venerdì 27 marzo 2020

L'Enigma di Ponsard - Capitolo 5


La prima settimana di lezioni passò velocemente e senza particolari intoppi, non fosse che per il fatto che tre dei corsisti alloggiati in albergo si erano trasferiti armi e bagagli alla “Vigna d’oro”, ufficialmente per stare assieme agli altri, ma probabilmente per i costi sensibilmente inferiori. La cosa aveva fatto arrabbiare molto Milla che così vedeva assottigliarsi le sue prospettive di guadagno e fu causa di una telefonata risentita con il proprietario dell’albergo concorrente, che fu accusato di slealtà. Altri due piccoli inconvenienti di diverso genere si erano verificati quando il mio primogenito Gianmarco era stato bloccato a pochi metri dalla porta dell’aula con l’intenzione di mostrare a quei signori il suo nuovo mitragliatore spaziale a luci intermittenti e quando Paté, il mio lupacchiotto fifone, dopo aver abbaiato a tutto e tutti per giorni ed essersi meritato le poderose pedate di Giulio, era stato scoperto a divorare un avanzo di cucina stravaccato sul divanetto di velluto della hall. Ambedue i colpevoli di tali misfatti erano stati relegati in casa e sorvegliati a vista a turno da mia suocera e dal sottoscritto. La mia bambina, invece, passava tutto il giorno a scarabocchiare qualsiasi superficie con i pennarelli della mamma e non destava particolari preoccupazioni se non per il successivo costo degli imbianchini. 

Il professor Ponsard, dal canto suo, si confermava un osso duro, refrattario ad ogni tentativo di dialogo e, francamente, non si riusciva a capire se quel soggiorno gli fosse gradito o meno. Anche la sua compagna, la dottoressa Geminiani, sembrava sempre sulle sue, ma almeno si era resa protagonista di un episodio carino quando, dopo un sublime risotto con i bruscandoli, era entrata inaspettatamente in cucina a fare i suoi complimenti a mia suocera che era andata in confusione perché la signora Pauline, per farle meglio capire il concetto, le aveva stampato un bacione sulla fronte. Grouchy e i due assistenti, invece, pur senza baci alla cuoca, mangiavano e bevevano a quattro palmenti e lì si capiva bene che il soggiorno era gradito, tanto più che uno dei due ragazzi, ignorando la mia conoscenza del francese, aveva scommesso con l’altro che prima di andare via si sarebbe fatto “quella con le tette grosse”. Pensai deliziato a come avrebbe reagito Giulio e lo raccontai a Milla che prima rise a crepapelle e poi mi pregò di non farne parola con nessuno per salvaguardare l’incolumità fisica del giovanotto. 

La sera del venerdì, in ogni modo, era prevista la cena di gala per salutare ufficialmente gli ospiti e già dalle sei di sera, ora di chiusura delle lezioni, non si vedeva anima viva in giro per l’albergo, lasciando intendere che tutti erano nelle rispettive stanze a farsi belli. Anche noi eravamo immersi nei preparativi febbrili e pure se ogni cosa era stata pianificata e predisposta con cura da tempo, ci sembrava sempre di essere maledettamente con l’acqua alla gola. C’erano stati alcuni battibecchi incrociati tra Nadia, Maria e Giulio per il servizio in sala e Milla, immedesimandosi nel ruolo di Viccaro, aveva perfino arronzato Chiariello perché rispondeva <<Signorsì!>> a qualsiasi richiesta dei clienti, il ché la diceva lunga sulla sua reale identità. Mia suocera, invece, tritava carote, prezzemolo e cipolle da ore e farciva faraone con la consueta imperturbabilità. 

