martedì 31 marzo 2020

L'Enigma di Ponsard - Capitolo 7



La mattina seguente mi presentai in sala da pranzo di buonora per controllare che tutto procedesse per il meglio. Milla era intenta a servire la colazione a Grouchy. Considerando che indugiava a chiacchierare amabilmente con il nostro amico, immaginai che fosse abbastanza serena. Attesi con calma che terminasse, poi la fermai mentre tornava verso le cucine. 
<<Il professore è sceso a far colazione?>>. 
<< Sì, non era dell’umore migliore, ma comunque è venuto a tavola. Adesso credo che sia in aula con Pauline a sistemare i materiali di lezione. A proposito… ti ha lasciato 160 fotocopie da fare per lunedì raccomandandosi che non siano tutte storte come l’ultima volta>>. 
<< Che palle con queste fotocopie! Sono qui in cinque, non può organizzarsi con i suoi assistenti e farsele da solo?>>. 
<< Evidentemente, no! In ogni modo, ti ricordo che le fotocopie che ci fa fare sono tutti soldini extra. Comunque, la metà serve a lui per le undici, mentre le altre servono a Grouchy nel pomeriggio, quindi se vuoi farle domani mattina hai tutto il tempo>>. 
<< A proposito, com’è che servi tu le colazioni? Non c’è Nadia?>> 
<< Si, Nadia c’è, ma non è disponibile>>. 
<< Perché, di grazia?>>. 
<< Perché Cristophe, uno dei due cretinetti giovani, ieri sera l’ha incrociata nel corridoio del secondo piano e ha cercato di baciarla>>. 
<< Caspita! E lei?>> 
<< Lei lo ha spinto via, poi si è tenuta dentro il magone per tutta la notte e questa mattina mi è scoppiata a piangere in cucina come una fontana. Così l’ho consolata e l’ho dispensata per oggi dal servizio ai tavoli.>> 
<<Hai fatto bene. Giulio lo sa?>> 
<<No, per ora no. E non lo sa neppure il professore. Ieri ha già avuto una giornata difficile grazie ad un suo collaboratore, non vorrei buttare nuova benzina sul fuoco…>> 
<< Come ci comportiamo con il ragazzo?>> 
<< Spero che il giovane satiro si sia dato una calmata, visto che Nadia lo ha respinto. Se torna all'assalto dovremo parlarci a quattrocchi …>>. 
<< Gli parli tu, gli parlo io o gli parla Giulio?>>. 
<<Dipenderà dal tipo di assalto. Per ora escluderei Giulio che non ha il necessario senso dell’umorismo>>. 

Dissi a Milla che poteva senz'altro far conto su di me e che d’ora in poi avrei tenuto d’occhio il giovanotto. Poi, mi venne in mente una curiosità che non riuscii a trattenere << Scusa se te lo chiedo, ma se Cristophe invece che con Nadia avesse provato con te?>>. 
<<Sarebbe ancora disteso in corridoio a massaggiarsi le palle. Lo sai che ho la ginocchiata facile, no?>>. 
Lo sguardo della mia compagna e alcuni dolorosi ricordi mi fecero sperare per lui che al giovanotto non venissero più in mente desideri del genere. Cambiai subito argomento. 
<< A proposito: è oggi che li porti a Venezia? >> 
<<Sì, partiamo nel pomeriggio con tutta la comitiva. Prima li porto a cena da Nereo, all’Antica Bessetta e quindi, se c'è tempo, andiamo un'oretta al Casinò. Torneremo a notte fonda>>. 
<<Che invidia! Li porti a mangiare il leggendario pasticcio di pesce della Mariuccia?>>. 
<<Certo! E’ l’unico motivo per cui faccio volentieri questa gita. Dovevi vedere la faccia di Grouchy mentre gli descrivevo tutte le meraviglie che gli avrei fatto assaggiare questa sera: le sarde in saòr, i bigoli in salsa, il baccalà mantecato>>. 
<<Ah! Dunque la misteriosa mousse de poisson di cui stavi parlando con quel poveretto era il baccalà mantecato? Il tuo francese è spudorato come te!>>. 
La mia signora rise di gusto per essere stata presa in castagna. <<Sì, più o meno. Non sapevo come tradurglielo e mi sono arrangiata. L’importante è farsi capire, no? Comunque, quando gli ho raccontato delle moleche che vengono fritte dopo aver sorbito l’uovo sbattuto in modo che dentro si formi una frittatina che sa di mare, si è quasi commosso. E’ impaziente di vedersele nel piatto>>.
Un improvviso senso di languore mi pervase lo stomaco. 
<< Lo capisco! Ma Ponsard viene anche lui?>> 
Milla ridacchiò ancora, ma questa volta in modo diverso, come quando sapeva di infliggermi una fregatura. 
<<No! Ponsard detesta il pesce, il gioco d’azzardo e la compagnia degli altri esseri umani in generale. Così resta da solo in albergo. E’ tutto tuo! Avete a disposizione la sera per parlare di Napoleone a Waterloo. Non sei contento? Comunque, Maria, anche se è il suo giorno libero, si ferma qui fino alle nove a darti una mano per la cena del professore e poi Giulio è di turno come portiere di notte, quindi se vuoi fargli compagnia ed aspettarci alzato, bene, altrimenti puoi anche andartene a dormire, tanto lo sai che Ponsard dopo cena va a letto presto>>. 

