mercoledì 12 giugno 2013

Della rivalutazione del campeggio, dei villeggianti teutonici e del "campingzelt über alles"


L’allarme rosso è scattato appena l’elfa mi ha chiamato per dirmi che aveva trovato un last minute per un villaggio vacanze - camping a quattro stelle al Cavallino (45 minuti di macchina da Venezia, che se prosegui per Punta Sabbioni, vedi il campanile di San Marco) dove accettavano anche il cane e che se mi andava avrebbe fatto subito la prenotazione. Ovviamente avrei dovuto decidere in fretta, che saremmo dovuti partire  tre giorni dopo. Le ho detto di sì, anche se con qualche riluttanza, un po’ perché mi aveva preso alla sprovvista e un po’ perché in fondo avevo da tempo voglia di staccare, di scaldare le vecchie ossa al sole e di una bella nuotata nell’acqua fredda e tonificante di fine primavera, come facevo da ragazzo. Dunque, perché perdere quell'occasione inattesa?

A farmi temere una scelta incauta era quella definizione di villaggio vacanze che nelle mie esperienze passate in associazione alla parola camping non prometteva nulla di buono, tanto che mi sono subito riaffiorati alla mente numerosi ricordi fantozziani che avrei voluto dimenticare e che ora vi racconterò qui di seguito. Però l’elfa, che le mie storie e tutte le fisime ad esse collegate le conosce bene, sapendo dove sarei andato a parare mi aveva garantito che non si sarebbe trattato di tende, ma di casette su ruote dotate di ogni comfort e del resto bastava guardare il sito del campeggio per vedere che era tutto distante anni luce (in meglio) rispetto al mio vissuto tragicomico di campeggiatore. Alla fine ho dovuto ammettere di aver fatto bene a fidarmi della mia compagna perché mi sono goduto quattro giorni miracolati dal sole e dove tutto è stato perfetto (perfino il suo umore), facendomi ricredere su tante cose e perfino sulla presenza dei tedeschi, che si sono rivelati vicini di casa discreti, educatissimi e silenziosi. A quanto pare, e per fortuna, non fanno più i tedeschi di una volta…

Ma veniamo al mio travagliato battesimo da campeggiatore.

All'inizio fu tutta colpa di Mino. Costui era un giovane e baffuto studente milanese di ingegneria elettronica che avevo incontrato per caso in montagna a Moena. La mia sparuta comitiva di amici si era incrociata di buon mattino con la sua, ben più numerosa, davanti all'ingresso del rifugio Fronza alle Coronelle e dal momento che qualcuno dei miei compagni di gita stava nello stesso albergo di qualcuno dei suoi ci fermammo a salutarci. Siccome a quell'ora faceva piuttosto freddino, il sole era scomparso dietro a delle nuvole nere e tirava vento, decidemmo che lo scambio di saluti sarebbe stato più simpatico se fosse proseguito all'interno del rifugio e magari con qualche fettina di strudel appena sfornato e un bicchierino di grappa alla genziana per scaldarci. Una volta appreso che l’obiettivo comune era di attraversare la forcella delle Cigolade per poi discendere nel cuore del Catinaccio costeggiando i Mugoni fino al rifugio Gardeccia e quindi raggiungere la seggiovia al Ciampediè per rientrare a casa, decidemmo di riunirci e di fare la gita tutti assieme. 

il battesimo del mare del mio bretone
(ora sappiamo che galleggia...)

Ben presto, appena la salita a zig-zag verso la forcella iniziò a farsi impegnativa sotto un sole a martello, Mino ed io, pur essendo eccellenti ed esperti camminatori, ci ritrovammo a far compagnia ed assistenza morale a due ragazze che si erano già staccate dal gruppo e ansimavano di fatica procedendo a lento moto e cazzeggiando neanche fossero a spasso per negozi. Una di queste due ragazze era romana e si chiamava Valeria. Era una biondina piuttosto graziosa e questo fatto, assieme a quello che, avendo appena lucrato un 23 all’esame di diritto penale, mi era ben noto il reato di circonvenzione d’incapace, m’indusse alla massima benevolenza nei suoi confronti. Così, quando, dopo avermi chiesto se me ne intendessi di macchine fotografiche, tirò fuori dallo zaino “…la Nàikon che mi hanno regalato i nonni per la maturità, ma non so se è una buona marca e non ho ancora capito come funzioni” mi trattenni dal proporle uno scambio alla pari con la Kodak Instamatic di mio fratello, che per fare belle foto non c’era paragone. Non solo, ma quando raggiungemmo in cima alla forcella il resto della comitiva che stava pranzando al sacco, dopo aver appreso che si era portata dietro solo due mele, prima di sbucciargliele con il coltellino svizzero le offrii premurosamente un panino con la Simmenthal e la mia tavoletta di cioccolato. Per completare la captatio benevolentiae le diedi anche qualche rapida informazione su come impostare tempi e diaframma e sull'esistenza degli esposimetri. Da quel momento in poi, ogni volta che voleva fare una foto Valeria veniva a chiedermi consiglio e la cosa mi mise di buonumore. 