All’ora di cena, la palladiana della sala da pranzo, tirata a lucido e odorosa di cera, rifletteva come uno specchio la luce dei candelabri antichi che Milla aveva fatto disporre sui tavoli assieme ad una sua piccola composizione floreale. Obiettivamente, se non fosse stato per l’aspetto inquietante di Giulio, improvvisato sommelier dall’aria truce, il colpo d’occhio che offriva il salone sarebbe stato degno di un film di Visconti. 
Milla aveva fortunatamente abbandonato il suo tailleur grigio ferro che la faceva sembrare amichevole come una maestrina della svizzera tedesca ed aveva indossato una combinazione di gonna in velluto e camicetta di seta che la rendeva decisamente più attraente. Intorno alle sette scesero i nostri ospiti e non potei fare a meno di ammirare ancora una volta l’eleganza di Pauline Geminiani, fasciata in un semplicissimo tubino nero con un luccicante corpetto di lamé che le lasciava scoperte le spalle e con una certa malizia l’attaccatura del seno che, a mio parere, stava ancora su benissimo per conto suo e senza ferretti. Non potei che associarmi al giudizio di Giulio che sosteneva come quella donna, pur ben oltre la quarantina, fosse ancora in grado di far girare la testa a molti uomini (spergiurava anche che sarebbe stato disposto a cedere mezzo vigneto per una notte assieme, ma, visti i prezzi correnti dei terreni, non gli badai). 
Ponsard, da parte sua, aveva addosso un completo grigio piombo che faceva tanto notaio a un funerale e una cravatta inedita, assolutamente da dimenticare. I due ragazzetti francesi, invece, erano decisamente dissonanti, perché Jean-Luc indossava i jeans e un maglioncino slabbrato che aveva l’aria di essere uno di quegli orrori che ti fanno le morose che sferruzzano per farsi vedere brave dalla mamma e che poi sei costretto a portarti addosso per tutta una vita, mentre il suo compare Cristophe indossava un completo grigio chiaro che sembrava più adatto alla prima comunione che ad una cena di gala. Del resto, anche il gruppetto dei corsisti non brillava certo per raffinatezza, dividendosi in pari misura tra completi nocciola e qualche finto maglione Missoni. L’unico che poteva godere della mia incondizionata approvazione era Grouchy, inappuntabile nel suo abito blu notte arricchito da una bella cravatta in seta dai disegni minuti. 

Tra gli invitati, era presente anche la dottoressa Trevisan, la farmacista del paese, che, avendo fatto da tramite tra noi e il professore, si era meritata quella convocazione anelata da tempo. Infatti, alla signora, non pareva vero di avere una scusa per venire a curiosare nel nostro albergo e dire la sua su tutto. Comunque, per il momento, sembrava aggirarsi per le sale con l’aria soddisfatta, attaccando bottone con tutti quelli che trovava e abbuffandosi di salatini. 

Nell’occasione, non potei fare a meno di osservare con un certo divertimento la nostra amica e non soltanto per il suo tragico vestito di velluto blu elettrico con collettino di volpe. Mi ero reso conto che prima d’allora, non l’avevo mai osservata in versione “intera”. Infatti, l’avevo sempre vista in camice e a mezzo busto dietro il bancone della farmacia, tanto è vero che non mi ero mai accorto di come la signora fosse così massiccia nei lombi posteriori e di quanto grosse e corte fossero le sue gambe. Del resto quella donna non mi era molto simpatica, vuoi per il suo carattere impiccione, vuoi perché ogni volta che le andavo a raccontare dei miei malanni ne minimizzava sempre la serietà e, soprattutto, cercava senza sosta di rifilarmi una delle sue costosissime tisane o medicine omeopatiche. Cercai comunque di fare l’anfitrione, come mi era stato raccomandato e le andai incontro. La nostra farmacista sembrò stranamente sorpresa nel vedermi. 
<<Oh! Carissimo! Ma è anche lei qui?>> 
<<Sì, certo! Del resto sono il proprietario dell’albergo>>. 
<<Lo so! Lo so… la sua signora me lo ribadisce sempre. Volevo solo dire che non sapevo che anche lei questa sera fosse qui a cena con noi. In questo caso la prenoto subito per il mio tavolo>>. 
Maria passò nei pressi con il vassoio degli aperitivi e la Trevisan ne acchiappò uno al volo, poi, dopo aver sollevato il flute verso di me accennando ad un brindisi, lo bevve d'un fiato e fece il gesto di posarlo in bilico sulla cornice di marmo del caminetto. Ricordando il costo di quel servizio di Murano, le tolsi di mano il bicchiere vuoto e cercai con la coda dell’occhio un posto dove posarlo in sicurezza, mentre respingevo con garbo la sua proposta <<Purtroppo, cara signora, anche se ne sarei felicissimo, con grande rammarico non potrò farle compagnia. Devo dare una mano in sala. Questo per noi è il battesimo del fuoco e serve una persona della mia esperienza>>. 
<<Appunto! Scusi dottoressa se glielo porto via, ma il giovanotto esperto serve subito altrove>> 

