(continua...)
La domenica
mattina, messa la sveglia alle sette e appurato che ci fosse il sole come
promesso dal colonnello Bernacca durante il telegiornale, mi recai al cantiere che in quel periodo doveva essere già aperto di buonora. Dopo aver atteso
pazientemente per una ventina di minuti davanti alla saracinesca del capannone
dove erano alloggiate le barche che l’addetto finisse di fare colazione nel suo
gabbiotto e si degnasse di portare fuori la mia imbarcazione per metterla sulle
cinghie e calarla in acqua, salii a bordo della Carla II e l’ormeggiai ad una
palina nei pressi per poter fare le grandi pulizie prima di accogliere
un’ospite femminile a bordo, che le donne, si sa, prima di sedersi passano veloci
il dito sul sedile per controllare se c’è la polvere. Infatti, c’era e in più
si vedevano qui e là anche diverse macchie di miscela uscita dal serbatoio
durante i rifornimenti. Ma sui sedili e lungo i bordi c'erano soprattutto diverse zone di “salso”
rappreso, dato che l’ultima volta che ero uscito in laguna per la fretta di
chiudere il cantiere il custode non mi aveva dato il tempo di lavare lo scafo
con l’acqua dolce. Mi aveva garantito che lo avrebbe fatto lui la mattina dopo,
ma ero certo che per la faccenda delle mance che non davo, la cosa non sarebbe
accaduta. E così era stato.
Inoltre, la
barca, per uno strano effetto simbiotico, presentava lo stesso ordine di camera
mia con una bella rinfusa di oggetti accatastata casualmente sul fondo,
mancando solo i calzini sporchi e i numeri di Linus per completare l’analogia. Pur se
tutto questo conferiva all’imbarcazione quell’aria un po’ naif e vissuta, che
faceva molto “Cuore di tenebra” o anche “La regina d’Africa” facendomi sentire
come un Humphrey Bogart di laguna, tuttavia era controindicato per accogliere
una Katherine Hepburn della buona società veneziana. Per questo mi ero portato
gli stracci per la polvere da casa, un piccolo secchiello da spiaggia fregato
ai vicini di capanna, la spugnetta che la mia mamma usava per i piatti, una
bottiglia da due litri di acqua di rubinetto e anche il Calinda al fresco
profumo dei fiori di campo, che su una barca non era il massimo, però attenuava almeno un po' l’odore di quel granchio porro putrefatto nell'intercapedine dello scafo che ogni tanto tornava a farsi sentire.
Tutta la
dotazione di bordo venne sistemata in bell’ordine pigiandola nel ripostiglio porta
oggetti a prora. Perfino i pochi elementi cromati della barca vennero lucidati
per bene con quella costosa crema per pulire gli argenti che alcune amiche di
mia madre affiliate alla Stanhome ci venivano a vendere a domicilio con la
scusa di prendere il tè con i pasticcini (tanto poi la mia genitrice le
spennava a bridge e quindi rientrava dalla spesa). Alla fine la Carla II
sembrava un salottino e le mancavano solo i centrini di pizzo sui sedili, ma
avrebbe fatto tanto gondola. Mancava solo Claudia, la mia ospite che si materializzò
verso le dieci sulle Fondamente Nuove, vicino al ponte di Campo dei Gesuiti,
dove abitava.
Ghebi (canaletti) e barene viste dal Lazzaretto Nuovo con Burano sullo sfondo |
Questa Claudia,
una simpatica morettina che però mi apparve subito più rotondetta di quanto la ricordassi, appena mi vide apparire esordì subito in
modo deludente. Dapprima con un: “Che
bella! E’ la tua barca?” che mi fece subito venir voglia di risponderle “No, ma tanto non se ne accorgeranno prima di
sera…”, poi avvisandomi che doveva essere assolutamente di ritorno per metà
pomeriggio perché il suo ragazzo sarebbe tornato da Padova per andare al cinema
con lei. E questa non era affatto una buona notizia considerando il mio
proposito di collaudare la barca anche come strumento di seduzione. Infine, Claudia
diede il colpo di grazia alle mie aspettative di una gita memorabile
rivelandomi che le vettovaglie per il picnic in barena che si era impegnata a
portare erano costituite unicamente da un panino con la cotoletta a testa (però
l’aveva impanata e fritta lei, con le sue manine) e due lattine di Lemonsoda.
