Il lavoro di lavaggio e vestizione dei figli per renderli presentabili agli ospiti, come espressamente raccomandato da Milla, ebbe termine verso le undici di mattina dopo quasi un’ora di lotta con due anguille sguscianti che trovavano da ridire su tutto. Subito dopo, mentre i due assatanati riprendevano quell’attività ludica che vanificando tutto il mio lavoro li avrebbe presto riportati all’indecoroso stato di partenza, mi concessi un attimo di respiro prima di rifare i letti. Spalancai la nostra finestra per dare aria alla stanza e guardai verso l’orizzonte.
Malgrado fossimo già a maggio inoltrato, il tempo sembrava essere tornato indietro di alcuni mesi. Dopo la pioggia d’inizio settimana, che aveva indotto mia suocera alla ferale profezia “maggio piovoso, vino costoso” (accolta da Giulio con gesti scaramantici irriferibili), le ultime notti erano state fredde e nebbiose e anche se un vento teso aveva spazzato via la foschia del mattino, la giornata prometteva poco di buono.
La cima del Cesen era nascosta fin dall’alba dalle nuvole, che si estendevano grigiastre ben oltre il Piave che, scintillante nei giorni di sole, ora appariva bigio e triste, come in pieno inverno. Dalla finestra della nostra camera da letto scorgevo tra gli alberi che la circondavano anche la sagoma imponente di Villa Seiffert chiusa fino a giugno per non meglio precisati lavori di ristrutturazione.
Dal giardino mi giunse improvviso un cinguettio di voci femminili. Volsi lo sguardo in quella direzione e osservai ammirato le donne di casa che si adoperavano alacremente a preparare la tavola sotto l’ombrello protettivo del noce secolare che abbelliva l’ingresso alla nostra casa. Scesi giù in cucina accolto dal corroborante profumo del brodo che mia suocera stava rimescolando con cura nel pentolone delle occasioni conviviali, probabilmente quello che la brava donna aveva cercato a lungo nel cassettone delle pentole svegliandomi di prima mattina.
<<Cosa fa di buono? E’ il fondo di un risotto?>>.
Sentendo quella voce alle sua spalle la signora Lucia si voltò di scatto brandendo minacciosa il mestolo, poi, accortasi che ero io, sorrise affettuosa.<<Ah! Era lei, Carlo? Mi ha fatto ciapàr un tremo… comunque, nol xè per un risotto, so drìo a far la sopa de trippe >>.
<<La zuppa di trippe? Eccellente! Con una giornata invernale come questa un bel brodo fumante ci sta a meraviglia. Ma piuttosto, perché mangiamo all’aperto? Non era meglio fare tutto in casa? A parte che è abbastanza fresco per stare fuori, c’è il rischio di pioggia>>.
<<No, Camilla la ga deciso così. Dise che al capitano ghe piase magnar fora e lei sa come la xe fata quella tosa. Quando che la se mette in testa qualche cosa no ghe la cava nissuni>>.
<<Sì, ho fatto qualche esperienza della cocciutaggine di sua figlia... >>.
La signora Lucia sorrise imbarazzata quasi fosse un rimprovero diretto a lei.<<Comunque vedarà che nol piove. Sa come che se dise, no? Vento de matin, el sol xè vicìn! >>.
<<Vuol dire che questo vento porterà via le nuvole?>>.
Mia suocera riprese a mescolare la zuppa con decisione.
<<Si! Staga tranquillo. All’ora de magnar vegnarà fora el sol!>>
Presi per buono l’auspicio e mi dedicai alla raccolta di altre informazioni. <<Ma chi sono gli invitati oltre a Viccaro? Ho contato sulla tavola una decina di coperti. Vengono anche gli zii?>>.
<<No, poareti! No ghe lo dito? Orio el xe sta mal, el xe in ospedal >>.
<<No, non lo sapevo. Poveretto. Cosa ha avuto? >>.
La signora Lucia s’inceppò di colpo.
<<Aspetti Carlo, che la xe una roba difficile…>>.
<<Aspetti Carlo, che la xe una roba difficile…>>.
Lo sguardo della mia interlocutrice si fece opaco perché evidentemente cercava di concentrarsi su quel termine astruso. La lasciai riflettere gusto il tempo di raggiungere il sacchetto del pane e di afferrare una michetta. Stavo deglutendo il primo boccone quando la poverina ritrovò quel che cercava ed esclamò soddisfatta. <<Ecco! La Ginetta me ga dito che lo zio Orio ha avuto un attacco di “Vagina pettori”. E’ una cosa grave? >>
Per un attimo rischiai di soffocarmi con il pane, poi evitai di spiegarle che più probabilmente si trattava di “Angina pectoris” potendo escludere che alle tante sciagure che lo affliggevano, a cominciare dalla moglie, quel poveretto avesse anche aggiunto quella dell’ermafroditismo. La tranquillizzai genericamente abbandonando ogni spiegazione scientifica per non aumentare la sua ipocondria e la lasciai volentieri alla sua zuppa.