Anche Mino era molto simpatico e cammin facendo avevamo scoperto che entrambi militavamo nel Manifesto, che lui era nel Servizio d’ordine della Statale mentre io ero tra quelli che venivano sempre manganellati, che suonavamo la chitarra (ma lui era ancora al giro di Do) che eravamo stati tutti e due mollati dalle nostre ragazze prima delle vacanze e che eravamo interisti. Ce n’era abbastanza per diventare amici, tanto più che una sera, quando ormai molti dei nostri compagni di gita erano ritornati a casa e a Moena c’era quel clima di smobilitazione del dopo ferragosto che rende malinconici perché è finita la vacanza, di fronte ad un bicchiere di birra scaccia tristezze al bar del Faloria scoprimmo che entrambi avevamo preso la cotta per quella Valeria di Roma (che però non si era filata nessuno dei due). Così ci tenemmo in contatto e giacché durante l’inverno successivo mi ero rimesso insieme per la terza volta con la mia Donatella (repetita juvant) e lui aveva una nuova compagna, all'inizio di giugno (eravamo nel 1970) mi chiamò per sapere se mi andava di fare un giro in tenda “alla proletaria” con le nostre donne per i passi dolomitici. 

Pur con qualche remora dovuta al fatto che partendo verso la metà del mese mi sarei perso i Mondiali di calcio in Messico, la voglia di provare quell'esperienza del tutto nuova prese il sopravvento (tanto immaginavo che ci avrebbero buttato fuori dopo le prime partite). Così accettai incautamente e convinsi altrettanto incautamente Donatella a vivere con noi l’esperienza affascinante del campeggio libero e dell’immersione totale nella natura intesa come mezzo per la riscoperta del proprio io e la liberazione della mente dalle sovrastrutture imposte dal consumismo capitalistico. Tuttavia, pur potendo citarle a proposito interi brani dell’ "Avere o essere” di Erich Fromm, non fu una cosa facile, perché Donatella, figlia viziatissima di un primario e abituata alle mollezze del bagno tiepidino con i sali profumati e del pane tostato con burro e marmellata a colazione, era molto diffidente verso la vita spartana che le proponevo. Riuscii a convincerla solo dopo averle giurato che se la cosa non le fosse piaciuta l’avrei riportata immediatamente a casa senza discutere. 

Il giorno convenuto Mino e la sua Irene ci vennero a prendere a Piazzale Roma con una rugginosa Bianchina familiare stracarica sino all’inverosimile e dopo quattro ore di viaggio, superato con grandi stenti il Passo Rolle e scesi in Val di Fassa con i freni che cigolavano ad ogni tornante per l’eccesso di carico a bordo, dopo aver imboccato una stradina sterrata che era un campionario di buche, piantammo le tende una di fronte all’altra in uno spiazzo erboso ai margini del bosco e vicino alle cascate del Rio di Costalunga, alle porte di Moena. Mino, che campeggiava da una vita, disse che aveva scelto il luogo appositamente perché in tal modo avremmo avuto anche l’acqua corrente. Questo non fu di buon auspicio. Mezzora dopo, appena rientrati alla base con le provviste prese in paese, iniziò a piovere. E piovve come succede solo in montagna per due giorni filati che dentro alla tenda non sapevi più se quel rumore d’acqua scrosciante era quelle delle cascate o del diluvio che ci martellava. Anche il fatto di poter stare rintanati con la propria ragazza nell’intimità angusta di una tendina canadese non era di sollievo perché per colmo di sfortuna a Donatella erano venute le mestruazioni in anticipo ed il suo umore corrente raggruppava assieme la sindrome mestruale con quella pre e post mestruale, tanto che già verso le quattro del pomeriggio aveva iniziato a darmi dello spergiuro perché non la riportavo a casa. 