Milla, sbucata dal nulla come un falco, mi prese sottobraccio e mi portò con sé verso le cucine mentre la Trevisan, privata del suo cavaliere, andava a prendere posto a tavola. Subito dopo, la mia compagna mi sussurrò perfida all’orecchio <<Perché, invece di ciondolare per il salone a berti gli aperitivi degli ospiti, non vai in cucina a dare una mano alla mamma?>>. 
Protestai risolutamente alzando la voce <<Camilla! Guarda che non è mio questo calice! E’della Trevisan! Le stavo solo impedendo di decimarti il servizio di Carlo Moretti>>. 
La mia reazione seccata indusse Milla al sorriso. 
<<Sì, va bene! Povero amore mio accusato ingiustamente mentre voleva fare l’eroe! Ho visto male. Scusami. Comunque, dai una mano alla mamma che è in crisi con le faraone. Aiutala a versare la salsa pevarada nelle ciotoline quando sarà il momento di servirla>>. 
Così feci il mio ingresso in cucina proprio mentre Maria e Nadia ne uscivano con i carrelli fumanti della zuppa di ortiche. 
Mia suocera sembrava uno di quei fuochisti cinesi dei racconti di Conrad, sudati, anneriti dal carbone e avvolti dal vapore della sala macchine di qualche decrepito battello sul fiume Yang Tze. 
Mi fece tenerezza e mi offrii volentieri di darle una mano ad impiattare le faraone, ma dopo averne squartata irreparabilmente una con il trinciapollo venni subito dirottato ad altre mansioni. Così mi adoperai di buon grado a prendere la pentola della pevarada ricavandone una discreta scottatura perché nessuno mi aveva avvisato che era stata appena ritirata dal fuoco. Comunque, resistendo stoicamente al dolore, alla fine le venti ciotoline furono pronte, anche se la signora Lucia trovò da ridire sul fatto che era troppo presto e che la salsa si sarebbe rappresa. 
Così, esentato da ogni compito per manifesta inettitudine al ruolo, mi disposi ad aspettare il rientro di Maria e Nadia dal salone con lo stesso animo con cui a Bordeaux il comandante di Betasom aspettava il rientro alla base dei nostri sommergibili dalle insidie dell’Atlantico. 