Insomma, oltre ad aver preso a bordo una tizia con il moroso in attività ora avevo
il rimpianto di non aver accettato la
proposta di mia madre di prendere con me un contenitore con due ricche porzioni della sua leggendaria insalata di riso all'orientale, con l’uvetta, i pistacchi, la curcuma e il curry.
il punto più stretto del canale tra Sant'Erasmo e le Vignole, con i campanili di Venezia sullo sfondo |
Comunque,
appena salita a bordo con la grazia di un bisonte facendo oscillare
paurosamente la Carla II, Claudia mi chiese “Dove andiamo di bello? Mi porti a Murano, che è tanto che non ci vado?”
inducendomi a farle notare che se voleva andare a 10 minuti di navigazione
dalle Fondamente Nuove tanto valeva farlo con il vaporetto dell’ACTV e che, al
contrario, la mia intenzione era quella far rotta verso Torcello e San
Francesco del Deserto e poi andare a buttare l’ancora e fare il picnic e magari
il bagno tra le barene deserte del Lio grando. Lei annuì con l’aria di chi non ha la più
pallida idea dei posti che le stanno citando e pensa “Boh!
Saprà lui…”.
Iniziammo
così la navigazione con i 15 cavalli che gorgogliavano allegri lasciando dietro
di noi una bella scia argentea e appena lasciati al traverso di sinistra
l’isola di San Michele e il vecchio faro di Murano e incrociate le bricole che
segnavano la fine del canale del Bisatto e l’inizio di quello che conduceva a Burano, apparve presto la sagoma di San
Giacomo in Paludo. Una macchia di verde scuro cintata dal rosso mattone delle
sue mura in mezzo alla laguna scintillante.
L'isoletta disabitata di San Giacomo in Paludo, sulla rotta per Burano |
Claudia, che dopo l’iniziale loquacità aveva cominciato ad infastidirsi e a cambiare diverse volte posto sostenendo di prendere troppi schizzi d’acqua e che questo le avrebbe rovinato i vestiti, dopo aver deciso che facevo apposta per farle dispetto a non abbassare la velocità e a prendere le onde di prora, si era messa ad osservare in silenzio l’orizzonte in segno di dissenso. Ma alla vista dell'isola riprese vita e si voltò di colpo verso di me con l’aria ansiosa di sapere.
“E’ lì che dobbiamo andare?”
“No… San Giacomo è un’isola disabitata. C’era
fino a poco tempo fa un vecchietto che abitava come un eremita la casa d’angolo
con le finestre sull'acqua da cui faceva sporgere un bastone con un cestino perché le barche di passaggio potessero metterci cibo e qualche soldo, ma credo
che lo abbiano sloggiato in una casa di ricovero…”.
vecchie barche in secca sull'isola del Lazzaretto Nuovo |
L’espressione
di Claudia tradì una certa inquietudine “Ma
non c’è proprio nulla?”
“Come no? Hai vegetazione incolta, ragni, bisce e carbonassi a volontà, se ti piace il genere. In aggiunta c'è una cavana settecentesca, una nicchia sulle mura di cinta con una bella Madonna
in bassorilievo e qualche vecchio rudere in attesa di crollare. Una volta c’erano
una chiesa e un monastero e ci portavano gli appestati prima di utilizzare
l’isola più grande del Lazzaretto, vicina a Sant’Erasmo, poi Napoleone ha
demolito tutto e trasformato l’ isolotto in un deposito militare che ormai è
completamente diroccato… ma perché me lo chiedi?”
“Avrei tanto bisogno di una camomilla…”
“Ti senti poco bene?”
“Si… è questo dondolio. Non ci sono abituata,
mi fa venire la nausea…”
“Scusa, ma… quando ti ho domandato se eri mai
stata in barca e mi hai risposto: oh sì, prendo il vaporetto, non era una
battuta sarcastica?”
“No… non lo era, e comunque, portami da
qualche parte perché sto per vomitare…”
In realtà
avevo capito subito che la ragazza non aveva alcuna pratica di barca quando
avevo notato che indossava le scarpe con il mezzo tacco, ma non potevo certo
rimandarla a casa.
“Bene… allora non ci resta che far rotta
verso Sant’Erasmo. Riesci a resistere per una decina di minuti?”.
“Ci provo…tu sbrigati.”