Roso dall’invidia e per trovare un po’ di solidarietà umana mi rifugiai in cucina con l’intento di dare una mano a mia suocera e magari di spiluzzicare qualcosa della cena in anteprima. Come aprii la porta, però rimasi di stucco. La povera donna era china sul tavolo e aveva il volto rigato dalle lacrime che cercava invano di asciugare con la manica del vestito. Mi fece una gran pena. 
Era chiaro che la buona signora Lucia aveva avuto finalmente il crollo di nervi che sia io che Milla attendevamo da giorni. Non era, infatti, possibile che un essere umano, per quanto considerasse il benessere gastronomico altrui come la missione che Dio le aveva affidato al momento di spedirla sulla terra, potesse reggere mattina e sera a dei ritmi del genere. Sapendo che Milla me ne sarebbe stata grata, decisi di consolarla. Così l’avvicinai affettuoso e la strinsi tra le braccia dopo averle stampato un bacio sulle guance umide di lacrime. 
<<Cosa c’è, signora? Ha un momento di malinconia, vero? La capisco. Stia su, che poi le passa. Si tratta in fondo di stringere i denti ancora per qualche giorno!>>. 

La signora Lucia, però, dopo essersi sottratta all'abbraccio mi mostrò una grattugia e un gambo di rafano dal profumo pungente. <<Grazie, Carlo, ma no se staga a preoccupar! Stavo solo grattugiando il cren per il bollito di domani. Lo sa che fa piangere, no?>> 
Dopodiché si rimise al lavoro di gran lena ignorandomi completamente. Cercai di recuperare mostrandomi volonteroso. 
<<Non le serve una mano per far qualcosa?>>. 
La signora Lucia risollevò la testa meravigliata per la mia disponibilità e trovò subito un incarico all’altezza delle mie attitudini.<<Mi si è slacciato il nodo del grembiule, me lo può stringere lei che ho le mani sporche?>>. 
Eseguii scrupolosamente il compito affidato, poi rimasi nell'attesa vana di altri ordini, o anche solo di uno scambio di battute. Mia suocera continuava imperterrita a raschiare i suoi gambi e tutta l’aria attorno era impregnata dall’aceto e dall’odore aspro del cren. L’osservai ancora un po’ sperando di trovare un qualche motivo d’interesse in quel lavoro di grattugia. Poi, definitivamente frustrato, anche per il fatto che tra le diverse pentole sul fuoco non vi era nulla di commestibile al momento, tagliai una bella fetta di formaggio d’alpeggio e con la scorta di un pacco di grissini mi ritirai nelle mie stanze a meditare sulle fortunate che sarebbero andate a cena a Venezia facendo finta di esserne dispiaciute. 