Nadia tornò dal primo giro in sala per le comande tutta rossa in viso e con un’espressione a metà strada tra l’imbarazzato e il lusingato. Era chiaro a prima vista che doveva esserle successo qualcosa d’insolito e che non vedeva l’ora di parlarne con qualcuno, così l’accontentai. <<C’è qualche problema, Nadia?>>. 
Come previsto, mia cognata non aspettava altro <<Lo sa che il suo professor el xe un bel macaco? Anzi, par dirla nel merito, el ga da esser un bel porsèo con le donne>>, 
<<Perché? Cosa le ha fatto? Ha allungato le mani?>> 
<<Nooo, poareto! Quello no, perché altrimenti ghe rivava uno stramusòn che lo ribaltavo con tutta la cadrèga>>. 
Il mio sguardo cadde con apprensione sui poderosi bicipiti della giovane <<Non ne dubito. E allora? Che ha fatto?>>. 
<<Niente… gero drio a servir la minestra alla signora e ho fatto cadere il bicchiere del professore>> 
<<Si è macchiato?>> 
<<Ma no! Era il bicchiere dell’acqua! Si è solo bagnato i pantaloni>>. 
<<Per fortuna! E lui come l’ha presa? Male, immagino>> 
<<No, anzi… prima me ga fatto tutto un discorso in ostrogoto che no go capìo, poi me ga fatto un complimento sulle tette! >> . Nadia sorrise nel dirlo, perché si capiva che in fondo ne era compiaciuta. 
<<Sulle tette? Ne è sicura? I francesi non usano questo termine>> 
<<Certo che lo usano! Me ga dito che ho le tette di qualcosa… go capìo ben sa? 
<<Qualcosa come?>> 
<<Non lo so. Qualcosa come buà o puà. Comunque gà da esser roba che se lo sente Giulio lo còpa de pugni.>> 
Un sospetto si fece subito strada nella mia mente. 
<<Per caso, ha detto: “Tête de bois”?>> 
Nadia s’illuminò, estasiata dal mio sapere <<Si! Ecco! El ga dito proprio così! Cosa vuol dire?>>. 

Mi morsi le labbra per non ridere, poi mi sforzai di darle una risposta plausibile <<Non si preoccupi, Nadia. I francesi sono sempre molto galanti con le donne, ma lo fanno in modo innocente, senza malizia. Il professore ha notato che ha un bel seno sodo, lo ha apprezzato e le ha detto che deve essere duro come il legno. Noi diciamo come il ferro, loro dicono come il legno. Era solo un complimento simpatico, niente di più. Poi, lo ha detto di fronte alla sua compagna, no? La signora Geminiani le è parsa seccata? >> 
<<No, nol me par… no la gà dito niente.>> 
<<Lo vede? Se la signora non ha reagito, vuol dire che per un francese è un complimento normale, quindi: non si preoccupi! Comunque, è pronto il carrello delle insalate, faccia un nuovo giro in sala>>. Nadia, rassicurata da quest’ultima considerazione, obbedì docile e partì alla volta dei commensali trascinandosi via il carrello con la stessa grazia con cui l’avrebbe fatto con quello del supermercato. 

Anche Maria, nel frattempo era rientrata in cucina, così mi diede l’opportunità di organizzare uno scambio precauzionale di consegne <<Maria, sia gentile. Senza farle capire che l’ho chiesto io, si metta d’accordo con Nadia e si prenda cura lei del professore e della sua signora. Lasci che mia cognata si prenda cura del tavolo degli assistenti e dei corsisti, lì c’è meno pericolo>>. 
Maria sorrise maliziosa e nuovamente non potei fare a meno di notare quanto fosse graziosa nel farlo. Poi, con un guizzo di perfidia negli occhi mi chiese <<Lo ha già saputo di Nadia?>>. 
<<Sì, poverina, e meno male che non sa il francese>>. 
<<Io la stavo per difendere, ma poi ho visto che per fortuna non comprendeva>>. 
<<Già, pensava che il professore ce l’avesse con le sue tette. Con tutti i commenti che le facevano quando era al bar, ormai deve avere proprio il chiodo fisso lì sul davanzale!>> 
Nel dirlo, tirai con le mani il davanti del maglione per simulare i seni prosperosi di Nadia, così Maria scoppiò a ridere e mi coinvolse inevitabilmente in una risata irrefrenabile che s’interruppe solo per l’arrivo di Milla, ovviamente attirata da quel chiasso. <<Beh? Cos’è tutta questa allegria? Posso saperlo anch’io?>>. 