Burano che grazie a Claudia resterà un miraggio all'orizzonte |
Misi il
motore a manetta e nel tempo previsto accostai ad un pontile davanti alla
piazzetta dove sapevo che vicino alla chiesa c’era una piccola osteria. Claudia scese subito a terra dirigendosi in
fretta verso il locale, intanto che finivo di legare la barca, ma ritornò poco
dopo sui suoi passi con l’aria ingrugnata.
“Che c’è? E’ chiuso?”
“No, ma quel villano del barista mi ha detto
che se voglio la camomilla devo andare a prenderla in ospedale, che la sua è
un’enoteca e vende solo vino… “
Trattenni a
stento un sorriso maligno e cercai di farle vedere quanto fossi collaborativo. “Vuoi che ci vada a parlare io? Magari ti
può fare un tè, o anche un punch caldo può farti bene allo stomaco…”
“No, lascia stare, sarà per il nervoso ma mi
sento meglio, riprendiamo la navigazione”.
La chiesa e il centro di Sant'Erasmo, il cuore verde di Venezia
L'isola è celebre per i suoi delicatissimi carciofi e le sue vigne di uva dorona,
un vitigno autoctono risalente al 1300
|
Risalimmo in
barca e tornammo sulla rotta precedente. La Carla II ora filava che era una
meraviglia e io stavo riprendendo lo stato di beatitudine che mi dava la
visione di tutto quel mondo azzurro e luminoso di sole che mi circondava. Ma
l’estasi fu di breve durata. Appena in vista dell’isolotto della Madonna del
Monte, Claudia riprese con le domande inquietanti. “Quella almeno è abitata? Si può scendere a terra?”
Le porsi il
binocolo da marina di mio padre perché si rendesse conto da sola di come sull'isolotto non ci fossero altro che delle mura crollate in più punti e della
sterpaglia.
“No… anche lì c’era un monastero di clausura e poi una
chiesa ma i francesi l’hanno demolita nel settecento e dopo ne hanno fatto una
polveriera. Gli isolotti della laguna si prestavano benissimo allo scopo,
perché se le polveriere saltavano in aria come spesso accadeva, almeno erano
lontane dalla città. Questo valeva anche per i lazzaretti per gli appestati che
erano costruiti sulle isole per mettere la laguna di mezzo tra la città e il
contagio. Tanto è vero che durante la grande epidemia del 1576, quando morirono
due veneziani ogni cinque, bastava presentare qualche sintomo strano per essere
immediatamente trasportati al Lazzaretto Vecchio.
A quei tempi con la tua nausea avresti rischiato anche tu. Ma perché lo
domandi? Ti senti male di nuovo?”
Ci fu un lungo silenzio imbarazzato, come se cercasse la forza di parlare, poi bisbigliò:
Ci fu un lungo silenzio imbarazzato, come se cercasse la forza di parlare, poi bisbigliò:
“No, ma ho bisogno di fare la pipì.”
“Ah! Ma non potevi farla al bar? Magari invece
della camomilla chiedevi un caffè tanto per consumare qualcosa di caldo e
intanto andavi in bagno…”
“Da quel cafone lì? Nemmeno per sogno…”
“Sarà stato anche cafone, ma però aveva un
bagno da metterti a disposizione, io no. Puoi resistere fino a che arriviamo a
Burano?”
“Quanto ci vuole?”
“Venti minuti, più il tempo di trovare un
ormeggio…”
“Lo escludo, sto per farmela addosso…”
Pur
concedendo che per noi maschietti risolvere quel problema sarebbe stato assai più
facile visto il diverso impianto idraulico, cionondimeno dovetti farmi forza
per non rispondere sgarbatamente a quella creatrice di problemi in servizio
permanente effettivo il cui scopo sembrava solo quello di rovinare la gita. In
altri tempi e in altre marinerie l’avrebbero sottoposta al giro di chiglia.
“Va bene… passiamo al piano B : hai il
costume da bagno sotto i vestiti?”
“No…”
Lo temevo perché
da una che viene in barca con la gonna e le scarpe da città, non ci si poteva
aspettare di meglio.
“Non importa… spengo il motore, mi lego ad
una bricola, ti togli quello che devi e ti cali in acqua per la bisogna…”
“Sei matto? Non lo faccio perché ho ancora le
mie cose e comunque con cosa mi asciugo, dopo?”
