti sopravvivevo con scatolami e tranci di pizza o di focaccia ligure rafferma e per il resto, non disponendo dei tempi tecnici, mi limitavo al minimo sindacale (lavaggio del mio piatto singolo e della forchetta, delle calze e mutande etc...), mentre per le pulizie di fondo ero in preda alla disperazione, rimandandole sempre. Alla fine, chiedendo ingenuamente lumi al giovanotto della cooperativa che ci puliva gli uffici, mi era stata indicata la “Soluzione Luciana” che, a suo dire, avrebbe depurato il mio appartamento come la “Soluzione Schoum”. Costei era una tarchiata signora molisana (ovviamente parente del giovanotto) dall’età indefinibile, sempre vestita di nero e brusca di modi che veniva al venerdì sera e che, come promesso, mi riconsegnava al lunedì una casa lucente, ancorché affumicata come uno speck perché la maledetta fumava come una turca, tanto che le lenzuola e il cuscino sapevano di fumo per almeno due o tre giorni. Questo anche se prima di dormire lasciavo la finestra spalancata per arieggiare (misura in ogni caso indispensabile perché abitando in un condominio di ottantenni freddolosi, la caldaia andava a tutto spiano anche in primavera e sui termosifoni ci potevi friggere le uova).


Pronto a combattere eroicamente contro lo sporco che si annida ovunque.

Diciamo che oggi faccio il casalingo in maniera più articolata e consapevole e, a volte, perfino con entusiasmo. Perchè questa è un'esperienza sicuramente interessante e formativa, che, come fossi un novello Darwin, mi svela mondi nuovi e affascinanti come quelli del Mocio Vileda, del panno antistatico e dell’olio paglierino per i mobili o anche tecnologie complesse come quella della lavatrice intelligente che si rifiuta di accettare il detersivo se il tessuto non è quello giusto, che però sa solo lei quale sia. Questo nuovo mondo, spesso mi pone davanti a scelte sconosciute e laceranti come quelle relative al detergente migliore per i pavimenti (con lisoformio o no? E la candeggina profumata a che ca… serve?) o a scoperte amare del tipo che non esistono guanti di gomma adatti alle mani di un signore alto un metro e ottantaquattro per novantacinque chili di peso e che anche il formato XL ti stringe due lacci emostatici attorno ai polsi. Quindi, alla fine, essendo uomo d’ingegno, dopo aver scoperto quanto bruci il Calinda a mani nude, ora lavo il water con le mani avvolte nei sacchetti del supermercato.

Ma quello che più mi affascina della trasformazione in casalingo è la scoperta di specie umane nuove e insidiose, quali il giovanotto sorridente del negozio di frutta e verdura sotto casa che ogni volta che mi vede passare mi sorride e viene a fare una coccola al cane attirandomi nel negozio con la notizia che gli sono appena arrivate le mozzarelline fresche di bufala dalla Puglia (che invece sono della settimana prima) e quindi proponendomi ogni sorta di primizia o di frutta esotica purché costosa. Così che qualche giorno fa sono scivolato nell'abisso dell'acquisto a scatola chiusa di un paio di Barattieri, magnificati come stupendamente Bio e che ancora oggi mi domando cosa siano, anche perché una volta a casa mi sono ricordato che il Baratieri che conoscevo io aveva una "t" sola ed era il generale sconfitto alla battaglia di Adua. Dunque, non aveva nulla a che fare con quei frutti. Inoltre, il giovanotto, approfittando della totale incompetenza di uno abituato da anni a mettere nel carrello del supermercato il lattughino “tempo zero” già lavato e pronto da condire, mi rifila come misticanza di insalatine novelle le erbacce che crescono sui bordi della strada e quando acquisto un chilo di cipolle di Tropea, facendomi vedere con la gestualità di un illusionista che sta scegliendo solo le migliori per me, poi me ne rifila sempre almeno una marcia. Lo stesso, peraltro, accade in pescheria quando mi magnificano seppioline atlantiche scongelate e gommose come nostrane e fresche di giornata.

