Le mie incursioni notturne erano state respinte grazie a quel traditore collaborazionista di Whisky, con il pessimo risultato di farmi sgridare subito al mio ingresso in cucina per la colazione e di aumentare le misure di sorveglianza di mia madre, ma tuttavia, con una tenacia ammirevole decisi di riprovare per altra strada l’attacco alle virtù muliebri di Donatella. Così, appena quella dormigliona si ridestò e prese posto a tavola per il caffellatte e per divorare anche i miei crostini con il burro di malga e la marmellata di lamponi, approfittando del fatto che era ancora assonnata le proposi di andare a funghi e lei incautamente accettò. Ovviamente, la mia intenzione era quella evidentissima di recarci in mezzo ai prati per compiere sdraiati sull'erba fresca di rugiada quello che non eravamo riusciti a fare la notte prima in camera da letto.
Mia madre, però, che sempre per via del trattato sull'arte della guerra di Sun Tzu, mi conosceva bene e sapeva prevedere le mie mosse, una volta udito cosa stessi proponendo arrivò subito dalla cucina con il fuoco di sbarramento.
“Scusa Carluccio...” mi chiamava sempre così quando voleva farmi capire tra le righe le cose che non gradiva, perché invece quando dicevo una cretinata mi chiamava Carletto. "tu hai visto che ore sono, vero?”
“Sì mamma... sono le dieci e venti, se non hai spostato avanti l’orologio del salotto per farmi sentire in colpa”
Lei non raccolse la provocazione. “Considerando che quando sarete nei boschi, tra una cosa e l’altra, saranno già le undici e mezza, quanti funghi pensi di trovare ancora dopo che dalle sette di mattina i villeggianti e i locali hanno cominciato i rastrellamenti a tappeto di qualsiasi cosa che assomigli vagamente a un porcino?”
“Qualche famigliola di finferli per un risotto la rimedio sempre”
“Speriamo di si, perché quando sono andata a prendere il pane ho dato un'occhiata, ma il fruttivendolo in piazza non li aveva e se non li ha lui...”
Quella era una pessima notizia perché, astuto come una faina, intendevo proprio comperarne due etti al ritorno per farle credere che li avevamo trovati. O forse era un suo depistaggio intenzionale immaginando che lo avrei fatto. Comunque, avevo pronto il piano B: “Casomai, se non ci fossero funghi andremo per mirtilli. Volevo far provare a Donatella, che non lo ha mai fatto, la soddisfazione di raccoglierli direttamente dal cespuglio e mangiarli freschi, magari troviamo anche delle fragoline...”
“Certo Carletto... è un'ottima idea. Presi dalla pianta i mirtilli hanno un altro sapore ed è giusto che, se non lo conosce, lo provi. Quindi non restate a pranzo? Peccato davvero, perché in onore di Donatella stavo mettendo su lo spezzatino con le patate che ti piace tanto e ieri sera avevo preparato i canederli da fare in brodo... pazienza, vorrà dire che li mangeremo io e tuo fratello...”
Nubi tempestose sulla Roda di Vael e sulle mie aspettative amorose |
Detta così era un colpo duro e anche Donatella, a cui avevo magnificato la cucina materna, mi guardò malissimo per quello che le avrei fatto perdere. Questo non poteva sfuggire a mia mamma, che con un ottimo riflesso giocò subito sull'incrinatura che si stava allargando nella nostra coppia. Infatti, appoggiò materna la mano sulla spalla della mia ragazza e con un sorriso soave le chiese: ”Tesoro, tu non hai mai assaggiato i canederli, vero? “ e appena lei ammise di no con l’espressione avvilita, continuò crudele “Ah! Guarda...non sai cosa ti perdi... io li preparo con lo speck e l’erba cipollina e li servo in brodo, oppure se ti piacciono di più, li posso fare asciutti con il burro fuso, la salvia e la ricotta affumicata di malga grattugiata sopra. Il mio Carluccio ne va matto... ”
Tagliai corto prima che la facesse capitolare descrivendole lo spezzatino con l’ingrediente segreto delle bacche di ginepro e andai a preparare lo zainetto, poi appena Donatella ebbe finito con lentezza esasperante la colazione, uscimmo, ma mentre stavo per aprire il cancello mi sentii chiamare dalla finestra. “Scusa Carluccio... perché hai messo il plaid di tuo fratello nel sacco da montagna?”
“Perché ci facciamo preparare dei panini al bar Catinaccio e pensavamo di fare un picnic sull’erba...”
“E lo fai su un plaid? Che idea scema...vieni su dai, che ti do una tovaglietta...”
