Qualche giorno dopo, ritrovata una certa tranquillità anche se qualcosa dentro di me mi faceva percepire una strana tensione che aleggiava nell’aria, appena finito di cenare lei iniziò improvvisamente a raccontarmi nel dettaglio i suoi tre mesi di esperienza inglese, come se dopo molto meditare avesse deciso di rompere gli indugi, forse spiazzata dal fatto che avevo deciso di non chiederle niente e, casomai ci fosse stata qualcosa che avrei dovuto sapere, di attendere che me ne parlasse lei. Però iniziò il racconto con una domanda rivolta a me che mi lasciò perplesso: “Allora, non sei curioso di sapere di Columba?”
"No, francamente non m’importa nulla di colombe, piccioni e pennuti vari britannici, anche se questo tizio compariva spesso nelle tue poche lettere, ma visto che a quanto pare ci tieni a parlarmi di lui, ti ascolto, anche se ti ricordo che excusatio non petita…”
“Stai tranquillo, te ne parlo solo perché immaginavo che avresti fatto il geloso come stai facendo, ma ti garantisco che era un Columba di nome e di fatto. Un ragazzone timido, imbranato e contro ogni tentazione, che tra l’altro si lavava poco e vestiva trasandato. Era solo gentilissimo e un simpatico amico, anche se mi sono accorta subito che mi faceva la corte e mi stava sempre dietro. Ma non c’è stato nulla, puoi chiedere anche a Martina”
“Bene, ma, comunque, pensavo che in questi anni avessi capito che non sono affatto geloso e, anzi, ti dirò che una scappatella vacanziera estiva, di quelle leggere e senza troppo coinvolgimento sentimentale, tipo una botta e via, che finiscono appena si sale in aereo per rientrare a casa, l'avevo messa tra le possibilità e dunque te la potevi anche concedere perché l'avrei accettata, proprio come tu l’hai concessa a me senza fare drammi due anni fa quando suonavo sulle navi da crociera (non era vero, la scenata me l'aveva fatta eccome, quando un'anima bella del nostro complesso le aveva fatto sapere della ragazza canadese) e, dunque, non chiederò niente a Martina, se non per sapere se davvero questo Columba suonava la chitarra meglio di me, che di quello sì che sono geloso…”
“Te lo posso già dire io… era più bravo. Fattene una ragione…”
Allargai le braccia rassegnato mentre lei ridacchiava. “Proverò a farmela, anche se mi sarà difficile, ma piuttosto vorrei sapere perché non mi hai detto che avevate preso un appartamento in affitto per conto vostro e non stavate più nel college”
La mia compagna sbiancò in volto, perché evidentemente non pensava che ne fossi al corrente e si prese qualche secondo per organizzare una risposta “A parte che non era un appartamento ma siamo andate semplicemente da una signora che affittava delle camere con uso cucina, non te l’ho raccontato perché Martina ed io non volevamo che i nostri genitori sapessero che avevamo abbandonato il college dopo il primo mese… ma tu com'è che lo sai?”
“Te lo dico dopo... ma per quale motivo lo avete fatto e avete abbandonato il corso?”
Donatella si prese di nuovo una pausa di qualche istante prima di rispondere. “Perché la vita nel college era molto rigorosa e con orari da caserma, si mangiava male, le nostre stanze erano quelle dell’ostello degli studenti lasciate libere per la pausa estiva ed erano orrende e molto “vissute”, con un lavandino senza l’acqua calda e con il bagno nel corridoio e, soprattutto, il corso di lingua inglese, oltre ad essere di una noia mortale, era frequentato da decine di ragazzi spagnoli, greci e italiani, così che alla fine invece dell’inglese rischiavi di imparare il castigliano o di prendere l’accento romano. Quindi, come ti ho detto, Martina ed io l’abbiamo fatto giurandoci di mantenere il segreto per evitare che i nostri genitori ci richiamassero subito in patria perché volevamo goderci i tre mesi in Inghilterra per intero e fare l'esperienza di vivere da sole all'estero. Tutto qui...”