Raggiunsi le due donne che ormai erano quasi al termine del loro lavoro e mi fermai a guardarle a braccia conserte, mentre Paté correva festante dalla casa come ogni volta che si avvicinava l’ora di pranzo. Di lì a poco arrivò anche Giulio con la prima tornata di bottiglie di vino. L’uomo era talmente raggiante che alla fine cedetti alla tentazione e chiesi lumi a Milla.<<Si può sapere cosa ha tuo fratello? E’ così sorridente che tra poco si slogherà la mascella >>.
La mia compagna mi tirò da parte con aria indispettita <<Come al solito sei sempre l’ultimo a sapere le cose >>.
Replicai indispettito. <<Se non me le dite >>.
<<Ne ho parlato con la mamma davanti a te, ieri sera. Possibile che quando c’è la Domenica Sportiva tu spenga sempre l’audio? >>.
<<Solo quando c’è il calcio. Quando viene l’ippica mi si può parlare >>.
Milla mi mandò in un posto irriferibile, poi si avvicinò complice. <<Beh! La novità è che Giulio ha sciolto le sue riserve e si è candidato ufficialmente a sindaco di Sant’Anastasia con una sua lista civica. Quindi oggi, oltre a Viccaro verranno a pranzo alcuni suoi grandi elettori >>.
<<Vuoi dire tutta l’allegra confraternita dell’Accademia del Musetto? >>.
<<Tutti no, non lo avrei permesso, ma comunque viene il fior fiore di quella banda di avvinazzati. L’elite di intellettuali che si propone di governare questo piccolo e sfortunato paese e di cui mio fratello crede di essere la punta di diamante>>.
<<Meno male che ci saranno anche i carabinieri, così se ci fregano le grappe come l’altra volta li portiamo direttamente in guardina! Comunque, fammi vivere tranquillo: le probabilità per Giulio di essere eletto sono pari allo zero, vero?>>.
<<No, non direi. L’avvocato Nardello controlla ancora un buon pacchetto di voti tra i commercianti e anche Levorato che fa paghe e contributi per la metà delle imprese della zona non scherza. Dalla loro c’è anche il fatto che l’altra lista civica non ha ancora scelto ufficialmente il candidato, ma sembra si tratti di quella nullità del direttore didattico delle elementari … >>.
<< Oh mamma mia! Quello è anche di Cosenza, quindi da queste parti lo vota solo sua moglie e non è neppure detto. Tuo fratello ha già vinto in partenza con percentuali bulgare. Ci sono idee per un programma di governo? >>
<<Poche, ma ottenebrate dal vino. Comunque l’aria che tira è di taglio clericale conservatore>>.
<< Ma Giulio che ne dice? >>.
<<E’ in piena fase peronista. Delira che vuole essere il sindaco di tutto il popolo, a destra e a manca che sia >>.
<<Davvero? Vedo già Nadia nelle vesti dell’Evita Peron di Sant’Anastasia. Sarà impedibile! A questo punto scommetto che anche Don Fabio è schierato dalla loro parte e gli porterà i voti delle vecchiette >>.
La mia consorte annuì.<<Scommessa vinta facilmente >>.
<<Quindi, se capisco bene, quelle due vecchie volpi riciclate di Nardello e Lavorato hanno trovato la testa di turco piena di soldi da mandare avanti e che una volta eletto conterà come il due di picche a briscola, mentre loro alle sue spalle faranno gli affarucci di sempre>>.
Milla allargò le braccia rassegnata.
<<Impietoso, ma è così! >>.
<<Di a tuo fratello che il mio voto dovrà sudarselo! >>.
<<Se è per questo non avrà neppure il mio e forse neppure quello di Nadia… al massimo solo quello della mamma, che tanto quel che le dice il prete lo vota comunque >>.
Le nostre considerazioni bellicose furono interrotte dall’arrivo di alcune macchine d’invitati subito accolte da Giulio e signora con grande spreco d’inchini e baciamani.
Al seguito dei notabili ospiti di Giulio, spiccavano alcune mogli imbarazzanti. Una di loro, malgrado fossimo a maggio inoltrato, aveva approfittato di quel vento fresco per sfoggiare una pelliccia lunga fino a terra e con la quale spazzava volonterosamente le foglie del nostro giardino. Altre, oltre ad essere bardate da chili di chincaglierie sfoggiavano vestitini da matrimonio inguardabili, in un trionfo di chiffon e merletti.
Per contrasto rivolsi lo sguardo verso Milla che senza ombra di trucco e con il suo maglionaccio norvegese sui jeans di velluto era senz’altro mille volte più carina di tutte quelle carampane e glielo sussurrai all’orecchio ricevendone un sorriso grato. Poi, per evitare tutti quei convenevoli e anche per rimarcare il nostro dissenso, ci appartammo con la scusa di aiutare la signora Lucia con i preparativi.
Da lontano mi giungeva a tratti la voce possente di Giulio che disinvoltamente illustrava ai suoi ospiti come fosse riuscito a venire a capo della vicenda che ormai era su tutti i giornali. Sperai per lui che sua sorella non lo sentisse.