Mentre già immaginavo quanto fosse poco romantico far l’amore stesi su una tovaglia, aggiunse perfida “A proposito: mi dici da che parte vai a funghi? Te lo chiedo così, tanto per sapere dove mandare a cercarti, perché immagino che la tua amica non conosca ancora il tuo senso di orientamento”
“Dai mamma, non fare l’apprensiva, conosco questa zona come le mie tasche...”
“Glielo hai raccontato a Donatella che l’anno scorso ti sei perso due volte?”
“No perché non è successo qui ma in Val Gardena. Pensavo di andare nei boschi sopra la malga Roncac, che sono i più vicini”
“Allora mi sa che Donatella, poverina, quest'anno i funghi li vede solo in cartolina. Lì ormai a quest'ora non trovi nulla, neppure i mirtilli. Tra l'altro, visto che vuoi andare nel bosco, ma perché non porti Whisky? Così fai fare una bella sgambata anche a lui...”
“Dai mamma, lascialo stare, per amor di Dio...che poi vuole sempre giocare con le pigne, va a sguazzare nei pantani e abbaia come un idiota a qualsiasi animale che incontra. Ti ricordi l'altro giorno che si è fatto rincorrere da due mucche?”
Questa l'avevo schivata, ma mia madre sapeva giocare sporco e infatti puntò dritta sulle paure ancestrali della mia ragazza. “Beh... almeno portatevi i bastoni, che li è pieno di vipere, anzi, Donatella, mi raccomando, prima di allungare una mano nell'erba o tra i sassi per prendere un fungo o una fragola, batti bene il terreno attorno.”
“Perchè? Ci sono le vipere?” Donatella spalancò gli occhi per lo spavento.
“Ma no, figurati, non ci sono...io non ne ho mai vista una. E' mia madre che se le sogna di notte”
“E’ perchè Carletto non le sa vedere, ma nella zona dove andate ci sono delle pietraie e ce ne sono diverse, anche belle grossette.."
"Mica cerchiamo i funghi e i mirtilli tra le pietre...staremo sempre nel bosco e il problema è risolto."
"Guarda che non stanno mica tutto il giorno a scaldarsi sui sassi, sai? Si muovono anche loro. Tuo fratello ne ha viste tre l’ultima volta e una era in mezzo all'erba...non è vero Franco?”
Mio fratello, evidentemente corrotto a suon di Topolini nuovi, apparve alla finestra a confermare e aggiungendo di suo altri particolari ansiogeni sulla dimensione dei serpentelli che nel suo racconto sembravano crotali aggressivi pronti a spuntare sibilando da tutte le parti e principalmente tra fragole e mirtilli. Alla fine mia madre, sorridendole in modo carino, tirò la bordata devastante che pose termine allo scontro.“Donatella, tu che sei più ragionevole di quello sciagurato di mio figlio, che ne dici? Perchè non andiamo a funghi domani tutti assieme, alzandoci per tempo e ora metto su i canederli e lo spezzatino per quattro?”
Contro i canederli delle mamme, non c'è partita... |
Lei dopo avermi guardato come il mostro che stava portando l’agnellino ingenuo alla perdizione per i suoi loschi scopi risalì rapidamente le scale di casa offrendosi perfino di dare una mano in cucina. Ora io avevo sempre immaginato di poter essere tradito per un altro ragazzo, ma per un piatto di spezzatino, no, e questo mi mise di pessimo umore. Il giorno seguente, però iniziò a piovere e quindi invece della gita a funghi ci concedemmo solo una passeggiata infreddolita e infagottati nelle giacche a vento sino alla Malga Panna, appena sopra Sorte, per mangiare polenta e salsiccia e un fumante minestrone di verdure, con Whisky che a forza di inseguire vanamente le cornacchie nei prati era ormai inzuppato di acqua e fango come un babà lo è di liquore. Ovviamente venne a scrollarsi di fronte a Donatella che non la prese bene e ritornò sulla faccenda della mia idiozia perché non controllavo abbastanza il cane, come la volta in cui c'eravamo conosciuti in campo San Beneto quando il mio lupo, lasciato senza guinzaglio, aveva cercato di trombarsi Molly, la cockerina di sua nonna. Che, con il senno di poi, non era il modo migliore di iniziare una storia con una ragazza.
