sabato 31 dicembre 2011

Auguri per 2012 (che ne abbiamo bisogno)

Visto che non bastava stare con le mutande in mano tra un suppostone Salva Italia e l'altro e tanto per donarci una bella ventata d'ottimismo, l'anno che arriva sarà bisestile e, per gradire, pure con la profezia porta sfiga dei Maya incorporata. Che è un po' come buttarsi a mare dal Titanic che affonda e finire in mezzo ad un branco di orche assassine. Dunque, serviranno davvero tanti riti scaramantici (noi uomini da questo punto di vista siamo agevolati avendo due preziosi talismani sempre a portata di mano) e  almeno qualcosa che ci strappi un sorriso, prima che ce lo tassino. 

Ho appena ascoltato questa deliziosa canzoncina della Sora Cesira sul come affrontare al meglio i giorni che ci separano dalla temuta profezia e ve la propongo allo scopo (fermo restando che il giorno dopo la presunta fine del mondo, scompariranno solo gli imbecilli creduloni che ci hanno fatto due marroni così con i Maya) .

Buon 2012 a tutti.

mercoledì 21 dicembre 2011

Auguri di un magico Natale a tutti

Stacco qualche giorno la spina per rigenerare lo spirito e la fantasia abbastanza esausti. Purtroppo, il conto corrente reso anemico dalle pur spartane spese natalizie, dai pieni di gasolio - che ormai converrebbe andare a cabernet - dai figli che emigrano a far capodanno "altrove" (nell'attesa di andare a vivere per due anni a Vienna per conseguire il master in logistica, che mi vien male solo a pensarci) e dalle prime bollette maxi, non si rigenera da solo, ma questo immagino sia un problema comune di questi tempi, dunque non vi affliggo oltre. 

Cliccare sulla foto per ingrandirla

Invece, anche a nome di tutta la dogal famègia, bretone compreso, rivolgo un augurio affettuoso a tutte le mie carissime amiche e amici di blog perché trascorrano con i loro cari un bellissimo Natale, allegro e profumato di cose buone come una volta, e, soprattutto, perché il 2012, pur con l'incognita della profezia dei Maya (che non avevano nulla di meglio da fare che chiamare una sfiga cosmica? Avevamo appena finito con quel menagramo di Nostradamus...), sia assolutamente migliore di questo orrendo 2011, che per fortuna ci vuol poco. Auguri e buon anno a tutti...e vi lascio con questa bella poesia natalizia di Gianni Rodari molto attuale, che ormai di questi tempi non possiamo che regalarci auguri.


Il magico Natale 

S'io fossi il mago di Natale
farei spuntare un albero di Natale
in ogni casa, in ogni appartamento
dalle piastrelle del pavimento,
ma non l'alberello finto,
di plastica, dipinto
che vendono adesso all'Upim:
un vero abete, un pino di montagna,
con un po' di vento vero
impigliato tra i rami,
che mandi profumo di resina
in tutte le camere,
e sui rami i magici frutti: regali per tutti.
Poi con la mia bacchetta me ne andrei
a fare magie
per tutte le vie.

In via Nazionale
farei crescere un albero di Natale
carico di bambole
d'ogni qualità,
che chiudono gli occhi
e chiamano papà,
camminano da sole,
ballano il rock an'roll
e fanno le capriole.
Chi le vuole, le prende:
gratis, s'intende.

In piazza San Cosimato
faccio crescere l'albero
del cioccolato;
in via del Tritone
l'albero del panettone
in viale Buozzi
l'albero dei maritozzi,
e in largo di Santa Susanna
quello dei maritozzi con la panna.

Continuiamo la passeggiata?
La magia è appena cominciata:
dobbiamo scegliere il posto
all'albero dei trenini:
va bene piazza Mazzini?
Quello degli aeroplani
lo faccio in via dei Campani.
Ogni strada avrà un albero speciale
e il giorno di Natale
i bimbi faranno
il giro di Roma
a prendersi quel che vorranno.
Per ogni giocattolo
colto dal suo ramo
ne spunterà un altro
dello stesso modello
o anche più bello.