Come Dio volle, a toglierci dall’imbarazzo si profilò al cancello l’Alfetta di Viccaro. Milla gli andò incontro decisa e appena il capitano scese dalla macchina gli si parò davanti a mano tesa e restò immobile in quella posizione, neanche fosse una di quelle mendicanti che chiedono la carità agli incroci. Il nostro amico, dopo averci salutato, fece finta di non capire il perché di quell’atteggiamento e mi lanciò uno sguardo interrogativo, così gli concessi un piccolo aiuto.
<<Caro capitano, nel darle questo inconsueto benvenuto mia moglie vuole ricordarle a modo suo che c’è una piccola tassa d’ingresso: la restituzione della sua patente! Oggi sono trascorsi esattamente quindici giorni dal ritiro>>.
Viccaro guardò l’orologio poi sorrise sornione ignorando volutamente l’interessata e la sua mano tesa. <<Veramente dovrebbe dire alla cara signora Camilla che è troppo impaziente, perché la patente le è stata ritirata quindici giorni fa alle diciannove e trenta, dunque siamo piuttosto in anticipo. Comunque, visto che la signora in questione è sempre così carina da invitarmi, vedremo di essere dolci con lei >>.
Detto questo, prelevò dall’interno della vettura una bella scatola azzurra di biscotti siciliani guarnita con un fiocco argentato da cui penzolava la patente di Milla che a quel punto, non senza un certo mio imbarazzo, abbracciò con un grido di gioia il capitano e gli stampò due bacioni sulle guance facendogli anche ruzzolare il berretto a terra.
Dopo essersi ricomposto, ed ancora un po’ imbarazzato per quelle effusioni pubbliche, Viccaro andò a salutare gli altri ospiti, poi, mentre Milla proseguiva nei convenevoli, tornò sui suoi passi e mi tirò da parte per un braccio. Poi, una volta lontani dal gruppo mi bisbigliò all’orecchio:
<<Come mai c’è l’avvocato Nardello a questa tavola? >>.
<<E’ uno dei grandi elettori di mio cognato Giulio, pare che gli abbia garantito l’elezione a sindaco >>.
Il capitano assunse un’aria severa.
<<Allora sarà bene che faccia quattro chiacchiere riservatamente con il caro Giulio prima che si metta nei guai. Lo sa che Nardello è da tempo sotto inchiesta e sta per essere incriminato formalmente? >>.
<<Ah! Temo di no … cosa ha combinato? >>.
<<Assieme ad altri galantuomini, uno dei quali gli fa compagnia a questo tavolo, ha truffato quattro miliardi alla Cee con i contributi per la soia. Stando alle sue dichiarazioni tutte queste colline dovrebbero essere ricoperte di soia. Anche questo prato>>.
<<Allora sarà bene parlargliene! >>.
<<Direi di si! Intanto ne metta al corrente sua moglie, e poi me lo mandi nei prossimi giorni. Sarà un colloquio riservato, ovviamente >>.
<<Ci conti... >>.
Milla ci raggiunse e così accompagnammo l’ospite a tavola e ci sedemmo per conto nostro all’estremità del tavolo lasciando a distanza di sicurezza la comitiva di Giulio già intenta a far baccano e immagino poco ansiosa della vicinanza di un carabiniere. Subito dopo fummo raggiunti dai nostri bambini festanti e alla caccia di omaggi da quell’ospite con cui ormai si sentivano in confidenza. Viccaro, che probabilmente se lo aspettava, tirò fuori dalle tasche due pacchettini ben confezionati.<<Questo è un regalino per voi, bambini. Non litigatevi perché tanto sono uguali >>.
I miei figli porsero all’unisono le pargolette mani e in men che non si dica cominciarono a sventrare brutalmente i due pacchetti per farne affiorare il contenuto.
Il primo a riuscire nell’impresa fu Gianmarco che mi porse trionfante il suo regalo perché lo apprezzassi. Si trattava del modellino in ferro dell’Alfetta dei carabinieri.
Guardai Viccaro che rimirava compiaciuto l’effetto del suo dono. <<Originale! Davvero originale. Devo ammettere che il nostro capitano conosce l’arte di stupirci… >>.
Viccaro non parve turbato dalle mie ironie e si rivolse direttamente al mio primogenito per assicurarsene il consenso. <<E’ la copia della mia macchina, quella che uso per prendere i banditi … ti piace, vero? >>
<<Ho già quella della polizia >>
In tavola scese un momento di gelo, poi il capitano si riprese.
<<Si? Beh… ma la mia è più veloce! >>
Sorrisi al nostro amico per quella bugia spudorata, poi, visto che da lontano avevo scorto mia suocera arrivare con la pentola fumante della zuppa di trippe, decisi di tagliare corto.