La sera capitolai e dopo aver rinunciato a giocare a scacchi contro una che trasportava malinconicamente legname da una parte all'altra della scacchiera lasciando i pezzi in presa, per disperazione andammo a vedere il film con Ciccio e Franco al cinema parrocchiale. Ovviamente, mia madre ci appioppò mio fratello tanto per spegnere qualsiasi ardore residuo, ma però essendo sempre astuto come una faina, con un pacchetto di gomme americane e un mottarello ricoperto, riuscii a convincerlo a prendere posto da un altra parte e così, rintanati nell'ultima fila riuscimmo a darci almeno qualche bacio, anche se la pellicola, talmente rovinata da sembrare che ci avessero pulito il pavimento, saltava in continuazione e quindi si accendevano spesso le luci in sala tra i fischi del pubblico.
Siccome in montagna quando inizia a piovere, poi ci prende gusto e lo fa per diversi giorni, Il tempo rimase costantemente incerto tra una schiarita e un nuvolone e avendo ancora due giorni a disposizione prima che Donatella tornasse a Venezia presi la cosa come un pessimo segnale perché c’era il rischio che l’intera settimana di vacanza con la mia ragazza passasse senza che avessimo fatto l’amore almeno una volta. Però mia madre ci mise lo zampino non so quanto volontariamente perché a cena, dopo aver visto dal balcone il cielo che era finalmente terso e stellato se ne uscì fuori con un “Visto che domani sarà una bella giornata, perché non porti Donatella almeno al Rifugio Vajolet? Non vorrai mica che torni a casa dopo una settimana in montagna senza aver messo piede sul Catinaccio, no?” La destinataria della proposta accettò subito con entusiasmo, mentre io che stavo mangiando di gusto la seconda cotoletta alla milanese dopo averla contesa a mio fratello, deglutito a fatica il boccone la guardai perplesso: “Mamma, io la porterei anche, ma è venuta su con le scarpe da tennis della Superga, e poi non so se ha le gambe allenate per quattro ore di marcia. Che io sappia non è mai andata seriamente in montagna”
Mia madre scrollò le spalle per farmi capire come le mie resistenze fossero irrilevanti.
“Oh senti...non fare sempre il difficile su tutto. Un paio di scarponcini glieli do io, che abbiamo lo stesso numero e anche la giacca a vento. Per il resto sai bene che il sentiero non è difficile, è largo, quasi tutto pianeggiante e c’è solo lo strappetto finale che è molto ripido, ma sono quindici minuti di salita e li fa senz'altro. Se vuoi domani mattina alle otto vi porto a Vigo di Fassa così prendete la seggiovia per il Ciampedie”.
la gola che dal Gardeccia ci avrebbe portato al Vajolet che si vede in cima a destra |
Non riuscii ad oppormi a quelle due nuovamente coalizzate e così la mattina seguente, con un sole scintillante che scaldava le ossa, appena sbarcati dalla seggiovia lasciammo alle nostre spalle il Rifugio Ciampedie (dopo averne estratto a forza Donatella che si stava strafogando di strudel e cioccolata calda) e superato il Negritella prendemmo il sentiero 540 verso il Gardeccia che si snodava tra pini e cespugli di rododendro, con lo scenario mozzafiato del dirupi del Larsech e dei Mugoni a farci compagnia e l’aria fine dei duemila metri da respirare a pieni polmoni. Di solito percorrevo il tratto, quasi tutto in discesa, dal Ciampedie al Gardeccia in 45 minuti, ma non conoscevo ancora la totale incompatibilità di Donatella con la montagna. Dopo un ora e venti di camminata a ritmo di processione trascorsa a chiedere:"Ma quanto manca al rifugio?" e fermandoci ogni dieci minuti, prima perché aveva sete e voleva la borraccia, poi perché aveva caldo e doveva togliere la giacca a vento e cento metri dopo perché aveva freddo e voleva rimetterla, alla fine Donatella iniziò a borbottare che non si sentiva bene, provava un senso di peso all'addome e le veniva da vomitare. Così, ad un certo punto chiese ancora di fare sosta e si appartò dietro un cespuglio da cui riemerse dopo un’imprecazione irriferibile, visibilmente contrariata, tanto che le domandai che avesse.
"Che vuoi che abbia? Mi sono venute in anticipo. Le aspettavo per domenica o lunedì...”
“Cosa? Le mestruazioni?”
“Certo! Cosa credevi che aspettassi: la corriera? Ho un mal di pancia della malora...torniamo indietro”
“Ah! Mi dispiace. Comunque non sei in grado di stringere i denti e proseguire ancora per venti minuti? Non manca molto al rifugio e sicuramente al Gardeccia hanno un analgesico da darti, ti prendi una bevanda calda, ti riposi un po' e magari dopo stai meglio e rientriamo a casa. Proprio non te la senti?”