“Io, al tuo posto, avrei aggiunto che volevate anche evitare che papà e mamma s’incazzassero come bisce dal momento che avevano pagato il corso un mucchio di soldi perché imparaste l'inglese e non per farvi fare a sbafo una vacanza di tre mesi, ma è un dettaglio. Invece, vediamo se indovini come mai lo so…”
“Te lo ha detto Jacopo, vero?”
“Già… la tua amica Martina in quanto a mantenere i segreti è una vera tomba, dunque hai rischiato grosso a suggerirmi di chiederle di questo Columba...”"Ma no, figurati...del resto l'unica tra noi che ha avuto una storiella di qualche giorno con un ragazzo inglese è stata lei..."
"Bene! Vedo che anche la tua riservatezza è esemplare. Jacopo lo sa?"
"Ovviamente no... e guai a te se glielo dici"
"Tranquilla, non serve che glielo racconti io, perché chiacchierina com'è la tua amica, tra qualche giorno Jacopo lo leggerà da solo sul Gazzettino, o in cronaca o tra gli eventi sportivi, dipende da quante ne ha fatte di scappatelle..."
E che la sua amica fosse davvero ciarliera, soprattutto dopo qualche bicchiere di vino di troppo, ne ebbi la riprova poche sere dopo mentre eravamo a cena a casa di nostri amici comuni e quando una delle ragazze presenti, dopo esserci alzati da tavola per prendere posto in salotto, chiese a Donatella di raccontare del suo viaggio e lei s’intromise dicendole “Dai Donatella, racconta tutto… ma proprio tutto tutto, eh? Altrimenti guarda che se non hai coraggio, lo faccio io…” e mentre la destinataria dell’invito sembrava assai imbarazzata, Martina, malgrado l’occhiataccia di Jacopo perché si desse una calmata, si rivolse a me ridendo “Ma tu sei proprio sicuro che te l’abbia raccontata giusta, Carlo? Ti vedo troppo tranquillo…” e così alla fine l’imbarazzo diventò anche mio. Poi, in realtà, le cronache inglesi “segrete” da raccontare agli amici si rivelarono delle sciocchezze incredibili, tipo il muro di cinta del college scavalcato alle due di notte e con caduta rovinosa perché il portone era già chiuso e, sempre di notte, la vicenda dell’assorbente cambiato d’emergenza dentro una cabina del telefono con un poliziotto di passaggio che era venuto a controllare con la pila. Niente di cui preoccuparsi, insomma. Però, solo in quel momento.
Venezia è molto romantica, non solo per gli amori, ma anche per i posti in cui lasciarsi |
Infatti, mentre ritornavamo a casa, appena attraversato campo San Giacomo dell'Orio, che a quell’ora di notte era deserto, lei si fermò di colpo sorprendendomi con un: “Ti spiace se questa notte vado a dormire dai miei?” e quando io le risposi che per me andava bene, chiedendole però se durante la cena avessi detto qualcosa, senza accorgermene, che l’avesse offesa e di cui dovevo scusarmi, lei scoppiò a piangere improvvisamente nascondendosi il volto tra le mani.
Così, sapendo per esperienza che quel suo tipo di pianto significava: "Allarme rosso e tutti al posto di combattimento per discorso importante in arrivo" ci sedemmo sui gradini del ponte lì vicino e appena asciugate le lacrime venni a sapere che lei, durante i tre mesi di lontananza, tra una serata a tracannare birra al pub e una gita nella New Forest, aveva anche trovato modo di riflettere su di noi e così, al termine delle sue meditazioni, aveva deciso di tornare per qualche tempo a casa dei suoi genitori perché altrimenti né io né lei ci saremmo più laureati, visto che vivendo assieme c’erano sempre tante distrazioni e non si riusciva ad essere concentrati per studiare. Poi, esaurita la parte nobile ed edificante del discorso, affinché mi fosse chiaro che tutto era pensato per il nostro bene, iniziò la sua consueta recriminazione sul fatto che vivere assieme a Padova era un conto, ma farlo a Venezia era diverso perché si sentiva gli occhi di tutti addosso come se fosse una pubblica peccatrice e non parliamo poi di quel che dicevano di lei le amiche di sua madre. Quindi, alla fine, quanto accadeva era anche colpa mia che avevo dovuto abbandonare l’appartamento di Padova per trasferirmi a Ferrara dopo quella stupidata che avevo fatto (in realtà, l’avrei dovuto abbandonare in ogni caso perché il mio compagno di stanza qualche mese prima aveva messa incinta la sua ragazza e, dopo essersi sposato in tutta fretta, si era trasferito a Roma. Dunque, mia madre, che doveva gestire due figli e la nostra casa con la sua pensione di reversibilità, non era più in grado di pagarmi l’affitto intero, che era piuttosto alto)
