Ieri sera, malgrado la pioggia pomeridiana che l’aveva preceduta, si è ripetuta in bacino San Marco la notte magica dei “foghi” del Redentore, che però quest'anno, per la prima volta da quando son nato, non c'erano grazie a Brugnaro che li ha annullati per motivi di bilancio più che di Covid.
In bacino di San Marco c'erano quindi poche barche ed erano più quelle della Polizia e dei vigili indaffarate a fare controlli. In Piazza i pochi turisti li trovavi a mazzetti come i bruscandoli e sulla riva degli Schiavoni c'erano solo i bar e i ristoranti abbastanza pieni di gente. Sulla fondamenta della Giudecca ieri sera solo poche case avevano messo fuori i consueti tavoloni per cenare e brindare in riva e meno male che in Canal Grande son transitati sul barcone i Batisto Coco e altri gruppi musicali a rallegrare il grigiore di una serata altrimenti tristissima. E un veneziano malizioso potrebbe dire che, più che il Covid, ci voleva solo uno di campagna per riuscire a rovinare quella che per un veneziano è da secoli la festa più sentita e preparata per settimane. Perché ogni veneziano possessore di una barca già a fine giugno la tirava in secco o l'ormeggiava sotto casa per darci dentro di pennello e riverniciarla dopo l'inverno. Poi, qualche giorno dopo passava meticolosamente per ore il Lustrofin sul legno e lo straccio con il Sidol sulle cromature e infine si dedicava a costruire gli addobbi di frasche e lanternine colorate sotto l'attenta supervisione critica di mogli, suocere e fidanzate (con i sonori litigi tipo: "ma te gà finìo de romperme e bae? La barca la xe mia e la fasso come che a vogio mi!" che si sprecavano)..
La sera del Redentore e fin dal pomeriggio tutte le barche addobbate a festa e brulicanti di famigliole e amici, si assiepavano, non senza qualche litigata e tentativo di speronamento per il posto migliore, tra la Punta della Dogana, la Giudecca e Riva degli schiavoni (dove una volta c’era anche la galleggiante con il cantante, oggi sostituita dai lancioni turistici con la musica cafona a tutto volume) e, una volta che le madri e le nonne avevano aperto gli scrigni delle meraviglie cucinate dal giorno prima, iniziava una lunghissima cena con libagioni e spesso tra le barche legate assieme, c'erano anche amichevoli scambi di cibi e di bottiglie. Come quella volta che rimasto colpevolmente senza vino a bordo della mia barchetta con un paio di amiche venni amichevolmente rifornito da un vicino barcone carico di Pellestrinotti che avevano a bordo ben due damigiane da 50 litri, ma con il rimprovero: "Scolta vecio... ma te porti fora do fie e no te ghe offri da bevar? Ti xe un bel mona.." .
Poi c'erano le migliaia di persone sulla riva sino quasi ai giardini della Biennale in piedi e con i bambini sulle spalle (anch'io con Gianmarco, quando d'estate abitavamo vicini all'Arsenale) nell’ attesa di vedere lo spettacolo dei fuochi e c'erano le tavolate enormi ed ospitali fuori dalle case sulla fondamenta della Giudecca dove si portano in tavola in un flusso continuo di pentole e vassoi la castradina, l’anara col pien, ma anche i bovoletti, i bigoli in salsa, le sarde in saòr e l’anguria. E ovviamente tanto vino che scorreva generosamente, perché nel giorno della Sensa Venezia celebra il suo sposalizio con il mare e la sua acqua, mentre al Redentore ,la città Serenissima si dedica anima e corpo alle nozze con il vino. Naturalmente come ogni festa pagana (quella del Redentore lo è diventata, anche se è nata per celebrare la fine della pestilenza del 1575 con ponti votivi e basiliche commissionate al Palladio) ci sono degli eccessi per libagioni ed altro e ogni mattina La Nuova e il Gazzettino piccolo e meschino (scusate ma è un riflesso condizionato che mi porto dal '68) ) ne stilavano l’elenco, a cominciare dai due barchini scontratisi davanti a Sant’Elena, dei quali uno si era rovesciato per continuare con alcune barche (padovane?) incagliate e liberate dai pompieri. Poi c'erano alcuni vecchietti che avevano avuto dei leggeri malori per eccesso di cibo e libagioni, qualcuno che si era fatto male salendo dentro la barca (ma quanti padovani c’erano?), uno che si era rotto un braccio dopo essere caduto da una panchina (?) al Mulino Stucky , un’altra persona con una crisi allergica per qualcosa che aveva mangiato, un tizio in evidente stato di agitazione dentro all’Hotel Bauer, per finire con il ricovero del fenomeno che si era fatto male ad un occhio stappando una bottiglia. Insomma, anche se nel tempo era diventato un tantino più YouTuber e turistico, tutto questo era il nostro Redentore, nulla di più...