Mi asciugai le lacrime con il grembiule e misi al corrente dell’accaduto la mia compagna che sbottò pure lei in una risata altrettanto contagiosa. Finalmente, ristabilito un minimo di serietà, mia moglie annunciò che intendeva parlarmi in privato, così Maria fu rispedita in sala. 
Appena soli, Milla mi prese sottobraccio e si capiva che non era per nulla soddisfatta di qualche cosa. <<Tu prima di cena non hai controllato la sala da pranzo e l’addobbo dei tavoli come ti avevo chiesto, vero?>>. 
<<No, perché? Oggi l’hanno apparecchiata Maria e Nadia>>. 
<<Già! Si vede! Ci sono tutte le posate avvolte nei tovaglioli, come in pizzeria! Capisci? Mettiamo i candelabri sul tavolo, le tovaglie in lino di Fiandra e i bicchieri in vetro di Murano e poi due sgallettate qualsiasi ci mettono in tavola le posate d’argento arrotolate nei tovaglioli, come per mangiare una pizza quattro stagioni. Comunque, visto che ci tenevi tanto a fare il maestro di cerimonia, hai insegnato loro almeno come si dispongono i bicchieri?>>. 
<<No, davo per scontato che lo sapessero>>. 
<<Già, tu dai sempre troppe cose per scontate. Infatti, li hanno messi alla rinfusa. E se proprio vuoi saperlo, Nadia e Maria servono i commensali regolarmente dal lato sbagliato e questa sera hanno lasciato i piatti sporchi in bella vista sul carrello di servizio parcheggiato in sala e non hanno cambiato le posate. Un disastro, insomma!>> 
<<Beh! Scusami, mi rendo conto che ho mancato. Però sapevo che Maria aveva fatto esperienza in sala e mi sono fidato. Anzi, le ho chiesto di dare qualche consiglio a Nadia. Anche tu le hai dato fiducia, no?>> 
<<Sì, ma solo per le stanze. E poi io almeno prima mi informo. La trattoria “La carbonaia” di Perugia dove ha servito è una piccola pizzeria frequentata da studenti, dove è già tanto se non ti servono il piatto di portata con il pollice dentro. Non è proprio il tipo di esperienza adatta al tono che vorremmo avere. Comunque, ormai è andata. Però, questa sera, quando prepareranno i tavoli per le prime colazioni di domani, tu ti metterai lì e dirai loro tutto quello che devono sapere. Dici sempre di essere il depositario del bon ton, dunque dimostralo. Domani mattina voglio vedere finalmente dei tavoli irreprensibili e vedi di farci mettere anche dei fiori freschi che quelli di oggi sembravano rubati al cimitero>> 
<<Per i fiori devi rivolgerti a Giulio, è lui che li va a comperare. Per me li prende nei campi per fare la cresta sui soldi che gli dai>> 
La considerazione strappò un mezzo sorriso a Milla. 
<<Si! Va bene. Comunque diglielo tu, perché sai che io poi ci litigo>> 
Milla girò sui tacchi diretta verso il ristorante, poi, colta da un pensiero improvviso, si voltò per un’altra raccomandazione <<Ah! Dimenticavo… già che ci sei, spiega a Nadia che déjeuner vuol dire prima colazione, altrimenti qualcuno prima o poi digiunerà!>>. 
Finsi stupore. <<Ma come? Non le avevi fatto la lista delle parole utili? Non mi dire che non ha funzionato>> .
La punzecchiatura colse nel segno perché la mia compagna, dopo aver sollevato il dito medio per un suggerimento inaccettabile, girò sui tacchi e tornò dai nostri ospiti. 