Per i grandi invece ci sarà
magari in via Condotti
l'albero delle scarpe e dei cappotti.
Tutto questo farei se fossi un mago.
Però non lo sono
che posso fare?
Non ho che auguri da regalare:
di auguri ne ho tanti,
scegliete quelli che volete,
prendeteli tutti quanti.


venerdì 16 dicembre 2011

Casalinghi si diventa (la prevalenza del budino)


Occupandomi professionalmente di un qualcosa - lo sviluppo organizzativo - che l’ottanta per cento delle imprese venete neppure sa cosa sia, mentre le altre più strutturate che lo sanno di fronte ad una crisi del genere non hanno più trippa per i gatti e, comunque, ormai c’è poco da sviluppare, mi ritrovo mio malgrado con un bel po’ di tempo libero a disposizione. Così, oltre alle tre orette quotidiane adoperate per portare il bretone a sgambettare tra campi fangosi e nebbie (che lui non si degna di espletare i suoi bisogni nelle aiuole dei giardinetti, ma si sente ispirato solo dalla visione degli spazi agresti), ho una moglie che appena mi tolgo il cappotto tutto infreddolito e oso aprire Repubblica per una fuggevole occhiata, invece del premuroso: “Amore, sei stanco? Vuoi che ti faccia un caffè bollente?” tipico degli angeli del focolare di cui favoleggiavano le poesie delle elementari, mi ricorda con un automatismo tipicamente femminile che, visto che non ho nulla da fare, ci sarebbero le foglie in giardino da rastrellare o la biancheria da stendere. 

I campi gelidi e fangosi prediletti dal mio cane

Dunque, essendo di natura un uomo curioso e aperto al cambiamento, sto perfezionando il ruolo del casalingo. 

Non che prima non lo facessi, ma lavorando a Torino e pertanto vivendo da solo a quattrocento chilometri da casa e con orari devastanti per la mia alimentazione (uscendo alle otto di sera, riuscivo a fare spesa solo se i negozi non mi chiudevano la saracinesca sui piedi) sopravvivevo solo con scatolami e tranci di pizza o di focaccia ligure rafferma e per il resto dei lavori di casa, non disponendo dei tempi tecnici, mi limitavo al minimo sindacale (lavaggio del mio piatto singolo e della forchetta, delle calze e mutande etc...), mentre per le pulizie di fondo, chiedendo ingenuamente lumi al giovanotto della cooperativa che ci puliva gli uffici, mi era stata indicata la “Soluzione Luciana” che, a suo dire, avrebbe depurato il mio appartamento come la “Soluzione Schoum”. Si trattava di una signora molisana (ovviamente parente del giovanotto) dall’età indefinibile, sempre vestita di nero e brusca di modi che veniva al venerdì sera e che, come promesso, mi riconsegnava al lunedì una casa lucente, ancorché affumicata come uno speck perché la maledetta fumava come una turca, tanto che le lenzuola e il cuscino sapevano di fumo per almeno due o tre giorni. Questo anche se prima di dormire lasciavo la finestra spalancata per arieggiare (misura in ogni caso indispensabile perché abitando in un condominio di vecchietti freddolosi, la caldaia andava a tutto spiano anche in primavera e sui termosifoni ci potevi friggere le uova) 

Oggi, come dicevo, faccio il casalingo in maniera più articolata e consapevole. 

Compiti per casa

Un'esperienza sicuramente interessante e formativa, che, come fossi un novello Darwin, mi svela mondi nuovi e affascinanti come quelli del Mocio Vileda, del panno antistatico e dell’olio paglierino per i mobili o anche tecnologie complesse come quella della lavatrice intelligente che si rifiuta di accettare il detersivo se il tessuto non è quello giusto, che però sa solo lei quale sia. Questo nuovo mondo, spesso mi pone davanti a scelte sconosciute e laceranti come quelle relative al detergente migliore per i pavimenti (con lisoformio o no? E la candeggina profumata a che ca… serve?) o a scoperte amare del tipo che non esistono guanti di gomma adatti alle mani di un signore alto un metro e ottantaquattro per novanta chili di peso e che anche il formato XL ti stringe due lacci emostatici attorno ai polsi. Quindi, alla fine, essendo uomo d’ingegno, dopo aver scoperto quanto bruci il Calinda a mani nude, ora lavo il water con le mani avvolte nei sacchetti del supermercato.