Verso la sera del primo giorno arrivò una breve pausa (forse perché il Padreterno era rimasto a corto d’acqua) e sopra il Sass da Ciamp fece capolino un po’ di sole ingannatore tra le nubi con il colore del tramonto. Così, dopo aver sgranchito le ossa rattrappite da ore di permanenza sotto una tendina dove non potevi nemmeno alzarti in piedi e provveduto a rincuorare le donne con previsioni ottimistiche per l’indomani (roba scientifica tipo: rosso di sera bel tempo si spera) malgrado i fiammiferi umidi riuscimmo ad accendere il fornelletto da campo e a carbonizzare dei wurstel per mettere qualcosa sotto i denti che non fosse tonno in scatola o la Simmenthal. Da bere però c’era solo la scorta di acqua minerale giacché le lattine di birra che Mino aveva messo in fresco nell’acqua gelida del torrente all’interno di un ingegnoso riparo di pietre di sua ideazione (l’ingegnere è la prova dell’esistenza di Dio, diceva) erano state già trasportate via dalla corrente e ormai dovevano navigare nel vicino torrente Avisio. Ma almeno avevamo una bottiglia di Kranebet per togliere l’umido dalle ossa. Poi, esaurite le pile del mangiadischi senza averne altre di ricambio (quella fu una fortuna, perché aveva solo alcuni dischi dei Camaleonti e dell’Equipe 84 che ormai ci uscivano dalle orecchie da tanto li avevamo ascoltati) Mino tirò fuori la chitarra nel generoso tentativo di animare la serata e dandomi modo di scoprire che in un intero anno e malgrado le mie lezioni era unicamente riuscito a passare dal giro di Do al “Mare nero” di Battisti, con la possibile variante di “Non è Francesca” se non fosse stato per quell’accordo di Mi bemolle maggiore, che ancora non riusciva a prendere bene la nota con il mignolo. 

Alla fine, ridotti allo stremo, senza viveri, costretti a lavarci con la minerale perché l’acqua del torrente era piena di fango e con le nostre compagne ben oltre l’orlo della crisi di nervi (anche perché gliela puoi smenare finché vuoi con la bellezza primordiale del contatto con la natura ma devi riconoscere che per una ragazza andare a fare i bisogni nel bosco con la giacca a vento e sotto la pioggia, non è il massimo della vita), all’alba del terzo giorno malgrado un timido sole decidemmo di smontare il campo ormai ridotto ad un pantano e dirigerci verso il lato trentino del Garda, dove c’erano campeggi organizzati con tanto di piazzole illuminate, bar, pizzeria, bagni con docce calde e supermercato. Insomma: la riscoperta della civiltà contemporanea. Però scoprimmo presto che a parte i prezzi esorbitanti per le nostre risorse scarse da studenti, nei camping c’erano anche i tedeschi… e questo fu la fonte di una nuova conoscenza sorprendente.

Ora io non ho nulla di personale contro i tedeschi, ci mancherebbe. Anche se nelle mie vene scorre un po’ di sangue austriaco da parte dei nonni paterni e quindi dopo l’Anschluss del 1938 qualche diffidenza la possa umanamente avere, nondimeno ne ho conosciuti molti nella mia vita e tutti si sono dimostrati eccellenti persone, spesso portatori di educazione, cultura e valori qui ormai inconsueti. Poi, da quell'epica Italia - Germania 4-3 che ebbi la fortuna di vedere in loro compagnia, mi hanno sempre regalato grandi soddisfazioni calcistiche perdendo regolarmente quando erano strafavoriti, dunque, come pensarne male. Anzi, sono loro che dovrebbero avercela con me perché quando lavoravo all’Ufficio Estero della banca che incautamente mi aveva assunto, spedivo le loro caparre di prenotazione degli alberghi di Jesolo e Caorle mediamente con un mese di ritardo rispetto alla data prevista di arrivo, tanto che i colleghi avevano appeso a fianco della mia scrivania un quadretto con la storica frase di Diaz: “Risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”. 

Tuttavia, in quel breve soggiorno nel campeggio di Riva del Garda, oltre alle zanzare lacustri, I miei amici ed io avemmo modo di scoprire come non vi sia nulla come il camping per rivelare il lato nascosto di quella brava gente: il loro senso profondo del “das campingzelt über alles”. Infatti nel giro di una sola giornata ci fu subito chiaro:

1. Che nei campeggi i tedeschi scendono in colonna dal Brennero con dei camper mostruosi, tipo carro armato che ci manca solo il simbolo dell’Afrika Korps sulla fiancata.

2. Che per mettersi nella piazzuola devono fare mille manovre tra gli alberi assistiti all’esterno da una moglie tanto oversized quanto gesticolante e inascoltata e comunque arrivando con le ruote sempre ad un pelo dalla tua tendina.