Dopo cena, in un clima più rilassato, Milla e il professor Grouchy, dichiaratosi con nostra sorpresa esperto di tango figurato, aprirono le danze al suono di Astor Piazzolla e Carlitos Gardel, subito imitati da Pauline e altri corsisti. Uno degli assistenti, con grande senso del dovere, si prese cura della Trevisan che sembrava al settimo cielo ed era visibilmente rubizza in volto, segno che aveva gradito anche le bevande. Ponsard, invece, confermando la sua natura da orso, si era seduto in poltrona al mio fianco. Si capiva che, come me, non amava affatto ballare e non comprendeva quelli che se ne dilettavano. Così scattò un’improvvisa solidarietà tra uomini e mi rivolse sorprendentemente la parola. 
<<Quella è la sua signora, vero?>> mi disse indicando Milla impegnata in un passo incrociato. 
<<Sì, certo, lo ammetto>>. 
<<Perché dice questo? E’ una donna non comune>>. 
<<Su questo non c’è dubbio>>. 
<<Lei dovrebbe esserne fiero>>. 
<<Trova?>>. 
<<Sì. Ha un carattere forte e insolito per una donna. Dovrei dire che sembra un po’ una border line, perché si vede che è un’irrequieta perennemente in bilico tra la stabilità e gli eccessi, ma questi ultimi li vive con ironia e molto garbo. Una donna comunque affascinante>>. 
<<Concordo sugli eccessi, meno sull’ironia. Comunque, mia moglie è la classica Mirandolina veneta. La incarna perfettamente nelle astuzie e nella decisione nel cogliere gli obiettivi. Sa trattare le persone con un garbo che la fa sembrare dolce e accomodante, ma in realtà nasconde un carattere forte, da dominatrice. Se lei conosce Goldoni, saprà bene a cosa alludo>>. 
<<Certamente. E poi è brava perché riesce perfino a smuovere quella lumaca di Grouchy!>>. 
<<Già! Grouchy… nome impegnativo e imbarazzante per un francese, no?>> 
Il professore sembrò sorpreso dalla mia considerazione. <<Lei conosce la nostra storia?>> 
<<Beh, si! Grouchy è il generale che a Waterloo non comprese gli ordini e muovendosi in grave ritardo per impedire il congiungimento dei prussiani di Blucher alle truppe di Wellington trasformò quella che poteva essere una grande vittoria in una catastrofe per Napoleone>>. 
<<E’ proprio così! Complimenti, credevo che voi italiani studiaste soltanto quel vostro Garibaldi>>. 
<<Affatto! E poi, da veneziano, con tutto quello che Napoleone ha rubato alla nostra città, come potrei ignorarlo?>>. 
Ponsard accennò ad un sorriso, così, anche per ribattere a quella battuta così sciovinistica sui nostri studi storici, arrischiai una nuova stoccata. <<In ogni caso e per amor di verità, Grouchy non fu la causa della disfatta di Napoleone. Altri, prima di lui, avevano gettato le basi della sconfitta e lo stesso vostro Imperatore ci aveva capito poco della situazione tattica di quel giorno, tanto da essere sorpreso dagli eventi>>. 
<<Napoleone fu un genio militare al pari solo di Cesare e Alessandro Magno. Il suo, caro amico, è un giudizio azzardato, ma ne parleremo>>. 
<<Molto volentieri… piuttosto, vorrei farle i complimenti per il suo italiano. E’ perfetto. Devo supporre che lei venga spesso in Italia>>. 
<< Sì, qui da voi mi trovo molto bene, e poi, in realtà, agli inizi degli anni sessanta ho abitato per due anni in un paese vicino al lago di Garda >>. 
<< Ah! E’ stato per via del suo lavoro? >>. 
<< Diciamo di si… ma, tornando alla sua signora, come vi siete conosciuti?>>. 
<<E’ una storia curiosa: il nostro primo incontro è stato a Venezia agli inizi degli anni ’70. Partecipavamo ad una manifestazione studentesca per il Vietnam e il destino ha voluto che l’aiutassi a scappare da una carica della polizia. 
Ci siamo nascosti nell’androne di un palazzo e lì, durante quel breve tempo passato insieme è nato un piccolo colpo di fulmine, anche se del tutto platonico. Poi ci siamo persi di vista per quindici anni e ci siamo incontrati casualmente su un treno. Lì il fuoco che covava sotto la cenere si è riattizzato, abbiamo messo al mondo due figli, lasciato i nostri lavori e ci siamo trasferiti qui da mia suocera a fare gli albergatori>>. 
<< Di cosa si occupava la sua signora in precedenza?>>. 

