E arrivò così il grande giorno dei francesi, che sarebbe restato nella memoria di tutti noi un po’ come il D-day in quella dei nostri cugini d’oltralpe. Le macchine degli ospiti arrivarono a metà pomeriggio precedute alla spicciolata dall’arrivo di alcuni dei corsisti italiani, del sedicente greco marchigiano e di uno di quelli francesi. Ad accoglierle, tutto lo stato maggiore dell’albergo schierato in parata, con Milla in elegantissimo tailleur grigio ferro e filo di perle, ancorché in agitazione da ore, Maria e Nadia in grembiulino nero con il fiocco, che su mia cognata suggeriva l’idea che stesse portando in dono due uova di pasqua e Giulio e Chiariello convocati come portatori di valigie. Io, invece, magnificando le mie buone conoscenze della lingua, ero stato dislocato strategicamente al bureau. Mia suocera, infine, era stata celata alla vista e rinchiusa nella sua roccaforte di fornelli e pentole.
Il professor Ponsard si rivelò esattamente il contrario di come lo avevo concepito nelle mie fantasie. Seguendo il corso dei miei stereotipi mentali e degli umori, lo immaginavo a volte come il classico barone universitario, di portamento austero, ieratico e poco incline alle confidenze, altre volte come un raffinato gourmet innamorato del foie gras e autorevole esperto di formaggi erborinati. Un piacevole conversatore capace di distinguere quello barricato tra cento vini diversi e solo da un riflesso nel bicchiere. Ultimamente, forse per l’influsso di qualche film, ero giunto a vederlo come un tipo alla Yves Montand: un viveur di classe, smaliziato e piacione con il gentil sesso. Uno di quelli che gli basta un ammiccamento e una canzoncina per vedersi cascare tra le braccia anche la donna più morigerata. Invece, mi ritrovai di fronte un traccagno stempiato, sulla sessantina, non molto alto e con un accenno di pinguedine. Insomma, più che ad un Yves Montand o ad un Poirot, il professore assomigliava ingloriosamente ad un Luis De Funès stagionato e non aveva proprio l’aria del leader carismatico, quanto quella del burocrate ministerale. Notai anche che indossava un’imbarazzante cravatta fantasia sopra una camicia a quadrettini tipo tovagliato di trattoria sul Piave e la cosa, unitamente al fatto che non aveva concesso strette di mano ad alcuno se non a Milla, lo fece sprofondare definitivamente nella mia considerazione. L’unico aspetto positivo dell’uomo era che, anche se di primo acchito ti si rivolgeva in francese, parlava inaspettatamente un ottimo italiano e questo fatto, anche se dava l’impressione di usare la nostra lingua malvolentieri, sembrava facilitare di molto il nostro compito.
Al suo seguito faceva un netto contrasto la dottoressa Geminiani, una bella signora sulla quarantina abbondante, molto alta e forse un po’statuaria, sicuramente nordica nei lineamenti, con i capelli raccolti sulla nuca e due occhi azzurri incantevoli, che ci fu presentata come una partner senior della società. La squadra era completata da una coppia di giovanotti, Jean-Pierre Darcy e Cristophe Genot. Due assistenti di primo pelo che, da come scattavano agli ordini del professore, sembravano in buona sostanza l’equivalente francese degli appuntati Chiariello e Paullo.
Assegnando le stanze mi fu subito chiaro che i rapporti tra il professor Ponsard e la partner senior Geminiani non si limitavano solo alla sfera professionale, visto che i due dormivano assieme e l’indiscrezione piccante, subito arrivata grazie a Giulio nelle cucine dell’albergo, tenne subito banco nei pettegolezzi tra Nadia e mia suocera che aveva spiato gli ospiti dalla porta socchiusa. Le considerazioni delle due intellettuali, partendo dal quesito iniziale su come una donna tanto attraente potesse stare assieme ad un uomo che lo era così poco, si indirizzarono subito verso una vasta gamma d’ipotesi che, avvalorate dalla citazione di intere annate di Bolero Film, Gente e Novella 2000, spaziavano dalla sete di denaro, alla bramosia di potere, fino al meretricio vero e proprio. La mia ipotesi che i due potessero stare assieme perché erano davvero innamorati o anche solo per affinità elettive indotte dalla comune cultura fu rigettata con sdegno e venni bollato come inguaribile ingenuo.
