Nell'attesa di avere i filmati dei due spettacoli che abbiamo messo in scena a Mestre e ad Este (andati alla grande) per farvene la cronaca e mostrare qualche sequenza, mi trovo costretto a fare da badante al bretone che due settimane fa è stato azzannato da un grosso bull terrier in versione libero e bello (dice che gli è scappato, ma non ci credo) che gli ha spezzato la zampa posteriore destra facendolo finire due ore e mezza sotto i ferri. Tranquillizzandovi subito sul fatto che il chirurgo ha garantito che il giovanotto torna come nuovo, la cosa ha comportato anche l'avere un clone saltellante di Pietro Gambadilegno, che quando passeggia di notte sul parquet del corridoio con i suoi "toc... toc.." ci fa svegliare con il cuore in gola perché ci pare di avere qualcuno in casa. Inoltre, avendo la casa disposta su due piani, ora posso allenarmi nella disciplina olimpica di "trasporto in braccio su e giù per le scale di cane inerte, categoria 24 chili" e se non mi viene l'ernia, di sicuro avrò di nuovo degli addominali scolpiti da far invidia ad un cubista. Speriamo che l'elfa, che ultimamente è molto critica sul mio aspetto fisico, da lei definito "florido", lo apprezzi.
Comunque, il nostro aggressore oltre a sforacchiare il bretone in varie parti (gli hanno messo diversi punti di sutura) ha pensato bene di assaggiare anche la mano che gli aveva appena dato un pugno sul cranio per staccarlo dalla gola del suo cane, cioè la mia. Così, siccome le ferite da morso dei cani s'infettano facilmente, oltre al ciclo di antibiotici ho dovuto anche sottopormi ad una bella medicazione ambulatoriale con dolorosissime infiltrazioni di acqua ossigenata nella ferita (meno male che sono di una generazione che si è formata con i John Wayne operati sul tavolaccio stringendo solo del cuoio tra i denti, così non ho urlato per non dare soddisfazione alla dottoressa che me lo aveva preannunciato) e, soprattutto, sono stato costretto a recitare con un vistosissimo ditone medio color verde menta (sono dei nuovi cerotti elastici tipo velcro e quando ho chiesto se si poteva almeno avere un colore meno vistoso mi è stato detto che era disponibile in alternativa solo quello per bambini, rosa fucsia e con gli smiles. A malincuore ho dovuto tenere il ditone leghista). Naturalmente il ditone mi ha anche impedito di scrivere al computer, dato che ogni volta che premevo un tasto come minimo ne usciva un "QWERTY" o cose simili.
Il nostro giovane e creativo regista Rico "Silver" Silvestri, al suo debutto sulle scene e immortalato fuori dal teatro di Este |
Malgrado ciò desideravo scrivere appena possibile per non lasciare il blog inattivo da troppo tempo e ora che ho tolto la medicazione, finalmente posso farlo. Ho solo l'imbarazzo della scelta. Potrei raccontare, per esempio, che questa mattina l'elfa quando mi ha visto tornare tutto bardato con il piumone con il collo di pelo, la sciarpa e il berrettone di lana calato sulla fronte dalla passeggiata nel gelo con il pirata Gambadilegno mi ha chiesto subito come fosse andata la pesca delle aringhe, dato che le sembravo il comandante di un peschereccio delle isole Lofoten, tuttavia non lo farò (ehm...) perché poi lei si lamenta che la metto in cattiva luce sul blog e, comunque, io non sono permaloso (ehm...).
Così, essendomi sostanzialmente rotto le scatole di tutti quelli che in questi giorni pedalano nella farina sui giornali e nelle televisioni per dimostrare all’inclito pubblico elettore (che ormai ci siamo quasi) che Tizio è migliore di Caio e ci condurrà ad un nuovo ballo Excelsior con il trionfo della Luce sull'oscurantismo e tanto di magnifiche sorti e progressive incluse, stacco un attimo e riprendo a raccontare la mia quotidianità (la buona vecchia fuga nel privato…) e magari a frugare nel cassettone delle mie cavolate giovanili, che lì è terreno fertile.
Eccomi in scena nei panni del padre di Donatella, con il ditone verde che spicca vistosamente sul bianco del gatto Belzebù. |
Dunque… avendo un figlio ventiseienne che, dopo gli esordi in Erasmus a Vilnius con un discutibile ragù al ketchup (si giustificò dicendo che non sapendo il lituano credeva di aver preso una passata di pomodoro) oggi sostiene di essere ormai un giovane Cracco e ci racconta con orgoglio di leggendari risotti alla ricotta e speck cotti nella birra scura, per non parlare del suo sushi da far invidia a Jiro Ono e di essere diventato il più rinomato e ricercato cuoco tra i suoi amici di Vienna e ora di Düsseldorf, (però quando torna a casa non mette nemmeno il pentolino del latte sul fuoco) mi sono inevitabilmente ricordato i miei disastrosi esordi in cucina, sempre in ambito studentesco, anche se padovano, che qui ripropongo anche a fine didattico e di monito agli apprendisti cuochi.