<<Bambini! Ho una bellissima idea! Sapete che cosa fate? Uno di voi due tiene la macchina dei carabinieri e l’altro prende dalla sua stanza un modellino diverso di automobile e fa finta che sia la nostra Peugeot, poi fate una pista nel cortile e giocate a fare gli inseguimenti tra i carabinieri e la mamma. Vince chi riesce ad acciuffarla e le toglie la patente.Vi va? >>
L’idea piacque moltissimo e, coerentemente con le loro pulsioni edipiche, i due pargoli si spartirono i ruoli senza troppe discussioni. Quindi, visto che avevano mangiato in precedenza, sparirono alla nostra vista in un baleno per lanciarsi a capofitto in quel nuovo gioco.
Subito dopo Milla, che non aspettava altro, entrò subito in argomento mentre mia suocera versava il brodo fumante sui crostoni di pane nei piatti e Nadia vi grattugiava energicamente il formaggio facendo ballonzolare allegramente tutta la sua mercanzia.
<<Ci può dire qualcosa dell’interrogatorio di Maria? Cosa è emerso? >>
Viccaro soffiò a lungo sul cucchiaio prima di assaggiare, poi, dopo aver tranquillizzato la signora Lucia che la zuppa era ottima, iniziò a rispondere. <<Sostanzialmente la ragazza ha confermato la vostra versione dei fatti. E’ stata una serie di vendette che traggono origine dalle vicende della guerra di liberazione in Algeria. Ponsard e i suoi tre amici, tutti già compagni di università ed impegnati nell’estrema destra francese, all’epoca dei fatti militavano nella decima legione paracadutisti del generale Massu, ma in realtà costituivano un piccolo gruppo specializzato in azioni “speciali” contro chiunque fosse anche solo sospettato di avere rapporti con lo FLN.
In pratica avevano messo in piedi una sorta di “squadra della morte” specializzata in omicidi e torture e che spesso agiva autonomamente, fuori dalle direttive del comando e approfittando degli ampi margini d’illegalità che la situazione consentiva… >>…
Milla interruppe per un istante il capitano. <<Mi tolga una curiosità: anche Tarentin ha un tatuaggio con i quattro assi? >>.
<<Sì! La vostra supposizione era giusta. Tarentin ha l’asso di fiori in evidenza. Abbiamo anche verificato che Chevalier e Carmandes erano tatuati allo stesso modo. Si sentivano un gruppo forte e intoccabile e avevano formalizzato così il loro legame >>.
<<E con Maria cosa è successo? >>.
<<Maria, anzi, Amina al Hassan, che è il suo vero nome, aveva un fratello che simpatizzava con lo FLN. Una sera, mentre tutta la famiglia era a cena, sono arrivati i quattro e dopo aver sfondato la porta hanno fatto irruzione in casa. Maria, che all’epoca aveva cinque anni, si è rifugiata sotto il tavolo e da lì ha visto Ponsard sparare a bruciapelo al padre e alla madre che avevano cercato di reagire mentre gli altri portavano via il fratello. Poi Ponsard si è accorto di lei e si è abbassato per afferrarla e probabilmente ucciderla, ma in quel momento è rientrato in casa Chevalier che gli ha detto di andare via alla svelta che stava arrivando gente. Così l’ha lasciata perdere ed è scappato. Naturalmente, del fratello non si è più saputo nulla >>.
Milla era visibilmente turbata da quel racconto e si asciugò velocemente una lacrima che le aveva fatto capolino sulla guancia. <<Ero molto scossa dalla morte di Ponsard e la consideravo quasi una mia responsabilità, visto che gli avevo portato io la sua giustiziera a portata di tiro. Ora sono confusa e non so più dove stesse il torto e la ragione. Anzi, ora lo so. Povera ragazza! Che vicenda terribile ha vissuto! Lo so che non si deve simpatizzare con una che in fondo è pluriomicida, ma in questo caso mi sento di fare un’eccezione. Al suo posto non so se avrei agito diversamente >>.
<<Sì, la capisco, anch’io provo della simpatia umana per lei. Comunque, ha pur sempre ucciso tre volte e stava per farlo ancora, se non la fermavamo >>.
<<Che ne sarà di lei? >>.
<<Per ora è al carcere femminile della Giudecca con l’accusa di omicidio volontario, ma poi vedremo come evolverà la sua posizione processuale. La Francia ha già avvisato che ne chiederà l’estradizione, ma avendo commesso reati anche in Italia, dubito che sarà concessa, perché qui, probabilmente, la pena, pur commisurata alla gravità del fatto, sarà più lieve>>.
<<E’ possibile andarla a trovare in carcere? Mi farebbe piacere >>.
<<No, adesso no. E’ ancora in isolamento. Appena sarà possibile stia tranquilla che glielo farò sapere >>.
<<Quanto pensa che le daranno? >>.
<<Adesso non glielo so dire. Bisognerà vedere se il giudice le riconoscerà le attenuanti, che a mio parere ci sono, e se l’imputazione non si modificherà >>.
<<Ma lei che dice? >>.