3. Che appena posizionati sulla piazzuola i camper tedeschi si espandono come i Transformer dei cartoni animati estraendo perfino la veranda e il salottino con le tendine ricamate e le piantine di gerani.

4. Che il campeggiatore medio tedesco dispone di accessori di ogni tipo, dagli stendibiancheria al frigobar, dalla parabolica per il tv color, sino al tappetino di erba sintetica dove apporre le statuette dei nani da giardino e perfino i tappetini con scritto “Wilkommen” davanti all’ingresso.

5. Che nei campeggi i tedeschi per prima cosa picchettano tutti gli spazi disponibili, che sia ben chiaro a tutti che il territorio è occupato militarmente e quindi tirano fuori il barbecue, per affumicare tutti i vicini con l’aroma di bräthwurstel già dalle quattro del pomeriggio.

6. Che il tedesco medio deve trovare nei camping almeno una mezza dozzina di cartelli con scritto che qualcosa è “Verboten”. Il vivere in un mondo disciplinato dai “Verboten” pare infonda loro sicurezza e gli dia la forza per affrontare il mondo disordinato e approssimativo di noi latini.

7. Che nei campeggi i tedeschi sono onnipresenti a qualsiasi ora e riempiono meticolosamente ogni spazio disponibile, soprattutto nei chioschi bar e al ristorante. 

8. Che nei campeggi i tedeschi bevono birra in quantità industriale e poi fanno chiasso tutta la notte, non fosse altro perché un rutto da birra dentro una tenda si propaga nel silenzio notturno con l’intensità del ruggito di un leone

9. Che nei campeggi i tedeschi si svegliano all'alba e fanno chiasso con i cassonetti per buttare via i vuoti delle bottiglie di birra della notte precedente.

10. Che se devi correre in bagno c’è sempre un bambino tedesco che te lo ha occupato per i cavoli suoi e ti guarda storto ringhiandoti “Besetz! Raus!”. Lo stesso accade quando fai la fila per lavarti i denti (la paffuta bambina tedesca che hai innanzi a te, con le treccine bionde e il pigiamino celeste con i puffi, brandisce lo spazzolino come una mazza ferrata, casomai tentassi di passarle davanti…)

11. Che se appena starnutisci c’è sempre un tedesco che ti dice di far silenzio e poi si lamenta degli italiani. 

12. Che la tentazione di orinare sul tappetino con la scritta “Wilkommen” diventa ogni ora sempre più forte.

13. Che se lo fai davvero, poi rientri in tenda che ti senti meglio e la tua ragazza ti fa le coccole neanche fossi un eroe.

14. Che se al bar del campeggio i tedeschi sono ancora in piedi ad abbracciarsi davanti al televisore per il pareggio di Muller e intanto gli "Spaketti und Makkaroni" mettono la palla al centro e gli infilano il goal del 4-3 definitivo è bene che i soli due italiani presenti in sala evitino di fare il gesto dell'ombrello. Tanto poi, nel cuore della notte, mani ignote correggeranno il cartello stradale di Riva del Garda in Rivera del Garda.

Trascorsi 20 anni da questa esperienza di campeggio estremo e diventato nel frattempo marito e padre più o meno esemplare mi lasciai nuovamente convincere ad affrontare l’esperienza del campeggio e questa volta sul Gargano, anche se l’elfa, con le sue subdole arti seduttive mi abbindolò rivendendomi la nostra meta come un lussuoso “villaggio vacanze” e giustificando alla luce degli eventi che ne seguirono tutte le diffidenze successive. Ma di questo ne parleremo prossimamente…

2 commenti:

  1. Forcella delle Cigolade, Gardeccia, Catinaccio, Vajolet...ancora un mese e qualche giorno e poi VAI! ;) Inutile che ti dica quanto sei bravo a riportare a galla il tempo passato, perchè lo sai...Aspetto con ansia le avventure sul Gargano
    visto che proprio là le vite dello Scettico e di Mìgola si sono incrociate 30 anni fa!n caro abbraccio.

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  2. Al solito un succoso racconto, che sembra esserci a strizzare le calze con voi nel lontano giorno al campeggio ruspante!
    Condivido la descrizione dei campeggiatori teutonici che avevano le stesse abitudini e caratteristiche nei campeggi di Salvore (ora Croazia) : mio marito al teutonico vicino di tenda che protestava per la grigliata di pesce mattutina di ritorno dalla pesca notturna, invitò il germanico ad assaggiare inaffiando generosamente con malvasia istriana: l'uomo si fermò gradendo!!! si unì alla pesca il giorno dopo in cerca di gronghi e seppie... Oramai il palato era stato convertito...

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