Gli esordi da cuoco di mio figlio all'Ostello dell'Università di Vilnius. Raffinato ed elegante come le cene di Arcore... |
All'epoca avevo preso alloggio in un miniappartamento a due passi dalla facoltà assieme a Roberto, un simpatico cialtrone figlio di un ufficiale di Marina (collega e amico di mio padre) e drammaticamente indietro negli esami come me. Non che ce ne fosse realmente bisogno dell'appartamento essendo Padova a 30 minuti di treno da Venezia, ma alle nostre rispettive madri sembrava un’eccellente idea per far in modo che i due pargoli studiassero tranquilli insieme, unendo le loro mediocrità per proseguire spediti nel percorso universitario. Per noi, invece, era la realizzazione di un sogno: iniziare il vorticoso giro di donne e di vita dissoluta che era nei nostri piani.
Dopo poche settimane, però, iniziarono i problemi di convivenza perché Roberto, che da figlio unico era viziatissimo (mentre io, avendo un fratello minore, ne ero sicuramente esente), non faceva letteralmente un tubo per tutto il giorno. Di solito, come il Giovin Signore del Monti, entrava in bagno verso le nove e ne usciva verso le undici, fragrante di dopobarba e sbucando da una nuvola di borotalco. Io, nel frattempo, avevo lavato i piatti, rifatto i letti, fatto la spesa e stavo cominciando a cucinare. Dopo essersi vestito, il milordino veniva a tavola e, allontanando con aria annoiata il suo piatto, diceva “...ma non sai fare altro che pastasciutte ? ”. Roba che se oggi mi permettessi di dirlo all'elfa mi troverei con quattro palmi di coltello da cucina nello sterno o inchiodato sulla porta da una sua freccia al carbonio senza neppure capire come. Così, a parte che avendo già superato i livelli basic del burro e formaggio, del gran ragù Star e del pomodoro e basilico vi posso garantire che i miei sughi non erano per niente male, capii che se non avessi interrotto subito la faccenda poteva succedere che: o alla lunga lo strangolavo, o mi sarebbe venuto il complesso di Cenerentola. Quindi, essendo tendenzialmente un non violento e anche troppo giovane per mettermi in analisi dallo psicologo, lo sfidai, se si riteneva tanto bravo, a cucinare lui.
La sfida, che integrava quelle quotidiane a flipper nel bar sotto casa e a calcetto sul tavolo del salotto con i tappi del gingerino riempiti di pongo giallorosso per lui che era della Roma e nerazzurro per me (il Subbuteo di allora), fu subito accettata e fu così che arrivò il gran giorno del pollo al barolo. Un avvenimento gastronomico di grandissimo rilievo durante il quale Roberto, che lo aveva annunciato a mezzo mondo, si sarebbe esibito nella preparazione del prelibato manicaretto su autentica ricetta di sua madre, già citata come formidabile artista dei fornelli. L'aspirante cuoco si alzò dunque di buon ora e andò in Piazza delle Erbe a scegliere il pollo dai banchetti dei contadini, perché doveva essere assolutamente ruspantissimo. In casa, frattanto, era spuntata già da qualche giorno una pregiatissima bottiglia di Barolo Gaja 1964 d.o.c. (presa in prestito sine die immagino dalle rinomate cantine del padre o di qualche Circolo Marina).
Al mercato, non senza un qualche trauma, perché all'epoca i contadini vendevano i polli vivi e gli tiravano il collo alla presenza dell’acquirente, il nostro eroe comperò (si fece rifilare…) un bestione di volatile, buono per sei persone e lo portò trionfante a casa. Così, indossato un pesante grembiulone cerato della Marina Militare (fregato a bordo dell'Impavido), di quelli che si usano in cambusa per pelare patate e preso un catino, cominciò subito una delicatissima operazione di spiumaggio della povera bestia che fin dalla prima penna si dimostrò particolarmente coriacea e decisa a rendergli dura la vita. Dopo aver tentato (invano) di sostenere che occorreva aspettare qualche ora affinché il rigor mortis dilatasse i pori del pennuto e che notoriamente le piume delle galline padovane sono più attaccate di quelle delle galline livornesi, Roberto cominciò ad accanirsi su quella povera salma e la lotta durò quasi due ore, tra lazzi (miei), bestemmie (sue) e piume (del pollo) che volavano da tutte le parti. Finalmente, nella tarda mattinata, l’ormai ex-pennuto finì nella casseruola e una volta affogato nel barolo, con l’estremo oltraggio di una carota nel sedere, fu infilato festosamente nel forno. A momenti, sembrava il varo della Queen Elisabeth.