                                                             

Ma quello che più mi affascina è la scoperta di specie umane nuove e insidiose, quali la verduraia sotto casa che ogni volta che mi vede passare mi sorride e viene a fare una coccola al cane, ma poi approfittando della totale incompetenza di uno abituato a mettere nel carrello del supermercato il lattughino “tempo zero” già lavato e pronto da condire, mi rifila come misticanza di insalatine novelle le erbacce che crescono sui bordi della strada e quando acquisto un chilo di cipolle, facendomi credere con la gestualità di un’ illusionista che sta scegliendo solo le migliori per me, poi me ne rifila sempre almeno una marcia. Lo stesso accade in pescheria quando mi magnificano seppioline atlantiche scongelate e gommose come nostrane e fresche di giornata.

L'aria infida della verduraia c'è tutta

Poi c’è la nostra farmacista, una bella signora sorridente dai capelli nerissimi, che qualsiasi richiesta le faccia di farmaci da banco, mi propone di default prodotti omeopatici o unguenti e tisane preparate da lei, purché costosissimi e dicendo ogni volta “Questo è un prodotto tutto naturale. Vedrà che le farà solo bene”. Se cerco di fare il furbo e mi rivolgo alla sua collega, una signora esile, bionda, di origine tedesca e dallo sguardo glaciale, il risultato sarà identico, solo che mi verrà detto: “Qvesto è prototto tutto di natura, Fedrà ke le farà solo pene”. Questo per non parlare della signora Luisa del negozio di alimentari a fianco che ormai ho soprannominato: "Sono due etti, lascio?" e alla quale prima o poi vorrei dire: "No, tolga...", ma ho paura delle conseguenze, visto che è una montanara cadorina arcigna con le braccia muscolose di un tagliaboschi, tanto che immagino apra in due le forme di grana direttamente con le mani. 

Una delle specie più aggressive che ho potuto scoprire andando a fare la spesa su mandato coniugale, è quella delle signore "vintage" con i capelli cotonati e azzurrini. Quelle donne di età indefinibile, spesso già nonne, che parlano in dialetto, con l’abitino a colori inspiegabili e il trolley della spesa da cui spuntano due gambi di sedano e che verrà presto usato contro le tue caviglie come una macchina da guerra di Leonardo da Vinci. Quelle che quando il tuo macellaio pronuncia il fatidico “A chi tocca?” le senti subito mentire alle tue spalle: “Tocca a me!” e che, dopo averti spostato con la grazia di un Materazzi per raggiungere il bancone, iniziano il Cantico delle Fettine. 

Signora con i capelli azzurrini in versione tecnologica

Detto Cantico, comincia sempre chiamando per nome il macellaio, per farti capire subito che tra i due c’è un’antica confidenza che, pertanto, le consentirà di pretendere la rimozione minuziosa di ogni filo di grasso dalle bistecche, il disossamento del quarto di pollo e il legamento con lo spago dell’arrosto. Inoltre, consiste nel rivelarti, di fettina in fettina e di etto in etto, tutte le abitudini alimentari della famiglia e, di conseguenza, quanto lei sia carica di attenzioni e avveduta nelle scelte, casomai avessi pensato che ordinava alla: “Valà che vai bene” (Purtroppo non posso più dire: “Alla …. di cane”. Qualcuno in famiglia non la prenderebbe bene). 

