Erano appena scoccate le nove di sera, mia madre era già in salotto a guardare la televisione ed io stavo cenando da solo in cucina, che poi sarei dovuto andare al cinema con la ragazza. Ad un certo punto sento come se qualcuno mi avesse spostato leggermente la sedia e un tintinnio di bicchieri. Istintivamente guardo la lampadina sul soffitto che però è immobile così penso che sia stata una mia immaginazione e riprendo a mangiare. Ma non è così: passerà solo un secondo o due e assieme ad un suono cupo mai sentito prima, tutto il mondo attorno a me viene scosso come dalla mano di un gigante. Una grandine di pentole, piatti e bicchieri cade giù dal lavello, dalla credenza, dallo scolapiatti con un frastuono terribile mentre dal salotto mi giungono le urla di mia madre che mi grida di salvarmi che sta venendo giù tutto. Corro da lei proprio mentre la specchiera antica precipita a terra fracassandosi in mille pezzi e i lampadari ondeggiano fino quasi a toccare il soffitto. E’ in piedi in mezzo al salotto, paralizzata dallo spavento, e la trascino via tirandola per un polso e correndo verso la porta. La scossa sembra non finire mai.
Della chiesa di San Giovanni a Venzone è rimasta solo la facciata |
Scendiamo di corsa la lunga e ripida rampa di scale che conduce al piano terra e i gradini sembra quasi che si spostino sotto ai nostri piedi, tanto che li facciamo a saltelli come si fa sui ghiaioni di montagna. Non so come, ma riusciamo a non cadere e finalmente siamo al sicuro in campo. Faccio qualche gradino sul ponte e dalle case vicine mi giungono gli strilli terrorizzati di altre persone, mentre qualcuno sta uscendo di casa. Mia madre mi raggiunge e guardiamo, ancora con il cuore in gola, il nostro palazzo increduli che sia ancora in piedi come del resto tutto quello che ci sta attorno. Poco dopo ci raggiunge mio fratello, che al momento della scossa si stava preparando il bagno e che ha visto l’acqua uscire completamente dalla vasca. Ha gridato ma non lo abbiamo sentito e lui non riusciva ad aprire la serratura della porta per scappare. E’ pallido come un lenzuolo dallo spavento e lo abbracciamo per tranquillizzarlo. Solo allora mi accorgo che sto ancora stringendo il tovagliolo in mano.
Nel Duomo di Venzone i segni del terremoto si vedono ancora |
Ora tutto sembra tornato calmo. Risalgo di corsa le scale e vado velocemente ad esplorare la situazione dentro casa. E’ un disastro, tutto quello che poteva cadere è finito per terra, calpesto cocci di ogni tipo e perfino un armadio in camera di mia madre ora è appoggiato contro il letto però non vedo danni alla struttura, se non qualche crepa. Trovo la radiolina che portavo allo stadio e dopo aver chiuso casa ritorno giù. Decidiamo di andare nel vicino campo Santa Maria Formosa dove ora c’è tantissima gente, spaventata come noi. Qualcuno è in pigiama e c’è anche un signore scalzo che ha solo addosso l’accappatoio. Ci sediamo al caffè dell’orologio, che aveva lasciato fuori i tavolini e accendo la radio (ce ne sono altri che ce l’hanno) per avere notizie.
La prima edizione del radiogiornale dice solo che c’è stata una forte scossa in Friuli con epicentro sul monte Verzegnis, ma non dice molto altro. Poi, dopo una mezzora, inizieranno le edizioni straordinarie e un drammatico bollettino di guerra ascoltato con il cuore in gola e le lacrime agli occhi man mano che s’ingigantiva: Gemona, Osoppo, Venzone, Artegna, Pontebba… paesi interi rasi al suolo dalla furia dell’Orcolàt, il mostruoso demone nascosto nelle viscere dei monti della Carnia che secondo le leggende popolari causa i terremoti e che questa volta aveva portato con sé anche migliaia di vittime. Sono passati quarant’anni, ma se ci ripenso mi sento ancora gli occhi umidi e il groppo in gola come quella sera. Che la terra vi sia lieve, fratelli friulani…