Il tavolo da pranzo dell'appartamento padovano, dove perfino il compagno Lenin inorridì alla vista del pollo al barolo |
Nell’attesa golosa di gustare tanta prelibatezza, incominciammo a studiare diritto amministrativo, che sembrava fatto apposta per tenere l'appetito a bada. Dopo una ventina di minuti, però, avvertimmo un odore strano, ma Roberto, che se ne intendeva, affermò che, ovviamente, quello era l’aroma tipico del vino di gran corpo che si sprigionava e non ci preoccupammo un granché. Quando il pollo arrivò in tavola ci buttammo avidamente sul sughetto, sul petto e sulle cosce. Poi, tolta la carota e aperta la carcassa, fui colto da un vago senso di allarme. Chiesi a Roberto, che stava facendo avidamente scarpetta col pane: “ Ma... hai messo dentro anche il ripieno?”. Lui, con la bocca piena, e unto di sugo fino agli occhiali, mi rispose stupito: “No... perché?”. Il perché era rappresentato da una poltiglia scura, molliccia e rivoltante. Quello sciagurato, comperandoli sua madre dal macellaio, non sapeva che i polli ruspantissimi vanno anche puliti dalle interiora!
Grazie a lui, nell’ambiente studentesco di Padova fummo a lungo celebri come quelli che si erano mangiati il poulèt a la merde .
Mi dispiace tantissimo per il bretone, e anche per la tua mano Carlo. Certi dementi che lasciano i cani pericolosi liberi dovrebbero essere denunciati.
RispondiEliminaIl tuo pollo "farcito" mi ha deliziato :P
Buona giornata!
Grazie Maude,concordo pienamente con te anche perché se al posto mio, che sono grande e grosso, ci fossero stati un bambino o una persona anziana con il loro cagnolino, probabilmente finiva peggio.Dunque,che denuncia sia, così magari in futuro lo custodisce meglio. In quanto al pollo, è semplicissimo da fare, se vuoi ti passo la ricetta :)
EliminaCiao
vabbè dai non è così grave... sempre meglio del mio pesce cotto con tutte le squame, e pure con il sughetto!!! Sapessi che scarpetta... he he
RispondiEliminaSei in buona compagnia. A me è capitato pure in seguito (e quando già mi spacciavo per cuoco provetto) con delle seppie cucinate in fretta per i miei ospiti senza controllare, per una mal riposta fiducia nel mio pescivendolo, che non avessero ancora il rostro e tutto il resto. Purtroppo l'avevano e anche la sacchetta dell'inchiostro...
EliminaCiao
Ci voleva proprio un post simile per farmi iniziare bene la giornata! Il medio leghista ed il poulèt a la merde ... mitico!
RispondiEliminaBuona domenica, Renata
Lieto di averti rallegrato la giornata e soprattutto di averti tra le mie lettrici :)
EliminaCiao, a presto..
E' capitata anche a me un'esperienza come la tua, in pieno centro ad Asiago, la mia povera perla si è messa con la pancia per aria in posizione di resa e mia figlia piangeva disperata, tanto da attirare l'attenzione di quattro omoni che hanno staccato dal collo del mio cane il grosso cagnone.
RispondiEliminaMi fanno una paura certi cani liberi! Non sarebbe legale ne indice di rispetto e buon senso.
Mi dispiace molto per il tuo bretone e per il tuo dito leghista.
Il pollo alla merde fa passare la voglia di mangiare pollo in vita, a me è successo con un uccellino, mi è arrivato nel piatto con polenta, sugo e penne.
Grazie Ale, vedo che anche tu hai passato un'esperienza simile alla mia, dunque capisci perfettamente la rabbia che si prova di fronte a certi incoscienti che si prendono i cani da combattimento (perché il Bull terrier che ci ha aggredito appartiene ad una razza incrociata e selezionata nel tempo per quello)per fare i fenomeni con gli amici del bar e poi li lasciano liberi per strada come se niente fosse. Meno male che anche per te, tutto sommato e spavento di madre e figlia a parte, è finita bene. In quanto al resto, a me è successo in un noto ristorante del trevigiano di vedermi servire un piatto di quaglie al forno una delle quali ancora "con il ripieno". Però per scusarsi mi hanno offerto il pranzo. Almeno quello...
EliminaCiao