Così, in capo ad una mezzora saprai che il figlio trentenne, quello che lavora in banca, non sopporta i nervetti nella carne sin da quando era bambino, mentre suo marito è l’unico della famiglia che mangia il fegato, ma solo con la cipolla, che lei usa solo la guancia per fare lo spezzatino, che diventa tenerissimo, mentre i messicani di pollo (ma senza il peperone) sono per il nipotino che mangia poco, perché la nuora, come tutte le ragazze di oggi, non sa cucinare, ma che se glieli prepara la sua nonna… 

Dopo aver invocato qualsiasi divinità affinché il pargolo si strozzi con i messicani di pollo della nonna, appena ti sembrerà che il Cantico abbia avuto termine e dopo l'attesa di altri minuti di ricerca nelle borse per trovare i cinquanta centesimi che mancano (“Guardi… glieli do io, signora, se non si offende e anche se si offende…”), proprio quando stai per aprire bocca, la signora dai capelli azzurrini si fermerà sulla soglia della macelleria come folgorata da una visione celeste: “Maria santissima… gèro drio a desmentegàrme… Mauro, hai mica il prosciutto cotto dell’altra volta, ma non quello con i conservanti, quell'altro naturale che era piaciuto tanto a …” .

Anche mio figlio, nei rari momenti nei quali ci onora della sua presenza, si dimostra nel pieno apprendimento del suo sapere casalingo, un po’ perché sua madre ha deciso che è meglio educarli da piccoli per non ritrovarsi  poi con casi irrecuperabili come suo marito e un po’ perché il feldmaresciallo Katerina lo ha messo velocemente in riga ricordandogli che in “Czech Republic…” (etc.). 

Gli esordi da cuoco di mio figlio nelle eleganti suite dell'ostello di Vilnius

Il nostro giovanotto aveva iniziato a darsi da fare già durante l’Erasmus regalandoci scene memorabili quali le immagini webcam dalla sua camera spartana con le camicie sullo sfondo stese ad asciugare ancora sgocciolanti e appese ad un filo che passava sopra il letto del suo compagno di stanza, il pazientissimo Miguel. Ma proponendoci anche il suo sguardo sgomento quando aveva appreso che la biancheria occorre anche risciacquarla, non solo immergerla nell’acqua e sapone (ed ecco spiegati quei fastidiosi pruriti) e perfino un momento di buonumore quando ci aveva rivelato che per un incomprensione dell’etichetta lituana, aveva fatto il suo primo ragù con il ketchup (però ai tedeschi dell’altra stanza era piaciuto molto). Poi è migliorato a tal punto che oggi si lava e si stira impeccabilmente le camicie (anche perché sua madre da quando ha compiuto i 18 si rifiuta di farlo) e cucina più che discretamente, tanto che alla fine si manteneva dando lezioni di cucina italiana ai suoi compagni (e alle compagne) dell’ostello di Vilnius in cambio della spesa settimanale e di qualche ingresso in discoteca. Perché un economista sa anche arrangiarsi con le leggi della domanda e dell'offerta.

Il grande cuoco italiano si esibisce a casa di Katerina
Siccome se ne vanta in eccesso, sabato l’ho sfidato ad un duello culinario tipo “la prova del cuoco” con sua madre e due nostri amici invitati a cena per l’occasione nelle vesti di giurati più o meno imparziali. Ciascuno ha fatto le sue spese e poi Gianmarco ha cucinato un antipastino di sua invenzione (dice) con carciofi, funghi e taleggio passati al forno dentro dei vol au vent (surgelati) e delle fettuccine con il bacon della Tulip e tanta cipolla che ha definito con molta fantasia “alla griscia”, mentre io ho mi sono esibito nelle crépes con la ricotta e lo speck  e poi nelle polpettine al sugo con i piselli, come le faceva mia nonna, cioè da urlo. 

Infatti, ero in vantaggio, quando a sorpresa lui ha servito in tavola un dessert: un bunèt piemontese (una via di mezzo tra il budino e la crème caramel) al cioccolato, guarnito con la panna montata (spray) e un’amarena Fabbri, che non c’entrava nulla ma faceva scena. Successo immediato, applausi e vittoria netta dell’erede. Domenica mattina, appena l’ho visto arrivare giù dalle scale ciondolante in pigiama a bofonchiare: “Qualcuno ha fatto per caso il caffè?” gli ho fatto sportivamente i complimenti per la vittoria e per quel dolce. Lui mi ha folgorato con un lampo ironico poi mi ha detto ridacchiando: “Papà, ma scherzi? Guarda che la mamma l’ha capito subito … i bunèt li ha fatti la Parmalat, mica io…” .