Il professore scese da basso per la cena verso le sette e mezzo. Si vedeva che non aveva ancora digerito del tutto l’arrabbiatura del giorno prima, così mi limitai ad un saluto formale e rimasi sulla soglia della sala da pranzo mentre Maria gli serviva la minestra di riso e zucchine e la fettina di vitello ai ferri che aveva ordinato. Alle otto e dieci, Ponsard si era già alzato da tavola e dopo essersi fatto consegnare il solito bicchiere di latte per la notte e un fuggevole cenno di saluto aveva raggiunto la sua camera al primo piano. Così, dopo aver accompagnato a casa mia suocera ed aver preso con me Paté, tanto perché si sgranchisse le gambe e facesse i bisogni, me ne tornai in albergo con il mio lupetto che scodinzolava felice giusto in tempo per sentirmi raccontare da Giulio che nel frattempo anche Maria se n’era andata a casa. 
Poiché, come sostiene un celebre politico, a pensar male si farà anche peccato, ma s’indovina quasi sempre, colto da un legittimo sospetto su quell'uscita repentina, andai a guardare la sala da pranzo. Come temevo, c’erano tutti i tavoli da preparare per la colazione del mattino seguente, compreso quello di Ponsard che era ancora da sparecchiare. Così chiamai mio cognato a darmi una mano. 
Giulio, che non aspettava altro, mentre mi aiutava a stendere le tovaglie cominciò un sermone interminabile contro Maria e “quelli della Bassa” in generale, che quando decidono di aver finito di lavorare se la svignano senza alcun riguardo e ti lasciano come un cane con tutte le faccende da ultimare. Lo lasciai sfogare senza ribattere perché non avevo voglia di discutere e poi perché trovavo giusto che Maria, dopo una settimana passata ventre a terra a correre di qua e di là passasse in pace la sua serata di libertà (magari avrebbe potuto aspettare dieci minuti in più e preparare i tavoli, ma in fondo era un dettaglio).

Dopo aver rimesso in ordine la sala da pranzo, mi spostai in cucina dove, con un po’ del brodo di zucchine, del pane raffermo e i ritagli della bistecca di Ponsard preparai una sontuosa zuppa per Paté e quindi, dopo un veloce ripulita della passatoia delle scale per far contenta Milla, raggiunsi Giulio che, secondo la sua usanza, faceva il portiere di notte nella saletta della televisione lasciando l’ingresso al suo destino. Lo trovai, infatti, stravaccato sul divano con un piatto di formaggio sulle ginocchia e una bottiglia aperta sul tavolino mentre era intento a guardare un vecchio film sulla rete di Capodistria. Come lo raggiunsi mi fece cenno di prendere posto al suo fianco. 
<<Che film è?>>. 
<<Caccia al ladro>>. 
<<Stupendo! Quello con Cary Grant e Grace Kelly che è ambientato a Montecarlo, dove lui è “il gatto”, un ex partigiano e ora presunto ladro di gioielli delle ricche americane e lei è la figlia della vecchia ereditiera burbera, ma dal cuore d’oro, che poi alla fine…>>. 
Giulio mi porse il formaggio e m’indicò la bottiglia. 
<< Culastriscie! Magna, bevi e soprattutto: taci!>> 
L’invito al silenzio era talmente perentorio e convincente che obbedii di buon grado e poco dopo venni raggiunto anche da Paté che grazie al suo udito straordinario era in grado di sentire una masticazione a cento metri di distanza e dunque arrivava speranzoso di trarne beneficio. 

Verso le undici di sera, proprio mentre Cary Grant si aggirava sui tetti di una villa sotto gli occhi della polizia monegasca, mi arrivò sulla schiena un refolo di aria fresca che sembrava provenire dall’esterno. Mi girai verso Giulio per domandargli se avesse chiuso bene la porta d’ingresso, ma proprio in quel momento Paté si mise ad abbaiare furiosamente, rinculando verso di me in cerca di protezione. 
<<Cossa gà sto mona de un can?>>. 
<<Non lo so, Giulio, ma ho la sensazione che ci sia qualcuno in casa>>. 
<<Ma se sono ancora tutti al Casinò!>>. 
<<Senti, credo che qualcuno sia entrato. La porta deve essere socchiusa perché entra aria e non credo sia stato il vento ad aprirla>>. 
Giulio spense il televisore per cogliere qualche rumore. 
Poi gridò a gran voce << Chi è? C’è qualcuno in casa?>>. 
Lo guardai sconfortato per tanta dabbenaggine. <<Giulio, grandissima idea! Se è un ladro educato ti risponde senz’altro. Altrimenti dubito che ti dia risposta, a meno che non sia un mona. Anzi, grazie a te, ora magari si è nascosto. Non ci resta che andare a vedere>>. 