Presi atto con una punta di gelosia, che, delle mie occupazioni precedenti, sulle quali avrei potuto intrattenerlo tutta la sera, a Ponsard non gliene importava un fico secco, essendo Milla al centro delle sue attenzioni. In ogni caso, non gli feci vedere di aver accusato il colpo. 
<<Mia moglie è architetta. Ha progettato lei la ristrutturazione e gli arredi dell’albergo e siccome è una buona vignettista disegna ancora per una casa di fumetti>>. 
<<Ah! Fumetti per bambini?>> 
Guardai il professore con un certo imbarazzo, poi decisi che tra uomini di mondo la rivelazione sulla vera natura di quei disegni ci potesse anche stare.<<No… sono fumetti un po’ speciali. Per adulti, insomma>>. 
Ponsard rise divertito <<L’ho detto che sua moglie è una donna fuori dal comune. Lo vede? E’ straordinario! Una donna che disegna fumetti osè… la sessualità maschile interpretata al femminile. Davvero intrigante!>> 
<< Sì, lo ammetto, è veramente speciale!>> 

In quel momento Ponsard allungò il braccio per prendere il caffè che Maria gli stava porgendo sul vassoio e notai che aveva tatuato sul polso un paracadute con due pugnali incrociati e, subito sotto, quattro carte da gioco, con l’asso di picche in evidenza. Così mi venne spontaneo domandargli di che si trattasse. Lui, però, sembrò abbastanza infastidito dalla domanda e dal fatto che l’avessi notato, infatti, la sua risposta fu molto evasiva e pose termine alla nostra conversazione. 
<<Nulla di particolare. Ho fatto il militare nei paracadutisti e quel tatuaggio è la classica stupidaggine giovanile. Ora mi scusi, che sono molto stanco e mi ritiro in camera. Mi saluti la sua signora e le faccia i complimenti per la serata. Anzi, le dica che aspetto assolutamente un suo fumetto con la dedica… >>. Così, dopo avermi salutato, fece un cenno a Pauline per avvisarla che tornava in camera e se ne andò, non prima di aver ordinato a Maria di portargli il solito bicchiere di latte freddo. 

Alla fine della serata, quando ormai tutti gli ospiti erano sulla strada del ritorno o nei loro letti, andai da Milla per commentare il ricevimento e anche per gratificarla con gli apprezzamenti del professore, che certamente l’avrebbero lusingata. Invece la mia compagna, che stava dando le ultime istruzioni a Nadia e Maria per predisporre la sala per le colazioni del mattino, sembrava avere in testa ben altro e mi fece cenno che doveva parlarmi. Così, arraffati due flute di prosecco da un vassoio abbandonato, mi accomodai sul divano attendendola. 