domenica 11 dicembre 2011

Dello spirito del Natale (e dei regali anticipati)

Andando a  spasso con il cane per le strade che confinano con la campagna dietro casa nostra (mooolto dietro, di alcuni chilometri, perché ai giovani bretoni piace trotterellare per ore, meglio se tra il gelo e le nebbie) in questi giorni sto scoprendo fenomeni di costume curiosi, tipo quello dei babbi natale scalatori che ormai hanno preso il posto dei nani da giardino, nel senso che non c’è villetta o condominio che non ne abbia almeno uno appeso fuori da una finestra o balcone e che spesso più che uno scalatore ricorda i banditi che penzolano impiccati nei film western .  Ieri mattina, costeggiando una fila di villette a schiera, ne ho contati sette, tutti impegnati a salire sui balconi con le loro scalette di corda tanto che mi sembrava una prova di Giochi senza frontiere, con il Babbo Natale tedesco in vantaggio come al solito (immagino avesse giocato il Jolly). Immagino che oggi cerchino d’entrare di soppiatto dalle finestre e non dal camino perché hanno paura di trovarvi sotto un panettone soffice come nelle pubblicità.

Il ponte di Rialto in versione natalizia

 Però poi ho pensato con simpatia che dietro alle finestre appannate di quelle case c’era lo stesso mondo che mi è apparso in questi giorni curiosando in giro per i blog delle amiche e amici,  dove ho letto dei post pieni di poesia su come viene ancora vissuto il Natale in tante famiglie. Un mondo fatto di piccoli riti affettuosi, di bambini con il naso all’insù per vedere il papà che mette il puntale giallo oro in cima all’albero traballando sulla sedia e di lucine cinesi ad intermittenza che non ne vogliono sapere di accendersi, di presepi con l’asinello scheggiato che ci mettiamo San Giuseppe davanti, così non si vede e di pastorelli che portano la pecora sulle spalle e si rifiutano di stare in piedi sulla paglia, mentre il papà e la mamma combattono a colpi di scotch con la carta stagnola del ruscello e il cielo stellato che continua a collassare sulla capanna. Che meraviglia e quanti ricordi mi hanno suscitato!

Il campiello che porta in calle Racchetta da Strada Nova

Perché io sono uno di quei bambini sfortunati degli anni ’50 ai quali arrivava quasi sempre un unico regalo (spesso frutto di sapienti bricolage...) mentre alla Befana, il calzino appeso lo si trovava riempito di qualche sparuta caramellina e di molte arance e mandarini. Tra i regali che ricordo ancora oggi c’era un teatrino in miniatura con tanto di sipario di stoffa rossa, quinte e marionette di gesso, quelle classiche con Arlecchino e Pulcinella, con le quali mio padre e mia madre m’improvvisavano mirabolanti e spassosissime scenette. Durante un Natale passato a Taranto, invece, ricordo di aver finalmente trovato sotto l’albero l’agognato Fort Apache, un vero fortino con le mura a palizzata, la torretta d’osservazione e tanto di bandiera della cavalleria americana, ma anche con in dotazione un vero tesoro: una scatola con una trentina di cow boy e indiani di gesso, che però si squagliò miseramente la volta che la dimenticai in terrazza sotto un acquazzone.

Sotoporteghi e gatti veneziani

Quei miei Natali ormai lontani volevano dire però anche i cappelletti fumanti in brodo di gallina ruspante cucinati dalla nonna (quella materna, che veniva dal Monferrato, perché l’altra non sapeva fare nemmeno un toast) che si era alzata all’alba per tirare la sfoglia tra nuvole di farina e la suddetta gallina lessa che veniva servita subito dopo con la salsina verde (quella di prezzemolo, pane, aglio, uovo sodo e acciughe) o con la mostarda di Cremona, con le ciliegine candite distribuite equamente tra me e mio fratello. Tutto divorato in fretta e con i giornalini sotto al sedere (perché a tavola oltre a non interrompere i discorsi dei grandi era proibito leggere) nell’attesa del panettone che in casa nostra era rigorosamente Motta (all’epoca c’era solo l’alternativa Alemagna, che era un po’ come dover scegliere tra Coppi e Bartali). Al pomeriggio finalmente si andava, tutti intabarrati nei cappotti e nelle sciarpe, al cinema Massimo per vedere, tra nugoli di altri bambini, il cartone natalizio della Disney, rassegnati a subire perfino l’immancabile documentario sui castori.