Mentre Giulio afferrava la bottiglia per il collo come nelle risse da saloon e io trascinavo quel codardo di Paté per il collare, andammo a dare un’occhiata nella hall. La porta effettivamente era socchiusa, mentre io ricordavo bene di averla chiusa per impedire che il cane potesse uscire fuori. L’aprii per guardare in giardino. I due lampioncini davanti alla scalinata illuminavano appena la ghiaia resa luccicante dalla pioggerellina sottile che era caduta sino a poco prima. Oltre la cancellata che s’intravedeva appena, c’era il buio fitto. L’aria fresca della notte era intrisa del profumo dell’erba bagnata. L’unico rumore che si poteva avvertire oltre al frusciare delle foglie battute dal vento era quello di qualche macchina lontana sulla provinciale. 
Dopo un po’ Giulio mi raggiunse sulla porta. Dal fatto che avesse riposto la bottiglia si capiva che considerava cessato l’allarme. <<Culastriscie, mi sembra che sia tutto tranquillo. Non è che ti fai suggestionare dai film come le donne?>>. 
Mi voltai verso di lui per rispondergli come si deve, ma in quel momento mi accorsi che sul primo gradino della scala che portava ai piani di sopra c’era una piccola foglia del giardino. La indicai a mio cognato e gli dissi sottovoce <<Qualcuno è salito al piano di sopra. Quella foglia prima non c’era. Ne sono sicuro!>>. 
<< Come fai a dirlo?>>. 
<<Prima di venire a vedere il film con te ho passato l’aspirapolvere sulla passatoia delle scale. L’avrei vista>>. 
Giulio raggiunse la scala e prese tra le dita la foglia. <<Una volta tanto hai ragione! È ancora bagnata di pioggia. Andiamo su a dare un’occhiata>>. 

Raggiungemmo in fretta il primo piano e ci fermammo proprio dove c’era la suite di Ponsard. Anche lì tutto sembrava in ordine. Accostai l’orecchio alla porta e mi giunse distintamente il russare del professore. Tirai un sospiro di sollievo, ma fu troppo frettoloso, perché proprio in quel momento, la luce a tempo del corridoio si spense e prima che Giulio potesse riaccenderla un’ombra scura si precipitò fuori dallo stanzino di servizio e si precipitò a rotta di collo giù dalle scale scatenando i latrati di Paté. Giulio e io lo rincorremmo a perdifiato, ma quello aveva una frazione di secondo di vantaggio che lo rendeva imprendibile e quindi, dopo aver sbattuto la porta d’ingresso mandando in frantumi un vetro, scomparve nel giardino. 
Appena giunti in fondo alla scalinata ci dividemmo i compiti nella speranza di tagliargli le vie di fuga. Giulio si diresse verso il cancello principale e io e Paté cercammo di individuarlo sul retro della casa ma ogni ricerca risultò vana, anche perché dopo qualche minuto avvertimmo il rumore di una macchina che partiva in fretta e furia. Dopo averne seguito le luci dei fari e aver notato che all’incrocio sulla provinciale svoltava in direzione di Follina, rientrammo in albergo e, dopo un breve dibattito se fosse o no il caso di farlo, chiamammo Viccaro. 

Il Capitano era appena andato a dormire, ma quando seppe dell’accaduto non ci mise molto a saltare in macchina e a raggiungerci e il caso volle che le due Alfette con i fari lampeggianti arrivassero contemporaneamente al ritorno della comitiva da Venezia. Così, mentre assieme a Giulio andavo incontro a Viccaro, appena sceso dalla macchina, c’incrociammo con Milla in preda allo stupore e gli ospiti che facevano capannello per capire il perché di tutto quel trambusto. Come ci vide la mia signora allargò platealmente le braccia in segno di sconforto.<<Eccovi qua! Ma cosa avete combinato voi due? E’ possibile che non si possa lasciarvi soli un momento? Perché c’è questo schieramento di forze?>>. 
Quel tono inquisitorio non mi piacque affatto e reagii con una certa irritazione. Anzi, per dirla tutta, alzai finanche la voce e la cosa ebbe stranamente un effetto sedativo su Milla che non ci era abituata. <<Senti Camilla, piantala con le prediche e datti una calmata perché noi non abbiamo combinato niente! Qualcuno ha cercato di entrare in albergo e noi lo abbiamo messo in fuga, tutto qui>>. 
Viccaro, ad ogni buon conto, s’intromise nel discorso prima che degenerasse, mentre i carabinieri che erano giunti con lui cominciavano a guardare attorno al giardino con le pile e alla luce dei fari. 
<<Lo avete visto?>>. 
<<Più che visto, direi intravisto mentre scappava giù per le scale. Comunque sembrava giovane, anche perché con lo scatto che ha fatto per darsela a gambe lo doveva essere per forza. Era piuttosto magro e abbastanza alto. Diciamo sul metro e settantacinque, anche se al buio potrei sbagliarmi. L’altra cosa che ricordo è che doveva avere una bella capigliatura, molto gonfia, un po’ alla Branduardi, per capirci >>. 
<< Non ha visto come era vestito?>>. 
<<No, purtroppo no. Forse indossava dei jeans e un giubbino, ma è solo una sensazione. Non mi sento di confermarglielo>>. 