Poi c’è la nostra farmacista, una bella signora sorridente dai capelli nerissimi, che da diversi anni qualsiasi richiesta le faccia di farmaci da banco, mi propone di default prodotti omeopatici o unguenti e tisane preparate da lei, purché costosissimi e dicendo ogni volta “Questo è un prodotto tutto naturale. Vedrà che le farà solo bene”. Se cercavo di fare il furbo evitandola o entrando in negozio solo quando attraverso la vetrina vedevo che non c'era, rivolgendomi alla sua collega di allora, una signora esile, bionda, di origine tedesca e dallo sguardo glaciale, il risultato era identico, solo che mi veniva detto: “Qvesto è prototto tutto di natura. Fedrà ke le farà solo pene”. Oggi la severa farmacista tedesca è stata sostituita da una giovane e simpatica farmacista sicula ma il risultato è: "Questo prodotto tutto naturale iè. Vedrà che solo bbene le farà”. E, comunque, cambia la farmacista, ma sono sempre venticinque euro (minchia!)

Dall'altra parte della strada, dopo il bar cinese dispensatore su ordine del Partito dei fagottini di mela, ci sarebbe il panificio, che dovrebbe essere tale e vendere semplicemente prodotti da forno, ma in realtà varcandone la soglia si entra un piccolo teatrino dove due vivaci (ma già un po' rafferme) Mirandoline goldoniane intrattengono i clienti abituali secondo i canoni della commedia dell'arte, improvvisando con maestria battute salaci, spiritosaggini, racconti di viaggi, di matrimoni, aneddoti e pettegolezzi di varia natura e umanità. Così devi attendere ogni volta che cali il sipario della rappresentazione per l'ultima cliente "amica" onde poter finalmente ordinare le tue quattro mantovanine. Però, come uomo di azienda, posso almeno divertirmi a calcolare gli indici di produttività del personale del panificio, che, se la mission aziendale è quella d'intrattenere i clienti, sono sicuramente alti.


Tu pensi di entrare in un normale panificio, ma in realtà stai per vivere
 un'esperienza coinvolgente di teatro dell'arte.

Comunque, una delle specie più aggressive che ho potuto scoprire andando a fare la spesa su mandato coniugale, è quella delle signore "vintage" con i capelli cotonati e azzurrini. Quelle donne di età indefinibile, spesso già nonne, che parlano in dialetto, con l’abitino a colori inspiegabili e il trolley della spesa da cui spuntano due gambi di sedano e che verrà presto usato contro le tue caviglie come una macchina da guerra di Leonardo da Vinci. Quelle che quando il tuo macellaio pronuncia il fatidico “a chi tocca?” le senti subito mentire alle tue spalle: “toca a mi!” e che, dopo averti spostato con la grazia di un Materazzi per raggiungere il bancone, iniziano il Cantico delle Fettine. 

Detto Cantico, comincia sempre chiamando per nome il macellaio, per farti capire subito che tra i due c’è un’antica confidenza che, pertanto, le consentirà di pretendere la rimozione minuziosa di ogni filo di grasso dalle bistecche, il disossamento del quarto di pollo e il legamento con lo spago dell’arrosto. Inoltre, consiste nel rivelarti, di fettina in fettina e di etto in etto, tutte le abitudini alimentari della famiglia e, di conseguenza, quanto lei sia carica di attenzioni e avveduta nelle scelte, casomai avessi pensato che ordinasse alla: “Valà che vai bene” (Non posso più dire: “Alla ca…. di cane”. Qualcuno in famiglia non la prenderebbe bene). 

Così, in capo ad una mezz'oretta saprai che il figlio trentenne, quello che lavora in banca, non sopporta i nervetti nella carne sin da quando era bambino, mentre suo marito è l’unico della famiglia che mangia il fegato, ma solo con la cipolla, che lei usa solo la guancia per fare lo spezzatino, che diventa tenerissimo, mentre i messicani di pollo (ma senza il peperone) sono per il nipotino che mangia poco, perché la nuora, come tutte le ragazze di oggi, non sa cucinare, ma che se glieli prepara la sua nonna… "Ti ga da vèdar come i se li magna tuti... che a volte, pòvaro fantolìn, el varda el piato vodo e po' el me dise: nonna, ghe ne xè ancora?"