Ponte della Maddalena al tramonto

A proposito dei miei Natali a Taranto, che ho citato prima, ricordo che sul nostro pianerottolo di Corso Umberto si affacciava anche l’appartamento di una piccola e cicciottella casalinga napoletana, moglie di un impiegato comunale, tale signora Pepe, che era una di quelle persone che sembra vivano unicamente per impicciarsi dei fatti altrui e si fanno un punto d’onore ad aggiornarti su quel che succede nelle altre famiglie del condominio, con particolare riferimento alle tresche amorose. Naturalmente a noi di tutte queste vicende private non poteva importare di meno, ma per la Pepe questo sembrava essere un dettaglio di poco conto e si faceva un punto d’onore nel tenerci informati. Questa donna era di un’invadenza spaventosa e in perenne agguato sulle scale (per me sorvegliava i nostri movimenti dallo spioncino della porta). Era quasi impossibile uscire o rientrare senza vederla comparire ad offrirci preziosi suggerimenti non richiesti o a cercare di entrare in casa nostra con qualche scusa per curiosare. Se riuscivamo a sottrarci con qualche sotterfugio all’agguato per le scale, allora la Pepe agguantava mia madre non appena si recava a stendere la biancheria sul balconcino della cucina che era adiacente al suo.

Un frutariòl in Calle dei Botteri

La signora Pepe, oltre al desiderio – mai esaudito­ per assoluto divieto paterno – di essere invitata a cena e d’intrattenere rapporti con la famiglia di uno di quegli altezzosi ufficiali di marina che in città erano considerati una casta a parte, aveva come apparente scopo della sua esistenza quello di rivaleggiare con il nostro tenore di vita (che poi non era tutto questo granché). Perciò, se noi si comperava una qualunque cosa, lei come minimo ne comperava due, oppure una vistosamente più grossa. L’unico vantaggio per noi piccoli arrivava alla vigilia di Natale, quando la Pepe c’invitava ad ammirare il suo albero (il doppio del nostro) e ci rimpinzava degli addobbi di cioccolata e marzapane (due volte più numerosi dei nostri). Il lato negativo della cosa, invece, era che la Pepe, per confermarci che eravamo proprio di fronte ad una pia donna, ci invitava a recitare le preghierine a mani giunte e solo dopo sganciava il cioccolato. E proprio alla vigilia di un Natale, la Pepe se ne uscì con un lapsus clamoroso, invitandoci premurosa, con la sua vocina cantilenante, ad essere tanto buoni e a dire le preghierine: “Che così facciamo tanto contento il Gesuino Bambù!”. Questo fatto del “Gesuino Bambù”, subito riferito, scatenò per giorni l’ilarità di mio padre e divenne un vero tormentone che si è tramandato negli anni, tanto che ci ha riso sopra anche mio figlio.


Riflessi e tramonto sul rio di San Felice

Il quale figlio, invece, è stato più fortunato perché, tra genitori, zie, nonni e ci metto pure il “Natale Bimbi” della FIAT, trovava sotto l’albero un vero container di giocattoli (e non aveva nemmeno, come nel mio caso, un fratellino con cui litigarseli). La cosa che ricordo con maggior tenerezza era però la finta cena che un Babbo Natale scroccone si concedeva nella nostra cucina per lo stupore affascinato di nostro figlio, con tanto di piatto lasciato sulla tovaglia con bucce d’arancia e briciole di pane tutt’attorno (anche un bel bicchierozzo di vino, perché Babbo Natale è uno che sa vivere…). Il tutto era illuminato solo dalla luce fioca di una candela sul tavolo, che accendevo assieme alle luci dell’albero scendendo silenzioso le scale poco prima che Gianmarco si svegliasse.