<<E’ molto calma, sembra indifferente a quello che è successo e succederà. Riflette sempre prima di parlare e soppesa con cura ogni parola. Ha ammesso tutto senza problemi fin dal primo incontro con il magistrato. Ha solo cercato di alleggerire la posizione del suo ragazzo, attribuendogli unicamente un ruolo di complice. Così si è assunta la responsabilità diretta degli omicidi. Dice che è rammaricata di non essere riuscita a eliminare anche Tarentin, ma che comunque era stato Ponsard a sparare a suo padre e a sua madre e quindi è contenta di avergli dato la morte di suo pugno. Quando parla di quell’uomo ha ancora dei lampi di odio negli occhi che la dicono lunga sulla sua determinazione >>.
<<Ma poi, come ha fatto a ritrovare Ponsard? >>.
<<E’ stata una cosa fortuita. La ragazza, in effetti, risiedeva in Umbria da qualche anno convivendo con questo Jussef, un marocchino di Rabat più giovane di lei, ed era iscritta come fuori corso all’Università per stranieri di Perugia. Stava preparando la sua tesi in biblioteca e una mattina, mentre consultava la rivista della Società Francese di Psicologia ha visto le foto dei relatori ad un convegno e ha fatto un colpo perché si è rivista le facce di Ponsard e Chevalier davanti a lei e in primo piano.
Mi ha detto di averli riconosciuti immediatamente e, del resto, credo che quella sera i volti di quei due aguzzini le fossero rimasti ben stampati in mente. Così, dopo aver coinvolto anche il suo ragazzo, è rientrata in Francia per rintracciarli. Ha cominciato da Chevalier. Lo ha pedinato per qualche giorno, ne ha capito le abitudini, e non era difficile perché l’uomo era molto metodico, e una sera lo ha atteso accanto all’auto che la vittima parcheggiava sempre in una stradina secondaria, poco frequentata. Come lui è arrivato lo ha distratto con la scusa di chiedere un’informazione. Poi ha estratto la rivoltella dalla borsetta e lo ha obbligato a salire in macchina>>.
<<Perché non lo ha ucciso subito? >>.
<<Non lo ha ucciso subito perché voleva avere da lui delle informazioni sugli altri tre. Così, assieme a Jussef, lo hanno condotto in una zona solitaria e dopo avergli promessa salva la vita se collaborava gli hanno estorto i nomi dei suoi compagni. Quindi lo hanno ucciso a colpi di pietra e hanno inscenato il delitto occasionale a sfondo sessuale…>>.
<<Questo spiega anche perché fosse scomparsa l’agenda di Chevalier. C’erano gli indirizzi e i numeri di telefono degli altri tre >>.
<<Non di tutti e tre, perché in realtà mancava il nome di Tarentin e tra un attimo vi spiegherò il perché! Comunque, di lì a poco, è stato il turno di Carmandes, l’editore. Anche per lui è stato facile. È bastato osservarne le abitudini per scoprire che l’uomo era solito fare jogging la mattina presto per le strade di campagna. Investirlo e scappare per quei due è stata una cosa da ragazzi >>.
<<E Ponsard? >>.
<<Beh! Quello è stato il bersaglio più difficile! Infatti, dopo la scomparsa in tempi ravvicinati dei suoi due camerati l’uomo, che era sicuramente furbo, ha capito che qualcuno stava cercando vendette e che probabilmente il prossimo sarebbe stato lui. Non ha collegato subito la cosa alle vicende algerine, e anche il perché di questo ve lo spiegherò dopo, comunque capisce che è il momento di prendere provvedimenti. Così si è armato, ha assunto una guardia del corpo e si è allontanato dalla Francia per qualche tempo, venendo ad alloggiare qui.
Però, naturalmente, per Maria non è stato difficile scoprire dove sarebbe venuto a far docenza, perché è stata sufficiente una telefonata alla Ponsard & Chevalier per sapere date, luogo e costi d’iscrizione. Lo ha fatto anche perché in un primo tempo aveva pensato di partecipare come corsista e di avvicinarlo in quel modo. Però, si è subito resa conto che le lezioni erano specifiche per un’utenza di specialisti farmaceutici e che il rischio di essere smascherata era alto.
Così ha deciso di tentare una strada più lunga, ma più subdola ed efficace per raggiungere lo scopo. E’ tornata a Perugia e ripresentandosi al suo vecchio ristorante per qualche giorno è riuscita a rubare il libretto di lavoro del suo collega, poi è arrivata qua sperando di essere assunta. Se non ci fosse stata la possibilità di lavorare nell’albergo, avrebbe cercato di avvicinare Ponsard in qualche altro modo, visto che aveva un mese di tempo per farlo >>.
<<E noi abbiamo abboccato da idioti >>.
Rifiutai quell’osservazione troppo colpevolizzante e Viccaro annuendo mi fece intendere di essere d’accordo con me. <<Beh! Scusa Camilla, tu fai come credi, ma io idiota non mi sento, anche se ero favorevole all’assunzione di Maria. Era difficile immaginarlo e poi lei non ci ha mai dato motivo di sospettare di nulla. E’ stata brava, ha lavorato sodo e si è fatta ben volere da tutti, perfino da Giulio, il ché è tutto dire>>.