Il Capitano chiese a Giulio se aveva altri particolari da aggiungere, ma in quel momento risuonò dal giardino la voce di uno dei carabinieri. 
<<Capitano! Venga a vedere! C’è del sangue sulla cancellata e anche sulla ghiaia! Si deve essere ferito scavalcando>>. Corremmo verso il posto indicato e, non appena gli fummo vicini il militare ci illuminò la zona con la torcia. In effetti, lungo il ferro dell’inferriata s’intravedeva, anche se un po’ diluito dalla pioggia che era caduta sino a poco prima, un sottile rivoletto rosso e poco oltre, sulla ghiaia, c’erano due macchie ravvicinate e abbastanza consistenti. Un secondo carabiniere fece delle foto con il flash alle tracce mentre Viccaro diramava via radio gli ordini per le pattuglie che ricercassero una vettura con un ferito a bordo e facessero ricerche anche negli ospedali, poi tornò da noi. << Si deve essere fatto un discreto taglio per perdere tanto sangue. Forse avrà bisogno di qualche punto di sutura e se abbiamo fortuna lo becchiamo in qualche pronto soccorso. Avete visto se era armato?>> 
<<No, non mi è parso>> 
<<Ma come ha fatto ad entrare senza che lei e il portiere lo vedeste?>>. 
Quella domanda mi diede un brivido gelido per la schiena ma memore della figuraccia dell’altra volta, questa volta mentii spudoratamente per salvare la pelle mia e di Giulio. <<E’ stato un caso. Io stavo preparando la sala da pranzo e mio cognato era andato un attimo in bagno>>. 
<<Quindi, se capisco bene, questa persona era appostata in giardino e ha atteso il momento propizio per intrufolarsi?>>. 
<<Sì, direi di si …>> 
Lo sguardo di Viccaro cadde su Paté che dopo aver fatto le feste a tutti gli ospiti, infangandoli oltre il lecito, ci aveva raggiunto e ora scodinzolava festoso tra le nostre gambe. 
<<Ma, a proposito… il suo cane non si è accorto di niente? Com’è possibile?>> 
<<Se fosse un normale cane da guardia le darei ragione ma Paté è sempre stato un lupo da salotto. Non è portato per il genere poliziesco. Comunque, un pochino ha abbaiato>> 
<<Meno male! Almeno lui è sveglio!>> 
Una voce maschile risuonò improvvisa alle nostre spalle. 
Appena ci voltammo ci apparve Ponsard in vestaglia e ciabatte che dall’alto della scalinata osservava tutta la scena. Il professore era piuttosto nervoso e appena ci raggiunse apostrofò Viccaro con una certa aggressività <<Capitano! Cos’è questa storia che qualcuno ha cercato di entrare in albergo?>>. 
<<Purtroppo è vero! Questa persona è riuscita ad intrufolarsi fino al primo piano prima di essere scoperta e di fuggire… >>. 
<<E non le dice nulla questo? Lo vede che avevo ragione?>>. 
<<Mi dice solo che questo tizio probabilmente era un ladruncolo che ha cercato il momento adatto per arraffare qualcosa dalle stanze. C’è un gruppo di sbandati che gira da queste parti e cose di questo genere sono già successe nelle scorse settimane, soprattutto in abitazioni isolate come questa. Sorvegliano, aspettano che una casa sia incustodita anche per pochi minuti e rubano quel che trovano>>. 