Ollie e Gianmarco, i miei due giramondo adorati
Comunque, a proposito di regali, io ne ho già avuti due anticipati e bellissimi. Il primo l’ho avuto quando, preceduto dal trillo inatteso di un telefonino di buon mattino ho visto mio figlio schizzare come un invasato fuori dalla stanza, mezzo in pigiama e mezzo vestito, gridando “Papaaà! C’è Ollie in stazione qui a Mestre e non è uno scherzo…(omissis) ” . Così ho appreso che era venuto a trovarci a sorpresa Oliver “Ollie” Paterson, ovvero il mio ventenne figliolo australiano dello scambio con Gianmarco, che, appena tornato in Italia per un corso di chitarra jazz a Prato (lui suona da dio…) è passato a trovarci e a farsi cucinare una monumentale carbonara con tanta pancetta. Il pomeriggio siamo andati tutti assieme a zonzo per Venezia a cercare regali per i suoi amici di Melbourne e ho fatto un mucchio di foto, tra le quali quelle che adornano il post (altre le sto postando su Flickr).

Il quadretto ricomparso dal  nulla 

Il secondo regalo, però è stato davvero incredibile, perché veniva ancora più da lontano. Questa mattina mia moglie, guardando dentro uno dei vecchi mobili tarlati di mia zia che abbiamo messo in un magazzino per vedere se era il caso di restaurarlo, ha trovato all’interno di un cassettone, avvolto da fogli di giornale, un piccolo quadro ad olio di mia madre. Una delle tante lagune che amava dipingere. Questa, molto tenue e delicata come tutta la sua pittura,  raffigura Burano come una  sottile striscia sospesa tra le acque e le nebbie ed è stata dipinta nel ’67 (la foto non rende appieno la vibrazione del colore, che la nebbia sembra di respirarla). Credevo che quel dipinto fosse andato distrutto con tutti gli altri durante l'incendio di casa nostra, ed invece…

Se non è un bel regalo di Natale questo…   

martedì 6 dicembre 2011

Disillusione


Sono in uno stato di grazia: mia moglie è da qualche parte con la scuola di tango a ballare per tutto il pomeriggio e mio figlio è “altrove” per una partita di calcetto con gli amici, la cena per la sera è già pronta, basta accendere il forno e il cane è già uscito ed ha la vescica vuota. Dunque, ho davanti a me alcune ore di perfetta solitudine nelle quali potrò dedicarmi ad una full immersion negli affaracci miei, tipo: scrivere, cazzeggiare al computer, lavorare con Photoshop e sentire i Led Zeppelin con lo stereo a palla. Perfino rispolverare la vecchia Fender con l’ampli e il distorsore e improvvisare qualche riff in stile Deep Purple o AC/DC

Ed è quello che faccio. Sul più bello di Smoke on the water quando ormai mi sento come Steve Morse, squilla il telefono. Guardo sul display: non è mia suocera. Anche lei come sua figlia ha maturato un talento speciale per interrompere i miei momenti d'ispirazione, ma questo è un numero privato. Dunque è qualcuno che vuole proporre qualcosa, perché ormai sul telefono di casa chiamano solo gli scocciatori, che quando gli dici che hai messo da mesi il tuo numero sul registro delle opposizioni e non dovresti più ricevere telefonate commerciali, ti rispondono che non hanno avuto ancora l’aggiornamento degli elenchi.

Così, in base al principio che se proprio non puoi evitare una cosa, almeno cerca di rendertela piacevole, da qualche tempo provo un certo divertimento nel mettere in imbarazzo l’interlocutore con risposte inattese. Tipo la signorina che annuncia allegra che “finalmente nella nostra città l’Istituto Vattelapesca organizza corsi d’inglese per principianti” in modo che io possa risponderle: “Really? Fantastic! I’m just looking forward to learn English” oppure spacciarmi per un sussiegoso docente universitario d’ingegneria informatica quando mi propone il corso base di Windows o magari rivelarle che sono appena entrato nel sito del Pentagono per hackerarlo e se l’FBI non mi arresta nelle prossime ore, potrei anche essere interessato a conseguire la patente europea per il computer. 