Qualche ora dopo, quando i nostri ospiti erano ormai sotto la doccia, arrivò buon ultimo il professor Grouchy, persona gentile e garbata, che a Vittorio Veneto aveva proseguito dritto per il Fadalto ed era arrivato sino a Ponte nelle Alpi prima di essere colto dal sospetto di aver sbagliato strada. Dopodiché, lo sventurato, seguendo le indicazioni di qualche buontempone, invece di tornare indietro aveva seguito la statale feltrina perdendosi nuovamente tra i paesi. Il professore, molto seccato per il ritardo, gli aveva lasciato detto che intendeva fare un briefing con tutti i collaboratori prima di cena e che non osasse mancarvi. Così il poveretto, dopo averci appena accennato alla sua odissea per le strade del bellunese, tracannò tutto d’un fiato il drink di benvenuto e poi corse su a cambiarsi in fretta e furia.
Subito dopo, mentre Milla e Giulio finivano di dare gli ultimi ritocchi alla sala da pranzo, mi affacciai in cucina per vedere se tutto fosse pronto. I fuochi erano ormai spenti, tranne la pentola delle patate lesse che sobbolliva quieta, ma dal profumo delizioso che proveniva dal forno dove si rosolavano le quaglie all’uva mi fu subito chiaro come tutto fosse predisposto a dovere. Mia suocera, che teneva in mano un foglio con un lungo elenco di parole, era seduta di fronte a Nadia che le ripeteva la lezioncina con l’aria della scolaretta volonterosa <<Cucchiaio el se dise “Cuiller“, el cortèo se dise “Couteau” e la forchetta “Fourchette”>>.
La signora Lucia annuiva e ad ogni risposta esatta il seno di mia cognata si sollevava per il sospiro di sollievo. Osservai lo sguardo di mia suocera: era assolutamente opaco, come quando qualcosa travalicava la sua capacità di comprensione. Ciononostante, non potei fare a meno di considerare con ammirazione l’organizzazione meticolosa di Milla. Così, compiaciuto di come andavano le cose, chiusi delicatamente la porta per non turbare quel quadretto idilliaco.
La prima cena dei nostri ospiti fu molto frugale e cominciò con oltre quaranta minuti di ritardo, perché Ponsard e i suoi collaboratori si erano rinchiusi in un salottino a fare i piani di battaglia per l’indomani e sembravano non uscirne più. Mia suocera, in ansia per le sorti del suo risotto con le zucchine, continuava ad affacciarsi alla porta della cucina con la stessa puntualità dei Re magi sulla Torre dell’orologio di Piazza San Marco, mentre Nadia e Maria, di piantone davanti alla sala da pranzo, seguitavano imperterrite a far commenti e pettegolezzi sugli ospiti e a spiluzzicare olive e salatini dalle coppette per gli aperitivi. Anche il sommelier Giulio, non sembrava affatto gradire quel ritardo, tanto che ad un certo punto si rivolse poco urbanamente alla sorella minacciando che se quelli non fossero venuti fuori dalla stanza entro cinque minuti lui se ne sarebbe andato a mangiare a casa e l’indomani li avrebbe mandati alla pizzeria in paese.
Alla fine, i nostri ospiti fecero capolino in sala da pranzo e la cena durò sì e no venti minuti, giusto il tempo per un’insalata, il risotto e una fettina di crostata. Poi il professore, molto militarmente, mandò tutti a nanna, con la scusa che all'indomani si sarebbero dovuti alzare presto e si congedò. Così, la nostra prima serata con i francesi ebbe termine repentinamente senza neanche la soddisfazione di capire se avessero gradito o no l’accoglienza e la cena. Si trattennero al bar qualche minuto in più, tanto per un bicchierino di whisky, due signori di Grosseto alloggiati alla “Vigna d’oro” e che passarono quel breve tempo a sparlare di mezzo mondo con toni grossolani. Poi, dopo aver chiesto a Giulio se vi fossero locali aperti nella zona per tirare tardi in allegria, sparirono nella notte alla ricerca di avventure improbabili.
Verso la mezzanotte, rimasti finalmente soli, Milla mi si avvicinò con un’aria strana, tanto che mi misi subito sulla difensiva. <<Che te ne pare?>> la mia compagna si abbandonò sfinita sul divano e mi fece cenno di raggiungerla. Mi accomodai vicino a lei e Milla mi mise le braccia attorno al collo e si rannicchiò vicino a me.