La mia era solo una domanda gentile ma lei rispose con un’ aggressività che non le conoscevo. “Noooo! Sto malissimo, starò ancora peggio e non ho neppure gli assorbenti. Lo capisci o no? Portami a casa subito...” Le ultime parole le pronunciò quasi strillando, tanto da mettermi in crisi, perché avrei voluto aiutarla in qualsiasi modo, ma se lei stava male, io i miracoli non li potevo fare,
“Si...certo che lo faccio e ti riporto a casa, ma siamo poco oltre metà strada tra i due rifugi e non è che posso chiamare un taxi. Andare al Gardeccia che è più vicino mi sembrava razionale, ma se vuoi tornare a Moena dobbiamo risalire su al Ciampedie e quindi devi avere pazienza perché ci tocca camminare per almeno un oretta, se non di più. Quindi muoviamoci perché finché rimaniamo fermi qui, non risolviamo il tuo problema. ” Lei bofonchiò qualcosa che iniziava per "fanc... " e finiva per “..onzo” e ci rimettemmo in marcia per tornare alla seggiovia.
Lo strudel dei rifugi con un bicchiere di Kapriol ritempra ogni stanchezza |
Ovviamente, visto che sino a quel punto eravamo scesi, il sentiero ora andava ripercorso in salita e questo la mise ulteriormente in difficoltà, tanto che dopo venti minuti di lamentazioni e scarognamenti vari sulle montagne, su di me che ce l’avevo portata, i rifugi e perfino sul povero Re Laurino, venne colta da una crisi isterica di pianto anche perché ora ai dolori mestruali si erano aggiunti anche quelli ai piedi. Riuscii a calmarla a stento, poi la feci sedere e le tolsi gli scarponcini giusto per scoprire che, malgrado mia madre le avesse dato dei calzettoni di lana, lei aveva preferito indossare dei calzini di filo talmente sottili da lacerarsi. Così aveva fatto due belle vesciche a carne viva proprio sopra i calcagni, perché i suoi piedini delicati abituati alle ballerine o al mocassino di pelle morbida per la passeggiata lungo le Mercerie non immaginavano la durezza del cuoio delle pedule da roccia. A quel punto, visto che non era più in grado di camminare, scartata l'idea di darle il colpo di grazia con la piccozza (anche perché non l'avevo) e di abbandonarla sul sentiero, per disperazione, dopo aver passato a lei lo zaino che era abbastanza leggero per non indurla ad altre lamentazioni, me la issai a cavalcioni sulla schiena e, passo dopo passo, la portai su per la salita fin quasi a destinazione con lei avvinghiata al collo fino a strangolarmi e io che la reggevo per le gambe (meno male che almeno era magrolina), fermandomi e posandola a terra ogni cento metri per riprendere fiato, con il sudore che inzuppava la camicia e il cuore che mi saliva quasi in gola per lo sforzo.
Poi, per fortuna incontrammo un gruppo di signori gentilissimi di Piacenza che stavano scendendo, ma vista la situazione mi aiutarono tornando indietro e dandomi il cambio a portare la sedicente ferita (dissi loro che la mia compagna aveva una storta alla caviglia, perché ovviamente non potevo dire il vero problema). Alla fine, tornammo al Ciampedie dove tra cerottini, garze, tintura di iodio, una pastiglia di Saridon per i dolori mestruali e un assorbente avuti gentilmente in omaggio dalla signora che gestiva il rifugio, Donatella dopo un' oretta di sosta si rimise abbastanza in sesto per riprendere la seggiovia e tornare a casa. Una fetta di torta di nocciole alta un palmo con una tazza di tè bollente durante quell'ora di attesa affinché il Saridon iniziasse a fare effetto, aiutarono molto a tonificarla. Ovviamente, era stato rimesso in sesto il fisico, non l’umore, così già sulla corriera per Moena litigammo, perché lei sosteneva la tesi risibile che quanto accaduto era tutta colpa del mio egoismo e io che se solo avessi immaginato quanto era piantagrane e incapace di sopportare un minimo di sofferenza fisica, con il ca... volo che l’avrei portata. La sera e tutto il sabato seguente furono trascorsi nel broncio più totale e a nulla valse il tentativo in extremis di un vassoio di krapfen per risollevare l’umore tetro di Donatella. La domenica pomeriggio, quando risalì sulla corriera per Venezia mi sentii quasi sollevato, tanto che appena rientrato a casa mi misi volentieri a studiare Diritto privato, che a settembre avevo la sessione d’esame.
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