Allo stesso modo, al tizio con accento meridionale che offre l’olio ligure rispondo che in casa usiamo l’olio pugliese che produce mio suocero a Cerignola e non intendo divorziare, alla Fastweb e alla Vodafone che vogliono propormi la loro ADSL dico che l’offerta è sicuramente interessante, ma non posso accettarla perché sono un dirigente della Telecom, mentre al mobilificio che m’informa del 30% di sconto per rinnovare i mobili di casa racconto che ho lo sfratto esecutivo e che sto per andare a vivere in un camper. A Sky dico che ho già Premium e a Premium dico che non intendo dare altri soldi a Berlusconi che ne ha già abbastanza.

Invece, all’istituto dermoestetico che vuole offrire un trattamento gratuito di bellezza alla mia signora solitamente rispondo: "grazie, ma sono single", oppure: "è scappata di casa due mesi fa ma se la ritrovo glielo propongo senz’altro". A volte aggiungo anche " prima di strozzarla..." per dare un tocco da giallista alla vicenda. Mi divertirebbe anche poter dire "Guardi, le passo mia moglie..." e poi gridare "Giorgioooo... prendi la telefonata che è per te...", ma non ho sottomano un'altra voce maschile da far rispondere e mio figlio, che ha una solida reputazione di tombeur des femmes da difendere, si rifiuta sdegnato di collaborare allo scherzo.

Nei casi estremi informo il mio interlocutore con voce di circostanza che gli sto rispondendo dalla Sala del Regno dei Testimoni di Geova o da uno studio notarile dove è in corso un rogito, perché forse ha sbagliato numero. Un mio amico ama rispondere con tono molto british " Il conte e la  contessa sono usciti, io sono il maggiordomo. Se mi dice cortesemente di che si tratta, riferirò ai signori appena rientrano" però io esito a farlo a mia volta. Metti che telefoni la Finanza...

Oggi, però, mi sento ben disposto verso il genere umano e così, invece di stramaledire il disturbatore, decido di rispondere.

E’ un giovanotto garbato che dice di chiamare per conto di una società di sondaggi che conosco e chiede se può farmi qualche domanda sulle modalità di utilizzo dei trasporti pubblici. Normalmente dico: “Ma anche no…” e riaggancio prima che possa riprender fiato, ma stavolta voglio fare un’eccezione e accetto. Lui mi ringrazia, il tono di voce è molto simpatico e così scambiamo qualche battuta allegra tanto per entrare in sintonia, poi iniziamo con i quesiti: “Mi può dire il suo anno di nascita?”.
Certo: 1948
Un attimo di silenzio imbarazzato dall’altra parte, poi la voce del giovanotto si fa grave: Mi scusi, ma il computer mi dice che per la sua fascia di età il campione è già chiuso. Le auguro una buona giornata…” e chiude la comunicazione senza appello. Guardo il telefono con odio, poi ripongo la chitarra perché mi è passata la voglia di suonare. 

Una bella giornata rovinata…

domenica 4 dicembre 2011

Presentazione alla stampa di Kalò Choriò


Mercoledì scorso, nell'ambito degli Incontri con l'Autore 2011 organizzati dalla Municipalità e intervistato da un giornalista del Gazzettino, ho presentato al pubblico il mio libro Kalò Choriò e tutta la collana dei libri gialli (cliccando sulle icone qui a fianco potete divertirvi a leggere una ricca anteprima di una quarantina di pagine per libro). In questo breve filmato che ho realizzato per You Tube, è possibile vedere qualche momento dell'incontro. E' possibile notare anche il mio attuale e vistoso sovrappeso, malgrado le passeggiate per campi con il bretone, e ascoltare quella erre alla francese che mi tormenta da una vita, ma che in Fiat era molto invidiata perché faceva tanto Avvocato  e qualcuno pensava che lo facessi apposta. Mia moglie sostiene anche che assomigli a De Michelis, ma è sicuramente una delle sue frecciatine perfide.