<<Direi bene, mi pare che il cibo sia stato gradito. Ho visto che i ragazzi hanno spazzolato tutto>>.
<<Sì, per fortuna la cena è andata bene. Mi spiace solo che quasi nessuno abbia preso il secondo, con tutto quello che ci ha messo la mamma per prepararlo>>.
<<Non hanno mangiato le quaglie all’uva? E’ un sacrilegio inaudito!>>
<<Appunto! Comunque le ho messe in frigo e domani ce le riscalderemo per noi. Piuttosto, volevo sapere cosa te ne pare degli ospiti >>.
<<Beh! Ponsard non è un mostro di simpatia. Ha salutato solo te, a noi non ci ha degnati di uno sguardo, come se fossimo trasparenti. E poi, hai visto come guardava tutto con il nasino all’insù?>>.
<<Tipicamente francese>>.
<<Invece la sua compagna, la Pauline, mi sembra un poco più docile. Anche se pure lei a volte sembra che ti guardi dall’alto in basso come la nobildonna che si degna di ricevere i sudditi, ma forse è solo timida, oppure, vivendo in simbiosi con Ponsard, ne ha assimilato i comportamenti. Comunque, hai visto come era elegante con quell’abito? Che classe! Semplice, ma raffinato>>
<<Ne ho visti di meglio… e gli altri?>>
<<Gli altri mi sembrano più malleabili. Quel Grouchy mi pare una brava persona e i due ragazzi non destano preoccupazioni. Piuttosto, mi pare che i corsisti siano abbastanza di livello basso. Altro che manager… quelli che ho visto, al massimo vanno a vendere le enciclopedie porta a porta!>>
La considerazione non scalfì l’umore di Milla che evidentemente voleva proseguire a battere un altro tasto. <<Quindi, tra tutto il gruppo, l’unica che salvi è quella Pauline?>>.
<<Sì … ha un bellissimo viso e mi sembra molto raffinata, l’archetipo della signora colta e di gran classe, un po’ come Ingrid Bergman in “Indiscreto”>>
La sua domanda non era affatto innocente ed apparteneva a quella serie di quesiti del tipo “Mi trovi ingrassata?” o “Come mi sta questo vestito?” che nella logica femminile significano: “E’ tanto tempo che non litighiamo... ”, ma io ci cascai dentro fino al collo. Infatti, preso dal piacere della citazione, dimenticai imprudentemente che così facendo buttavo benzina sul fuoco dell’eterna competizione tra le donne. Eppure, ben sapendo quale tragedia avesse scatenato Paride porgendo quella benedetta mela alla donna sbagliata, avrei dovuto ricordare che elementari regole di prudenza suggeriscono di non parlar mai bene di una nuova presenza femminile ad una donna che già conosci, tanto più se è tua moglie. Anzi, per evitare guai, bisognerebbe perfino far finta di non averla notata. Basterebbe, a tal proposito, aver presente come una donna in spiaggia osservi diversamente da noi l’arrivo di una nuova vicina d’ombrellone. Noi aspettiamo di vederla finalmente in costume per ammirarne le forme. Il nostro fine è, almeno inizialmente, di tipo estetico e comunque innocente almeno fino al momento in cui cominciamo a valutarla in termini di scopabilità. La nostra lei, al contrario, attende perfidamente di vedere la rivale in costume per controllarne di persona il numero delle smagliature, la consistenza delle masse cellulitiche e l’eventuale gluteo o seno cadente per farti poi notare il tutto puntigliosamente. Il suo fine, in questo caso, è esclusivamente l’annientamento dell’avversaria. Infatti, lo sguardo di Milla cambiò colore e diventò intenso come quello della sua gatta Olivia quando studiava bene le mie mosse per graffiarmi con comodo.
<<A parte che il tuo archetipo di donna fascinosa ha già superato i quaranta da un bel pezzo e si tiene su disperatamente con il trucco, visto che è il trionfo del mascara e del fondotinta, se parliamo di portamento è rigida come una scopa e, in quanto a classe, ti basti sapere che ha portato il purè alla bocca con il coltello. Ha solo delle discrete tette, ma probabilmente ha il reggiseno con i ferretti. Se solo lo sgancia, crolla l’impalcatura. Vuoi ancora dell’altro?>>
Allargai le braccia rassegnato. La bordata di un’intera fiancata di cannoni della galea da guerra veneta aveva sbriciolato l’innocente vascello francese.