<<Infatti, ha ragione suo marito! Non dovete farvene un cruccio, perché la ragazza ha recitato bene la sua parte e non era facile scoprirla. Le avete dato una mano involontariamente quando avete scoperto Mauriot e lo abbiamo disarmato, ma anche questo non si poteva prevedere a cosa avrebbe portato. Comunque, il primo tentativo per uccidere Ponsard è scattato la sera che sua moglie è andata a Venezia con tutta la comitiva. Maria ha fatto finta di andare a casa per ultima, per controllare che il professore fosse a letto e che in albergo ci fosse solo il portiere di notte >>.
<<Per la verità c’ero anch’io >>.
<<Lo so! Ma lei non lo poteva sapere perché l’aveva vista andare verso casa e non immaginava che poi sarebbe ritornato con il cane a dar man forte a suo cognato. Comunque, Maria, dopo aver fatto finta di uscire, ha lasciato la porta dell’albergo socchiusa per il suo complice, sapendo che Giulio era solito passare la notte nel salotto davanti al televisore e non in portineria. Così, Jussuf, il suo ragazzo, senza farsene accorgere è salito al piano di sopra con l’intenzione di sparare a Ponsard. Per sorprenderlo nel sonno aveva in tasca il passepartout di Maria, ma ha dovuto rinunciare ai suoi intenti perché non poteva prevedere che Ponsard chiudesse la sua camera anche con il gancetto di sicurezza e quindi non è riuscito ad aprire la porta. Poi siete arrivati voi, lui è scappato in tutta fretta e si è ferito alla coscia scavalcando la cancellata>>.
<<E questo spiega perché la mattina dopo Maria non è venuta al lavoro: doveva assistere il ferito>>
<<Infatti, lo ha ricucito lei. Si è comperata del filo e degli aghi per sutura e gli ha dato quattordici punti, senza anestesia>>.
<<Ma la Trevisan non si è insospettita per quell’acquisto insolito? Come minimo avrebbe dovuto telefonare in albergo per sapere se qualcuno si era fatto male>>.
<<La ragazza è furba. Ha comperato il tutto in una farmacia di Vittorio Veneto dove non era conosciuta>>.
<<Capisco, ma… cosa sarebbe successo se Giulio avesse sentito lo sparo e fosse intervenuto? >>
Viccaro si girò verso l’altro capo del tavolo dove Giulio, ignaro, continuava a gozzovigliare con i suoi compagni di baldoria. <<Probabilmente suo cognato ora non sarebbe lì ad addentare quell’arrosto. In caso di emergenza, Jussef avrebbe sparato anche a lui. E’ stata proprio la sua presenza imprevista in albergo che gli ha in qualche modo salvato la pelle, perché due persone e un cane da guardia rendevano la cosa più difficile>>.
<<Bene! Giulio sarà contento di apprenderlo. Comunque, ci dica il resto…>>.
<<E’ presto detto! Maria, con Jussef fuori combattimento, si è messa all’opera per arrivare ad un nuovo tentativo. Quindi ha atteso il successivo momento propizio, che era quello della sagra.
Nel frattempo, dalla litigata in pubblico tra Ponsard e Mauriot, ha avuto modo di apprendere che anche il professore era armato e facendo le pulizie nella sua camera ha rinvenuto facilmente il nascondiglio dell’arma. Questo le ha suggerito di provare ad inscenare un suicidio ed eventualmente, qualora la tesi fosse venuta a cadere, di fabbricare delle prove contro di quella che a quel punto sarebbe apparsa la colpevole più ovvia, cioè Pauline.
Nei giorni precedenti la sagra si è messa d’impegno per cercare di superare il problema del gancetto, perché ormai il tempo cominciava a venire meno ed essendo ingegnosa ha trovato la soluzione del problema esattamente al suo stesso modo. Così, alla sera, mentre tutti eravate a cena in giardino, ha drogato il latte di Ponsard e lo ha fatto portar su da Nadia, ovviamente ignara. Per un colpo ulteriore di fortuna, Chiariello si è servito dello stesso latte e anche se ne ha preso solo pochi sorsi, giusto per calmare l’acidità di stomaco, poco dopo la partenza di tutti gli ospiti per la sagra, è crollato di colpo. Tra l’altro, non ve lo avevo ancora detto, ma la dose di sonnifero era talmente potente che secondo l’anatomo-patologo che ha fatto l’autopsia, Ponsard, che soffriva di scompensi cardiaci, era probabilmente già morto da una ventina di minuti al momento dello sparo >>.
Restammo entrambe a bocca aperta per quella rivelazione, poi, Milla fu la prima a riprendere la parola. <<Quindi Maria avrebbe sparato ad un cadavere? >>
<<Credo di si! Comunque, resta sempre un’assassina, visto che quel sonnifero lo aveva messo lei nel bicchiere. Comunque, senza sospettare che fosse già morto, gli ha sparato usando un cuscino di piume prelevato dalla stanza di Pauline e dopo averne indossato i guanti da sera. Subito dopo aver simulato il suicidio di Ponsard ed aver scritto un foglietto di addio per rendere la cosa più credibile, ha ripulito il pavimento e il letto dalle piume fuoriuscite al momento dello sparo ed è uscita chiudendo il gancetto dall’esterno con lo stesso suo trucco. Infine, è tornata in camera di Pauline ed ha nascosto i guanti tra la rete e il materasso, in modo che non fosse difficile trovarli >>.