Quella che ricordo io da ragazzo era davvero una notte di mille magie, quasi sempre vissuta con il mio branco di amici e amiche del liceo e che iniziava quando la festa degli altri finiva, subito dopo i fuochi in bacino San Marco. Verso mezzanotte i foresti (chiunque provenga da oltre il Ponte della Libertà è indicato genericamente dai veneziani come “foresto” ed è sempre bene accetto, specie se viene per commerciare e portare schèi ) cominciavano a sfollare, le barche illuminate dalle lanternine liberavano il bacino, i vaporetti riprendevano le corse per il Lido e si raggiungeva la lontana spiaggia libera degli Alberoni. I più disinvolti, se non c’era l’autobus pronto sul piazzale, visto che al Lido è normale “dàrsea e tòrsea” (darla e prenderla) con le bici, ne prendevano una in prestito. Spesso sine die.
La spiaggia degli Alberoni all’epoca era una landa desolata di dune e arbusti a cui si accedeva passando tra i canneti nel buio pesto e rischiarato solo dalla luna che brillava alta sul mare. Se questa non c’era bisognava pregare che qualcuno si fosse ricordato della pila, altrimenti ci si arrangiava creando torce improvvisate con arbusti e fogli di giornale. Una volta arrivati, mentre quelli che avevano pestato qualche coccio di bottiglia tra le dune sciacquavano la ferita nell’acqua salata per disinfettarla, si cominciava a scavare la buca per il falò, mentre altri andavano a cercare rami secchi e fogliame da bruciare. Appena i fenomeni che sostenevano di saper accendere strofinando i rami secchi ammettevano il fallimento, spuntava un accendino e la fiamma crepitava viva, salutata da baci e abbracci. Quindi partiva una danza pagana attorno al fuoco (un misto tra il girotondo delle scuole materne e il sabba delle streghe, purché caotico) e spuntavano le chitarre (o mare nero, mare nero, mare ne…tu eri chiaro e trasparente come me…) le birre atrocemente calde e le salsicce da arrostire sul fuoco affumicandosi a morte e da mangiare a scottadito con la sabbia che scricchiolava sotto i denti.
Finita la musica, ci si spogliava e si correva tutti assieme a tuffarsi nudi e felici nel mare gelido e buio. Dopo qualche minuto di grida, spruzzi e schiamazzi si tornava grondanti e infreddoliti ad asciugarsi davanti al fuoco, che però si era spento perché nessuno lo aveva badato.
Allora ci si rivestiva e si restava abbracciati a riscaldarsi tutti assieme con i vestiti umidi e pieni di bestioline finché qualcuno, dopo aver frugato disperatamente negli zainetti e nella sabbia, ritrovava l'accendino e riaccendeva, sempre che non avesse bagnato la pietrina con le dita umide. Più tardi qualcuno riprendeva a suonare la chitarra (seduto in quel caffè, io non pensavo a te… guardavo il mondo che girava attorno a me…) altri si davano il primo bacio, qualche coppia litigava di brutto e si lasciava e qualche altra si appartava tra le dune e i canneti (generazioni di veneziani sono nate ad aprile… vorrà pur dire qualcosa). I primi raggi rosati del sole che emergeva dall'Adriatico avrebbero illuminato chitarre silenziose e abbandonate, un fuoco definitivamente spento, corpi sulla sabbia immersi nel sonno, gente che vomitava birra e salsicce tra le dune e nuove coppiette innamorate intente ad osservare l’alba con le mani tra le mani.
Questo è lo spirito vero del Redentore, alzi la mano chi non ne ha nostalgia (i non veneziani e i padovani sono esentati...)