<<Colpita e affondata! Ritiro tutto. Ammetto di essere orbo e di aver scambiato una vecchia cariatide per una donna incantevole >>.
Milla sorrise soddisfatta e mi diede una pacchetta cordiale sulle ginocchia
<<Bravo! Così va meglio>>.
<<Non sarai mica gelosa?>>
<<Diciamo che, nonostante i tuoi sforzi per convincermi del contrario, provo ancora un certo interesse per te>>.
<<Di quali sforzi parli? Se ti riferisci a questi giorni, dovrai ammettere che mi sono dato da fare e ho sgobbato come un mulo>>
Così cominciai inevitabilmente tutta la tiritera sul mio contributo alla causa comune, ma giunto neppure a metà dell’ elenco mi accorsi che Milla si guardava attorno pensierosa ed era chiaro che aveva la testa altrove. Infatti, cambiò improvvisamente tono <<Senti, lo so che dirai che è la solita storia, che prima faccio di testa mia e poi mi metto la coscienza a posto con un bel pentimento formale e che è troppo facile fare così, ma io ti devo sinceramente chiedere scusa. E la devo chiedere anche a Giulio, alla mamma, che è stata splendida, a Nadia e anche a Maria>>
Per combinazione, stavo proprio per dirle che era sempre la solita storia delle lacrime di coccodrillo, ma quella premessa mi trattenne <<Perché ti scusi?>>.
<<Perché vi ho coinvolto in questa avventura e so bene quanto sono stata stronza in questi giorni. Vi ho tiranneggiato anche quando non ce n’era bisogno e siete stati tutti bravissimi a non mandarmi a quel paese, anche perché se le cose per ora stanno andando bene, è tutto e solo merito vostro …>>.
Ne convenni, sorvolando su quel “per ora” che non suonava bene e la lasciai continuare.
<< Con te soprattutto devo essere stata tremenda, perché ti ho scaricato addosso tutte le mie ansie e le inquietudini. Il fatto è che so che tu mi puoi dare tanto e spesso ne abuso. D'altronde, se non chiedo aiuto a te, che sei la persona che amo più di tutte al mondo, a chi dovrei chiederlo? Scusami davvero, amore>>
Siccome Milla era una che quando la buttava sul sentimentale poi finiva per commuoversi, le ultime parole furono pronunciate con la voce incrinata dall’emozione e siccome una donna in lacrime sarebbe in grado di farmi fare qualsiasi stupidaggine, decisi di essere generoso con lei e di perdonarle tutto. Così, presi tra le mie mani il volto di Milla, che aveva già gli occhi umidi di pianto, e le posai un bacio sulle labbra che fu subito ricambiato con un’intensità che m’indusse ben presto a metterle le mani sotto la camicetta in cerca di soddisfazioni più sostanziose.
Contrariamente agli ultimi tempi la mia signora lasciò che le cose proseguissero nel loro verso e per un attimo pensai che lo avremmo fatto sopra il divano della hall, poi, fortunatamente per il decoro dell’albergo, ma non per il nostro, fummo interrotti da una voce esitante di ragazzo <<Signora Camilla…. scusate se vi disturbo. Io sarei qua a montare di servizio per il turno di notte>>.
Strappati al raptus erotico ci voltammo all’unisono in direzione del suono. Piantato sull’attenti in mezzo alla porta d’ingresso c’era l’appuntato Chiariello tutto paonazzo in viso per l’imbarazzo di averci interrotti in quel frangente.
Milla si ricompose in fretta e furia, rimettendo la camicetta nella gonna, poi gli andò incontro con disinvoltura e gli diede tutte le istruzioni del caso per fare il portiere di notte, quindi raggiungemmo finalmente la nostra camera da letto, dove, tramontato ormai ogni desiderio, ci abbandonammo ad un sonno senza sogni, uno nelle braccia dell’altra.
sino a venerdì bisogna aspettare ? ..... grazie Carlo
RispondiEliminaEh! Purtroppo sì... lo sto pubblicando a capitoli (saranno 14 in tutto) sul mio Facebook come strumento anti noia per gli amici che stanno a casa e devo tener conto anche di chi è meno rapido nel leggere :)
EliminaIo, ad esempio, sono in ritardo...
RispondiEliminaDi nuovo devo leggere sul Cell perché finalmente sono venuti a metterci la fibra, ma la zona Mac è ancora tutta sottosopra!! ��
Comunque leggo sempre con piacere ��