Ponsard allargò platealmente le braccia per renderci evidente quanto quella considerazione lo indispettisse <<Ma allora lei proprio non vuole capire! Non le pare strano che appena mi ha tolto la scorta di Mauriot sia successo questo? Probabilmente mi stanno sorvegliando e sanno che, grazie a lei, ora sono indifeso>>. Notai che quando esplodeva di rabbia il professore diventava paonazzo in viso e cominciava a gesticolare freneticamente, cosa che lo rendeva simile a quei poliziotti biliosi interpretati da De Funes. Anche Viccaro dovette essere attraversato da un pensiero simile, perché nel rispondergli si fece sfuggire un sorrisetto ironico a mezza bocca. 
<<Professore, stia calmo! Non le pare di esagerare? La cosa ha tutta l’aria di essere soltanto una coincidenza. Del fatto che Mauriot non sia più in grado di difenderla a pistolettate lo sappiamo in pochi e dubito che qualcuna di queste persone sia in contatto con la malavita marsigliese che vorrebbe farle la festa. Non le pare? A meno che lei non voglia sospettare di qualcuno del suo entourage... >>. 
Ponsard scrollò le spalle <<Ma non ci penso neppure!>>. 
<<Appunto! Comunque, per farla sentire più sicuro, se lei è d’accordo, posso dislocare nuovamente qui uno dei miei uomini per proteggerla fino al termine del suo soggiorno. Le va bene? Così ora avrà ben due persone a sorvegliarla>> 
In quel momento, come evocato da Viccaro, Mauriot ci raggiunse e Ponsard gli scatenò addosso tutta la sua rabbia. 
<< Ah! Eccola qui! Con che faccia si presenta solo ora, eh? Lo sa che mentre lei era a giocare al casinò io potevo essere ucciso? Per cosa crede che la paghi? Per andare in gita a far bisboccia? O per fare il cascamorto con le cameriere?>>. 
Il poverino, aggredito con tanta veemenza, sbiancò in volto e provò a balbettare alcune scuse, ma ottenne solo di vedersi revocato l’incarico seduta stante. 

Inaspettatamente Milla intervenne in difesa del ragazzo <<Scusi professore se m’intrometto. Lei regoli come crede i suoi rapporti con il signor Mauriot, ma visto che due persone sorvegliano meglio di una e che il suo soggiorno durerà ancora per due settimane, le suggerirei di prendere una decisione in merito solo dopo la sua partenza da qui. Questo a prescindere dal fatto che, come certo ricorderà, lei lo aveva autorizzato alla gita a Venezia>>. 
Viccaro intervenne di rinforzo per fare notare che Chiariello non avrebbe potuto svolgere una sorveglianza a tempo pieno e che non avendo molti uomini a disposizione quello era il massimo che poteva garantirgli. Così alla fine Ponsard accettò di mantenere Mauriot in servizio fino alla fine delle attività. 
Verso le due di notte, ultimati i rilevamenti, i carabinieri se ne andarono e la quiete ritornò in albergo. Prima di infilarmi a letto, attesi che Milla uscisse dal bagno per avere finalmente il resoconto della serata a Venezia. <<Allora, com’è andata?>> 
<<Sono stanca morta. Comunque benissimo, direi... >>. 
Milla lasciò cadere con negligenza l’accappatoio lasciandomi il tempo di uno sguardo ammirato alle sue grazie, intanto che cercava la camicia da notte nel cassetto del comò. 
<<E’ piaciuta l’Antica Bessetta a Grouchy?>>. 
<<Quell’uomo è un entusiasta di tutto. Mi ha detto che vuole tornare per conto suo nel nostro albergo con sua moglie e in quanto al ristorante è andato in brodo di giuggiole già dall’antipasto di pesce.>> 
<<Questo lo immaginavo... e al casinò?>>. 
La mia compagna s’infilò nel letto cercando subito con i suoi piedi gelati le mie gambe calde. Superato quello choc termico e memore delle bellezze ammirate prima provai un timido tentativo di approccio, ma un leggero schiaffetto sulla mano mi fece capire che non era il momento adatto. 
<<Hanno giocato qualcosa la Pauline e Mauriot e hanno perso. Gli altri sono andati direttamente al bar a darci dentro con i vini e hanno speso più loro che quelli al tavolo da gioco… >>. 
<<A proposito di Mauriot… sei stata molto carina a difenderlo questa sera. Ho apprezzato la cosa. Scommetto che ti sentivi un po’ in colpa verso di lui>>. 
Milla mi guardò incredula di tanta ingenuità. 
<<Ma quale colpa? Cosa vuoi che me ne importi di quel cretino ipervitaminizzato? Se Ponsard lo licenziava e quello se ne tornava in Francia domani mattina perdevo due settimane di una stanza a novantamila lire giornaliere. Non ti pare? >> 
Di fronte ad una logica così stringente spensi la luce e mi abbandonai al sonno.

2 commenti:

  1. E sono arrivata a metà... :-).
    Si va avanti, incuriositi!!

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  2. bene, ci sono ancora tante cose che devono succedere... non rimarrai delusa (spero) :)

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