<<E ha buttato il cuscino nel cassonetto! >>.
<<No! Quello lo ha fatto due giorni dopo, quando è uscita per buttare la spazzatura, ma sono dettagli … e comunque il resto lo sapete>>.
<<Fin qui è tutto chiaro. Ma come ha fatto ad identificare Tarentin? >>.
<<Questo è il punto che avevo tenuto in sospeso. In effetti, Maria ha avuto dei problemi. Perché Chevalier non sapeva dove fosse finito Tarentin e non ne aveva il nome sull’agenda >>.
<<Come mai? >>.
<<Tarentin, dopo le vicende di Algeria, è venuto in Italia assieme a Pauline e si è sistemato nei pressi di Verona dove per alcuni anni ha svolto attività non chiare. Dobbiamo supporre che, considerando le sue simpatie politiche, svolgesse un ruolo di supporto per l’estrema destra locale che era molto attiva in quegli anni, ma lo stiamo verificando.
Quel che è certo è che l’uomo disponeva di moltissimo denaro, probabilmente frutto delle razzie fatte in Algeria ai danni delle vittime, oppure, come stiamo valutando, l’uomo era una specie di tesoriere di una sezione dell’OAS che aveva trovato rifugio in Italia.
Fatto sta che poco dopo Pauline e Tarentin sono raggiunti da Ponsard e i tre lavorano insieme per qualche tempo sotto la copertura dell’agenzia immobiliare finché una bella mattina Ponsard porta via a Tarentin in un sol colpo la donna e i soldi.
Infatti i due fuggono dapprima in Svizzera e poi Francia con tutto il malloppo e il loro socio, abbandonato, non potendo denunciare il furto minaccia vendette ai loro danni. Ponsard e Pauline, dopo aver depositato una parte dei soldi in una banca d’affari del Canton Ticino, ritrovano il vecchio amico Chevalier e aprono la società. Finanziano anche Carmandes, che nel frattempo ha ereditato la piccola casa editrice della sua famiglia, ma versa in cattive acque e che in seguito diventerà il loro editore.
Passano diversi anni, la società si afferma e tutto sembra procedere per il meglio, a parte la lite con Chevalier. Però, ad un certo punto, come una folgore caduta dal cielo Maria entra in azione e spariglia le carte a tutti. Infatti, non appena vede cadere i suoi amici sotto i colpi dell’assassino Ponsard pensa istintivamente ad una vendetta tardiva di Tarentin. Tanto che dopo il tentativo compiuto da Jussef di assassinarlo in albergo si persuade definitivamente della cosa. >>
<<Quindi, a questo punto Ponsard si è finalmente convinto che le minacce vengano proprio dal suo ex amico che lo ha rintracciato e ora gli sta presentando il conto. Ma non è stato imprudente da parte sua stabilirsi proprio qui a poche ore di macchina dal suo rivale? >>
<<E’ così! Però, a parte che la società versava in cattive acque e quindi l’occasione per far fatturato, anche se in una zona a rischio, non andava perduta, magari voleva anche sfidarlo per indurlo a venire allo scoperto. Ponsard non era nuovo a questi atteggiamenti un po’ guasconi. Poi non dimentichiamo che con una guardia del corpo e in un ambiente protetto come un albergo si sentiva ragionevolmente sicuro. Comunque, giacché è un uomo di azione, decide di prendere il toro per le corna e gli telefona per chiedergli un chiarimento a brutto muso. Il colloquio deve essere stato drammatico. Dapprima gli offre dei soldi, poi i due litigano al telefono, ma alla fine Tarentin accetta di incontrarsi con il vecchio compagno di avventura. Ovviamente, nel recarsi all’appuntamento Ponsard si arma di pistola perché in realtà ha in mente di ucciderlo e quindi sparisce per una giornata senza lasciar detto a nessuno dove stia andando.
Anche la sua compagna Pauline, che pure nei giorni precedenti aveva cercato di convincerlo dell’innocenza di Tarentin è tenuta all’oscuro della cosa. Quando Ponsard arriva a San Zeno e incontra il suo ex compagno di malefatte, si rende subito conto che quell’uomo, ormai gravemente ammalato, non può certo essere stato in grado di eseguire i delitti precedenti. Così non lo uccide e se ne torna in albergo sempre più confuso su chi gli stia dando la caccia e per quale motivo.