Di lì a poco Milla, che stava parlottando con Chiariello, mi raggiunse e notai subito che era eccitata per qualcosa. Provai ad anticiparla. <<L’Arma ha scoperto qualcosa?>> 
<<Chi, quello? No, figurati. Se ci fosse un elefante in giardino non lo vedrebbe. Era tutto agitato perché ha chiesto alla mamma a che ora doveva ripresentarsi domani e lei gli ha risposto “a un boto”. Così è andato in crisi e siccome ha soggezione della mamma è venuto a domandare a me che diavolo di ora fosse questo “boto” >>. 
<<Naturalmente non ha pensato al botto di cannone a mezzogiorno. Comunque, sai che ho parlato con Ponsard?>>. 
<<Ah si? Bene, bravo. Poi me lo racconti>> 
<<Perché dopo?>> 
<<Ho saputo qualcosa di molto interessante di cui vorrei parlare con te>>. 
<<Caspita! Sarebbe?>> 
Milla si accomodò di fronte a me, poi dopo aver bevuto un piccolo sorso di prosecco, mi rivelò la sua scoperta. 
<<Uno dei corsisti è fasullo!>> 
<<In che senso? Dal punto di vista sessuale?>> 
<<Macché! Nel senso che non è quello che dice di essere>> 
<<Ma come fai a dirlo?>> 
<<Si tratta di quel Dorcet che alloggia qui da noi. Sai quel giovanotto moro, con i capelli pieni di brillantina e che sembra abbronzato con la lampada? La Trevisan lo ha riconosciuto perché si erano incrociati in albergo a Vicenza durante il precedente corso di Ponsard >>. 
<<Beh… ma, se escludiamo l’uso della brillantina, è un po’ poco per sospettare di una persona!>> 
<<Sì, certo, però questa volta la Trevisan si è seduta accanto a lui a tavola e dopo aver scambiato qualche frase si è accorta che, anche se si spaccia per un promotore farmaceutico come gli altri, in realtà non ne sa nulla. E la società per cui dice di lavorare secondo la nostra amica non esiste più da almeno quattro anni perché è stata assorbita da un altro gruppo industriale >>. 

Guardai Milla con aria scettica. In fondo quelle rivelazioni non mi parevano un granché <<Ammetto che la pista appare interessante, però, a parte la possibilità di equivoci linguistici, è anche possibile che quel poveraccio pur di cavarsi di torno quell’impicciona della Trevisan le abbia sparato quattro cavolate inventate lì per lì. E poi non è obbligatorio essere promotori farmaceutici per seguire un corso sulla comunicazione efficace. Quello, magari è un impiegato delle poste francesi o un bancario che vuole sgomentare di meno i clienti. Che ne sappiamo? >> 
<<Tutto giusto. Peccato però che prima sia andata a riguardarmi l’elenco dei partecipanti che Ponsard ci ha fatto mettere nelle cartelline dei corsisti e questo Dorcet è indicato come proveniente dalla stessa azienda per la quale ha raccontato alla Trevisan di lavorare. Ti pare poco?>>. 
Ridacchiai benevolo per tanta ostinazione nel non vedere le spiegazioni più innocenti <<Camilla, perdonami se insisto. Capisco che saresti felice di dare a Viccaro una speranza d’indagine, visto che ti ha nominata carabiniere sul campo, ma devi considerare che la Trevisan non è detto che conosca vita, morte e miracoli di ogni azienda farmaceutica mondiale. Magari si confonde con qualcosa d’altro e l’azienda di questo Dorcet è ancora viva e vegeta. Poi, anche il fatto che questo tizio sembri saperne poco di medicinali, non mi pare decisivo. Può essere uno alle prime armi e, comunque, dopo tutto il lavoro che ho fatto nelle concessionarie, devi credermi: non sarebbe il primo venditore che non conosce i prodotti che vende! >>. 

La faccenda della sua nomina a carabiniere, come immaginavo, non piacque molto alla mia signora che mi gratificò subito con un pittoresco insulto veneto, salvo poi ammettere in qualche modo che le mie tesi erano fondate. <<Comunque… anche se sono d’accordo che non è ancora il caso di scomodare Viccaro, io questo signor Dorcet lo voglio vedere nel bianco degli occhi>> 
<<Marcamento a uomo?>> 
Milla annuì minacciosa <<Sì, e se occorre, anche entrata sulle caviglie>>. 
Così, dopo aver addensato nubi sinistre sul capo dell’ignaro signor Dorcet, ci ritirammo nelle nostre stanze per un meritato riposo.

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