Dopo aver invocato qualsiasi divinità affinché il marito perda un molare masticando lo spezzatino di guancia tenerissimo e il pargolo si strozzi con i messicani di pollo della nonna, appena ti sembrerà che il Cantico abbia avuto termine e dopo l'attesa di altri minuti di ricerca nella borsa formato valigia Samsonite per trovare i cinquanta centesimi che mancano (“Guardi… glieli do io, signora, se non si offende e anche se si offende…”), proprio quando stai per aprire bocca, la signora dai capelli azzurrini si fermerà sulla soglia della macelleria come folgorata da una visione celeste: “Maria santissima… gèro drio a desmentegàrme… Mauro, hai mica il prosciutto cotto dell’altra volta, ma non quello con i conservanti, quell'altro naturale che era piaciuto tanto a …” .

Anche mio figlio, nei rari momenti nei quali ci onora della sua presenza, si dimostra piuttosto avanti nel suo sapere casalingo, un po’ perché sua madre appartiene alla scuola di pensiero che sia meglio educarli da piccoli per non ritrovarsi poi con casi irrecuperabili come suo marito e un po’ perché la sua precoce vita da giramondo e soprattutto il fatto di vivere e lavorare all'estero glielo ha reso naturale.

Il nostro giovanotto in verità aveva iniziato come suo padre a darsi da fare già da studente, durante l’Erasmus, regalandoci scene memorabili quali le immagini webcam dalla sua camera spartana con le camicie sullo sfondo stese ad asciugare ancora sgocciolanti appese ad un filo che passava sopra il letto del suo compagno di stanza, il pazientissimo Miguel. Ma anche il suo sguardo sgomento quando aveva appreso che la biancheria occorre anche risciacquarla, non solo immergerla nell’acqua e sapone ("Mamma... ma dici davvero?") e perfino un momento di buonumore quando ci aveva rivelato che per l'incomprensione dell’etichetta lituana, aveva fatto il suo primo ragù con il ketchup (però ai tedeschi dell’altra stanza era piaciuto molto). Poi è migliorato a tal punto che oggi si lava e si stira impeccabilmente le camicie (anche perché sua madre da quando ha compiuto i 18 si rifiuta di farlo) e cucina più che discretamente, tanto che alla fine si manteneva dando lezioni di cucina italiana ai suoi compagni (e alle compagne) dell’ostello di Vilnius in cambio della spesa settimanale e di qualche ingresso in discoteca. 

Siccome se ne vantava, al rientro in patria l’avevo sfidato ad un duello culinario tipo “la prova del cuoco” con sua madre e due nostri amici invitati a cena per l’occasione nelle vesti di giurati più o meno imparziali. Ciascuno aveva fatto le sue spese e poi Gianmarco aveva cucinato un antipastino di sua invenzione (diceva) con carciofi, funghi e taleggio passati al forno dentro dei vol-au-vent (surgelati) e quindi delle fettuccine con il bacon della Tulip e tanta cipolla che aveva definito con molta fantasia “alla griscia”, mentre io mi ero esibito nelle crépes con la ricotta e lo speck e poi nelle polpettine al sugo con i piselli, come le faceva mia nonna, cioè da urlo. Infatti, ero in vantaggio, quando a sorpresa lui ha servito in tavola un dessert: un bunèt piemontese (una via di mezzo tra il budino e la crème caramel) al cioccolato, guarnito con la panna montata e un’amarena Fabbri, che non c’entrava nulla ma faceva scena. Successo immediato, applausi e vittoria netta dell’erede. La mattina dopo, appena l’ho visto arrivare giù dalle scale ciondolante in pigiama a bofonchiare: “Qualcuno ha fatto per caso il caffè?” e prima di rispondergli: "Sì... il bar di fronte!" gli ho fatto sportivamente i complimenti per la vittoria e per quel dolce. Lui mi ha folgorato con un lampo ironico poi mi ha detto ridacchiando: “Papà, ma scherzi? Guarda che la mamma l’ha capito subito … i bunèt li ha fatti la Parmalat, mica io…” 



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