Ma, purtroppo per lui, non riesce a sospettare di Maria, cosa che del resto non abbiamo fatto neppure noi, se non a cose fatte. In quanto a dove si trovasse Tarentin, Maria ci ha confessato che aveva saputo soltanto che probabilmente si trovava ancora in Italia. In seguito ha avuto la prima informazione utile, sia pure generica, da uno degli assistenti del professore e quindi, una volta appreso che l’uomo doveva risiedere dalle parti di Verona non ha fatto altro che controllare con comodo sull’agenda di Ponsard, che il professore lasciava in camera durante le ore di lezione, se non vi fosse qualche nome e numero con il prefisso di Verona. Lo ha trovato e lo ha chiamato. Tarentin ha risposto e lei ha riagganciato subito perché a quel punto il gioco era fatto. Sapeva dove trovare il quarto uomo! Ha aspettato qualche giorno, subito dopo l’omicidio di Ponsard per vedere come andavano le cose. Poi, appena ha visto che veniva arrestata Pauline con il suo compagno Mauriot ha avuto la certezza di averla fatta franca e si è diretta verso San Zeno per finire la sua vendetta, ma poi siete arrivati voi… >>.
<<…e con qualche spavento l’abbiamo assicurata alla giustizia >>.
<<Già! Mi spiace solo che adesso, con quel che hanno detto i giornali sulla villa dei delitti e tutta la pubblicità negativa che ne è derivata temo che dovrete chiudere l’albergo >>.
Milla guardò il nostro amico con aria stupita per quella considerazione, poi replicò piccata.
<<Chi glielo ha detto, scusi? Lo abbiamo chiuso per una rinfrescatina, ma siamo già pieni di prenotazioni. Lei non ha idea di quanta gente nutra la passione morbosa di dormire nella stessa stanza dove si è svolto un omicidio. C’è un gruppo fiorentino di studiosi di fenomeni paranormali che quando ha saputo che la villa aveva visto diversi fatti di sangue ci ha fatto una maxi prenotazione perché sono certi che ci siano un mucchio di presenze. Perfino degli inglesi si sono prenotati per qualche notte a fine settembre. Pare che abbiano un’associazione di cultori degli alberghi con fantasma con centinaia d’iscritti. Per non deludere qualcuno dovremo creare diverse stanze del delitto Ponsard>>.
Viccaro sorrise divertito. << L’avverto che questa si chiama truffa! Devo far finta di non aver sentito? >>.
Allargai le braccia rassegnato. <<Al suo buon cuore >>.
<<Comunque, cara signora Camilla, le devo fare i miei più sinceri complimenti per come ha risolto questo caso. Conoscevo da tempo la sua bravura, ma qui è stata eccezionale. Ha dato la polvere a molti miei uomini e mi ci metto anch’io, perché confesso che ero completamente fuori strada >>.
Guardai la mia compagna deluso per quell’attribuzione di meriti che m’ignorava completamente. Milla, che aveva capito al volo, sorrise affettuosa, poi prese la mia mano tra le sue e replicò al nostro amico. <<Caro capitano, purtroppo lei è fuori strada anche adesso. Guardi che io non ho alcun merito nella soluzione del caso. L’intuizione giusta del collegamento dei delitti con le vicende della lotta di liberazione in Algeria l’ha avuta mio marito. Devo dargliene atto, perché altrimenti anch’io sarei rimasta ancora all’ipotesi del delitto passionale come lei. A volte Carlo mi fa arrabbiare perché io sono un’impulsiva che si butta a capofitto nelle situazioni, mentre lui mantiene sempre un certo distacco aristocratico dalle vicende terrene, però è bravo, perché in tutte le vicende di questi anni, se ci penso, lui ha sempre messo lo zampino nei momenti giusti >>.
Viccaro mi guardò compiaciuto per la rivelazione. <<Davvero? Beh, quand’è così le faccio i miei complimenti più sinceri. Una volta tanto un po’ d’onore anche a noi uomini>>.
Subito dopo, si rivolse nuovamente a Milla. << Certo che suo marito, per fare una metafora calcistica, è come il grande Josè Altafini: sembrava assente per tre quarti della partita, poi, quando il pubblico cominciava a spazientirsi, cavava fuori la giocata di genio e ti faceva goal… >>.
Viste le attenzioni per la mia persona intervenni in quel duetto. <<La ringrazio per il complimento, però l’esempio è infelice per un interista come me. Come lei saprà, Altafini ha giocato nel Milan >>,
Viccaro sorrise divertito. <<Ma anche nella Juventus, non se lo dimentichi… >>
Quella precisazione mi confermò un sospetto che covavo da tempo. <<Non mi dica che lei è juventino… >>
<<Lo sono di famiglia e da almeno trent'anni>>
Feci cenno a Giulio perché si avvicinasse con la sedia, poi guardai Viccaro dritto negli occhi e gli riempii il bicchiere, mentre mia suocera gli serviva una fetta di crostata di pere ancora fragrante di forno.
<<Bene, capitano! Si metta comodo perché passeremo la prossima ora parlando di rigori dati e non dati >>.
<<E di sudditanza psicologica!>> aggiunse minaccioso Giulio.
<<Sono a vostra disposizione! Da dove si comincia?>>. Viccaro raccolse la sfida, intanto che addentava la prima forchettata di dolce.
<<Cominciamo dalla partita con la Roma, dal goal annullato a Turone… >>.
Milla ci guardò sgomenta, poi si rassegnò, mentre il sole caldo di maggio faceva finalmente capolino tra le nubi.