“Allora non ti resta che aggrapparti al
corrimano, sporgere la parte fuori bordo e farla in acqua. Io mi giro a
guardare l’orizzonte e tu mi dici quando hai finito… però se finisci in mare
puoi chiamarmi subito”
i padroni della laguna sorvegliano attenti |
La proposta
sembrò dapprima convincerla, ma l’obiezione non si fece attendere.
“E se mi vedono dalle altre barche?”
“Oh mio dio… ma chi vuoi che ti veda?”
“Non lo so… magari hanno il binocolo come te e comunque mi vergogno…proprio
non puoi farmi scendere sull’isola?”
“Ci provo, ma ti avviso subito che dovrai
scendere in acqua vicino a riva perché alla Madonna del Monte non ci sono
approdi.”
Visto che la
Carla II aveva il fondo abbastanza piatto, sollevando il gambo del motore
perché non strisciasse, procedendo con cautela e spingendo sul fondo con i
remi, riuscii ad arrivare quasi sull’asciutto, così Claudia si sarebbe bagnata
solo i piedi in pochi centimetri d’acqua.
Lei scese scalza camminando con cautela sui ciottoli e i detriti per
raggiungere terra e quando già mi sentivo appagato di averle risolto il
problema sentii un gemito soffocato. “Ahi!
Mi è entrato qualcosa nel piede…”. Così, visto che aveva iniziato immediatamente
a piagnucolare sostenendo di non riuscire più a camminare, vincendo l’istinto
di riprendere il mare abbandonandola al suo destino sull'isola mi toccò
scendere a mia volta per riportarla in braccio sulla barca rischiando l'ernia, perché era una falsa magra. Qui, come
immaginavo, la ferita spaventosa si rivelò un modesto taglietto causato da un
frammento di conchiglia e per curarla furono sufficienti uno spruzzo di acqua
ossigenata e un cerottino. Restava sempre in sospeso la faccenda della pipì, ma
mentre frugavo dentro la tuga di prora alla ricerca della cassetta del pronto
soccorso mi ricordai improvvisamente del piccolo secchiello da spiaggia che
avevo preso in prestito dai vicini di capanna, così, pur se con qualche
riluttanza della mia ospite ad accovacciarcisi sopra, alla fine anche quella emergenza venne risolta.
Quel che
ormai era irrisolvibile era il mio pessimo umore per la gita rovinata. Così,
essendo ormai ora di pranzo, feci rotta per l’imbarcadero di Mazzorbo e feci
scendere Claudia proprio mentre la motonave per Venezia stava tornando da
Burano per attraccare al pontile. Così con la scusa di risparmiarle il supplizio
di un ritorno in barca e facendole presente che in mezzora sarebbe stata alle
Fondamente Nuove, quindi a casa, la feci salire
a bordo ricordandole che se avesse avuto fame aveva a disposizione i suoi panini con la cotoletta e la Lemonsoda di cui mi privavo generosamente.
Appena la motonave si staccò dal pontile, entrai nella trattoria “Ai cacciatori”
che era proprio alle mie spalle sulla fondamenta e scacciai l’amarezza con una spaghettata
ai caparozzoli, una fritturina mista bella croccante e un mezzo litro di Verduzzo.
Poi, per terminare l’opera consolatoria, legai la Carla II a una palina all’ombra
e usando i salvagente come cuscino, mi concessi un bellissimo sonnellino ristoratore
prima di intraprendere la navigazione verso casa. Ma sottovalutai la potenza da
maledizione biblica di quel “fai un buon viaggio di ritorno” che Claudia mi
aveva lanciato dalla motonave al momento della partenza da Mazzorbo. Infatti,
fui ridestato da un brontolio di tuono e poco dopo arrivò a ruota uno scroscio
di pioggia e perfino di grandine, mentre il cielo era diventato scuro e attraversato
dai lampi di un classico temporale estivo. Dopo aver atteso che smettesse e
impiegato quasi un’ora per svuotare la barca dall'acqua imbarcata, feci ritorno
a casa che era quasi l’ora di cena, con mia madre in ansia da ore e già sul punto di
chiamare la Capitaneria di porto perché mi cercassero. La sera stessa ricevetti
una telefonata inattesa da Donatella, ma ne parleremo la prossima puntata…
(Continua...)