Infine, per non farci mancare niente, arrivò anche la considerazione risibile che per recarsi a Padova a seguire le lezioni da casa nostra era costretta a fare un viaggio lunghissimo e scomodo, dovendo cambiare ben due vaporetti per raggiungere Piazzale Roma, mentre stando dai suoi genitori le bastava fare il traghetto con la gondola a San Samuele, scendere a san Tomà e in dieci minuti a piedi era arrivata alla fermata della corriera della Siamic per Piazzale Boschetti. Siccome a quel punto mi era chiaro che il problema non era affatto la laurea da conseguire, ma il nostro rapporto nel suo complesso, le chiesi senza troppi preamboli se aveva senso proseguirlo ancora e quali fossero le sue intenzioni nei miei confronti. Così, avendo toccato come temevo il tasto giusto, iniziarono le consuete litanie del “ho bisogno di prendere una pausa di riflessione perché devo ritrovare me stessa… “ seguito dal classico “nel nostro rapporto diamo tutto per scontato e ci siamo appiattiti nella routine” e fino al “non lo so più cosa voglio da te, da me e da tutto…”. Probabilmente era in arrivo anche il "restiamo buoni amici" ma immagino le ci volesse ancora qualche considerazione vittimistica per giustificarlo.
A quel punto, siccome in quel tempo si diceva che era meglio una fine terribile di un terrore senza fine, tagliai corto, le diedi un bacio sulla fronte per farla tacere e le dissi “Guarda, allora, visto che non sai cosa fare, decido io per te… la finiamo qui e basta. Ti va?” .
E nello stesso momento in cui lo dicevo, mi sentii incredibilmente sollevato per quella decisione che probabilmente dentro di me aspettavo da tempo e sono certo lo fosse anche lei, perché annuì con un mezzo sorriso dicendo “Sì, certo, mi pare la cosa migliore…”.
Così, dopo qualche secondo di sconcerto reciproco per realizzare che ci eravamo davvero lasciati dopo quattro anni e questa volta sul serio, Donatella ed io ci abbracciammo, ci girammo le spalle e ciascuno se ne andò per la sua strada.
Nei giorni seguenti, mentre io ero in facoltà a Ferrara, lei venne a casa mia a prendere alcune sue cose e i vestiti e alla fine mi lasciò le sue chiavi sul tavolo della cucina. Mi lasciò anche Cristobal, il nostro pesce rosso vinto alle giostre, ma immagino fosse complicato portarselo a casa nella sua boccia di vetro. Dopo alcuni mesi lei si laureò e io andai alla sua festa di laurea, mentre qualche tempo dopo lei, con una scusa che non ricordo, non venne alla mia perché la feci a Ferrara e probabilmente non aveva voglia di mettersi in treno. Poi, l’anno seguente lei iniziò a fare supplenze in giro per il Veneto ed io a lavorare dal momento che la Banca Commerciale Italiana mi aveva incautamente assunto.
Di lì a poco, tutti e due iniziammo nuovi amori e ci siamo persi di vista, anche se diversi anni fa, già cinquantenni, ci siamo incontrati casualmente a Venezia in Strada Nova e dopo esserci presi assieme uno spritz di rimpatriata raccontandoci divertiti quel che avevamo combinato negli anni seguenti, degli amori andati male (pochi lei, molti io), dei nostri matrimoni andati bene e dei nostri figli bellissimi, prima di salutarci e di riprendere la strada lei mi disse “Mi ha fatto piacere incontrati di nuovo, ma… tu poi hai capito perché noi ci siamo lasciati?” e le ho risposto; “Certo! Perché casa mia ti era scomoda per andare a Padova…” e siamo scoppiati tutti e due a ridere. Poi ci siamo salutati per tornare alle nostre vite e non ci siamo più rivisti, com’è giusto che sia